I testi sono tratti da: P. Verri - I. Kant, Sul piacere e sul dolore.
Immanuel Kant discute Pietro Verri, a cura di P. Giordanetti, Milano,
Unicopli, 1998
Riflessione 1487
Lezioni di antropologia del semestre invernale 1781/82
Antropologia pragmatica
Sull'insuccesso di ogni tentativo filosofico in
teodicea
Bibliografia
Riflessione 1487
"[...] (sensazione) fisica e morale (riflessione, concetto). Della
sensazione e immaginazione. I bambini spesso urlano.
Le ultime richiedono cultura. Speranza e timore. Ottenimento di una carica
onorifica. Invenzione.
Veri e propri dolori Morali.
Piacere per il proprio comportamento buono.
Piacere morale: speranza di una condizione migliore e scomparsa di un
male.
Graduale scomparire del timore (per la malattia di una coniuge) non causa
alcun piacere.
Il bisogno della stima generale. Pungolo dell'ambizione e della
compassione.
Il piacere non può essere l'elemento originario. (Sete prima di bere).
Due gioie morali non possono seguire immediatamente l'una all'altra.
La mera felicità non commuove.
(Romanzi)
(Non il cielo è il movente, ma l'inferno)
I piaceri fisici: pace dopo il disagio, nutrimento dopo fame e sete.
Causarsi dolore. e. g. tabacco, dissonanza.
Dolori innominati (senza nome) (Non una salute completa): dei quali non si
sente né la causa né la localizzazione (inquietudine, dispiacere). Le
belle arti servono ad annientarli. Le persone sane sono indifferenti.
Il teatro causa angoscia per provocar piacere [...].
Non la sciocchezza rende felici, ma la felicità rende sciocchi.
Nel piacere il tempo diventa breve, nel dolore lungo e quindi è maggiore
il sentimento dell'esistenza.
La somma del piacere non può superare quella del dolore. Essa è molto più
piccola, perché molti dolori scompaiono lentamente [...]."
Appunti dalle lezioni di antropologia tenute da Kant nel
semestre invernale 1781/82
"Si pone la domanda se il piacere possa esistere autonomamente e se
siamo in ogni momento in grado di provare piacere, oppure se ogni piacere
debba essere preceduto da un dolore, cosicché il piacere sarebbe
semplicemente l'eliminazione [Aufhebung] del dolore e non sarebbe nulla di
permanente, e solo il dolore sarebbe un elemento autonomo. Qui la vita
umana appare malinconica e sembra non avere di per sé alcun valore.
Se il piacere è il sentimento dell'incremento vitale, questo sentimento
presuppone un impedimento vitale; poiché non vi può essere alcun
incremento laddove questo non sia preceduto da un impedimento. Se quindi
l'impedimento vitale è il dolore, il piacere presuppone sempre il dolore.
Se vogliamo espandere le nostre forze vitali oltre misura per uscire dalla
condizione di indifferenza, produciamo una condizione opposta; e se
incrementiamo le forze vitali oltre la misura consentita produciamo un
impedimento. La forza vitale ha una misura nella quale non vi è né
piacere né dolore e questa è il benessere. Se questa condizione viene
per qualche motivo diminuita è possibile un incremento vitale non appena
l'impedimento vitale venga eliminato; il piacere può perciò essere solo
successivo al dolore. Se volgiamo gli occhi al corso delle cose troviamo
in noi un impulso [Trieb] che ogni attimo ci costringe ad uscire dalla
condizione in cui siamo. Veniamo costretti da un pungolo [Stachel], da un
movente [Triebfeder] dal quale tutti gli uomini (in quanto animali)
vengono indotti all'attività. L'uomo è sempre e solo tormentato dai
propri pensieri; passa costantemente dalla condizione presente ad
un'altra, vive sempre nel futuro e non può indugiare nel presente, ma è
costantemente costretto a passare a prospettive future. Però, tutto ciò
che ci costringe ad uscire da una condizione in cui ci troviamo deve pur
essere un dolore; e che non sia l'attrattiva del piacere a indirizzarci al
futuro, ma che sia una sorta di impazienza ad attanagliare l'uomo ed a
spingerlo a lenire il suo piccolo dolore lo si vede dal fatto che la
ricerca dell'oggetto del piacere precede la conoscenza del medesimo e che
si va alla ricerca di esso come mero rimedio contro l'inquietudine [Unruhe]
che sospinge e tormenta. Vediamo, infatti, distintamente che quando l'uomo
è costantemente occupato e fa progetti non è attratto da un piacere che
egli abbia in vista, ma cerca solo di raggiungere il piacere; è stato
spinto ad uscire dalla condizione di dolore per ottenere sollievo [Linderung].
L'uomo si trova quindi in una condizione ininterrotta di dolore e quest'ultimo
costituisce, nella natura umana, lo sprone [Sporn] all'attività. La
nostra sorte è tale che nulla in noi è durevole eccetto il dolore,
nell'uno di più nell'altro di meno, tale comunque da permanere in tutti,
cosicché i piaceri non sono null'altro che lenimenti [Linderung] del
dolore. Questa è la natura dell'uomo; quale sia la natura delle creature
di altri pianeti non lo sappiamo. Il piacere non ha una realtà positiva
ma è solo una liberazione dal dolore che è dal canto suo semplicemente
negativa. Da ciò consegue che noi non possiamo mai iniziare dal piacere
ma solo dal dolore e che il piacere può sempre e soltanto seguire il
dolore poiché, dal momento che esso non è se non una liberazione dal
dolore, non può trovarsi all'inizio. Il piacere non può quindi avere
un'esistenza durevole in un uomo ma deve sempre essere unito al dolore e
manifestarsi in ogni attimo con esso, ed è in ciò che propriamente
consiste il piacere. Il dolore può però durare in un'uomo e venire
eliminato lentamente e gradualmente; in questo caso non ci accorgiamo del
piacere. L'eliminazione rapida [plötzlich] del dolore è ciò che
possiamo chiamare un autentico piacere. Noi siamo costantemente assaliti
da dolori innominati [namenlose Schmerzen], e li chiamiamo inquietudine [Unruhe],
desiderio [Begierde] e quanto più un uomo ha forza vitale tanto più
forte è il sentimento che egli ha del dolore. Senza che l'animo sia
tormentato da qualcosa di corporeo è tuttavia torturato da dolori
innominati [nahmenlose] ed agisce senza che sia obbligato ad intraprendere
qualcosa. Perciò gli uomini ricercano le compagnie per le quali in altre
circostanze non provano alcun piacere [Geschmack] e, sebbene vi provino il
medesimo dispiacere che provano in solitudine, l'alternanza delle
molteplici impressioni che vi ricevono elimina il loro dolore. Proprio per
questo motivo molti uomini si sono tolti la vita e la maggior parte di
questi melanconici cade nel vizio [Laster] del suicidio perché il pungolo
del dolore li perseguita a tal punto che essi non riescono a trovare alcun
altro modo di contrastarlo.
È assolutamente certo che la disposizione della provvidenza prevede che
noi dobbiamo essere indotti all'attività dall'alternarsi di dolore e
piacere [...].
Gli uomini credono che sia ingratitudine nei confronti della creazione
dire della provvidenza che ci ha collocato in una condizione di dolore
costante; ma questa è una saggia disposizione [weise Einrichtung] della
natura umana per indurci all'attività. In una condizione di piacere non
usciremmo dalla nostra condizione né intraprenderemmo nulla di nuovo.
Possiamo definire felice quella vita che dispone di tutti i rimedi [Heilmittel]
al dolore, poiché non abbiamo alcun altro concetto della felicità. La
soddisfazione [Zufriedenheit] si ha quando si pensa di permanere nella
condizione nella quale già ci si trova e si vuol rinunciare a tutto ciò
che procura piacere [...]; ma questa condizione non la ritroviamo in
nessun uomo. Un uomo può dire probabilmente: sono contento del complesso
della mia condizione, ovvero posso avere un mezzo per liberarmi dal
dolore; perché noi godiamo di certe cose che sono immediatamente e di per
sé spiacevoli e delle quali non si potrebbe mai avere il benché minimo
concetto del perché noi le godiamo, se non spariscono improvvisamente ed
in quanto spariscono ci creano piacere.
Il fumo del tabacco dà sempre luogo ad un gusto ripugnante che però
contemporaneamente sparisce nuovamente e questo stimolo [Reiz] ci causa
piacere. Per qual motivo si avrebbe ora necessità di procurarsi
sensazioni spiacevoli se il lenimento del dolore non fosse esso stesso
piacere? Troviamo che gli uomini provano un particolare divertimento a
fumare tabacco con una pipa: la causa di ciò è che nulla fa
un'impressione durevole e l'impressione può venire ripetuta spesso e
scompare nuovamente. Il fumatore trae da ciò due vantaggi: 1) il fumo
disperde la molteplicità delle impressioni, 2) ciò gli crea piacere
perché le impressioni scompaiono di nuovo immediatamente. Tutti i generi
voluttuari a cui non possiamo più rinunciare sono sulle prime spiacevoli.
Di questi fanno parte tutti i piaceri derivanti dal tabacco, fra gli altri
il masticar tabacco, che non suscita null'altro se non un aspro sapore
piccante che però successivamente viene nuovamente diminuito dallo
stimolo che dà. Perciò questo è un divertimento; l'animo viene
sottratto alle preoccupazioni che altrimenti lo assillano continuamente.
Per qual motivo gli uomini, per sfuggire alla noia [Langeweile], si
rifugiano nell'ebbrezza procurata dagli alcolici? La noia è l'insieme dei
dolori innominati. Tutti i popoli selvaggi e la gente comune cercano
l'ebbrezza; il contadino non vorrebbe nessuna bevanda alcolica se non
sapesse che ciò gli causa un'ebbrezza durevole. L'ebbrezza lo rende
insensibile all'incessante inquietudine dell'animo umano ed in tal modo
egli può lenire con illusioni e vane speranze l'eccesso del suo dolore.
Nessun piacere può essere duraturo, ma il dolore deve sempre mescolarvisi.
Il piacere delle consonanze non può aver luogo senza dissonanze. Il sale
è una specie di stimolo [Reiz]; nei cibi però vi è qualcosa che agisce
contro questo momentaneo dolore cosicché esso viene nuovamente eliminato.
Da questi stimoli [Antriebe] la nostra attività viene vivificata e spinta
a fare qualcosa e la nostra vita animale non potrebbe venire incentivata
senza questi piccoli dolori.
Possono questi piaceri, sommati fra loro, costituire una quantità
maggiore del dolore? No, poiché sono solo sollievi [Hebungen] possono
costituire una quantità solamente pari al dolore stesso e spesso anche
inferiore; poiché nel caso di un dolore che venga eliminato lentamente
noi non abbiamo il sentimento dell'eliminazione ed è proprio soltanto
nell'eliminazione rapida che consiste il piacere. La nostra vita può
quindi ben essere vincolata ad un dolore che dura molto a lungo, ma sarà
al contrario connessa soltanto con un piacere che dipende dal dolore e
nell'uomo vi è almeno sempre il desiderio di allontanarsi dai più grandi
piaceri; ad esempio, gente che ottiene una grande eredità ha sempre
un'inquietudine molto grande.
Tutto ciò che abbiamo riferito sino a questo punto contiene la teoria del
conte Veri che, sebbene sia esatta, viene sfavorevolmente giudicata da
alcuni; su di essa è fondata la vera economia della natura umana ( 1).
Forse che nelle religioni sono le promesse della gioia del cielo ciò che
deve indurre gli uomini all'osservanza delle leggi? No! Piuttosto li
costringe a sottomettersi alle leggi della religione il timore [Furcht]
delle pene [Strafen]. Questo principio è così certo che sebbene Maometto
abbia tentato di riempire il cielo di una gran quantità di piacere [Wollust]
sensibile ciò ha avuto un effetto tanto irrilevante quanto lo avrebbe la
promessa di gioie indicibili. Il dolore esercita un effetto più forte; di
esso possiamo farci un concetto comprensibile. Che ciò sia vero lo mostra
perfino la storia mosaica della creazione; gli uomini non riescono a
tollerare i piaceri eterni, per questo motivo il primo uomo si rese
colpevole della trasgressione del divieto. Dopo di ciò dovette lavorare
poiché per natura egli è pigro.
Le belle arti, la poesia, la pittura sono tutti mezzi per combattere il
dolore ideale. Un uomo che fosse perfettamente sano di spirito non
riserverebbe attenzione alle belle arti. Le belle arti contengono
impressioni che colpiscono incessantemente l'animo e dalle quali l'uomo
viene costretto a mescolare sempre qualcosa con il dolore ideale; poiché
dal momento che le belle arti sono dotate di una tale molteplicità che
mai possono indurre al completo tedio vediamo che esse esercitano profonde
impressioni su anime raffinate, impressioni che debbono costituire rimedi
ideali anche per anime che siano colpite dal dolore ideale (2).
Nel piacere il tempo è breve per l'uomo e nel dolore lungo; quando la
vita è alla fine, ciò che fu accompagnato da piacere risulta più breve
rispetto a ciò che fu appesantito dal dolore. Ora è evidente che, poiché
la vita diviene per noi più breve nel piacere, esso non può essere
positivo, e poiché la vita nel dolore diviene lunga è quest'ultimo che
deve contenere in sé il vero sentimento vitale. Non possiamo quindi
renderci piacevole la vita senza abbreviarla. Ogni periodo della vita ci
risulta sempre fastidioso, desideriamo sempre che giunga il periodo
successivo e che il presente sia trascorso. Perciò la vita più felice
deve essere congiunta con un costante dolore altrimenti non saremmo così
felici di aver raggiunto la fine del tempo. Sembra essere una particolarità
strutturale degli abitanti di questo pianeta che in essi sia il dolore a
costituire il movente [Triebfeder]. I piaceri dipendono solamente dal
dolore. Che chiamiamo ora quest'ultimo desiderio [Sehnsucht], oppure
inquietudine [Unruhe] dell'animo, si tratta in ogni caso sempre di un
pungolo [Stachel] a ricercare una condizione nuova prima ancora che se ne
abbia un qualche concetto. Veniamo costretti ad abbandonare una condizione
che chiamiamo piacere poiché essa ci libera dall'inquietudine presente ed
in base a ciò ricaviamo il nostro concetto della felicità. L'uomo non può
rappresentarsi alcuna condizione di piacere durevole nella quale timore e
speranza non si alternino [...].
Il lavoro è il modo migliore di passare il tempo ed il tempo non vien
riempito in altro modo che dal lavoro; perché i piaceri si privano da
soli del godimento che vi è connesso e con il tempo diventano
insignificanti. Il lavoro è però un'occupazione cui si viene costretti e
si distingue dall'ozio per il fatto che porta con sé dei fastidi cui ci
sottopone solo in vista di un fine. Si dovrebbe quindi pensare che il
lavoro possa piacere solo se si tien presente il fine; il lavoro però
deve dare al nostro animo maggiore tranquillità [Ruhe] ed il fine non può
incrementare il piacere dell'uomo [...]. Ma poiché il lavoro non è
nient'altro che uno sforzo può servire a renderci capaci di provare la
felicità della vita in quanto tien lontano il dolore; poiché attraverso
il lavoro dimentichiamo i dolori innominati che sempre ci perseguitano
[...]. Lucrezio descrive la nascita di un bambino e dice: "il bambino
comincia con un pianto angosciato come si confà ad una creatura che si
attende una grande quantità di mali [Uebeln]." (3)
Alcuni hanno creduto che, se si ricominciasse da capo la vita, se ne
farebbe un uso migliore; tuttavia, quanto più si invecchia tanto più si
guadagna e quanto più è lungo il tempo che si ha davanti a sé, tanto più
coraggio si acquisisce; però, quando la vita si avvicina alla fine, si ha
timore della morte; da ciò, si dovrebbe pensare, dovrebbe conseguire che
vi sia una preponderanza del piacere nella nostra vita, ma ciò non
confuta nulla; perché questo è un timore animale, la nostra
immaginazione ci nutre di speranze e per quanto questa speranza sia
un'illusione tuttavia essa intrattiene il nostro animo; perciò non ci si
deve meravigliare se proviamo tedio per la vita e tuttavia possiamo temere
la morte. Anche ammesso che si sia goduta la vita e la si goda ancora con
una salute eventualmente buona, nulla sembra degno della fatica che
compiamo per vivere; e, se si prova il desiderio di ringiovanire, ciò è
indice o di una tendenza [Hang] a piaceri immaginari che l'uomo crede di
poter ottenere oppure del fatto che egli non ha riflettuto abbastanza
sulla cosa e non si ricorda dei disagi della sua vita precedente; di
conseguenza nessun uomo ragionevole desidererà ricominciare da capo la
sua vita; perché lo stoico aveva ragione sul fatto che il dolore
costituisce l'elemento preponderante della vita. Verri dice: non solo il
piacere non ha la preponderanza sul dolore ma l'uomo non può neppure
godere alcun tipo di piacere se il dolore non lo ha preceduto (4).
Perciò Socrate disse nel giorno in cui gli vennero sciolte le catene
quando doveva bere il veleno e si grattava proprio nel punto in cui
sentiva prurito a causa della pressione delle catene: "così il
piacere segue al dolore". Poiché ogni liberazione dal dolore è
causa di piacere. Il desiderio, la Sehnsucht fa sì che dopo di essa
qualcosa ci sia cagione di piacere; se non venissimo spinti da questo
pungolo e non provassimo dolore il piacere non sarebbe più piacere [...]
(5).
La felicità è una specie di ideale del quale non possiamo formarci alcun
concetto che la esprima se con il termine felicità intendiamo la somma più
grande di gioia, ovvero la completa soddisfazione di tutte le nostre
inclinazioni. Non ci possiamo neppure immaginare la possibilità di vivere
una vita che risulti solamente di piacere. Non possiamo mai produrre un
intero completo del quale possiamo essere pienamente felici; ciò è
quindi una mera creazione dell'immaginazione che non corrisponde ad alcun
concetto. Con maggiore facilità possiamo formarci un concetto di una
soddisfazione [Zufriedenheit] che scaturisce dall'appagamento, nel quale
l'uomo si abitua a fare a meno di tutto ciò che fa parte del godimento
superfluo dei piaceri ed in cui si abitua a poterne fare a meno. In questo
caso può rappresentarsi una soddisfazione che si fonda su condizioni
raffinate. Ma neppure di questa si può dare un vero e proprio esempio,
poiché se possiamo rinunciare a molte cose, viene a mancarci il movente
delle azioni e perciò non si può comprendere in qual modo la
soddisfazione debba essere un movente dell'azione poiché essa è
negativa."
Antropologia pragmatica
"Il piacere è il senso
dell'incremento; il dolore quello di un impedimento della vita. Ora la
vita (dell'animale) è, come hanno già notato i medici, un continuo gioco
di antagonismo fra piacere e dolore. Il dolore, dunque, deve precedere
ogni piacere; il dolore è sempre il primo. Poiché, che cosa accadrebbe
di un continuo incremento dell'energia vitale, la quale tuttavia non può
mai salire al di là di un certo grado, se non una rapida morte per gioia?
Inoltre nessun piacere può seguire immediatamente a un altro; ma fra
l'uno e l'altro ci deve essere il dolore. Sono i piccoli arresti della
potenza vitale mescolati con incrementi di essa quelli che costituiscono
la condizione di salute, che noi erroneamente riteniamo un benessere di
continuo sentito; mentre essa consta soltanto di sentimenti gradevoli, che
si susseguono a scosse, intramezzati sempre da dolore. Il dolore è il
pungolo dell'attività, e in questa noi sentiamo sempre la nostra vita;
senza dolore la vita cesserebbe.
I dolori, che passano lentamente (come il progressivo ristabilirsi da una
malattia o il lento riacquisto di un capitale perduto), non hanno per
effetto un godimento vivo, perché il trapasso è inavvertito. - Io
sottoscrivo con piena convinzione queste proposizioni del conte Verri (6).
Esemplificazioni
[....] Perché gli spettacoli (tragedie o commedie) sono così attraenti?
Perché in tutti entrano certe difficoltà - angosciose incertezze fra
speranza e gioia - , e così il gioco delle emozioni fra di loro opposte
diventa per lo spettatore alla fine causa di incremento vitale, perché
gli ha prodotto un movimento interiore [...].
Il tabacco (o da fumo o da fiuto) è sulle prime collegato con una
sensazione sgradevole. Ma appunto perciò che la natura (con la secrezione
mucosa del palato o del naso) toglie subito questo dolore, il tabacco
(specialmente quello da fumo) diventa una specie di compagnia, in quanto
serve a intrattenere, e a suscitar sempre nuove sensazioni e anche
pensieri, quand'anche siano soltanto pensieri vagabondi [...].
Del trascorrere rapido o lento del tempo
§ 61. Sentire la vita, divertirsi, non è dunque altro che sentirsi
continuamente spinto a uscire dalla condizione presente (la quale deve
quindi essere un dolore che spesso ritorna). Così si spiega anche la pena
opprimente e angosciosa che procura la noia a tutti coloro che badano alla
propria vita e al tempo (gli uomini civili)*.
*Il Caraibico è, per la sua innata mollezza, libero da questo fastidio.
Egli può stare per delle ore con la sua canna in mano, senza incominciare
alcunché; l'assenza di pensieri è per l'attività una mancanza di
stimolo, il quale reca sempre con sé un dolore, ma che il caraibico non
conosce. - I lettori di gusto raffinato son tenuti sempre da scritti
effimeri in stato di appetito, o anzi di fame della lettura (una specie di
ozio) non per coltivarsi, ma per godere; cosicché le teste rimangon
sempre vuote, e non c'è da temere eccesso di nutrizione; mentre d'altra
parte essi danno alle loro oziose occupazioni il colore di un lavoro e si
immaginano in esse un modo degno d'impiegare il tempo, il quale però non
è per nulla meglio di quello che offre al pubblico il "Giornale del
lusso e delle mode" [...].
Ma come può esserci soddisfazione (acquiescentia) durante la vita? - Essa
è per l'uomo irraggiungibile, sia dal punto di vista morale (esser
contento di se stesso nella condotta buona), che pragmatico (esser
contento del proprio benessere, che l'uomo pensa di procurarsi con
l'abilità e la prudenza). La natura ha posto in lui il dolore come
pungolo dell'attività, a cui egli non può sottrarsi per progredire
sempre verso il meglio, e anche nell'ultimo momento della vita la
contentezza dell'ultimo tratto di essa è, per così dire, solo relativa
(sia perché noi ci paragoniamo con la sorte degli altri, sia perché ci
paragoniamo con noi stessi); ma non è mai pura e completa. - Essere
(assolutamente) contenti nella vita, sarebbe una quiete inerte e una
cessazione degli impulsi, uno svanire delle sensazioni e dell'attività
che vi si connette. Una tal quiete può tanto poco accordarsi con la vita
intellettuale dell'uomo quanto l'arresto del cuore in un corpo animale,
nel qual caso, se non interviene (col dolore) un nuovo stimolo,
inevitabilmente segue la morte [...].
Sull'insuccesso di ogni tentativo filosofico in
teodicea
"Alla seconda giustificazione, ovverossia che l'eccedenza
dei sentimenti dolorosi su quelli piacevoli è inseparabile dalla natura
di una creatura animale quale è l'uomo (come, ad esempio, sostiene il
conte Verri nel suo libro sulla natura del piacere (7), si risponderebbe poi
che se le cose stanno così, ci si imbatte in un'altra domanda: per qual
motivo, allora, l'autore del nostro esistere ci ha chiamati alla vita, se
questa, secondo un nostro esatto calcolo, non è per noi
desiderabile?"