Le strutture idrauliche al margine dell’abitato e gli apparati idraulici relativi
M. Cremaschi, C. Pizzi
Università degli Studi di Milano – mauro.cremaschi@unimi.it, chiara.pizzi@libero.it
Le campagne di scavo degli ultimi dieci anni nella terramara S. Rosa di Poviglio hanno messo in luce, al margine del Villaggio Grande, un complesso sistema idraulico, realizzato nella fase di impianto di questa parte della terramara alla fine del Bronzo Medio, composto, a ridosso delle tracce della palizzata lignea, di grandi pozzi, dal fossato periferico, dal fossato, dal canale adduttore e, in posizione ancora più esterna, da un ulteriore canale. Un ulteriore tratto di canale risalente al Bronzo Recente è stato recentemente rinvenuto a più di un chilometro dell’abitato indicante che, esisteva alla periferia del sito, al momento del suo apogeo, una campagna dedita all’agricoltura ed irrigata per ampio tratto. Il sistema idraulico circostante l’abitato, subisce profondi cambianti durante il Bronzo Recente a causa di un evento alluvionale che oblitera il canale e probabilmente anche il fossato. Questo però viene riescavato e riattivato, contestualmente alla costruzione del terrapieno che va a ricoprire la precedente palizzata lignea. Alla fine di questo periodo sul fondo del fossato, vengono aperti numerosi pozzi concentrati specialmente al suo margine esterno con lo scopo di fornire acqua verso la campagna fuori dall’abitato. Tali pozzi raggiungono la falda acquifera a una profondità sensibilmente maggiore di quella utilizzata dai pozzi della recinzione ormai defunzionalizzati. Tale fatto è conseguenza di un periodo di aridità, che può aver contribuito all’abbandono del villaggio e alla crisi del sistema terramaricolo.
Prospezioni geofisiche per la ricostruzione delle strutture della terramara Santa Rosa di Poviglio (RE)
M. Giudici1,2,3, M. Cremaschi1, M. Mele1,2,4, A. Lozej1,2, A. Bassi5
1 Università degli Studi di Milano -
mauro.giudici@unimi.it, mauro.cremaschi@unimi.it,
alfredo.lozej@unimi.it, mauro.mele@unimi.it,
2 CNR-IDPA (Consiglio Nazionale delle Ricerche,
Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali)
3 CINFAI, Consorzio Interuniversitario Nazionale
per la Fisica delle Atmosfere e delle Idrosfere
4 i.Geo snc, 5
Le prospezioni geofisiche nel sito della terramara Santa Rosa di
Poviglio sono iniziate durante la campagna di scavo 2008 e sono
proseguite fino al dicembre 2013. Nel corso delle campagne di misura
sono stati eseguiti rilievi elettromagnetici (Frequency Domain
Electro-Magnetics; FDEM) con un ground-conductivity meter GSSI
Profiler EMP-400, ricoprendo un’area totale di circa 43 ha
attraverso una acquisizione lungo più di 180 profili di indagine per
una lunghezza totale di circa 80.000 m lineari. Queste misure,
eseguite con segnali la cui frequenza variava tra 5kHz e 15kHz, hanno
permesso di produrre mappe della distribuzione della resistività (o
conducibilità) elettrica del sottosuolo a piccola profondità.
Queste misure sono state affiancate da acquisizioni ERI (Electrical
Resistivity Imaging) lungo 70 linee di acquisizione, con
spaziatura elettrodica da 1 m a 3 m e una lunghezza totale dei
profili di circa 9.000 m lineari, con l’obiettivo di fornire
informazioni sulla struttura 2D lungo sezioni verticali o addirittura
3D. Per l’esecuzione di queste misure sono stati usati lo strumento
PASI 16 G e il prototipo Mangusta 2GET sviluppato dall’IDPA-CNR.
Infine sono stati eseguiti anche alcuni rilievi
magneto-gradiometrici, che hanno fornito dati meno significativi: in
particolare l’obiettivo delle misure magnetiche era
l’individuazione di una eventuale fornace o di corpi metallici, che
però non sono stati messi in evidenza.
In base alle caratteristiche geologiche latu senso
(sedimentologiche, geomorfologiche, litologiche, petrografiche, ecc.)
del sito e all’evoluzione dell’uso del suolo e del territorio a
partire dall’età del Bronzo, le variazioni di resistività
elettrica possono essere legate a diversi fattori: (1) diverse
caratteristiche dei suoli; (2) contrasti litologici, ad esempio tra
il dosso sabbioso verosimilmente utilizzato come substrato per i
villaggi terramaricoli e la pianura alluvionale circostante,
prevalentemente caratterizzata da materiali limoso-argillosi; (3)
riempimento di canali naturali e artificiali con materiali aventi
granulometria differente dal substrato; (4) presenza di residui di
fabbricati preistorici e storici (ad esempio, i mattoni della villa
romana). I terreni dell’area sono estremamente conduttivi, con
contrasti di resistività molto piccoli: queste non sono condizioni
ideali per l’esecuzione di rilievi geofisici. Ciononostante,
l’ottima qualità dei dati raccolti sul terreno ha permesso di
ottenere risultati di grande importanza geoarcheologica (Mele et
alii, 2013).
Il risultato di più immediata utilità e facilità di
interpretazione è rappresentato dalla mappa di resistività
apparente ottenuta con la prospezione FDEM alla frequenza di 15kHz. L’interpretazione geologica e geoarcheologica delle
anomalie visibili in questa mappa è stata possibile grazie alla
integrazione sia con i risultati ERI, sia con i risultati delle
campagne di scavo e alcuni saggi eseguiti in aree particolarmente
significative. La mappa mostra chiaramente la geometria del villaggio
grande e del villaggio piccolo, grazie al contrasto di
resistività tra i dossi sabbiosi più resistivi (>12-14 m),
sui quali erano realizzati i villaggi, e i materiali circostanti che
sigillano il sito (<10-12 m).
Ambienti “in-site and off-site” nella terramaradi Poviglio
M. Marchesini1, S. Marvelli2, E. Rizzoli2
1 Soprintendenza per i Beni Archeologici
dell’Emilia Romagna - marco.marchesini@beniculturali.it
2 Laboratorio di Palinologia e di Archeobotanica
- C.A.A. Giorgio Nicoli S.r.l. - palinologia@caa.it
Durante le campagne di scavo 2009-2010 nella terramara di Poviglio
(RE) è stato condotto un completo ed esaustivo campionamento
pollinico in-site dai principali livelli indagati
archeologicamente; nel 2011, in occasione della posa di una tratta di
metanodotto, è stato effettuato il campionamento di una sequenza
off-site relativa ad un canale, distante circa 1,5 km
dall’abitato. I successivi studi archeopalinologici hanno permesso
di ricostruire l’evoluzione dell’ambiente, fornendo preziose
informazioni sul paesaggio vegetale e sul livello di antropizzazione
del territorio, mettendo a confronto per la prima volta i dati
appartenenti a contesti in-site con quelli off-site.
L’immagine del paesaggio vegetale così ottenuta presenta, in una
prospettiva multidisciplinare, le testimonianze e le interazioni
delle attività antropiche di un preciso contesto
storico-archeologico. Nel Bronzo Recente l’area circostante
l’abitato risulta abbastanza aperta (valore medio delle arboree:
37,3%), mentre il ricoprimento arboreo risulta maggiore nell’area
del canale di via Piccola (valore medio delle arboree: 72,7%) con
elementi del Querceto mesofilo e dei boschi igrofili. Il livello di
antropizzazione è elevato nell’abitato e nelle zone limitrofe,
dove sono testimoniate coltivazioni di cereali, leguminose e canapa,
invece è molto basso nell’area di via Piccola, dove le
coltivazioni sono praticamente assenti. La presenza delle piante
tipiche di aree umide è significativa in entrambi i siti.
Nel Bronzo Recente Avanzato si registra un forte calo del tasso di
afforestamento sia nei campioni in-site che in quelli off-site
(11,2%-27,7%); inoltre incrementa il livello di antropizzazione, in
particolare in via Piccola e si espandono le aree aperte a
prato/pascolo, che superano in questa fase il 50% degli spettri
pollinici.
Nella fase di abbandono il tasso di afforestamento rimane basso e si
verifica un incremento significativo delle specie tipiche di zone a
prato/pascolo/incolto, che raggiungono il 70%.
In alcuni livelli off-site, in particolare nel canale
dell’abitato, risulta elevata la presenza di granuli pollinici
secondari a testimonianza di un probabile apporto di sedimenti più
antichi provenienti da zone appenniniche.
Le strutture idrauliche del sito di Fondo Paviani (Legnago, Verona) nel quadro della ricostruzione paleoambientale dell’area.
C. Nicosia1; C. Balista2; M. Cupitò3; G. Leonardi3; E. Dalla Longa3; M. Dal Corso4; W. Kirleis4
1 CREA-
Université Libre de Bruxelles - cristianonicosia@yahoo.it
2 Geoarcheologi Associati s.a.s. Padova
3 University
of Padova - michele.cupito@unipd.it,
giovanni.leonardi@unipd.it,
4 Christian-Albrechts
University of Kiel - wiebke.kirleis@ufg.uni-kiel.de
Il sito del Bronzo Recente-Finale (XIV-XII sec. a.C.) di Fondo
Paviani copre un’area di oltre 20 ettari ed è circondato da un
fossato e da un aggere quadrangolare. Il sito si trova nell’area di
bassa pianura a Sud di Verona, nelle cosiddette “Valli Grandi
Veronesi”. Fondo Paviani è situato all’interno della paleovalle
del fiume Menago, una delle valli fluviali terrazzate incise durante
l’Olocene nel Conoide Antico dell’Adige e rioccupate da fiumi di
risorgiva. Il Conoide Antico dell’Adige corrisponde al sandur del
ghiacciaio del Garda di età tardo-pleistocenica.
I dati provenienti da diverse campagne di scavo dell’Università di
Padova, integrate dal rilevamento di ampie sezioni stratigrafiche e
da carotaggi manuali hanno permesso di investigare una parte
dell’interno del sito e le strutture idrauliche poste a Est del
sito stesso. Oltre all’analisi di un primo fossato pre-aggere e
dell’aggere stesso, l’attenzione è stata rivolta al riempimento
della valle compresa tra il manufatto aggerale e il margine del
terrazzo del Conoide Antico dell’Adige. Tale riempimento è
composto da ca. 2 m di sedimenti organici (torbe detritiche, gyttja)
e, in minor parte, minerogeni. La sequenza qui esposta è stata
utilizzata per ricavare informazioni sul paleoambiente precedente,
contemporaneo e successivo alla vita del sito. Oltre al rilevamento
stratigrafico di campagna e allo studio tipo-cronologico dei
manufatti rinvenuti, si è fatto ricorso ad analisi archeobotaniche,
malacologiche, radiocarboniche, sedimentologiche e micromorfologiche.
La dendrotipologia: uno strumento per lo studio dei rapporti uomo-ambiente nell’età del Bronzo
N. Martinelli
Dendrodata s.a.s - nicoletta.martinelli@dendrodata.it
La dendrocronologia
sin dagli anni ’80 del secolo scorso si è imposta come strumento
indispensabile allo studio dei contesti preistorici italiani,
trovando il suo principale campo di applicazione nella datazione dei
villaggi palafitticoli. La cronologia dell’antica e media età del
Bronzo dell’Italia settentrionale, in particolare, si fonda in gran
parte su risultati ottenuti dalle datazioni dendrocronologiche.
Nell’ultimo periodo, tuttavia, gli sviluppi metodologici della
dendrocronologia applicata all’archeologica si sono rivolti ad
altri aspetti della disciplina (dendrochronology
‘beyond dating’).
La dendrocronologia,
infatti, non è solo un metodo di datazione, ma una scienza di più
ampio respiro, di ambito ambientale, che con i suoi metodi permette
di decifrare e raccogliere vari tipi di informazioni registrate nelle
sequenze anulari degli alberi, fino a giungere alla ricostruzione dei
principali parametri climatici del passato su scala annuale, tramite
la dendroclimatologia. Nell’ottica del principale argomento di
questo incontro di studi, tuttavia, è soprattutto l’ambito di
ricerca definito dendrotipologia, che può rivelarsi uno strumento
potente nella ricostruzione di dettaglio dello studio del rapporto
uomo-ambiente.
La dendrotipologia è
un’analisi basata sulla combinazione di parametri forestali
(diametro del tronco, classe d’età, tasso di accrescimento) e
parametri tecnologici (scelta del tipo di legno, tecniche di
lavorazione), che permette di ottenere informazioni sia sulle scelte
operate dall’uomo sia sulle condizioni dei boschi usati come fonte
di approvvigionamento, giungendo all’identificazione delle pratiche
forestali utilizzate nella preistoria. Sulla base dei dati forniti
dalla dendrotipologia è possibile riconoscere le diverse risposte
adottate dalle comunità al variare delle condizioni ambientali e
delle strutture forestali e, quindi, giungere a una ricostruzione di
dettaglio delle modalità dell’occupazione degli ambienti
(Billamboz
2011).
Recentemente i
metodi della dendrotipologia sono stati applicati con successo anche
su vari contesti dell’Italia settentrionale, fra i quali risultano
già editi i due villaggi palafitticoli del Lucone D (BS) (2035 -
1969 cal BC (±10) e del Sabbione (VA)(1632 -1563 cal BC (±
30)(Martinelli
2013).
Tali indagini hanno
permesso di intravedere come, durante l’età del Bronzo,
caratterizzata da forti variazioni, climatiche da un lato e
socio-economiche dall’altro, anche in Italia settentrionale si
assista a una storia insediativa non lineare accompagnata da profondi
cambiamenti nella struttura forestale. Al Lucone D è documentato lo
sfruttamento di una zona boschiva quasi del tutto naturale, sorta
però a seguito di una rigenerazione spontanea dopo un episodio di
deforestazione, avvenuto circa 120 anni prima del primo insediamento
del villaggio del Bronzo Antico del 2035 cal BC. L’approvvigionamento
del legname di quell’anno e degli anni successivi non pare derivare
da abbattimenti generalizzati, con creazione di ampie radure, ma
piuttosto da tagli episodici, effettuati ‘on
demand’
su alberi con caratteri particolari.
Qualche secolo più
tardi i boschi sfruttati al Sabbione portano traccia di un impatto
antropico molto più forte, con segni di interventi e fasi di
rigenerazione asincrone, probabilmente legate a un marcato sviluppo
demografico. Ciò conduce alla progressiva mancanza di disponibilità
del buon legname di quercia caducifoglia della sezione ROBUR
e la palizzata più esterna viene edificata con pali anche di altre
specie legnose meno pregiate. Qualcosa di analogo avviene, nel corso
del 18° secolo cal BC, nel villaggio del Frassino I (VR-Peschiera)
dove, per le costruzioni degli ultimi episodi insediativi si ricorre
alla quercia della sezione CERRIS.
La dendrotipologia,
in confronto ad altre scienze di ambito paleo-ambientale, presenta il
vantaggio di operare su campioni che sono allo stesso tempo
arte-fatti (gli elementi delle strutture lignee di un villaggio) ed
eco-fatti (gli alberi da cui sono stati ricavati) e costituisce una
sorta di interfaccia tra l’archeologia e le scienze naturali. Il
forte livello di contestualizzazione che ne deriva permette una
migliore comprensione dei rapporti fra uomo e ambiente e una migliore
definizione dello sviluppo insediativo, anche in termini di rapporto
fra lo sviluppo forestale, le proprietà tecnologiche del legname
disponibile e gli adattamenti/adeguamenti costruttivi.
Risulta evidente,
quindi, come l’applicazione delle indagini dendrocronologiche e
dendrotipologiche a quei contesti terramaricoli caratterizzati dalla
conservazione del legno potrebbe dare un contributo determinante
all’identificazione dei fenomeni naturali e antropici che hanno
condotto al collasso del territorio, permettendo anche di seguirne lo
sviluppo su scala annuale, con una risoluzione temporale sconosciuta
ad altri metodi.
Bibliografia:
Billamboz,
A., Applying
dendrotypology to large timber series,
in, a cura di Fraiture
P., Tree
Rings, Art, Archaeology. Proceedings of the Conference,
in
Scientia Artis 7,
(Brussels 10-12 February 2010), Brussels 2011, pp. 177-188.
Martinelli,
N. Dendro-typology
in Italy: The case studies of the pile-dwelling villages Lucone D
(Brescia) and Sabbione (Varese),
in, a cura di Bleicher
N., Gassmann P., Martinelli N., Schlichtherle H.,
Dendro
–Chronologie –Typologie –Oekologie,
Festschrift
für André Billamboz zum 65. Geburtstag,.
Freiburg im Breisgau 2013, pp. 117-124.
Rividischia (Codroipo, Udine): un esempio di sistema di captazione idrica di un castelliere friulano dell’età del bronzo
C. Putzolu, G. Tasca, D. Vicenzutto
Si intende presentare un caso di
studio sui sistemi di alimentazione idrica di castellieri friulani.
Il sito scelto per l’indagine è
il castelliere di Rividischia in comune di Codroipo, individuato nel
1983 e oggetto di scavi organizzati dai Civici Musei di Udine in
collaborazione con la Società Friulana di Archeologia tra il 1998 e
il 2000. Il sito è stato quindi oggetto di indagini su dati
telerilevati e campionature sul terreno (carotaggi) da parte di A.
Fontana nella prima metà degli anni 2000.
Il sito, originariamente
arginato, ha forma quadrangolare delimitata da paleoalvei
perfettamente riconoscibili in foto aerea.
Nell’impossibilità di
organizzare uno scavo estensivo dell’area compresa tra i
paleoalvei, diversi saggi sono stati aperti nei punti che sembravano
conservare lembi di stratigrafia: il progredire delle conoscenze
sull’età del Bronzo in Friuli ha permesso solo di recente di dare
una precisa scansione cronologica ai contesti indagati:
lungo la sponda sud del tratto meridionale dell’alveo perimetrale è stato messo in luce un piccolo fosso ad andamento angolare in esso confluente: tale struttura era costipata di materiali ceramici databili al BR2 non avanzato (fine XIII sec.), che datano la defunzionalizzazione della struttura, i cui piani laterali sono abrasi dall’aratura;
poco a Ovest dell’esaurimento sul taglio dell’aratura del tratto parallelo al fossato grande (US 5, 11) del fosso piccolo (US 2), è stato individuato sulla sponda del fossato grande un potente accumulo di ciottoli e pietre (una sorta di piccolo tumulo) al di sotto del quale era deposto in piano un quarto di un’olla globosa di BR non avanzato;
l’alveo Sud, largo 16 m, è stato oggetto di saggi più ampi in corrispondenza della confluenza in esso del fosso piccolo (US 2, un drenaggio dall’esterno dell’abitato) e della confluenza con l’alveo est: il riempimento nel corso dell’età del bronzo appare uniforme (limoso limoso argilloso grigio scuro con tracce di invegetamento: US 5 = 11) e contiene materiali ceramici inquadrabili da fasi probabilmente non iniziali del BM al BR2 non avanzato (passaggio XII sec. a.C.).
Una ricerca di superficie sistematica effettuata nell’area immediatamente a Sud all’esterno del castelliere, in prossimità quindi della struttura 1, ha portato a individuare numerosi punti di affioramento di pochi cocci (esiste una carta puntuale), di cui non conosciamo però l’interpretazione funzionale: è però quanto di più simile a un paesaggio dei dintorni di un castelliere che conosciamo oggi.
Il potere dell’acqua: canali, élite e cambiamenti traumatici.
A. Di Renzoni
ISMA-CNR - andrea.direnzoni@isma.cnr.it
Il
potere è spesso visto come un elemento fondamentale nel meccanismo
che regola le strutture sociali delle comunità ed è generalmente
(ma non necessariamente) connesso a concetti quali quelli di forza e
dominanza e viene analizzato ponendo particolare enfasi sull’aspetto
economico-produttivo. Questa caratteristica, comune sia agli approcci
di stampo “liberista” che marxisti (Miller,
Tilley
1984),
nella ricerca archeologica ha indotto molti autori a concentrare
l’attenzione sulle dinamiche legate all’organizzazione del lavoro
e all’accesso alle risorse, analizzando il potere in un dato
contesto nella dicotomia “egalitario vs
gerarchizzato” e ricercando nel record archeologico le tracce di
tale contrapposizione.
In
tal senso, una delle più evidenti manifestazioni archeologiche della
diseguaglianza sociale è ravvisabile nella strutturazione del
territorio, concepito come esito dell’interazione
tra la dimensione culturale organizzata e le risorse (Binford
1983). Il
paesaggio come prodotto culturale può essere visto come
l’espressione del modo in cui "… determinate classi di
persone hanno immaginato se stesse e il loro mondo ... e attraverso
il quale hanno sottolineato il loro ruolo sociale..." (Cosgrove
1984).
Lo spazio fisico, allora, viene modellato anche in risposta a
determinate esigenze simboliche: monumenti e grandi infrastrutture
comunitarie sono segni permanenti che collegano la comunità al suo
territorio ma allo stesso tempo possono rappresentare l'egemonia
delle élite nell'ambito della sfera politico-cultuale (attività
cerimoniali e/o civiche connesse ai monumenti) e della sfera
economico-produttiva (massa critica di risorse allocate,
pianificazione e programmazione, organizzazione del lavoro) (De
Marrais
et
alii 1996).
In
questo quadro possono essere letti i segni di alcuni degli aspetti
più caratterizzanti la facies
terramaricola:
quelli legati alla conformazione strutturale degli abitati e la
densità demografica raggiunta grazie a un efficace sfruttamento del
terreno attraverso tecniche irrigue. Il cambiamento nelle relazioni
spaziali tra gli insediamenti che si percepisce al passaggio tra BM2
e BM3/BR1, unitamente all’emergere di forti disparità nelle
dimensioni degli abitati nello stesso momento, è stato più volte
letto come il segno di una tendenza verso una crescente complessità
sociale (Cardarelli
- Cremaschi 1997; Cardarelli
2009); alla stessa maniera la realizzazione di opere idrauliche è
stata frequentemente correlata all’emergere e al formalizzarsi
delle élite (Davies
2009).
Anche
il veloce collasso del sistema è stato messo in relazione alla
struttura sociale e, in ultima istanza, alla natura del potere nella
società terramaricola: ai processi innescati da un inaridimento del
clima una società sostanzialmente egalitaria non avrebbe saputo
reagire, segnando di fatto il rapido e completo spopolamento di un
territorio densamente abitato. Questo modello implica due assunti
principali: il primo che le terramare non avessero dei gruppi egemoni
capaci di accumulare potere economico (e quindi in grado di
condizionare le scelte economico-produttive del resto della
comunità), il secondo che l’assenza di élite così formalizzate
renda difficile, se non impossibile, il superamento di forti stress
al sistema (Cardarelli
2009).
In
tal senso entrambi i postulati meritano una profonda considerazione:
1) è stato infatti più volte sottolineato come “uguaglianza” e
“disuguaglianza” non siano concetti univoci ma come, al
contrario, ne esistano molte forme diverse e come queste rivelino
diversi sistemi di relazioni sociali e di organizzazione economica e
politica (Frangipane
2007); 2) la progettazione, la realizzazione, lo sfruttamento di
sistemi di produzione complessi, nonché la gestione dei conflitti
che da essi scaturiscono non sembrano necessariamente implicare una
società stratificata (Hunt
- Hunt
1979).
Alcuni
contesti, archeologici ed etnografici, forniscono l’opportunità
per riflettere su questi aspetti, sui modelli fino ad ora proposti e
sulla possibilità di formulare ipotesi alternative.
Bibliografia:
Binford
L. R., Working
at Archaeology,
New York 1983.
Cardarelli
A., Terramare:
l'organizzazione sociale e politica delle comunità,
in, a cura di Bernabò
Brea M., Cardarelli A., Cremaschi
M., Le Terramare. La
più antica civiltà Padana,
Catalogo della mostra,
Milano 1997, pp. 653-660.
Cardarelli
A., The
Collapse of the Terramare Culture and growth of new Economic and
Social System during the late Bronze Age, in
Scienze
dell’antichità 15,
2009, pp. 449-520.
Cosgrove
D. E., Social
Formation and Symbolic Landscape,
London 1984.
De
Marrais E., Luis Jaime Castillo L. J., Earle
T., Ideology,
Materialization, and Power Strategies,
in Current
Anthropology, Vol. 37, No. 1,
1996, pp. 15-31.
Frangipane
M.,
Different
types of egalitarian societies and the development of inequality in
early Mesopotamia,
in World
Archaeology, Vol. 39, No. 2,
2007, pp. 151-176.
Hunt
R. C., Hunt
E., Canal
Irrigation and Local Social Organization,
in Current
Anthropology, Vol. 17, No. 3,
1979, pp. 389-411.
Miller
D., Tilley
C.,
a cura di, Ideology,
Power And Prehistory,
Cambridge 1984.
La distribuzione dei manufatti in bronzo nel villaggio grande della terramara di Poviglio in relazione alle fasi e alle strutture
M.A. Bernabò Brea, A. Mutti
Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna - mariaadeliabernabobrea@beniculturali.it
Museo della Terramara S. Rosa di Poviglio – muttiangel@libero.it
Gli scavi, ormai trentennali, nella terramara S. Rosa a Poviglio hanno restituito alcune centinaia di reperti in bronzo e messo in luce una superficie estremamente vasta entro la quale si osserva una complessa articolazione di strutture. Sembra dunque possibile mettere in relazione con queste ultime, distinte per macro-fasi, la distribuzione dei manufatti metallici, anche in vista di una più completa interpretazione funzionale delle aree del villaggio nelle diverse fasi di vita. Le autrici si propongono di presentare i primi risultati dell'indagine in corso, a partire soprattutto dalle due classi di manufatti presenti col maggior numero di esemplari e che appaiono diagnostici da vari punti di vista: gli spilloni e i pugnali.
Beck to Poviglio. Ambre e materiali vetrosi di ambito terramaricolo e dintorni.
P. Bellintani1; I. Angelini2
1 Ufficio Beni Archeologici della Provincia
Autonoma di Trento
2 Università degli Studi di Padova -
Dopo le prime indagini svolte sui materiali vetrosi di Poviglio,
grazie all’interessamento di Maria Bernabò Brea, è stato
possibile attivare nel 2005 due progetti di ricerca su ambre e
materiali vetrosi dell’età del Bronzo italiana. Nell’ambito di
tali progetti, patrocinati da I.I.P.P. e Soprintendenza di Trento e
coordinati dagli scriventi, sono state condotte indagini
archeologiche e archeometriche sui principali complessi di materiali
del nord Italia, del Lazio, della Puglia, della Sardegna e della
Sicilia.
Ripartendo dagli studi di Horace Beck sulla tipologia delle perle in
faïence e vetro e da quelli di Curt Beck sulla caratterizzazione
dell’ambra, siamo oggi in grado di definire le principali tappe
della diffusione di materie prime, tecnologie e prodotti di
fondamentale importanza per la comprensione delle dinamiche di
scambio su lunga distanza nel II millennio a.C..
Tornando a Poviglio, va sottolineato che qui compaiono, nel Bronzo
recente, manufatti riconducibili a probabili lavorazioni nord
italiane di ambra e vetro, interpretabili come possibili precedenti
dell’artigianato vetrario e dell’ambra dei centri produttivi del
Bronzo finale del Veneto meridionale (Frattesina e Campestrin).
Dal Villaggio Piccolo al Villagio Grande: lo sfruttamento delle materie dure di origine animale a Poviglio.
Noelle Provenzano
CNRS, Université de Montpellier
Gli scavi della terramara S. Rosa di Poviglio,
iniziati trent'anni fa, sono stati molto importanti da più punti di
vista per la conoscenza delle produzioni su materie dure di origine
animale, non soltanto in relazione agli insediamenti terramaricoli
della Pianura Padana centrale ma anche, a livello più generale, per
tutti quelli datati all’Età del Bronzo. Le conoscenze riguardanti
queste industrie, famose per essere una delle caratteristiche della
cultura terramaricole, si diffusero soprattutto attraverso le prime
pubblicazioni ottocentesche e
tramite l'importante monografia di G. Saflund; vanno inoltre
ricordati alcuni dati puntuali pubblicati più di recente. Le
ricerche di terreno e quelle di laboratorio, condotte a Poviglio con
un approccio moderno, hanno permesso dunque non solo di rivelare la
complessità e la varietà tipologica di questi manufatti, ma anche
di inserirli nei
loro contesti crono-culturali, consentendo
infine di sviluppare
una visione crono-tipologica
più accurata,
anche se in continua evoluzione.
La terramara di S. Rosa di Poviglio, insediata per
quasi tutto il periodo terramaricolo, ha restituito finora quasi 900
pezzi rappresentanti tutte le categorie tecnologiche: blocchi di
materie prime, supporti, abbozzi e naturalmente oggetti finiti.
Confrontando queste informazioni con i dati stratigrafici e spaziali,
la varietà degli elementi raccolti e la buona conservazione delle
superfici, è stato infine possibile indagare in profondità le
analisi tipo-cronologiche e tecnologici di queste produzioni. Ora si
può ben rappresentare la complessità dello sfruttamento delle
materie dure di origine animale presso la terramara di Poviglio,
prendendo in considerazione la gestione del mondo animale selvatico e
domestico, le tecniche e gli strumenti utilizzati, i metodi di
trasformazione, la composizione degli strumenti in materia ossea dei
gruppi terramaricoli e, infine, l'organizzazione del lavoro relativo
a queste produzioni in un dettagliato quadro crono-culturale.
Lo sfruttamento delle risorse animali nella Romagna dell’età del Bronzo in rapporto al quadro economico delle Terramare emiliane
E. Maini
Alma Mater Studiorum-Università di Bologna - elena.maini@unibo.it
Nel
presente contributo verrà esposta una sintesi organica delle recenti
ricerche archeozoologiche condotte in Romagna.
E’
noto che durante l’età del Bronzo in tutta la Pianura Padana,
stabilmente e intensamente abitata, si realizza un modello di
sfruttamento economico della risorsa animale pienamente organizzato e
autosufficiente che, affiancando l’agricoltura, utilizza appieno i
prodotti animali primari e secondari necessari al funzionamento del
ciclo stesso.
Le
comunità di villaggio dell’età del Bronzo mostrano solitamente
una economia animale caratterizzata da percentuali sempre molto basse
di cani e cavalli, che non rientrano quasi mai all’interno della
sfera alimentare, e rapporti percentuali relativi alle principali
specie di interesse alimentare (maiali, capre-pecore e buoi) che
variano, anche notevolmente, da sito a sito. Dai dati disponibili si
evidenzia per l’Emilia-Romagna un’economia di allevamento con
alte percentuali di ovicaprini, seguiti in ordine di importanza dai
maiali e dai buoi. Finora da questo quadro risultava pressoché
escluso, per carenza di dati, il comparto culturale romagnolo. Le
recenti ricerche archeologiche ed archeozoologiche condotte hanno
consentito quindi di ampliare notevolmente le conoscenze sulle fasi
iniziali e finali dell’età del Bronzo in Romagna, palesando
sostanziali differenze, rilevabili soprattutto a livello di
importanza delle singole specie, rispetto alla situazione delle
terramare emiliane nonostante le due aree, strettamente correlate a
livello culturale, mostrino strategie economiche parzialmente
sovrapponibili.
Se
nell’Emilia centrale, proprio durante le ultime fasi di vita della
cultura terramaricola prima dell’inizio del collasso, aumentano
capre e pecore, che sono meno esigenti sul piano alimentare rispetto
ai buoi (De
Grossi Mazzorin
1996a e b; De
Grossi Mazzorin & Riedel
1997; Farello
2011), in area romagnola la situazione non sembra seguire questa
tendenza. È possibile riscontare infatti come l’importanza
economica degli ovicaprini sia sempre rilevante ma a differenza di
quanto evidenziato in ambiente terramaricolo, ad esempio a Poviglio e
Montale (Riedel
2004; De
Grossi
Mazzorin
& Ruggini
2004), in ambito romagnolo la percentuale di capre e pecore non tende
ad aumentare considerevolmente durante le fasi di passaggio dal
Bronzo Medio al Bronzo Recente ma si mantiene piuttosto stabile
(Maini
& Curci
2013).
L’aumento
degli ovicaprini nei campioni terramaricoli viene posto in relazione
a numerose concause che hanno portato al declino delle terramare, fra
cui compare un cambiamento climatico in senso arido, che può aver
innescato una piccola crisi agricola (Cremaschi
2009). Un peggioramento nella qualità dei raccolti potrebbe proprio,
in area emiliana, aver favorito animali più adattabili, e quindi più
economici da mantenere in momenti di crisi. All’opposto, quindi, la
maggioranza di buoi in territorio romagnolo potrebbe essere legata al
persistere di condizioni ancora favorevoli rispetto all’area
terramaricola che probabilmente era giunta invece ad uno sfruttamento
delle risorse territoriali non più sostenibile in un ambiente
fortemente impoverito e al tempo stesso gravato da una forte
pressione demografica (Cremaschi
2009). Una situazione così grave non sembra riconoscersi in Romagna
e, benché manchino ancora studi paleoambientali esaurienti, con
buona probabilità l’area romagnola doveva essere meno popolata e
probabilmente con risorse territoriali ancora disponibili.
L’economia
di bestiame dedotta in base alle analisi archeozoologiche ci
suggerisce per le comunità di villaggio dell’età del Bronzo,
stanziate sia in pianura sia in collina che presso la costa
romagnola, una condizione economica ancora fiorente. A riprova di
questa tendenza, dai contorni ovviamente molto sfumati, è possibile
ricordare che la zona adriatica, al contrario di quella dell’Emilia
centrale sembra conoscere una certa continuità insediativa anche nel
passaggio Bronzo Recente e Finale sull’onda probabilmente delle
nuove vie commerciali che diverranno basilari per l’economia delle
epoche successive. Queste supposizioni trovano conferma negli
insediamenti di Ripa Calbana e nel ricco popolamento riscontrato sul
Monte Titano nella Repubblica di San Marino circoscritto alle fasi di
passaggio Bronzo Finale-Prima età del Ferro (Negroni
Catacchio 1983; Bottazzi & Bigi 2009; Zanini & La Pilusa
2009; Cattani & Miari 2010;
Bietti Sestieri 2010).
Bibliografia
Bietti
Sestieri A.M. 2010,
L’Italia nell’età
del Bronzo e del Ferro. Dalle palafitte a Romolo (2200-700 a.C.),
Manuali Universitari, 92, Carocci, Roma.
Bottazzi
G., Bigi
P. 2009, a cura di,
Primi insediamenti sul
Monte Titano. Scavi e Ricerche (1997-2004),
All’Insegna del Giglio, Firenze.
Cattani
M., Miari
M., 2010 La Romagna tra
antica e recente età del Bronzo,
Relazioni generali, Sessione 3 - Le comunità di villaggio dell’età
del Bronzo, Preatti XLV Riunione Scientifica dell’Istituto Italiano
di Preistoria e Protostoria, Modena 26-31 ottobre 2010, reperibile in
http://www.archeologia.unibo.it
Cremaschi
M. 2009, Foreste,
terre coltivate e acqua. L’originalità del progetto terramaricolo,
in, a cura di M. Bernabò
Brea M., Cremaschi
M., La
vasca di Noceto La Torretta. Acqua e civiltà nelle terramare,
Milano, pp. 34-44.
De
Grossi Mazzorin
J. 1996a, Archeozoologia
delle “ossa di bruti” provenienti dagli scavi della stazione
preistorica sul Monte Castellaccio presso Imola,
in, a cura di Pacciarelli
M.,
La
collezione Scarabelli 2 Preistoria
– Musei Civici di Imola, Casalecchio di Reno, pp. 181-218.
De
Grossi Mazzorin J. 1996b, Analisi
dei resti faunistici dall’insediamento protostorico di San Giuliano
di Toscanella,
in, a cura di Pacciarelli
M.,
La
collezione Scarabelli 2 Preistoria
– Musei Civici di Imola, Casalecchio di Reno, pp. 308-312.
De
Grossi Mazzorin J.,
Riedel
A. 1997, La
fauna delle terramare
nelle ricerche ottocentesche e
La fauna delle terramare,
in (a cura di) M. Bernabò Brea, A. Cardarelli, M. Cremaschi, Le
terramare: la più antica civiltà padana,
Catalogo della mostra, Milano 1997, pp. 87-89 e 475-480.
De
Grossi Mazzorin J., Ruggini C. 2004,
I dati archeozoologici,
in, a cura di, A. Cardarelli, Parco
archeologico e Museo all’aperto della Terramara di Montale,
Modena, pp. 66-67.
Farello
P. 2011, La fauna della
terramara, in (a cura
di) P. Desantis, M. Marchesini, S. Marvelli, Anzola
al tempo delle Terramare,
guida, pp. 46-48.
Maini
E., Curci A. 2013,
“Considerazioni
sull’economia di allevamento nella Romagna durante l’età del
Bronzo” in J. De
Grossi Mazzorin, A. Curci, G. Giacobini, Economia
e ambiente nell’Italia padana dell’Età del Bronzo. Le indagini
biarcheologiche, BACT,
Quaderno 11, Edipuglia
2013, pp. 357-376
Negroni
Catacchio N. 1983, Rapporto
tra l’area alto-adriatica e quella medio-tirrenica durante il
Bronzo finale, in
Padusa XIX, n. 1,2,3,4, pp. 65-72.
Riedel
A. 2004, La fauna,
in (a cura di) M. Bernabò Brea, M. Cremaschi, Il
Villaggio Piccolo della Terramara di Santa Rosa di Poviglio. Scavi
1987-1992, Origines,
Firenze, pp. 744-771.
Zanini
A., La Pilusa E. 2009, La
Romagna tra la fine del mondo terramaricolo e i nuovi assetti
protostorici medio-tirrenici. Il sito di Ripa Calbana,
in Atti della Giornata di
Studi “La Romagna nell’ età del Bronzo” Ravenna, Solarolo, 19
settembre 2008, IpoTESI di
Preistoria, vol. 2,1, pp.
101-114 in http://ipotesidipreistoria.cib.unibo.it.
Il sito palafitticolo di Viverone Vi1-Emissario: aggiornamento dei dati e nuove indagini
L. Fozzati1, F. Rubat Borel2, N. Martinelli3, J. Köninger4, F. Menotti5
1
Soprintendenza
per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia -
luigi.fozzati@beniculturali.it
2
Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte -
francesco.rubatborel@beniculturali.it
3 Dendrodata
s.a.s. - nicoletta.martinelli@dendrodata.it
4
Terramare
– Archäologische Dienstleistungen - janus@jkoeninger.de
5
Basel University - francesco.menotti@unibas.ch
Il
villaggio sommerso nel lago di Viverone Vi1-Emissario, dal 2011
iscritto come parte componente (IT-PM-01) del sito seriale
transnazionale UNESCO Siti
palafitticoli preistorici dell’arco alpino,
è un sito di grande importanza per lo studio della strutture
insediative palafitticole e per la definizione della cronotipologia
della media età del bronzo dell’Italia settentrionale in relazione
ai coevi contesti transalpini. Già campo di ricerche subacquee da
parte della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte negli
ultimi decenni del secolo scorso (dir. L. Fozzati), in questi ultimi
anni ha visto nuove indagini nell’ambito dei lavori preparatori del
Dossier di Candidatura (dir. F. Rubat Borel).
L’insediamento
è stato individuato come sito prioritario per l’analisi del
progetto dell’SNF-Swiss National Foundation The
end of the lake-dwelling phenomenon: cultural vs environmental change
condotto dall’Università di Basilea, Institute
of Prehistory and Archaeological Science
(dir. F. Menotti). Nel 2011 nel sito si sono svolte due campagne di
indagini subacquee a cura della Terramare
Archäologische
Dienstleistungen
di Friburgo in Brisgovia (Germania)(J. Köninger), nel corso del
quale è stato eseguito il campionamento subacqueo per la
dendrocronologia (Menotti
et
alii
2012).
La
cronologia del sito era finora nota dall’analisi cronotipologica
dei reperti. La stragrande maggioranza dei materiali metallici
appartiene al BM2 (BzB2/C1), con preesistenze e continuità nelle
fasi immediatamente precedenti e successive attestate dalle
ceramiche, ma sono note anche una frequentazione del Neolitico Medio
(V.B.Q.) e una rioccupazione in HaB1 antico. Allo studio della ricca
collezione di oggetti metallici (oltre 200 bronzi), realizzata da F.
Rubat Borel per il suo progetto di dottorato presso l’Università
di Padova, si è aggiunto il recente ritrovamento dei dati che
permettono di associare i diversi reperti all’interno di una
griglia di 5 m di lato.
Le
indagini dendrocronologiche, affidate alla Dendrodata s.a.s. (N.
Martinelli) sono state condotte su 80 sezioni di palo in legno di
quercia caducifoglia della sez. ROBUR
e hanno condotto alla creazione di una cronologia del sito, che
interessa ben 65 elementi lignei. Nella cronologia sono distinguibili
più di dieci episodi di abbattimento, avvenuti nell’arco di circa
40 anni, alcuni dei quali sono probabilmente da attribuire ad
attività di manutenzione e/o rinforzo piuttosto che all’edificazione
di nuove strutture. Anche alcuni dei pali campionati già nel 1989
nell’area prossima al camminamento centrale del sito (Fozzati
et
alii
1998), si sono sincronizzati su questa cronologia.
La
datazione assoluta delle strutture lignee è stata ottenuta
applicando il metodo del wiggle-matching
a due date radiocarboniche. I risultati ottenuti indicano che gli
abbattimenti per le principali fasi di edificazione delle strutture
palafitticole sono avvenuti tra l’intervallo 1465 – 1387 cal BC e
l’intervallo 1443 – 1365 cal BC (2σ). Anche un campione
prelevato da una delle palizzate in legno di ontano ha fornito una
data nell’ambito tra la metà del 15° e la metà del 14° secolo
cal BC.
L’analisi
dei dati dendrocronologici e cronotipologici può dare nuovo sviluppo
alla ricerca, mostrando aspetti dell’evoluzione dell’abitato non
ancora riconosciuti pienamente.
Bibliografia:
Bertone
A.,
Fozzati
L.,
La civiltà di
Viverone. La conquista di una nuova frontiera nell’Europa del II
millennio a.C.,
Biella 2004.
Fozzati
L., Fedele
F., Le
palafitte del territorio piemontese: risultati e prospettive della
ricerca, in Sibrium,
17, 1983-84,
pp. 17-53.
Fozzati
L., Martinelli N., Evans S.P., Le
strutture palafitticole dei siti sommersi del lago di Viverone,
in Preistoria e
protostoria del Piemonte,
in Atti IIPP XXXII
(Alba, 29 settembre – 1° ottobre 1995),
Firenze 1998, pp.
197-200.
Fozzati
L.,
L’archeologia delle
aree umide in Piemonte e gli insediamenti lacustri del lago di
Viverone, in, a cura
di Mercando
L., Venturino
Gambari
M., Archeologia
in Piemonte. I. La preistoria,
Torino 1998, pp. 147-156.
Menotti
F.,
Rubat
Borel F.,
Köninger
J., Martinelli
N., Viverone
(BI) - Azeglio (TO), sito palafitticolo Vi1-Emissario. Indagini
subacquee e campionamento dendrocronologico,
in Quaderni
della Soprintendenza Archeologica del Piemonte,
27, 2012, pp. 196-201.
Rubat
Borel F.,
La Media età del Bronzo nel Nord-Ovest italiano: la facies di
Viverone e il sito eponimo,
tesi di dottorato di ricerca in Scienze Archeologiche, Università
degli Studi di Padova, 2009.
Rubat
Borel F.,
Gli ornamenti del
Bronzo Medio dall’abitato nel lago di Viverone: il costume
femminile tra Italia nordoccidentale e cerchia nordalpina,
in, a cura di Casini
S., Il
filo del tempo. Studi
in onore di Raffaele C. de Marinis,
Notizie Archeologiche
Bergomensi 19,
2011, pp. 205-219 .
Rubat
Borel F.
, Warriors
living in the pile-dwelling of the Lake Viverone (Piedmont): in
settlements as in tombs?,
in, a cura di
Canci
A.,
Cupitò
M.,
Warfare
and Aristocracy in Bronze Age Italy: Archaeology and Antropology
(Padua, October 13th-15th
2009),
BAR-British Archaeological Reports, in
corso di stampa.
Le necropoli del Bronzo Antico di Arano (VR) e Sorbara di Asola (MN): risultati e confronti alla luce delle analisi antropologiche.
I. Dori, G. Falchetti, G. Stefania, L. Bachechi, J. Moggi Cecchi
Università degli Studi di Firenze - irene.dori@unifi.it
I
recenti ritrovamenti di necropoli a inumazione dell’antica età del
Bronzo in area mantovana e veronese rappresentano delle importanti
fonti di informazione in grado di aumentare le conoscenze sul
patrimonio ideologico, tecnologico, sugli usi funerari e sulle
caratteristiche bioarcheologiche delle comunità presenti nelle aree
di pianura dell’Italia settentrionale a cavallo tra la fine del III
e gli inizi del II millennio a.C.
L’indubbio
interesse per il Bronzo antico e per la rivoluzione sociale che si
ebbe con introduzione dei metalli ha fatto sì che molte delle
analisi di carattere antropologico sulle popolazioni di questo
periodo siano in gran parte antecedenti agli anni ’70 del secolo
scorso. Per questo motivo, sebbene esistesse una certa attenzione
allo studio dei reperti ossei, mancava tuttavia ancora una
consapevolezza del loro valore e la disponibilità a mantenere tali
materiali per indagini future. Gli studi svolti in quel periodo erano
esclusivamente descrittivi, miranti unicamente all’inquadramento
tipologico e morfologico della popolazione. Solo negli ultimi anni si
è verificato un cambiamento nell’approccio allo studio dei reperti
ossei: le moderne ricerche puntano infatti a ricostruire la biologia,
lo stile di vita e le condizioni di salute delle popolazioni del
passato.
Il
materiale scheletrico oggetto del presente studio proviene dagli
scavi effettuati in prossimità di Sorbara, frazione del comune di
Asola (MN) e nella località di Arano (Cellore di Illasi, VR).
Le
necropoli in questione differiscono per la numerosità del campione
scheletrico in esse presenti (rispettivamente 20 individui nella
necropoli mantovana e 74 in quella veronese), ma in entrambi i casi
le indagini archeologiche hanno portato alla luce una somiglianza
nelle modalità di deposizione dei defunti. All’interno delle fosse
i corpi erano deposti in posizione rannicchiata sul fianco sinistro o
destro, con gli arti inferiori e superiori flessi verso il tronco
(Baioni,
2001; Salzani - Salzani,
2008). Per entrambi i siti, le analisi antropologiche hanno
dimostrato che gli individui maschili e femminili erano posizionati
su fianchi opposti con un diverso orientamento del cranio
(“deposizione bipolare”). Ciò che differenzia Arano da Sorbara
di Asola è la maggiore variabilità nell’orientamento del capo
degli individui di quest’ultimo sito. Se nella necropoli veronese
gli individui maschili e femminili sono posizionati rispettivamente
sul fianco sinistro con il cranio a sud e sul fianco destro con il
cranio a nord, a Sorbara invece è possibile osservare una
variabilità nell’orientamento della testa: i defunti rannicchiati
sul fianco sinistro presentano il cranio disposto verso S, S/SW o
S/SE; quelli sul fianco destro hanno invece un orientamento verso N,
N/NW o N/NE (Baioni,
2001; de Marinis, 2003; de Marinis & Valzolgher,
2013).
L’obiettivo
principale del presente studio è stato quello di ottenere
informazioni utili alla caratterizzazione delle popolazioni presenti
in Italia settentrionale durante le prime fasi dell’età del
Bronzo. Occorre sottolineare che, allo stato attuale delle ricerche,
è stato possibile analizzare solo 10 individui provenienti dalla
necropoli di Sorbara (50% del campione) contro la totalità degli
inumati di Arano. Lo stato di conservazione dei materiali, in alcuni
casi estremamente precario, ha compromesso la possibilità di
ottenere da tutti i reperti la stessa quantità e qualità di dati e
solo per alcuni di essi è stato possibile discutere il risultato in
modo comparativo.
Attualmente
lo studio si è concentrato sulla realizzazione di un profilo
paleobiologico delle popolazioni in questione, prendendo in
considerazione quegli aspetti morfologici e metrici utili alla
determinazione di alcune caratteristiche antropologiche come la
statura e la struttura fisica. È stato inoltre analizzato il
materiale dentario, registrando alcune delle principali affezioni
dento-alveolari (carie, tartaro, perdita ante-mortem
dei denti, usura e ipoplasia dello smalto) in quanto utili indicatori
per la ricostruzione dello stile di vita e dello stato di salute dei
campioni in esame.
Bibliografia:
Baioni
M., La
necropoli dell’antica età del Bronzo di Sorbara (Asola – MN),
in Quaderni di
Archeologia del Mantovano,
2, 2000 [2001], pp. 41-90.
de
Marinis
R. C., Riti
funerari e problemi di paleodemografia dell’antica età del Bronzo
nell’Italia settentrionale,
in Notizie
Archeologiche Bergomensi,
11,
2003, pp. 5-78.
de
Marinis
R. C.,
Valzolgher
E., Riti
funerari dell’antica età del Bronzo in area padana,
in, a cura di de
Marinis
R. C., L’età
del Rame: la pianura padana e le Alpi al tempo di Ötzi,
Brescia 2013, pp. 545-559.
Salzani
L., Salzani
P., Storie
sepolte. Riti e culti all’alba del duemila avanti Cristo,
Catalogo della mostra
(Verona, 25 ottobre 2008 – 3 giugno 2009),
Verona 2008.
L'abitato del Bronzo Medio e Recente di Cesena: evoluzione del sito e contatti con l'area terramaricola
M. Miari, D. Gasperini, E. Maini
Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, - monica.miari@beniculturali.it
Alma Mater Studiorum-Università di Bologna - elena.maini@unibo.it
Recenti indagini (2012-2013) eseguite nel centro urbano di Cesena
hanno portato in luce i resti di un insediamento dell'età del
Bronzo, sorto a mezza costa di un articolato complesso collinare oggi
dominato dalla Rocca Malatestia e naturalmente delimitato, a nord e a
est, da una scarpata naturale.
Il settore indagato si articola lungo un terrazzo orientato in senso
nord-sud e lateralmente inciso da un fosso ancora attivo al momento
dell'impianto dell'abitato, ma successivamente colmato e obliterato
nel corso dell'arco di vita del sito. L'assetto insediativo si
caratterizza per la presenza di strutture a terra, tra cui sono stati
individuati allineamenti di buche di palo pertinenti sia a edifici
che a palizzate, pavimentazioni esterne in limo
scottato, grandi piastre in concotto.
Dai dati di scavo e dall'analisi dei materiali emerge l’esistenza
di tre principali fasi insediative, scandite da interventi di
riassetto e rimodulazione della morfologia naturale e collocabili
all’interno di un arco cronologico piuttosto limitato, tra la fine
del Bronzo Medio 3 e il Bronzo Recente pieno.
Seppure ancora in fase preliminare l'analisi delle faune e lo studio
dei materiali, tra cui manufatti in osso e corno, metalli e forme di
fusione, consentono di gettare un primo sguardo sugli aspetti
ambientali e produttivi di un sito che, pur gravitando sul mondo
peninsulare, mostra importanti contatti con l'area terramaricola.
Ambiente e coltivazioni nel mondo delle terramare
A.M. Mercuri
Università di Modena e Reggio Emilia - annamaria.mercuri@unimore.it
La ricerca archeobotanica ha
permesso in questi ultimi anni di tracciare sempre più in dettaglio
l’ambiente e le coltivazioni che caratterizzavano il territorio al
tempo delle terramare. I dati pollinici, ottenuti da campioni
raccolti in siti archeologici e fuori sito, hanno permesso di
comprendere che, sin dall’Olocene iniziale, la pianura padana è
stata caratterizzata da una copertura forestale scarsa. La naturale
apertura del paesaggio, la ricchezza d’acqua e fertilità dei suoli
hanno reso questo un habitat articolato e per molti versi favorevole
agli insediamenti umani.
Dalle analisi polliniche di
alcuni siti archeologici (Terramara di Poviglio, Terramara di
Montale, Vasca di Noceto, Terramara di Baggiovara, Necropoli di
Casinalbo; Aceti et
alii 2009; Ravazzi et
alii 2004; Mercuri et
alii c.s.), integrata
in ricerche interdisciplinari, è stato possibile comprendere che gli
abitati erano costruiti in luoghi relativamente poco frequentati e
che la copertura vegetale di tali luoghi fu radicalmente trasformata
dalle attività delle terramare. Queste ebbero un impatto evidente
sui boschi, querceti misti con digitazioni di conifere, non estesi. I
boschi divennero più radi, con alberi abbattuti nei punti di
insediamento dei villaggi. L’impatto antropico, dapprima assai
locale, si estese velocemente a livello regionale tanto da diventare
visibile anche assai lontano dai villaggi. Se ne trova, ad esempio,
una chiara immagine nelle curve polliniche di una carota marina
(RF93-30) che raccoglieva in Adriatico centrale i sedimenti riversati
in mare dal Po (Mercuri et
alii 2012). I segni di
un graduale incremento di deforestazione e lo sviluppo di un
paesaggio culturale nella pianura sono pertanto evidenti al Bronzo
Medio a livello sovra regionale, e accanto alle tracce di cereali si
diffondono quelle degli indicatori antropici spontanei (erbacee
infestanti dei campi, ruderali, nitrofile). L’area di influenza di
ogni abitato fu coperta da un mosaico di aree adibite a pascolo e da
campi di cereali, probabilmente alternati a legumi. I campi di
cereali non erano assai estesi o non erano coltivati tutti gli anni,
e non erano distribuiti uniformemente attorno al villaggio.
L’impatto delle terramare
includeva la gestione del bosco, sfruttato per il consumo dei frutti
oltre che per il legname, e la compartimentazione dello spazio in
piccoli appezzamenti agricoli destinati a sfruttamento diversificato,
per coltivazione o allevamento. La disponibilità delle risorse
vegetali fu probabilmente tra le cause di ricchezza e declino degli
insediamenti, limitati nella loro espansione e durata non solo dalle
cause logistiche e sociali insite nella loro organizzazione, ma anche
dalla relativa capacità di sfruttamento del bosco, dei suoli e
dell’acqua. I dati pollinici su questo suggeriscono sempre più una
certa variabilità locale, e propongono una certa gradualità
nell’assottigliamento delle risorse ambientali secondo un gradiente
di esaurimento che potrebbe aver visto prima il rallentamento nella
rigenerazione degli alberi, poi il depauperamento del terreno
agricolo dovuto ad anni di coltivazioni. Queste potrebbero essere
sfociate in un sovrasfruttamento a causa di concimazioni (alluvioni?)
sempre più scarse.
Bibliografia:
Aceti
A., Ravazzi
C., Vescovi
E., Analisi
pollinica della successione stratigrafica,
in a cura di Bernabò
Brea
M., Cremaschi
M., Acqua
e civiltà nelle terramare. La vasca votiva di Noceto,
Milano 2009, pp. 121-131.
Mercuri
A.M., Bandini
Mazzanti
M., Torri
P., Vigliotti
L., Bosi
G., Florenzano
A., Olmi
L., Massamba
N’siala
I., A
marine/terrestrial integration for mid-late Holocene vegetation
history and the development of the cultural landscape in the Po
valley as a result of human impact and climate change, in
Vegetation
History Archaeobotany 21 (4),
2012, pp. 353-372.
Mercuri
A.M., Montecchi
M.C., Pellacani
G.,
Florenzano
A., Rattighieri
E., Cardarelli
A., Environment,
human impact and the role of trees on the Po plain during the Middle
and Recent Bronze Age: pollen evidence from the local influence of
the terramare of Baggiovara and Casinalbo, in
Review of Palaeobotany and Palynology,
in corso di stampa.
Ravazzi
C., Cremaschi
M., Forlani
L., Studio
archeobotanico della terramara S.Rosa di Poviglio (R.E.). Nuovi dati
e analisi floristica e sintassonomica della vegetazione nell’età
del Bronzo,
in, a cura di Bernabò
Brea
M., Cremaschi
M., Il
villaggio piccolo della terramara di Santa Rosa di Poviglio. Scavi
1987-1992, Firenze
2004, pp. 703-735.
Il collasso della civiltà terramaricola
A. Cardarelli
La Sapienza Università di Roma - andrea.cardarelli@uniroma1.it
Dopo circa cinque secoli di ininterrotto sviluppo il sistema economico e politico delle terramare subisce un definitivo tracollo attorno alla metà del XII secolo a.C., determinando un drammatico collasso da cui scaturirà un assetto profondamente diverso dell’Italia protostorica. A riguardo di tale fenomeno gli studiosi di preistoria hanno avanzato ipotesi, già a partire dal XIX secolo, sulle cause che determinarono questa crisi epocale, ma solo ora le ricerche archeologiche cominciano a fornire plausibili spiegazioni. In questo intervento si cercherà di fare il punto sulla stato della questione e si avanzeranno alcune ipotesi interpretative alla luce dei dati emersi.
M. Cupitò
Università degli Studi di Padova – michele.cupito@unipd.it
Per
molto tempo si è ritenuto che il focus
dei rapporti tra il Mediterraneo centrale e il mondo egeo-miceneo
fosse incentrato sull’Italia meridionale, la Sicilia, le isole del
Basso Tirreno e la Sardegna. Come già da tempo evidenziato da Lucia
Vagnetti, tuttavia, l’intensificarsi dei rinvenimenti di ceramiche
di tipo egeo, soprattutto a partire dalla fine degli anni ‘70 del
‘900 e nei decenni successivi, ha comportato un parziale
ripensamento del problema, facendo risalire lungo l’Adriatico le
tracce di tali relazioni, sia lungo la costa, sia in alcuni
insediamenti terramaricoli della Pianura Padana orientale.
Il
contributo chiave delle analisi archeometriche, condotte da Sara T.
Levi, Marco Bettelli e Richard Jones, finalizzate principalmente alla
definizione della provenienza di tali ceramiche, ha consentito di
stabilire che in molti casi, il vasellame in questione era prodotto
localmente in diversi centri produttivi. L’identificazione di
ceramica italo-micenea riguarda, come è noto, non soltanto gli
importanti insediamenti della Sibaritide, dell’area tarantina o
dell’Adriatico meridionale, ma anche centri medio-adriatici e il
sistema di siti noto come polity
della Valli Grandi Veronesi, qui a partire, forse, da periodi anche
piuttosto precoci. In questa stessa zona, la presenza a Frattesina di
materie prime provenienti verosimilmente dal Mediterraneo orientale,
come l’avorio di elefante e i gusci di uovo di struzzo, lavorati
poi in loco, ha fatto ipotizzare una preferenziale direttrice
ciprioto-levantina nei traffici a lunga distanza che interessavano
quest’area almeno a partire dalla fine dell’età del Bronzo. Il
rinvenimento nel grande insediamento arginato di
Fondo
Paviani nel corso delle ricerche condotte dall’équipe protostorica
dell’Università di Padova di ceramiche figuline tornite e dipinte
in rosso e nero – secondo uno stile ignoto ai ceramisti
propriamente micenei o cretesi di quel periodo, ma ampiamente
riscontrabile nella tradizione ceramica del Levante mediterraneo –
apparentemente associate a ceramiche di tipo miceneo TE IIIC, fa
spostare nel tempo – e nello spazio – tale specifica direttrice
ciprioto-levantina da cui finora era sembrata interessata unicamente
Frattesina.
L’intervento
intende riesaminare il problema dei tempi e dei modi in cui, verso lo
scorcio dell’età del Bronzo, la presenza egea, anche nel suo
vettore ciprioto-levantino recentemente emerso a Fondo Paviani, abbia
caratterizzato questa porzione più settentrionale dell’Adriatico,
accompagnandone i momenti di grande trasformazione dei sistemi
insediativi, economici e sociali. Esso, inoltre, riprenderà
brevemente la controversa questione della presenza egeo-micenea nella
laguna di Venezia – testimoniata, al contrario dei rinvenimenti
sopra descritti, unicamente da materiali da collezione o di
provenienza non (più) controllabile – anche alla luce di un
riesame complessivo delle dinamiche del popolamento dell’area
lagunare e del suo entroterra.
Il sito di Guardamonte sul Monte Vallassa ( PV-AL) nel quadro dell’insediamento umano in Appennino Settentrionale nell’età del Bronzo.
G. Baratti
Università degli Studi di Milano - giorgio.baratti@unimi.it
Lo
scavo sistematico condotto nell’Oltrepò Pavese dal 1995
dall’Università degli Studi di Milano sulle monte Vallassa,
un’altura naturalmente difesa in Valle Staffora lungo la linea di
confine con il territorio piemontese, ha permesso di identificare la
presenza di una vivace fase insediativa nel corso del II millennio,
almeno dal Bronzo Medio fino al pieno Bronzo Finale.
Il
sito di Guardamonte, grazie alla sua collocazione geografica - in
vista verso Nord della Pianura Padana e verso Sud dei passi che
immettono in diretto contatto con il reticolo viario Appenninico e da
qui verso il Levante ligure- ,sembra marcare tutte le principali
tappe dell’occupazione dei territori appenninici settentrionali, da
una fase precoce del Neolitico Medio fino all’età del Ferro con
una breve ripresa in età romana.
Fin dal Bronzo Medio
o Recente, dopo le fasi di frequentazione preistorica, appaiono le
tracce dell’avvio di un insediamento stabile con una
pianificazione
generale delle aree abitate che si manifesta con la realizzazione,
come negli altri contesti montani, di ampi terrazzi costruiti con
opere murarie a secco e riporto di terreno, in prospettiva,
verosimilmente, di uno stanziamento di lunga durata.
Quanto avviene al
Guardamonte con l’impianto stabile dell’uomo, trova riscontro
nella coeva diffusione di abitati sulle colline e i monti dell’Italia
settentrionale; l’espansione
demografica generalizzata che, proprio nella fase avanzata del Bronzo
Medio e soprattutto nella prima fase del Bronzo Recente coinvolge gli
ambienti collinari e montani nell’Italia settentrionale posti a
corona intorno alla Pianura Padana, appare oggi in un quadro più
ampio che vede, pur adeguato al differente contesto geomorfologico e
ambientale, un significativo investimento di carattere strutturale,
mirato alla definizione di insediamenti stabili e duraturi,
sincronizzabile con quanto accade in pianura nelle aree interessate
dai siti di cultura terramaricola.
Questo
processo sincronico appare dunque, alla luce anche di quanto emerso
sul Monte Vallassa e nei siti dell’Appenino Ligure emiliano dove le
indagini hanno rivelato livelli dell’età del Bronzo, più
verosimilmente inquadrabile in un contesto più generale di ordine
economico e ambientale, non necessariamente legato a specifiche
logiche di comparti culturali omogenei. I siti appaiono come entità
di controllo all’interno però di un sistema complesso, legato a
forme di produzione, circolazione e gestione di settori territoriali
più o meno ampi e abitati, in forme di interdipendenza con tutti i
comparti ambientali contermini. Il modello, per i sui evidenti legami
con le istanze geografiche e ambientali cui si accennava, sembra
riproporsi, a partire dal VI secolo a.C., con le medesime
caratteristiche e contraddizioni nel momento della ripresa in
Appennino settentrionale nell’età del Ferro, pur in un quadro
parzialmente mutato per il nuovo assetto politico del territorio.
Le
presenze ricorrenti, se pur non abbondanti, nelle unità
stratigrafiche di Guardamonte, di reperti ascrivibili al Bronzo
Finale, testimoniano una continuità di vita, ancora una volta
parallelamente con quanto avviene negli altri siti appenninici,
palesando come il collasso della pianura e la
conseguente inevitabile crisi del sistema integrato Pianura -
Appennino, attivo nei secoli precedenti debba aver colto il mondo
appenninico non del tutto impreparato ad avviare contromisure
efficaci per il mantenimento di un sistema economico di sostentamento
in grado di reggere al contraccolpo delle mutate condizioni generali.
Bibliografia:
Baratti
G., Clima e
insediamenti umani. Mutamenti climatici e dinamiche di popolamento
nell’Italia nord-occidentale nella prima età del Ferro,
in Bollettino storico
per la provincia di Novara,
vol. XCIII.1,
2002, pp. 233-248.
Baratti
G., Dinamiche
insediative e rinvenimenti sul Monte Vallassa dal Neolitico all’età
del Bronzo, in, a cura
di Chiaramonte
Treré
C, Antichi
Liguri sulle vie appenniniche tra Tirreno e Po: nuovi contributi.
Quaderni di ACME,
pp. 47-111, Milano 2003.
Baratti
G., Ultime ricerche
dell’Università degli Studi di Milano sul Monte Vallassa, loc.
Guardamonte (AL -PV),
in Iulia Dertona, vol.
anno LVIII, s. 2, fasc. 99,
2009, pp. 59-80.
Baratti
G., Dinamiche
insediative nell’Appennino ligure emiliano tra età del Bronzo ed
età del Ferro nel quadro dei rapporti con la pianura,
in Archeologia
Preromana in Emilia occidentale. La ricerca oggi tra monti e pianura,
Atti della Giornata di
Studi. Quaderni
di ACME, Milano 2009,
pp. 181-202.
Baratti
G (c.s.). Lo scavo
dell’Università Statale di Milano al Castelliere del Guardamonte,
Atti Casteggio e
l’antico: 25 anni di scavi e ricerche archeologici in provincia di
Pavia (Casteggio 19.10.2013),
in corso di stampa.
Chiaramonte
Treré
C., Baratti
G.,
L’insediamento
ligure sul Monte Vallassa nella seconda età del Ferro: i risultati
delle nuove ricerche,
in, a
cura di Venturino
Gambari M., Gandolfi D.,
Ligures Celeberrimi. La Liguria interna nella seconda età del Ferro.
Atti del Congresso Internazionale di Studi Liguri, Mondovì,
26-28.4.2002,
Bordighera 2004,
pp. 241-249.
Chiaramonte
Treré
C., Baratti
G., Mordeglia
L.,
L’insediamento
sul Monte Vallassa (AL-PV), spartiacque tra due bacini fluviali,
in Paesaggi
d’acque. Preistoria e protostoria in Etruria, Quinto incontro di
studi,
Sorano-Farnese
12-14.5.2000,
Milano 2002, pp.
273-286.
Cisterna di Tolentino: per un’ipotesi ricostruttiva delle fasi abitative dell’età del Bronzo. Dalle capanne su impalcato aereo alle capanne a terra.
G. Pignocchi
gaia.pignocchi@libero.it
La
revisione appena intrapresa della documentazione di scavo del sito
marchigiano di Cisterna di Tolentino (MC), presentato in maniera
preliminare alla XXXVIII Riunione Scientifica dell’IIPP svoltasi
nelle Marche nel 2003 (Percossi et
alii
2005), si inserisce nell’ambito di un progetto di ripresa dello
studio e dell’analisi di uno dei contesti archeologici più
significativi dell’età del Bronzo Media e Recente dell’area
medio-adriatica.
Il
sito di Cisterna, ubicato sulla sinistra idrografica della media
vallata del fiume Chienti, alla periferia orientale di Tolentino, al
margine della zona industriale, è stato oggetto di un intervento di
archeologia di emergenza attraverso quattro campagne di scavo, dal
2000 al 2003, concentrate su un’area limitata dove il giacimento
archeologico colmava l’interno di un paleocanale individuato
durante i saggi di accertamento del 1993. Le campagne di scavo della
Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche, sotto la
direzione di Edvige Percossi, hanno evidenziato, all’interno di una
limitata porzione del paleocanale che interseca l’antica scarpata
fluviale, una complessa sequenza stratigrafica che deve essere ancora
attentamente valutata anche in relazione allo studio complessivo e
dettagliato dei materiali. Numerose buche di palo su entrambi i lati
del canale e nella zona prossima al tratto di maggior pendenza della
scarpata sembrano pertinenti ad una struttura a impalcato aereo su
cui si ergevano le capanne.
Particolarmente
interessante quanto emerso nell’ultima campagna di scavo del 2003
che potrebbe chiarire la dinamica evolutiva delle tipologie abitative
definendone nel contempo la cronologia.
Già
nel 2000 l’indagine di scavo, condotta partendo da N nei settori
I2, I3, L2, L3, aveva rimesso in luce, lungo le pareti inclinate del
canale naturale, una serie di buche di palo pertinenti
ad una probabile struttura ad impalcato aereo, con
buche più grandi esterne e buche più piccole interne, ad
allineamento pressoché
rettilineo con orientamento N-S. I numerosi frammenti di concotto con
una superficie piana, interpretati come lembi di pavimentazione,
fanno ipotizzare l’esistenza di battuti di terra relativi a una
struttura posata sull’impalcato ligneo sopraelevato. In questo
settore i materiali, dal BM3 al BR2, con presenza anche di frammenti
di ceramica italo-micenea, sembrano essere rimescolati nei vari
livelli non consentendo di chiarire nel dettaglio la sequenza
cronologica.
Nel
2001, nei settori I3-I4-L3-L4, sono state rimesse in luce ulteriori
buche di palo che possono meglio definire la struttura ad impalcato
aereo, di forma quadrangolare con orientamento secondo i punti
cardinali. Inoltre in direzione W (quadrati H3 ed I3) sono state
individuate una buca di palo isolata e due cavità ovali poco
profonde.
Nel
2002 l’indagine ha riguardato i settori L7 e L8 posti a S dell’area
precedentemente indagata e prospiciente l’antica scarpata fluviale
che forse delimitava il margine meridionale dell’abitato. Lo scavo,
interrotto prima di raggiungere il piano basale, non ha evidenziato
ulteriori buche di palo, ma la presenza di residui di concotto e di
una grande quantità di materiali, tra cui ceramica italo-micenea,
fanno ritenere possibile l’esistenza di strutture abitative.
Nel
2003 lo sbancamento è stato condotto ampliando il saggio eseguito
nel 2002 (quadrati L7 e L8) in direzione SW (quadrato I7), NW
(quadrati I6wz e L6wz) e SE (quadrati M8-N8-O8). In questi ultimi
settori è stato scavato l’intero fronte della scarpata in modo da
rintracciare l’eventuale sponda del paleocanale ad E.
L’indagine
archeologica è stata poi approfondita solamente all’interno dei
quadrati L7-I7 dove sono affiorati resti di pali o travi di legno
carbonizzati con andamento N-S, che sembrano appartenere a un’unica
struttura. Essi delimitano un’area di forma quadrangolare di ca. 3
m di lunghezza per 2 m di larghezza che ricopre un livello limoso
ricco di carboni e cenere separato, nel margine N, da uno strato di
concotto. Due buche, che tagliavano gli strati sopra descritti nel
settore I7y, erano forse connesse a sistemazioni o alloggiamenti
legati alla frequentazione dell’impiantito.
In
direzione E-SE, nei quadrati L8-M8-N8-O8, l’indagine è stata
limitata all’individuazione del livello sommitale della sponda
orientale del paleocanale.
Questi
livelli erano ricoperti da strati limosi-ghiaiosi, per uno spessore
complessivo di 0,6 m, riferibili a episodi colluviali che sembrano
separare nettamente la sequenza inferiore appena descritta da quella
superiore.
Quest’ultima
appare caratterizzata dalla presenza di livelli sovrapposti con
presenza di una grande quantità di pietre (calcare, arenaria,
selce), frammenti ceramici, anche di tipo egeo, oggetti in bronzo,
manufatti in osso e corno, attribuibili a fasi successive a quelle
sopra descritte.
E’
da sottolineare l’importanza di una lettura di questo tipo, che
individua almeno 2 momenti diversi di frequentazione del sito.
Pur
nella limitatezza dell’area scavata e nell’incompletezza
dell’indagine di scavo che non ha interessato il settore centrale e
nel settore più meridionale non è giunta fino all’asportazione
completa del deposito archeologico, è possibile effettuare alcune
ipotesi riguardanti la tipologia delle strutture evidenziate e la
loro sequenza cronologica che trova analogie con alcuni abitati
terramaricoli, in particolare proprio con Santa Rosa di Poviglio.
I
resti di legno carbonizzato rinvenuti nel settore più meridionale
interpretati come appartenenti ad una sorta di impiantito ligneo,
confermano l’ipotesi ricostruttiva formulata a proposito delle
buche di palo individuate più a N lungo le pareti inclinate del
paleocanale.
Gli
elementi strutturali rimessi in luce (buche di palo, assi lignee
carbonizzate, concotto pavimentale) sono tutte interpretabili come i
resti di un impalcato aereo sorretto da pali verticali impostati
nell’alveo del canale naturale e sul quale si ergevano le capanne.
L’accumulo di materiali all’interno del paleocanale può essere
ricondotto a due cause, una antropica, conseguente all’azione di
discarica dalle abitazioni soprastanti, e l’altra naturale, in
seguito ad apporti colluviali da parte delle acque di scorrimento
superficiali, che sommata alla notevole inclinazione dei livelli
basali ha determinato in parte anche il rimescolamento dei manufatti
nei quadrati più a N. Nei settori più meridionali le indicazioni
dedotte dalla sequenza stratigrafica, in relazione alla presenza di
tracce di elementi strutturali e ai manufatti in associazione, sembra
meglio precisare la successione di almeno due fasi cronologiche
dell’insediamento di Cisterna, la più antica, forse databile al
BM3-BR1, caratterizzata dalla presenza di chiare testimonianze di
strutture abitative su impalcato aereo impostate su un paleoalveo a
ridosso dell’antica sponda fluviale del Chienti. A questa fase è
seguita una ristrutturazione durante un momento più evoluto del BR
con l’impianto, sul paleocanale ormai colmato e sul terrazzo
alluvionale, di abitazioni a terra ormai distrutte dai ripetuti
interventi agricoli e dai lavori di edificazione recenti. Rimane da
sottolineare come tali ipotesi siano da considerarsi del tutto
preliminari in quanto basate su un’analisi ancora incompleta della
documentazione di scavo e dei materiali.
Bibliografia:
Percossi
E., Pignocchi G., Sabbatini
T., Un sito dell’età
del bronzo a Cisterna di Tolentino (MC), in
Atti IIPP
XXXVIII, II, 2005, pp. 659-678.
Moscosi di Cingoli e Santa Rosa di Poviglio: alcuni elementi a confronto.
G. Pignocchi
L’insediamento
di Moscosi di Cingoli (MC), nell’alta valle del Musone, oggetto di
più campagne di scavo dal 1980 al 2001, risulta il contesto
marchigiano dell’età del Bronzo indagato in maniera più estensiva
e sistematica anche attraverso una serie di analisi
interdisciplinari.
Le indagini condotte dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici
delle Marche sotto la direzione di Mara Silvestrini, hanno
evidenziato una complessa sequenza
stratigrafica che si articola in diverse fasi attraverso una
successione di livelli di frequentazione dal Bronzo medio 3 alla fase
finale del Bronzo recente attestando un’evidente evoluzione
dell’assetto insediativo e delle attività economiche e produttive
caratterizzate soprattutto per la presenza di elementi strutturali
lignei eccezionalmente conservati e per il sorgere di una serie di
attività artigianali altamente specializzate.
Al
di sopra degli strati relativi al Bronzo medio appenninico, nel
livello risalente alla fase iniziale del Bronzo recente, è infatti
affiorata una struttura lignea a reticolo ortogonale costituita da un
tavolato di assi disposte ad incastro su un’intelaiatura di tronchi
di quercia e di frassino. Le aree di argilla concotta rinvenute sopra
il tavolato fanno ipotizzare la presenza di battuti di terra
pavimentali compattati in seguito all’azione del fuoco. Tale
struttura, che può essere interpretata come un assito con funzione
pavimentale per evitare il contatto diretto con il terreno umido
dell’antica sponda fluviale, rappresenta un caso unico ed
eccezionale di abitato su bonifica che trova confronti in ambito
terramaricolo padano. Al di sopra della piattaforma sorgevano le
abitazioni, delle quali si sono conservati tracce dell’alzato
costituite da frammenti di travi e porzioni di concotto. L’area era
cinta da una palizzata individuata sul lato nord che presentava
un’interruzione, verosimilmente corrispondente ad una sorta di
ingresso all’abitato. A questa fase, che sembra terminare con un
incendio, segue una ristrutturazione dell’area che subisce una
riorganizzazione, con focolari strutturati, finalizzata ad un
utilizzo per attività produttive e artigianali all’aperto
altamente specializzate, rivelando una accresciuta floridezza
dell’abitato durante tutto il Bronzo recente dovuta all’intenso
sviluppo degli scambi commerciali delle materie prime e degli oggetti
finiti tra area egea e meridionale da un lato ed area terramaricola e
padana dall’altro. Particolarmente abbondante il materiale ceramico
costituito da forme aperte destinate alla mensa e grossi contenitori
per le derrate alimentari che denotano una produzione di particolare
pregio, con presenza anche di ceramica di tipo egeo (Sabbatini
et
alii
2009, fig. 5). Straordinariamente rappresentata l’attività
metallurgica. L’affermazione di attività artigianali specializzate
nella lavorazione di materiali di pregio è documentata, a Moscosi,
anche dalla presenza di oggetti d’ornamento in ambra e pasta
vitrea. Un ulteriore settore produttivo affermatosi nel corso del
Bronzo recente è rappresentato dall’abbondantissima industria su
corno di cervo e su osso, sotto forma di oggetti finiti e di scarti
di lavorazione. Nella fase avanzata del Bronzo recente
particolarmente evidenti sono a Moscosi le influenze dall’area
terramaricola non solo nella ceramica, per quanto riguarda forme e
decorazioni, ma anche nella produzione metallurgica e in altre
produzioni quasi del tutto esclusive delle due aree come gli
strumenti in materia dura animale ed i pesi litici. Per alcuni di
questi manufatti in particolare si possono riscontrare corrispondenze
con alcuni materiali del villaggio grande di Santa Rosa di Poviglio.
Nella ceramica di impasto fine le scodelle
con labbro non distinto decorate a solcature orizzontali sotto l’orlo
(fig. 1.1) (Pignocchi,
Silvestrini
cs; Bianchi
2004, fig. 13.1),
le tazze carenate con parete leggermente concava e ansa a nastro
verticale (Sabbatini,
Silvestrini
2005, fig. 2.4; Bernabò
Brea
et
alii
1997, fig. 185.7),
le tazze
carenate a parete svasata con
ansa
a
nastro sopraelevata decorata solcature verticali (fig. 1.2)
(Sabbatini,
Silvestrini
2005, fig. 8-9;
Bianchi
2004, figg. 8.6,8,
13.6, 19.5),
le tazze a parete rientrante e vasca profonda (fig. 1.4) (Sabbatini,
Silvestrini
2005, fig. 2.1; Bianchi
2004, fig. 83). A Moscosi esiste anche una varietà di tazza a gola
con ansa a nastro verticale decorata da un fascio di solcature
longitudinali che proseguono sulla vasca in due fasci divergenti
(fig. 1.3) (Silvestrini,
Pignocchi 1999,
fig. 8.4), decorazione presente in due esemplari di tazze a Santa
Rosa di Poviglio (Bernabò
Brea
et
alii
1997,
fig. 188.2; Bianchi
2004, fig. 13.10). Presenti
a Moscosi anche varie fogge di tazze carenate a parete fortemente
svasata con vasca bassa o media (fig.
1.5-6) ampiamente
attestate negli strati sommitali del villaggio grande di Poviglio
(Bianchi
2004, figg. 9.1-3,
13,5, 19.1,4). Esistono
poi anche le forme a collo con carena più o meno pronunciata
talvolta decorate a solcature verticali (fig.
1.7-8) che
ricordano alcune forme di Poviglio (Pignocchi,
Silvestrini
cs; Bianchi
2004, figg. 9.6,13.4,17.1,
19.9, 22.7). Per
quanto riguarda i vasi biconici a collo distinto con decorazione
complessa all’esemplare di Moscosi (fig.
1.9)
(Sabbatini,
Silvestrini
2005, fig. 3.1) si può accostare quello di Santa
Rosa di Poviglio
(Bianchi
2004, fig. 10.3). Tra
i manufatti in bronzo i modelli condivisi sono soprattutto i pugnali
tipo Bertarina e tipo Castelluccia (fig.
1.10,11)
(Sabbatini,
Silvestrini
2005, fig. 4.2,5; Bernabò
Brea
et
alii
1997, fig. 189.1 e 10) e tra i materiali di pregio le perle d’ambra
lenticolari (fig.
1.13)
(Sabbatini,
Silvestrini
2005, fig. 4.16; Bernabò
Brea
et
alii
1997, p. 350) e le perle a botticella in pasta vitrea decorate a
linee ondulate (fig.
1.14)
(Sabbatini,
Silvestrini
2005, fig. 4.17-18; Bellintani,
Biavati
1997, fig. 354.6). A Moscosi esiste anche una valva di forma di
fusione in arenaria (fig.
1.12) per
la realizzazione di un manufatto costituito da un pomello lenticolare
e da un breve stelo cilindrico (de
Marinis
1999, p. 189, n. 41) che trova stringente confronto con un esclusivo
manufatto in bronzo interpretato come impugnatura o parte di una
conocchia proveniente dallo strato sommitale del villaggio grande di
Santa Rosa di Poviglio (Bernabò
Brea
et
alii
1997, p. 350, fig. 189.11; Peroni
1997, fig. 381; Bianchi
2004, p. 433, fig. 23.12).
Bibliografia:
Bellintani
P., Biavati A.,
Ornamenti in materiale
vetroso, in, a cura di
Bernabò
Brea M., Cardarelli A., Cremaschi M.,
Le Terramare. La più
antica civiltà padana,
Catalogo della Mostra,
Milano 1997, pp.
610-613.
Bernabò
Brea M., Bronzoni L., Fornari C., Mutti A., Provenzano
N., Lo strato sommitale
del Villaggio grande di S. Rosa a Fodico di Poviglio (RE),
in, a cura di
Bernabò Brea M., Cardarelli A., Cremaschi
M., Le Terramare. La
più antica civiltà padana,
Catalogo della Mostra,
Milano 1997, pp. 348-350.
Bianchi
P.A.E., Capanne e spazi
domestici del Bronzo Recente avanzato nel Villaggio grande della
terramara S. Rosa a Fodico di Poviglio,
in Rivista di Scienze
Preistoriche LIV,
Firenze 2004, pp. 411-485.
Peroni
R., Il
potere e i suoi simboli,
in, a cura di Bernabò
Brea M., Cardarelli A., Cremaschi M.,
Le
Terramare. La più antica civiltà padana,
Catalogo della
Mostra,
Milano 1997, pp. 661-673.
Pignocchi
G., Silvestrini
M. , Le
Marche e l’area terramaricola: elementi di confronto nella ceramica
di Moscosi di Cingoli e Cisterna di Tolentino,
in Atti
IIPP
XLVIII (Padova, 5-9 novembre 2013), in corso di stampa.
Sabbatini
T., Silvestrini
M. 2005, Piano
di Fonte Marcosa, Moscosi di Cingoli: un sito pluristratificato
dell’Appennino Marchigiano. Le fasi del Bronzo Recente,
in Atti
IIPP
XXXVIII, II, (Portonovo, Abbadia di Fiastra, 1 – 4 Ottobre 2003)
Firenze 2005, pp. 639-657.
Silvestrini
M., Pignocchi G.,
L’insediamento
dell’età del Bronzo di Moscosi di Cingoli (MC): una sequenza
stratigrafica dal Bronzo medio al bronzo finale,
in Picus XIX,
1999, pp. 29-50.
Sabbatini
T., Silvestrini M. Milazzo F.,
Moscosi di Cingoli
(Macerata) e l’area centro adriatica nella tarda età del bronzo,
aspetti di carattere internazionale e di koinè metallurgica fra Egeo
ed area alpina, in, a
cura di
Borgna E., Càssola Guida
P., Dall’Egeo
all'Adriatico: Organizzazioni sociali, modi di scambio e interazione
in età postpalaziale (XII-XI sec. a.C.),
Roma 2009, pp. 235-256.
Ambiente e insediamenti del Bronzo nella Sardegna centro- occidentale: il sito di Sa Osa (Cabras-Or)
A. Depalmas1, G. Fundoni1, R.T. Melis2, A. Usai3, M. Zedda1
1
Università di Sassari, depalmas@uniss.it,
mzedda@uniss.it
2
Università di Cagliari, rtmelis@unica.it
3
Soprintendenza
beni archeologici Cagliari e Oristano - annita.usai@beniculturali.it
Il
sito di Sa Osa è localizzato nella Sardegna centro-occidentale, nel
settore settentrionale del Golfo di Oristano, a circa due chilometri
dall’attuale linea di costa e a circa 500 metri dall’attuale
corso del fiume Tirso. Il sito ricade nel tratto terminale della
pianura alluvionale del Tirso, delimitato dallo Stagno di Cabras a
Nord, dallo Stagno di Santa Giusta a Sud e dalla pianura costiera di
Torre Grande a Ovest. L’evoluzione geomorfologica dell’area è
stata fortemente influenzata dalla dinamica fluviale, dalle
variazioni del livello del mare e dai cambiamenti climatici
quaternari. Il territorio circostante l’insediamento è
caratterizzato da depositi alluvionali pleistocenici e olocenici
terrazzati del fiume Tirso e del Fiume Tanui. Verso la costa e lo
stagno di Cabras le alluvioni sono intercalate a depositi lagunari e
marini. Nella piana costiera, delimitata dal cordone litorale
olocenico di Torre Grande, le aree umide sono state bonificate e
colmate dalle alluvioni recenti e depositi antropici. Lo studio
geoarcheologico ha permesso di evidenziare che il sito si estende sia
su un terrazzo alluvionale (settore settentrionale) che nella piana
di esondazione del Fiume Tirso (settore meridionale). In particolare
l’analisi stratigrafica e pedostratigrafica ha rilevato, nel
settore settentrionale, una sequenza di depositi alluvionali
grossolani pleistocenici con intercalati paleosuoli rossastri
ferrettizzati e alluvioni oloceniche. Il settore meridionale è
invece caratterizzato dalle alluvioni fini oloceniche della piana di
esondazione del fiume Tirso che colmano una profonda incisione nelle
alluvioni pleistoceniche.
Il
sito di Sa Osa, scoperto durante i lavori di costruzione della strada
Oristano-Torre Grande, rappresenta un contesto particolare per quanto
riguarda la Sardegna protostorica in quanto si tratta di un
insediamento nuragico senza nuraghe e quasi senza strutture murarie,
per giunta con una serrata successione di fasi occupative e con
dislivelli ridottissimi tra le rispettive superfici di
frequentazione.
Elemento
caratterizzante è la presenza di pozzi (18) alcuni dei quali si sono
rivelati depositi straordinari per la quantità e la qualità dei
reperti archeologici e di quelli di natura organica.
La
maggioranza delle unità archeologiche indagate hanno restituito
contesti omogenei del Bronzo Medio, salvo alcuni frammenti ceramici
intrusi riferibili alla facies calcolitica Sub-Ozieri e al Bronzo
Antico. Si hanno anche attestazioni del Bronzo Recente e del Bronzo
Finale e in una struttura delimitata da pietre sono stati recuperati
materiali dell’età del Ferro.
Nell’insediamento
di Sa Osa sono emersi anche interessanti indicatori sullo
sfruttamento delle risorse locali (pesca marina e fluviale,
allevamento di suini e bovini, caccia di cervidi) e su aspetti
produttivi specializzati (es. viticultura, produzione di vasellame,
industria su osso) (Usai
et
alii
2010).
Adattamenti socio-economici delle comunità dell'Età del Bronzo in Puglia alle modificazioni climatiche tardo oloceniche del Mediterraneo centrale
I. M. Muntoni1, G. Fiorentino2, C. D’Oronzo2, M. Primavera2, F. Radina1
1 Soprintendenza per i Beni
Archeologici della Puglia, italomaria.muntoni@beniculturali.it
2 Università del Salento
The study
consists of a regional-diachronic overview of Bronze Age
archaeobotanical data focused on south-eastern Italy, as reflected by
charcoal and seed/fruit analysis performed on 15 archaeological sites
widespread along Puglia region.
This
synthesis, aiming at reconstruction of Human-Plants relation during a
period of changes in environment and cultural systems, offers
interesting evidence of “contemporary” shifts in both
paleoenvironmental and palaeoeconomical records throughout the lapse
of time between Mid and Late Bronze Age.
While Anthracology points to a phase of changing
in vegetation cover, seeds/fruits analysis reveals a shift in
subsistence economies. Changes in agro-production are discussed
taking into account agronomic features (water and temperature
requirements) during the key periods of the growing, according to the
current literature referred to the region.
Given
that the decisions on changing the agriculture production can be, at
least, related to: a) environmental conditions or b) socio-economic
requirements, an integrate approach should help to understand the
role of climate and/or human forces.
For this
reason we integrate and discuss the major changes in the light of
socio-cultural dynamics inferred from archaeological evidences
(population growth, social complexity, storage capacity) and
high–resoluted paleoclimate proxy available for the central
Mediterranean area, in order to understand whether and how Bronze Age
communities in Puglia adapted or modified in response to seasonal
climatic changes.
Bibliografia:
Fiorentino
G., D’Oronzo C., Primavera M., Caldara M., Muntoni I.M., Radina F.,
Variazioni ambientali
e dinamiche antropiche in Puglia (5.600-4.000 a.C.),
in Rivista di Studi
Liguri
LXXVII-LXXVIII, 2011-2012.
Fiorentino
G., Caldara M., De Santis V., D'Oronzo C., Muntoni I.M., Simone O.,
Primavera M., Radina F.,
Climate
changes and human-environment interactions in the Apulia region of
southeastern Italy during the Neolithic period,
in The
Holocene
23 (9), 2013, pp. 1297-1316.
Alto Casino (San Cesario, Modena). Insediamento dell'antica età del Bronzo
A. Ferrari1, V. Leonini2, N. Morandi1
1 Antiquarium di Spilamberto (MO) –
morandi_niccolo@yahoo.it
2 Soprintendenza per i Beni Archeologici
dell'Emilia Romagna – valentina.leonini@beniculturali.it
Nell’inverno-primavera 2012/2013 forti eventi erosivi spondali
hanno portato alla messa in luce, nell’alveo del fiume Panaro, di
tracce di un fossato ad andamento curvilineo prossimo ai noti
rinvenimenti del 1979 di Alto Casino. Individuato nell’estate
successiva alla secca del canale di magra è stato fatto oggetto di
un intervento di emergenza esteso su di una superficie di poco meno
di 20 m², intervento condizionato dalla seguente sommersione tardo
estiva. Il fossato, a sezione lenticolare e ampio attorno ai 6 m, era
conservato per una profondità massima di circa 1 m, erosi in età
storica i livelli superficiali e la paleosuperificie su cui si
apriva. La successione sondata mostra, al di sopra di un livello
d’uso, episodi di riempimento intenzionale più o meno ricchi di
scarichi antropizzati, deposti in ambiente umido caratterizzato da
acque stagnanti.
Ad un primo esame le industrie appaiono inquadrabili in un episodio
sostanzialmente successivo al Tardicampaniforme, con rimandi ad
aspetti pieni e avanzati del Bronzo Antico sudappenninico e
nordpadano.
La capanna dell'età del bronzo di Amolara (Adria): stato delle ricerche e prospettive future
F. Bortolami
Università Cà Foscari Venezia - fiore_1@live.it; fiorenza.bortolami@libero.it
Il
sito dell’età del Bronzo di Amolara, località a nord-est
dell’odierna città di Adria, è stato rinvenuto nel corso di un
controllo archeologico legato a lavori di rifacimento e potenziamento
del metanodotto della città. In seguito all’individuazione di una
stratigrafia archeologica con depositi fortemente antropizzati è
stato condotto uno scavo di emergenza che ha portato alla luce il
settore periferico di un insediamento pluristratificato riferibile
all’età del Bronzo media e recente, caratterizzato da 3 fasi di
occupazione susseguitesi senza soluzione di continuità.
La
fase più antica riflette un ambiente stagnale instabile sul quale si
imposta un sistema insediativo con struttura su impalcato ligneo;
questa fase, che col tempo va progressivamente asciugandosi, si
conclude con l’incendio e il collasso della struttura su impalcato,
seguita dalla stesura di un consistente riporto di terreno. La
seconda fase è rappresentata da una fitta sequenza di livelli
impostati sullo strato di riporto, legati ad attività
piro-tecnologiche come è stato possibile determinare
dall’individuazione di piastre in argilla scottata e parti in
elevato in limo-argilloso crudo che probabilmente costituivano
strutture come forni.
L’ultima
fase del sito è interessata dall’impianto di una struttura
stabile, denominata capanna α, che interessa tutto l’ultimo ciclo
di occupazione. Questa struttura, sviluppata longitudinalmente in
senso est-ovest, presenta una pianta sub-rettangolare con focolare
centrale ed è delimitata esternamente da un piccolo fossato; questa
prima fase di utilizzo si chiude con l’incendio parziale della
capanna che viene subito ripristinata mantenendo l’assetto e
l’orientamento precedente. Successivamente la struttura va incontro
ad un disfacimento completo e l’intera area viene destinata ad
attività agricole.
Il
sito è stato fin da subito oggetto di specifiche analisi che ne
hanno determinato il contesto geoarcheologico e geomorfologico, e di
analisi archeo-zoologiche, polliniche e radiometriche; i dati
ottenuti hanno restituito importanti informazioni per quanto riguarda
la determinazione delle caratteristiche principali del sito.
Contemporaneamente
alle analisi scientifiche è stato affrontato anche lo studio
tipo-cronologico dei materiali ceramici che ha consentito di
inquadrare l’orizzonte cronologico di vita dell’intero
insediamento a partire da fasi di BM 3 fino al BR 2. La sequenza
crono-tipologica dei materiali così elaborata è avvalorata dai
risultati delle analisi C14 effettuate su campioni provenienti dal
deposito archeologico.
Questo
contributo si propone di esporre lo stato delle ricerche e degli
studi finora condotti sul sito di Amolara, i cui risultati hanno
permesso di inquadrare il sito in maniera più specifica nel quadro
dell’età del bronzo della pianura padana, ma soprattutto intende
presentare le prospettive di lavoro future rivolte principalmente
all’analisi e alla ricostruzione dell’uso dello spazio interno
(ed esterno) della capanna, all’individuazione delle aree di
lavorazione e di come queste fossero organizzate in rapporto al resto
dell’ambiente.
Bibliografia:
Bortolami
F., Contributo alla
conoscenza dell’età del Bronzo recente nel territorio polesano. La
capanna di località Amolara (Adria): analisi dei materiali ceramici,
tesi di laurea, Università Cà Foscari, Venezia, 2012-2013.
Gambacurta
G. et alii
(c.s.), Adria, via
Amolaretta e via Zaccagnini: le indagini 2010 – 2011. Notizia
preliminare, in corso
di stampa.
Il Parco di Montale: 10 anni di attività fra ricerca, divulgazione e didattica
C. Zanasi
Museo Civico Archeologico Etnologico – Parco archeologico e Museo all’aperto della Terramare di Montale - cristiana.zanasi@comune.modena.it
Inaugurato nell’aprile del
2004, il Parco open-air di Montale rappresenta oggi una delle realtà
museali più attive sul territorio emiliano, impegnata a promuovere
la conoscenza delle sue antichi radici attraverso una divulgazione di
qualità. Il parco è stato un precursore di questa particolare
declinazione di museo, fin da quando, già negli anni ’90, il Museo
Civico Archeologico di Modena ha cominciato a progettare di dotarsi
di un settore all’aperto che affiancasse la proposta tradizionale
delle proprie sale espositive con soluzioni in grado di superare
quella frattura fra oggetto e contesto di provenienza che
inevitabilmente si viene a creare con la musealizzazione dei reperti.
La
formula del museo all’aperto, che allora conoscevamo quasi
esclusivamente da testimonianze europee, poteva assolvere in modo
efficace questo compito. Il progetto era nato proprio pensando alla
Terramara di Montale, ancora parzialmente intatta, dove si stavano
svolgendo scavi archeologici, diretti dal museo stesso, che
restituivano risultati straordinari in relazione alla conservazione
di strutture. Fin dalle prime riflessioni è dunque risultato
evidente che la realizzazione sarebbe stata improntata ad un metodo
rigorosamente scientifico con scelte di carattere filologico sia sul
fronte della ricostruzione di strutture sia su quello della
ricostruzione di oggetti.
Il metodo filologico adottato
nella realizzazione del parco ovviamente si riflette sul tipo di
comunicazione che il parco rivolge al pubblico, con dimostrazioni di
archeologia sperimentale o di antiche tecniche artigianali, e agli
studenti, invitati a seguire passo passo le fasi del lavoro che ha
condotto gli archeologi dallo scavo alla ricostruzione intesa come
punto di arrivo di un percorso di ricerca. L’aspetto educativo
(inteso come educazione al bene culturale) ha dunque affiancato, per
non dire sopravanzato, la dimensione emotivo-evocativa, spesso
prevalente in questi contesti.
Il Parco Archeologico del Villaggio Neolitico di Travo: valorizzazione e tutela.
M.A. Bernabò Brea, M. Maffi
Soprintendenza ai
Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, -
mariaadeliabernabobrea@beniculturali.it
Museo e Parco
Archeologico di Travo - maria.maffi@libero.it
Dal 1981 la
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna conduce
indagini mirate alla ricostruzione del popolamento preistorico della
media Val Trebbia, in collaborazione con la locale Associazione
Culturale di Travo. Dal 2002 il rilievo scientifico assunto dallo
scavo archeologico aperto in loc. S. Andrea a Travo ha consentito di
avviare una cooperazione franco-italiana per lo sviluppo delle
indagini.
L’attività di
ricerca condotta nel corso di 30 anni è costituita da vari aspetti:
ricognizione del territorio per l'individuazione dei siti
archeologici, scavi archeologici di ricerca o di emergenza, analisi
di laboratorio e indagini sui materiali raccolti.
Il Museo
Archeologico della media Val Trebbia nel Castello Anguissola di
Travo, di cui è stata allestita già da vari anni la sezione
preistorica e protostorica e più recentemente quella romana,
rappresenta lo specchio, sul piano divulgativo, del lavoro svolto e
in corso.
A partire dal 1995
l’avviamento dello scavo sistematico nell’abitato neolitico di S.
Andrea a Travo ha aperto nuove potenzialità sia scientifiche che di
valorizzazione.
Il sito di S.
Andrea, infatti, presenta una fitta rete di strutture abitative e
funzionali ben conservate, che consentono indagini di grande
interesse sull'organizzazione spaziale e sociale del villaggio.
Il Comune di Travo,
d’intesa con la Soprintendenza, ha promosso nel 2006 un progetto di
realizzazione di un Parco Archeologico a S. Andrea, il cui primo
stralcio è stato finanziato nell’ambito dell’ “Obiettivo 2”
e i successivi a completamento con la legge regionale 18.
In considerazione
dell’importanza scientifica dell’area e dell’esistenza di un
progetto di valorizzazione, su richiesta della Soprintendenza per i
Beni Archeologici dell'Emilia Romagna il Ministero per i Beni e le
Attività Culturali ha provveduto all’esproprio del terreno.
Il Parco
Archeologico per la valorizzazione del villaggio neolitico di S.
Andrea a Travo, ormai a completamento, rappresenta l’esito
dell’attività di indagine e di valorizzazione portata avanti dai
soggetti citati sopra da circa 30 anni.
Esso è stato
progettato dall’Arch. Riccardo Merlo di concerto con la
Soprintendenza competente; è ampio circa un ettaro e comporta la
recinzione dell’area in cui sono conservate le strutture
preistoriche, la protezione e il consolidamento delle strutture
stesse, la sistemazione a verde dell’area circostante, la
costruzione di un locale di accoglienza e di parcheggi per i
visitatori. In una seconda fase progettuale è stata realizzata la
ricostruzione di tre case preistoriche messe in luce dallo scavo.
Il punto di forza
del progetto è basato appunto sull’accostamento tra la
conservazione in vista delle strutture preistoriche che lo scavo
archeologico ha messo in luce nel sito e la ricostruzione in scala
naturale di alcune di esse, tra cui tre delle case rettangolari di
legno ed alcuni forni a ciottoli arroventati.
Per la conservazione
delle strutture neolitiche messe in luce nel corso degli scavi,
opportunamente consolidate, sono state realizzate coperture di legno
con tetto a doppio spiovente di paglia, che ripropongono i volumi
ipotizzati per gli edifici di S. Andrea a partire dai rapporti
proporzionali leggibili dai dati planimetrici.
L’intera fascia di
terreno corrispondente all’area espropriata, nella quale si prevede
di ampliare negli anni futuri lo scavo archeologico, è interessata
da pannelli con spiegazioni sul sito e sulle strutture per i
visitatori; in essa si è allestito un locale destinato
all’accoglienza dei visitatori e ai margini è predisposto un
parcheggio.
Nella fascia libera
da strutture archeologiche è avviata la piantumazione con essenze
vegetali documentate tra i resti paleobotanici dello scavo: quercia,
olmo, piante da frutto selvatiche, etc., accanto alle quali piccole
coltivazioni sperimentali mostrano le varietà di cereali e di legumi
coltivati nel sito durante il neolitico.
Le ricostruzioni
delle strutture, sono state realizzate a partire dalle planimetrie
messe in luce nello scavo ed ispirandosi alle esperienze portate
avanti da tempo in Francia e in Svizzera, oltre che a quelle
effettuate in alcuni parchi archeologici italiani, tra cui
soprattutto il Parco della terramara del Montale presso Modena.
Bibliografia:
Cardarelli
A., Parco
archeologico e museo all’aperto della Terramara del Montale,
Modena 2004.
Pétrequin
P. et
alii,
Construire
une maison 3.000
ans
avant J.C. Le lac de Chalain au Néolitique,
1991.
Ramseyer
D., La costruction
d'une ferme néolithique, comme il y a 5.000 ans,
in Revue Chantiers vol
1, 1997, pp. 53-58.
Nuove esperienze di didattica museale al Museo della Terramara S.Rosa di Poviglio
C. Basile1, N. Di Foggia2, M. Garofalo3
1
Museo della
Terramara S. Rosa - carmenbasileus@yahoo.it
2
Convitto Nazionale
Maria Luigia di Parma - difonicola@libero.it
3
Cooperativa
Sociale Co.Re.S.S. - garofalo.marilena@virgilio.it
Durante
la comunicazione si presenteranno alcune nuove attività
didattico-laboratoriali svolte presso il Museo della Terramara S.Rosa
di Poviglio. Intese come servizi museali per la qualità
sociale,
mirano allo studio e allo sviluppo di una comunicazione inclusiva (o
dedicata) per favorire
l’interazione
e l’apprendimento secondo modalità alternative e non solo verbali.
Il
primo progetto prevede il coinvolgimento nell’archeologia di
disabili cognitivi in età evolutiva incoraggiandone così e
“portando fuori” (dal latino e-ducere) le capacità manuali,
cognitive e affettivo-relazionali, emergenti e potenziali, attraverso
la partecipazione ad attività didattiche (visita e laboratori)
mirate. Queste, attraverso l’esperienza di attività sensoriali e
di osservazione, permettono un lavoro personale di elaborazione e
informazione sul tema della preistoria, argomento cruciale perché
relativo agli aspetti più ancestrali dell’essere (come) umano.
Il
secondo utilizza il metodo specifico della philosophy
for children: attraverso
le pratiche
filosofiche, piccoli
fruitori dell’oggetto museale (in questo caso scuola secondaria di
primo grado), ma anche adulti, si mettono in gioco come dei veri e
propri ricercatori (di senso), mettendo in scena un workshop di
rielaborazione critica dell’esperienza museale e dando senso alla
tensione passato-presente. L’oggetto museale è trattato come un
frammento di esistenza che si può tenere in mano e, così, dominare
spiritualmente il lasso di tempo che scorre dalla sua nascita: il
passato, con i suoi destini e i suoi cambiamenti, è raccolto nel
punto di un presente intuibile esteticamente.
Riassunti dei poster
Analisi tipologica di falcetti di bronzo protostorici
A. Armig liato
Alma Mater Studiorum-Università di Bologna - alearmi@live.it
In
questa ricerca sono stati presi in esame i falcetti utilizzati
nell'età del Bronzo al fine di proporre una tipologia e identificare
i diversi modelli sulla base di una o più caratteristiche. L’areale
di indagine comprende il
Friuli Venezia Giulia, il Veneto, la parte meridionale del Trentino,
la Lombardia orientale, parte dell’Emilia e della Romagna. Nel
corso dell’intera durata dell’età del Bronzo i falcetti hanno
subito molte trasformazioni, prima fra tutte quella del materiale.
Per la prima parte dell’età del Bronzo (BA e BM1-2) si trovano
esclusivamente falcetti di legno con armatura in selce. Dal BM2
iniziano a comparire falcetti di bronzo che diventeranno sempre più
frequenti nel corso del Bronzo Recente.
Su
171 elementi catalogati, 158
sono identificabili come falcetti veri e propri (53 integri, 105
frammentari), 11 sono matrici (2 di argilla, 9 di pietra), 2 sono
manici di legno; solo
una piccola parte presenta alcune caratteristiche ritenute
fondamentali per un’analisi tipologica: considerate
la lama (a dorso continuo/a dorso interrotto), il codolo (con o senza
foro), il tallone e la linguetta. Le diverse morfologie, prima
isolate e poi combinate tra loro, hanno permesso di identificare tipi
differenziati, caratterizzati da elementi peculiari dei singoli
strumenti (vedi fig. 1). I
dati preliminari della ricerca sembrano propendere per la presenza di
manifatture
locali (quali ad es. la presenza o meno di una o più costolature, il
loro appiattimento più o meno pronunciato, il profilo del taglio
della lama più o meno angolato), pur nell’ambito di orizzonti
culturali per lo più omogenei. Confrontando
le diverse caratteristiche sia cronologicamente sia geograficamente è
stato possibile ricostruire un’evoluzione delle forme: da quelle
più semplici prive di foro per l’immanicatura e linguetta con lama
asimmetrica fino a quelle con singolo o duplice foro, linguetta e
lama simmetrica.
Bibliografia:
Bernabò
Brea M., Cardarelli A., Cremaschi
M., a cura di, Le
Terramare. La più antica civiltà padana,
Catalogo della Mostra,
Milano 1997.
Bernabò
Brea M.A.,
Cremaschi
M, a cura di, Il
villaggio piccolo della terramara di Santa Rosa di Poviglio. Scavi
1987-1992,
Firenze 2004.
Bietti
Sestieri
A. M., The
metal industry of continental Italy, 13th-11th century, and its
aegean connections,
in
Proceeding
of Prehistory Society 39,
1973, pp. 383-424.
Bietti
Sestieri
A. M., Protostoria.
Teoria e pratica,
Roma 1996.
Carancini
G. L., Metallurgia e
società nell’Italia protostorica,
in, a cura di
Caselli F.P.,
Agostinetti
P. P., La miniera,
l'uomo e l'ambiente: fonti e metodi a confronto per la storia delle
attività minerarie e metallurgiche in Italia, Convegno di studi,
Cassino, 2-4 giugno 1994,
p. 289.
de
Marinis R. C.,
L'età del Bronzo: la
metallurgia, in
AA.VV., Archeologia in
Lombardia, Milano
1982, pp. 63-82.
de
Marinis R. C.,
Frontini
P., Preistoria e
protostoria nel territorio di Piacenza, in
AA.VV., Storia di
Piacenza, 1, Piacenza
1990, pp.716 e 721.
de
Marinis
R. C., 2, Circolazione
del metallo e dei manufatti nell’età del bronzo dell’ Italia
settentrionale, in
Materie
prime e scambi nella preistoria italiana,
in Atti
IIPP XXXIX (Firenze, 25-27 novembre 2004), vol. III,
Firenze 2004, pp. 1289-1317.
Forni
G., Le tecniche
agricole nelle terramare,
in, a cura di
Bernabò Brea M., Cardarelli A., Cremaschi
M., Le
Terramare. La più antica civiltà padana,
Catalogo della Mostra,
Milano 1997, p. 468, fig. 272.
Furlani
U., Il
ripostiglio di Gargaro,
in AttiMusCivTrieste,
8,
1973-1975, pp. 51-61.
Muller-Karpe
H., Beiträge
zur Chronologie der Urnenfelderzeit nördlich und südlich der Alpen,
1959.
Mutti
A., Caratteristiche e
problemi del popolamento terramaricolo in Emilia occidentale,
Bologna 1993.
Mutti
A., a cura di, Gli
scavi nella terramara Santa Rosa a Fodico di Poviglio. Guida
all’esposizione,
Guastalla 2007, p. 63.
Primas
M., Die
Sicheln ur Mitteleuropa,
I, in PBF
XVIII, 2,
München 1986.
Soffredi
A., Abitato dell’età
del Bronzo a Bande di Cavriana (Mantova), in
Atti IIPP XI-XII,
(Firenze, 11-12 febbraio 1967 / Sicilia, ottobre 1967),
1968, pp. 155-164.
Tirabassi
J., I falcetti di Monte
Pilastro, in, a cura
di, Bernabò
Brea M., Cardarelli A., Cremaschi
M.,
Le Terramare. La più antica civiltà padana, Catalogo della Mostra,
Milano
1997.
Tosatti
A.M., Insediamento
dell’età del Bronzo a Boccazzola Vecchia di Poggio Rusco (MN),
in Preistoria Alpina
20, 1984, pp. 169-202.
Materiali ceramici dalla terramara di Santa rosa: un approccio archeometrico
L. Bonizzoni1, C. Viganò2, E. Ziraldo3
1
Università
degli Studi di Milano - letizia.bonizzoni@unimi.it
2
Università
degli Studi di Ferrara - clara.vigano@studenti.unife.it
3
Università
degli Studi di Torino - emma.zira@gmail.com
La
ceramica è, tra i manufatti archeologici, quello che maggiormente si
ritrova all’interno dei siti, soprattutto dell’età del Bronzo.
Le sue caratteristiche ne fanno infatti un materiale resistente,
duraturo e spesso riutilizzato, con funzioni differenti, in un
secondo momento di vita. Per questo motivo da sempre è stato oggetto
di studi per comprenderne le forme e il loro variare nel corso del
tempo. Lo studio tipologico, iniziato già durante la fase
ottocentesca di esplorazione dei siti, ha permesso di stabilire
griglie cronologiche ormai molto precise e di collocare, all’interno
delle sotto-fasi del periodo in questione dei veri e propri “fossili
guida”. Recentemente tuttavia, lo studio della ceramica ha subito
nuovi impulsi, dall’integrazione delle analisi tradizionali, di
tipo più prettamente archeologico, con analisi scientifiche,
archeometriche, volte ad approfondire ulteriori aspetti legati a
questo manufatto, quale la modalità di approvvigionamento delle
materie prime, modi e tempi di lavorazione ed eventuali miglioramenti
tecnici apportati nel corso del tempo.
Il
lavoro presentato in questa sede fa parte di uno studio
multidisciplinare su un lotto di frammenti ceramici provenienti dalla
terramara di S. Rosa di Poviglio; in questo ambito, le analisi
archeometriche, seppure preliminari, hanno contribuito a introdurre
un nuovo metodo per lo studio di questi materiali ponendo le basi per
un progetto che dovrà essere ulteriormente ampliato. Finora infatti
le uniche analisi, anch’esse preliminari, erano state condotte
mediante sezioni sottili e diffrazione di raggi X. Il vantaggio del
nuovo metodo utilizzato, l’analisi con fluorescenza di raggi X
(XRF), volto a identificare la composizione elementare dei materiali,
permette di utilizzare i campioni tal quali, senza essere distruttiva
o invasiva per l’oggetto.
Sono
stati selezionati e analizzati 36 frammenti ceramici e 5 terreni
provenienti direttamente dalle unità stratigrafiche dello scavo. Gli
spettri ottenuti dall’analisi XRF sono poi stati trattati con
l’analisi statistica multivariata (analisi delle componenti
principali e analisi dei cluster), in modo da poter confrontare fra
loro tutti i dati disponibili. Sono state confrontate, per ogni
campione considerato, le percentuali mediate di potassio, calcio,
titanio, cromo, manganese, ferro, zinco, rubidio e stronzio, elementi
presenti in concentrazione minoritaria o in traccia. Infatti, un
metodo comunemente utilizzato per individuare differenze nell’origine
geografica di insiemi di campioni di ceramiche archeologiche consiste
nell’esaminarne la composizione chimica elementare e nel sottoporre
i dati così ottenuti ad analisi statistica multivariata
(Jones
1986).
Poiché è noto che le argille possono presentare variazioni
composizionali nell’ambito del medesimo giacimento o, viceversa,
risultare relativamente poco differenziate da un sito all’altro, è
generalmente raccomandata la determinazione delle percentuali di un
numero significativo di elementi, con particolare attenzione a quelli
cosiddetti minori o addirittura in tracce (Neff
2000).
Lo studio condotto
sui materiali provenienti dalla terramara di Santa Rosa si è
rivelato assai interessante, soprattutto perché ha permesso la messa
a punto di un metodo che finora non era mai stato utilizzato per
l’analisi archeometrica di materiali relativi all’età del Bronzo
in area terramaricola. Le analisi della composizione elementare hanno
mostrato una sostanziale omogeneità composizionale tra loro e con i
terreni locali, pur riconoscendo la presenza di due gruppi distinti,
differenziabili fondamentalmente per la diversa concentrazione di
calcio (Viganò
2013).
In
particolare, i due gruppi non riflettono né la differenza
tipologica, né quella stratigrafica o di datazione. Questo è
coerente con una produzione non standardizzata, in cui le tipologie e
l’approvvigionamento non sono legati a un’economia di scambio o
di mercato. Una della ipotesi possibili per questa variazione
riguarda la diversa profondità a cui l’argilla è stata estratta:
infatti, studi effettuati in altri siti assimilabili hanno dimostrato
come al variare della profondità di campionamento della materia
prima, vari anche la somiglianza di composizione con i campioni
stessi (Amadori
2002).
Da
queste considerazioni, l’esigenza per il futuro è quella di
implementare le analisi sui terreni in altre zone di pertinenza
dell’insediamento e a differenti profondità, oltre ovviamente a
considerare per l’analisi scientifica ulteriori campioni di varia
tipologia e provenienza stratigrafica.
Dato
anche il numero ridotto di campioni analizzati sarà certamente
necessario approfondire il lavoro con ulteriori indagini
archeometriche, in modo da poter confrontare i risultati ottenuti da
diverse tecniche d’indagine.
È
stato comunque importante dare il via a questo tipo di ricerca, per
poter aprire la strada a un nuovo possibile lavoro multidisciplinare
sui reperti archeologici.
Bibliografia:
Amadori
M.L., The
interpretation of the complex fabrics of Bronze ages potteries from
Imola (Italy),
in Modern
Trends in scientific Studies on ancient Ceramics,
BAR international Series 101, 1, 2002.
Jones
R.E., Greek
and Cypriot Pottery,
Athens 1986.
Neff
H., Neutron
activation analysis for provenance determination,
in, a cura di Ciliberto
E., Spoto
G. Archaeology,
Modern Analytical Methods in Art and Archaeology,
New York 2000, pp. 115-116.
Viganò
C., The
raw material of the pottery production from the terramara S. Rosa: an
archaeometrical approach,
in 12th
European Meeting on Ancient Ceramics,19-21 September 2013, Padova,
Italy 2013.
Le strutture interne, fra Villaggio Piccolo e Villaggio Grande.
F. Borgi, P. Ferrari, T. Lachenal, E. Menghi, M. Salvioni, M. Scuotto
Tra
gli anni 2008-2013 è stato indagato un transetto che collegava le
aree del villaggio grande a quelle del villaggio piccolo esplorate
nelle precedenti campagne. Il tratto così messo in luce è apparso
sul piano delle strutture particolarmente articolato e ricco di
problematiche che andranno affrontate con future ricerche. I fatti
nuovi emersi possono così riassumersi:
-
A nord dell’area del villaggio grande precedentemente esplorata,
proseguono nel nuovo settore gli edifici su impalcato delimitati da
allineamenti di buche di palo, sui quali insistono i caratteristici
cumuli di cenere. Questi sono limitati da un allineamento di profondi
pozzi distribuiti lungo una scapata lievemente rilevata.
-
A partire da questa, in direzione del villaggio piccolo, si delinea
una superficie leggermente inclinata, caratterizzata da fosse,
piccole canalette, qualche allineamento di buche di palo, ma priva di
strutture abitative ben espresse. La stratigrafia è di debole
spessore e costituita da un terreno organico, simile per molti
aspetti alle Terre Nere, note in altri contesti archeologici. Di
difficile interpretazione, potrebbe essere un’area adibita alla
stabulazione e alla macellazione degli animali, come indicherebbero
anche i resti faunistici particolarmente abbondanti. Al limite nord
di quest’area, nella campagna di scavo del 2013, è venuto in luce
un massiccio terrapieno, del tutto inaspettato, che potrebbe
corrispondere sia a un primo ampliamento del villaggio piccolo, sia
alla delimitazione settentrionale del villaggio grande.
-
Particolarmente significativo è risultato il fossato che separa il
villaggio grande dal villaggio piccolo, che, pur essendo noto già
dalle prima esplorazioni della terramara, è stato solo nel corso di
queste campagne compiutamente esplorato. Esso raggiunge i quattro
metri di profondità dall’attuale piano di campagna, superando di
almeno un metro la profondità del fossato a meridione del villaggio
grande ed è conformato a doppio anello. I suoi riempimenti basali
denunciano la presenza di acque profonde a debole scorrimento idrico
ricche di fauna acquatica, verso l’alto si assiste a un progressivo
interramento della struttura. Con lo scavo del fossato è stato messo
in luce un tratto, sia pur breve, del margine meridionale del
villaggio piccolo, che, al di sotto del massiccio terrapieno
perimetrale, appare costituito da una ripida scarpata, modellata ad
arte sul dosso su cui il sito appoggia, garantendone un aspetto
particolarmente arroccato e di difficile accesso.
Reperti di corniolo (Cornus mas L.) e vite (Vitis vinifera L.) dalle terramare modenesi: considerazioni paletnobotaniche
G. Bosi, R. Rinaldi, M. Bandini Mazzanti
Università di Modena e Reggio Emilia . giovanna.bosi@unimore.it
Il corniolo (Cornus mas L.) e la vite (Vitis vinifera L.) sono due taxa importanti per l’alimentazione umana fin da epoche pre-protostoriche. Per il corniolo alcuni autori hanno ipotizzato in Italia Settentrionale pratiche colturali già all’Età del Bronzo. Gli endocarpi di corniolo delle terramare di Montale e di S. Ambrogio, confrontati con quelli romani della città di Modena e con un campione attuale commerciale, evidenziano cambiamenti nella loro forma; si nota, infatti, un progressivo incremento dell’indice L/l dagli endocarpi più antichi a quelli più recenti. La modifica potrebbe essere compatibile con l’avvio di pratiche selettive che hanno favorito nel tempo lo sviluppo della polpa rispetto al nocciolo, pratiche che possono aver avuto inizio già dal Bronzo. Se si considerano i dati carpologici dell’Italia Settentrionale, al Bronzo finale/Ferro i reperti di corniole (che potevano forse essere utilizzati per produrre bevande fermentate) diventano trascurabili, mentre aumentano quelli di vite, come avviene in maniera chiara anche nell’ambito della terramara di Montale nelle sue fasi finali. La vite di Montale ha caratteri che possono essere definiti intermedi tra forma spontanea e coltivata, forse un segnale di cure antropiche su individui selvatici presenti nell’area del sito. La maggiore attenzione rivolta alla vite è sottolineata anche dal “passaggio di testimone” con il corniolo, che sembra perdere d’importanza e visibilità.
La malacofauna del Fossato della terramara Santa Rosa di Poviglio: scavi dal 2008 al 2012
F. Drago
Università degli Studi di Milano - francesco.drago.i@gmail.com
L'utilizzo dei molluschi come bioindicatori paleoambientali si basa sull'assunto che i comportamenti e le esigenze ecologiche della stragrande maggioranza delle specie sub-fossili quaternarie marine, terrestri e di acque interne siano essenzialmente uguali a quelli delle specie attualmente viventi. Il lavoro presenta la malacofauna rinvenuta durante gli scavi avvenuti dal 2008 al 2011 della Terramara di Santa Rosa di Poviglio proveniente dall'area al margine del fossato che separa il Villaggio Piccolo dal Villaggio Grande, e quella rinvenuta durante gli scavi del 2012 all'interno del fossato che separa i due villaggi. La malacofauna studiata è rappresentata maggiormente da specie di tipo acquatico e ha permesso di ricavare alcune ipotesi sulle caratteristiche ambientali del fossato; mentre considerazioni ambientali sull'area prossima al sito sono state dedotte dall’osservazione della malacofauna terrestre. È stato inoltre rinvenuto un esemplare marino appartenente al genere Nassarius che potrebbe indicare possibili frequentazioni delle aree costiere o scambi commerciali.
Bibliografia:
Albaina
N., Olsen J. L., Couceiro L., Ruiz J. M., Barreiro R.,
Recent
history of the European Nassarius nitidus (Gastropoda):
phylogeographic evidence of glacial refugia and colonization
pathways,
in Mar
Biol 159,
2012, pp. 1871–1884.
Anderson
R.,
An
annoted list of the non-marine mollusca of britain and ireland,
in
Journal of Conchology 38,
London 2005, pp. 607-638.
Cossignani
T., Cossignani
V., Atlante
delle Conchiglie Terrestri e Dulciacquicole Italiane,
Ancona 1995.
Drago
F., Tra
Villaggio Grande e Villaggio Piccolo. Stratigrafia e fauna nell'area
interna della terramara Santa Rosa di Poviglio,
tesi di laurea in Scienze Naturali, Università degli Studi di
Milano, 2011-2012.
Georgiev
D. G., Freshwater
malacofauna of Upper Thracian Lowland (Southern Bulgaria),
in Acta
zool. Bulg.,
64 (4),
2012, pp. 413-420.
Girod
A., Importanza
dei molluschi terrestri e d’acqua dolce in archeologia,
in Preistoria
Alpina, 40, suppl. 1,
2005, pp. 125-131.
Grigorovich
I. A., Mills E. L., Richards C. B., Breneman D., Ciborowski J.
J. H., European
Valve Snail Valvata piscinalis (Müller),
in the
Laurentian Great Lakes Basin, Internat. Assoc. Great Lakes Res., 31,
2005, pp. 135–143.
Howlet
S. A., The
Biology, Behaviour and Control of the Field Slug Deroceras
reticulatum (Müller),
tesi di laurea discussa alla facoltà di Biologia, University of
Newcastle upon Tyne 2005.
Poggiani
L., Mattioli G., Micali
P., I
molluschi marini conchiferi della Provincia di Pesaro e Urbino,
2004.
Ricostruzione paleoambientale delle terramare di Baggiovara e Casinalbo (Modena)
M.C. Montecchi1, A.M. Mercuri1, G. Pellacani2, A. Cardarelli3
1
Università di Modena e Reggio Emilia -
mariachiara.montecchi@unimore.it
2
Museo Archeologico Etnologico di Modena
3
La Sapienza Università di Roma
Lo studio palinologico della Terramara di Baggiovara (Bronzo Medio 1 e 2, dal 1650 al 1500 a.C. circa) e della Necropoli di Casinalbo (Bronzo Medio 2 e Bronzo Recente 2, dal 1550 al 1150 a.C. circa) ha fornito nuovi elementi utili alla comprensione dell’uso del territorio al tempo della cultura terramaricola durante il Bronzo Medio e Recente nell’area dell’alta pianura modenese. I due siti sono distanti circa 1,6 km l’uno dall’altro, non lontani dalla Terramara di Montale (Mercuri et alii 2006, 2012). I diagrammi pollinici di Baggiovara e Casinalbo mostrano simili dati medi, dimostrando come anche studi in contesti influenzati da presenza umana (on-site), nonostante le stratigrafie siano tipicamente influenzate dalla presenza e attività dei gruppi insediati, possano essere utili per le ricostruzioni paleoambientali. In base a quanto emerso dai dati pollinici, i siti sorsero in aree caratterizzate da scarsa presenza umana. La maggior parte delle aree circostanti i villaggi dovevano essere destinate a pascoli e in parte alla coltivazione dei cereali. Le zone boschive, che rappresentavano una risorsa sia per il legname, sia per i frutti che potevano essere raccolti nello spontaneo, erano diventate più rade, fino quasi a scomparire in alcuni luoghi, con l’ampliamento dei villaggi. L’attività umana continuativa e persistente su un’area limitata ha inevitabili conseguenze sugli equilibri ecologici. In particolare, l’azione simultanea di più insediamenti e l’elevata pressione demografica nell’area possono aver avuto ripercussioni anche su scala regionale (Cremaschi et alii 2006; Cardarelli 2010).
Bibliografia
Cardarelli
A., The
collapse of the Terramare Culture and growth of new economic and
social systems during the Late Bronze Age in Italy,
in Atti del Convegno Internazionale Le
ragioni del cambiamento / Reasons for change
(Roma,
15-17 Giugno 2006),
in Scienze
dell’Antichità 15,
Roma 2010, pp. 449-520.
Cremaschi
M., Pizzi
C., Valsecchi
V., Water
management and land use in the terramare and a possible climatic
co-factor in their collapse: the case study of the terramara S. Rosa
(Northern Italy),
in Quaternary
International 151,
2006, pp. 87-98.
Mercuri
A.M., Accorsi C.A., Bandini Mazzanti M., Bosi G., Cardarelli A.,
Labate D., Marchesini M., Trevisan Grandi G.,
Economy
and environment of Bronze Age settlements Terramaras on the Po Plain
(Northern Italy): first results from the archaeobotanical research at
the Terramara di Montale, in
Vegetation
History Archaeobotany 16,
2006, pp. 43-60.
Mercuri
A.M., Bandini Mazzanti M., Torri P., Vigliotti L., Bosi G.,
Florenzano A., Olmi L., Massamba N’siala I.,
A
marine/terrestrial integration for mid-late Holocene vegetation
history and the development of the cultural landscape in the Po
valley as a result of human impact and climate change,
in Vegetation
History Archaeobotany 21 (4),
2012, pp. 353-372.
Mercuri
A.M., Montecchi M.C., Pellacani G., Florenzano A., Rattighieri E.,
Cardarelli A.,
submitted, Environment,
human impact and the role of trees on the Po plain during the Middle
and Recent Bronze Age: pollen evidence from the local influence of
the terramare
of
Baggiovara and Casinalbo,
in Review
of Palaeobotany and Palynology.
Tra Villaggio Piccolo e Villaggio Grande nella terramara S. Rosa di Poviglio: i materiali ceramici del fossato al margine della terramara piccola
C. Pizzi1, C. Viganò2, E. Ziraldo3
1 Università
degli Studi di Milano – chiara.pizzi@libero.it
2
Università degli Studi di Ferrara
3 Università
degli Studi di Torino
Le indagini archeologiche compiute a partire dalla campagna di scavo 2012 a S. Rosa di Poviglio (RE), hanno permesso di intercettare un tratto del fossato che separa il Villaggio Piccolo dal Villaggio Grande, mettendone in luce entrambe le sponde. L’esistenza di tale fossato era già nota grazie ad una trincea aperta nel 1984 (Bernabò Brea et alii 1990), e che attraversava longitudinalmente tutto il sito. Ai tempi delle prime indagini, tuttavia, l’esplorazione si era interrotta senza intercettare i riempimenti dell’età del Bronzo. Le successive ricerche nel Villaggio Piccolo (Bernabò Brea, Cremaschi 2004) si erano fermate al margine superiore del fossato, individuando una palizzata lignea perimetrale, distrutta da un incendio e sostituita in una fase avanzata con un massiccio terrapieno. Grazie al contributo delle indagini geofisiche è stato invece possibile intercettare la struttura del fossato interno, aprendovi un saggio di notevole profondità che ha rivelato una situazione inedita, finora non documentata nel mondo terramaricolo. Le due sponde, rispettivamente Nord e Sud del fossato hanno mostrato una situazione differente, di cui anche i materiali rinvenuti ci permettono di seguire l’evoluzione. I manufatti ceramici rinvenuti poggianti alla sponda Nord del fossato sono piuttosto abbondanti e assai differenziati sia dal punto di vista cronologico che tipologico. Ciò permette di evidenziare una articolazione nel tempo compresa tra il Bronzo Recente avanzato (materiali che si appoggiano al terrapieno) e il Bronzo Medio 2 (depositi del fondo del canale). Molto più frammentari sono i materiali provenienti dalla sponda Sud; difficilmente databili anche per la prevalenza di forme poco significative dal punto di vista tipologico, essi si collocano in un generico periodo di Bronzo Medio anche piuttosto avanzato. In quest’ultimo insieme ricorrono anche materiali di epoche successive, che inducono a pensare che la struttura rimanga in uso, seppure in modo sporadico e discontinuo per un lunghissimo periodo compreso tra l’età del Bronzo e l’età romana. Il Villaggio Piccolo risulta dunque circondato non da un solo fossato ma da due canali concentrici, per una ampiezza complessiva di 20m, il cui fondo si trova oggi a 4.50 m dal piano campagna; quello più interno che delimita il piede del villaggio ed è costituito da una ripida scarpata tagliata artificialmente nel dosso fluviale sul quale venne costruito l’abitato, mentre quello più esterno, al di là della sponda tagliata artificialmente che lo limita, risale gradualmente fino al livello di campagna dell’età del Bronzo, posto ad una profondità di più di 1 m dal livello di campagna attuale. La terramara non si configura pertanto come un semplice villaggio posto a livello dei campi, ma un fortilizio, rilevato rispetto alla campagna circostante e solidamente difeso, sia dalla sua posizione eminente, sia da una palizzata lignea prima e da un massiccio terrapieno poi. Tale circostanza è coerente con il quadro di tensioni e conflittualità nella società terramaricola che sta emergendo dalle recenti ricerche e giustificherebbe il massiccio investimento di lavoro erogato per sviluppare le strutture difensive dei villaggi.
Bibliografia:
Bernabò
Brea M., Cremaschi M.,
Il villaggio piccolo
della terramara S. Rosa di Poviglio. Scavi 1987-1992,
Firenze 2004.
Bernabò
Brea M., Bronzoni L., Cremaschi M., Mutti A.,
Le indagini 1983-1984
nella terramara S. Rosa a Fodico di Poviglio (RE),
in Padusa XXV,
1990, pp. 69/172.
Viganò
C., Materiali
ceramici provenienti dall'area del fossato e del terrapieno del
Villaggio Piccolo di S.Rosa di Poviglio (RE): analisi stratigrafiche,
tipologiche e archeometriche,
tesi di laurea in Scienze
e Tecnologie per i Beni Culturali e i Supporti Digitali, Università
degli Studi di Milano, 2012-2013.
Ziraldo
E. G., Reperti
ceramici della terramara di Poviglio: aspetti stratigrafici,
tipologici e archeometrici relativa
a materiali ceramici provenienti da S. Rosa di Poviglio,
tesi di laurea in
Scienze e Tecnologie per i Beni Culturali e i Supporti Digitali,
Università degli Studi di Milano, 2012-2013.
Issues in radiocarbon dating the Terramara of Santa Rosa di Poviglio
E. Valzolgher1, M. Cremaschi2, A. Zerboni2
1Ricerche
Archeologiche snc/Archäologische Untersuchungen OHG
- eriovalz@gmail.com
2Università
degli Studi di Milano
Since the late 1980s, an intensive dating program has been undertaken at the Terramara Santa Rosa di Poviglio. Altogether, 31 radiocarbon dates have thus far been obtained at three different 14C laboratories (Geochron Laboratories, Cambridge, MA, USA; Poznańskie Laboratorium Radiowęglowe, Poznań, Poland; Center for Applied Isotope Studies, University of Georgia, Athens, GA, USA). Here, we present a preliminary evaluation of the as-yet-unpublished radiocarbon dates from the Villaggio Grande. Future work will include: 1) a reappraisal of the Villaggio Piccolo charcoal dates (Bernabò Brea, Cremaschi 1997; Cremaschi 2004), by employing novel statistical methods (see e.g. Dee, Bronk Ramsey 2014); 2) Bayesian modelling of the Villaggio Grande radiocarbon dates (Bronk Ramsey 2009); and 3) an assessment of the overall radiocarbon evidence from the Terramara of Santa Rosa di Poviglio in the broader context of the north Italian MBA and LBA absolute chronology and late Holocene climate changes.
References:
Bernabò
Brea M., Cremaschi M.,
Datazioni
radiometriche dalla terramara S. Rosa di Poviglio,
in, a cura di Bernabò
Brea M., Cardarelli A., Cremaschi M.,
Le
Terramare. La più antica civiltà padana.
Catalogo
della Mostra,
Milano
1997, p 350.
Bronk
Ramsey
C., Bayesian
analysis of radiocarbon dates,
in Radiocarbon
51(1),
2009,
pp. 337–360.
Cremaschi
M., Le
datazioni radiocarboniche,
in, a cura di Bernabò
Brea M., Cremaschi
M., Il
Villaggio Piccolo della Terramara di Santa Rosa di Poviglio. Scavi
1987–1992,
Firenze 2004, pp. 693–702.
Dee
M.W., Bronk Ramsey
C., High-precision
Bayesian modeling of samples susceptible to inbuilt age,
in Radiocarbon
56(1), 2014, pp. 83–94.