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AMBIENTE, TERRA E CIVILTÁ

NELLA PIANURA PADANA DELL’ETÁ DEL BRONZO

Convegno per i trent’anni di ricerche nella Terramara Santa Rosa di Poviglio,
tra ricerca scientifica e valorizzazione


Poviglio (RE), Centro Kaleidos, 9-10 Maggio 2014

Giornatedi studi archeologici e geoarcheologici organizzate
dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna,
dal Dipartimento di Scienze della Terra ‘A. Desio’ dell’Università degli Studi di Milano
e dal Comune di Poviglio, con il supporto di Coopsette ed Archeosistemi.

Con il patrocinio di:
Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria (IIPP);
Associazione Italiana di Geografia Fisica e Geomorfologia (AIGeo);
Gruppo di Palinologia della SocietàBotanica Italiana.


Comitato promotore
Mauro Cremaschi, Maria Bernabò Brea, Giammaria Manghi, Filippo Ferrari

Comitato organizzatore
Angela Mutti, Alessandra Branchini, Luca Trombino, Andrea Zerboni




Programma del Convegno



      9Maggio 2014


9.00-9.30 – Accoglienza e registrazione presso il Centro Kaleidos, caffè di benvenuto.


   Apertura del Convegno

9.30-10.00 – Saluti delle Autorità: Sindaco di Poviglio, Soprintendente per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna; Rappresentante di Coopsette.
10.00-10.20 – M. Bernabò Brea, M. Cremaschi: Trent’anni di scavi nella Terramara di Santa Rosa di Poviglio.


   I Sessione: Aspetti Ambientali e Strutturali (Chairman: A.M. Mercuri)

10.20-10.35 – M. Cremaschi, C. Pizzi: Strutture dell’abitato ed apparati idraulici circostanti.
10.40-10.55 – M. Giudici, M. Cremaschi, M. Mele, A. Lozej, A. Bassi: Prospezioni geofisiche per la ricostruzione delle strutture della terramara Santa Rosa di Poviglio (RE).
11.00-11.15 – M. Marchesini, S. Marvelli, E. Rizzoli: Ambienti in-site and off-site nella terramara di Poviglio.
11.20-11.35 – C. Nicosia, C. Balista, M. Cupitò, M. G. Leonardi, E. Dalla Longa, Dal Corso,W. Kirleis: Le strutture idrauliche del sito di Fondo Paviani (Legnago, Verona) nel quadro della ricostruzione paleoambientale dell'area.
11.40-11.55 – N. Martinelli: La dendrotipologia: uno strumento per lo studio dei rapporti uomo-ambiente nell'età del Bronzo.
12.00-12.15 – G. Tasca, C. Putzolu, D. Vicenzutto: Rividischia (Codroipo, Udine): un esempio di sistema di captazione idrica di un castelliere friulano dell’età del Bronzo.
12.20-12.35 – C. Balista, C. Bovolato: Terrapieni a protezione dei campi dall’invasione delle torbiere nelle Valli Grandi Veronesi durante l’età del Bronzo (progetto AMPBV).
12.40-12.55 – A. Di Renzoni: Il potere dell’acqua: canali, élite e cambiamenti traumatici.


13.00-14.00 – Pausa pranzo (Buffet).


   II Sessione: Aspetti Culturali(Chairman:R.C.De Marinis)

14.00-14.15 – M. Bernabò Brea, A. Mutti: La distribuzione dei manufatti in bronzo nel villaggio grande della terramara di Poviglio in relazione alle fasi ealle strutture.
14.20-14.35 – P. Bellintani, I. Angelini: Beck to Poviglio. Ambre e materiali vetrosi di ambito terramaricolo e dintorni.
14.40-14.55 – N. Provenzano: Dal Villaggio Piccolo al Villaggio Grande: lo sfruttamento delle materie dure di origineanimale a Poviglio.
15.00-15.15 – E. Maini: Lo sfruttamento delle risorse animali nella Romagna dell'età del Bronzo in rapporto al quadro economico delle Terramare emiliane.
15.20-15.35 – L. Fozzati, F. Rubat Borel, N. Martinelli, J. Köninger, F. Menotti: Il sito palafitticolo di Viverone Vi1-Emissario: aggiornamento dei dati e nuove indagini.
15.40-15.55 – I. Dori, G. Falchetti, G. Stefania, L. Bachechi, J. Moggi Cecchi: Le necropoli del Bronzo Antico di Arano (VR) e Sorbara di Asola (MN): risultati e confronti alla luce delle analisi antropologiche.
16.00-16.15 – M. Miari, D. Gasperini, E. Maini: L'abitato del Bronzo Medio e Recente di Cesena: evoluzione del sito e contatti con l'area terramaricola.
16.20-16.45 – Discussione.


16.45-17.15 – Pausa caffè.


   Conferenze ad invito

17.15-17.45 – A.M. Mercuri: Ambiente e coltivazioni nel mondo delle terramare.
17.45-18.15 –  R.C. De Marinis: La metallurgia nell’età del Bronzo.
18.15-18.45 –  A. Cardarelli: Il collasso della civiltà terramaricola.
18.45-19.15 –  M. Cupitò: I Micenei nell’Alto Adriatico.



      10Maggio 2014


   III Sessione: L’età del Bronzo di altre aree italiane (Chairman: M. Cupitò)

8.40-8.55 – G. Baratti: Il sito di Guardamontesul Monte Vallassa (PV-Al) nel quadro dell'insediamento umani in Appennino Settentrionale nell'età del Bronzo.
9.00-9.15 – G. Pignocchi: Cisterna di Tolentino e Moscosi di Cingoli: due siti di ambiente umido delle Marche. Strutture e elementi di confrontocon Santa Rosa di Poviglio.
9.20-9.35 – R.T. Melis, A. Depalmas, G. Fundoni: Ambiente e insediamenti del Bronzo nella Sardegna centro-occidentale: il sito di Sa Osa (Cabras - OR).
9.40-9.55 – I.M. Muntoni, G.Fiorentino, C. D'Oronzo, M. Primavera, F. Radina: Adattamenti socio-economici delle comunità dell'Età del Bronzo in Puglia alle modificazioni climatiche tardo oloceniche del Mediterraneo centrale.
10.00-10.15 – A. Ferrari, V. Leonini, N. Morandi: Alto Casino (San Cesario, Modena). Insediamento dell'antica età del Bronzo.
10.20-10.30 – F. Bortolami: La capanna dell'età del Bronzo di Amolara (Adria): stato delle ricerche e prospettive future.


10.40-11.00 – Pausa caffè.


   IV Sessione: Valorizzazione (Chairman: A. Cardarelli)

11.00-11.15 – F.Ferrari: Poviglio e la sua terramara: dallo scavo alla vita della comunità.
11.20-11.35 – F. Marzatico: Fra lo scavo e il museo: living history.
11.40-11.55 – C. Zanasi: Il Parco di Montale: 10 anni di attività fra ricerca, divulgazione e didattica.
12.00-12.15 – M. Bernabò Brea, M. Maffi: Il Parco Archeologico del Villaggio Neolitico di Travo: valorizzazione e tutela.
12.20-12.35 – C. Basile, M.Garofalo: Attività museale e progetti educativi speciali: un’esperienza al Museo della Terramara di S. Rosa di Poviglio.
12.40-12.55 – C. Basile, N. Di Foggia: Philosophy for children al Museo della Terramara S. Rosa di Poviglio.
13.00-13.15 – M. Bernabò Brea, M. Cremaschi, A. Mutti: La prospettiva Parco Archeologico della Terramara Santa Rosa diPoviglio.
13.20-13.50 – Discussione e chiusura dei lavori.


13.50-14.50 – Pausa pranzo (Buffet); a seguire visita al Museo della Terramara di Poviglio guidata da A. Mutti.



   Sessione Poster

A. Armigliato: Analisi tipologica di falcetti di bronzo protostorici.
L. Bonizzoni, C. Viganò, E.G. Ziraldo: Materiali ceramici dalla terramara di Santa Rosa: un approccio archeometrico.
F. Borgi, P. Ferrari, T. Lachenal, E. Menghi, M. Salvioni, M. Scuotto: Le Strutture fravillaggio piccolo e villaggio grande.
G. Bosi, R. Rinaldi, M. Bandini Mazzanti: Reperti di corniolo (Cornus mas L.) e vite (Vitis vinifera L.) dalle terramare modenesi: considerazioni paletnobotaniche.
F. Drago: La malacofauna del Fossato della Terramara Santa Rosa di Poviglio: scavi dal 2008 al 2012.
A.M. Mercuri, M. Bandini Mazzanti, G. Bosi, P. Torri: Un nuovo punto vista per leggere l'ambiente dell'Età del Bronzo in Pianura Padana: dati pollinici da contesti marini e terrestri a confronto.
M.C. Montecchi,A.M. Mercuri, G. Pellacani, A. Cardarelli: Ricostruzione paleoambientale delle terramare di Baggiovara e Casinalbo (Modena).
C. Pizzi C. Viganò, E.G. Ziraldo: Tra Villaggio Piccolo e Villaggio Grande nellaterramara S. Rosa di Poviglio: i materiali ceramici del fossato al margine della terramara piccola.
E. Valzolgher, M. Cremaschi, A. Zerboni: Issues in radiocarbon dating the Terramara of Santa Rosa di Poviglio





  Riassunti

 Le strutture idrauliche al margine dell’abitato e gli apparati idraulici relativi

M. Cremaschi, C. Pizzi

Università degli Studi di Milano – mauro.cremaschi@unimi.it, chiara.pizzi@libero.it

Le campagne di scavo degli ultimi dieci anni nella terramara S. Rosa di Poviglio hanno messo in luce, al margine del Villaggio Grande, un complesso sistema idraulico, realizzato nella fase di impianto di questa parte della terramara alla fine del Bronzo Medio, composto, a ridosso delle tracce della palizzata lignea, di grandi pozzi, dal fossato periferico, dal fossato, dal canale adduttore e, in posizione ancora più esterna, da un ulteriore canale. Un ulteriore tratto di canale risalente al Bronzo Recente è stato recentemente rinvenuto a più di un chilometro dell’abitato indicante che, esisteva alla periferia del sito, al momento del suo apogeo, una campagna dedita all’agricoltura ed irrigata per ampio tratto. Il sistema idraulico circostante l’abitato, subisce profondi cambianti durante il Bronzo Recente a causa di un evento alluvionale che oblitera il canale e probabilmente anche il fossato. Questo però viene riescavato e riattivato, contestualmente alla costruzione del terrapieno che va a ricoprire la precedente palizzata lignea. Alla fine di questo periodo sul fondo del fossato, vengono aperti numerosi pozzi concentrati specialmente al suo margine esterno con lo scopo di fornire acqua verso la campagna fuori dall’abitato. Tali pozzi raggiungono la falda acquifera a una profondità sensibilmente maggiore di quella utilizzata dai pozzi della recinzione ormai defunzionalizzati. Tale fatto è conseguenza di un periodo di aridità, che può aver contribuito all’abbandono del villaggio e alla crisi del sistema terramaricolo.




Prospezioni geofisiche per la ricostruzione delle strutture della terramara Santa Rosa di Poviglio (RE)

M. Giudici1,2,3, M. Cremaschi1, M. Mele1,2,4, A. Lozej1,2, A. Bassi5

1 Università degli Studi di Milano - mauro.giudici@unimi.it, mauro.cremaschi@unimi.it, alfredo.lozej@unimi.it, mauro.mele@unimi.it,
2 CNR-IDPA (Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali)
3 CINFAI, Consorzio Interuniversitario Nazionale per la Fisica delle Atmosfere e delle Idrosfere
4 i.Geo snc,
5

Le prospezioni geofisiche nel sito della terramara Santa Rosa di Poviglio sono iniziate durante la campagna di scavo 2008 e sono proseguite fino al dicembre 2013. Nel corso delle campagne di misura sono stati eseguiti rilievi elettromagnetici (Frequency Domain Electro-Magnetics; FDEM) con un ground-conductivity meter GSSI Profiler EMP-400, ricoprendo un’area totale di circa 43 ha attraverso una acquisizione lungo più di 180 profili di indagine per una lunghezza totale di circa 80.000 m lineari. Queste misure, eseguite con segnali la cui frequenza variava tra 5kHz e 15kHz, hanno permesso di produrre mappe della distribuzione della resistività (o conducibilità) elettrica del sottosuolo a piccola profondità. Queste misure sono state affiancate da acquisizioni ERI (Electrical Resistivity Imaging) lungo 70 linee di acquisizione, con spaziatura elettrodica da 1 m a 3 m e una lunghezza totale dei profili di circa 9.000 m lineari, con l’obiettivo di fornire informazioni sulla struttura 2D lungo sezioni verticali o addirittura 3D. Per l’esecuzione di queste misure sono stati usati lo strumento PASI 16 G e il prototipo Mangusta 2GET sviluppato dall’IDPA-CNR. Infine sono stati eseguiti anche alcuni rilievi magneto-gradiometrici, che hanno fornito dati meno significativi: in particolare l’obiettivo delle misure magnetiche era l’individuazione di una eventuale fornace o di corpi metallici, che però non sono stati messi in evidenza.
In base alle caratteristiche geologiche latu senso (sedimentologiche, geomorfologiche, litologiche, petrografiche, ecc.) del sito e all’evoluzione dell’uso del suolo e del territorio a partire dall’età del Bronzo, le variazioni di resistività elettrica possono essere legate a diversi fattori: (1) diverse caratteristiche dei suoli; (2) contrasti litologici, ad esempio tra il dosso sabbioso verosimilmente utilizzato come substrato per i villaggi terramaricoli e la pianura alluvionale circostante, prevalentemente caratterizzata da materiali limoso-argillosi; (3) riempimento di canali naturali e artificiali con materiali aventi granulometria differente dal substrato; (4) presenza di residui di fabbricati preistorici e storici (ad esempio, i mattoni della villa romana). I terreni dell’area sono estremamente conduttivi, con contrasti di resistività molto piccoli: queste non sono condizioni ideali per l’esecuzione di rilievi geofisici. Ciononostante, l’ottima qualità dei dati raccolti sul terreno ha permesso di ottenere risultati di grande importanza geoarcheologica (Mele et alii, 2013).
Il risultato di più immediata utilità e facilità di interpretazione è rappresentato dalla mappa di resistività apparente ottenuta con la prospezione FDEM alla frequenza di 15kHz. L’interpretazione geologica e geoarcheologica delle anomalie visibili in questa mappa è stata possibile grazie alla integrazione sia con i risultati ERI, sia con i risultati delle campagne di scavo e alcuni saggi eseguiti in aree particolarmente significative. La mappa mostra chiaramente la geometria del villaggio grande e del villaggio piccolo, grazie al contrasto di resistività tra i dossi sabbiosi più resistivi (>12-14 m), sui quali erano realizzati i villaggi, e i materiali circostanti che sigillano il sito (<10-12 m).


Bibliografia:
Mele
M., Cremaschi M., Giudici M., Lozej A., Pizzi C., Bassi A., The terramare and the surrounding hydraulic structures: a geophysical survey of the Santa Rosa site at Poviglio (Bronze Age, Northern Italy), in Journal of Archaeological Sciences 40, 2013, pp. 4648-4662, doi:10.1016/j.jas.2013.06.033.



Ambienti “in-site and off-site” nella terramaradi Poviglio

M. Marchesini1, S. Marvelli2, E. Rizzoli2

1 Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna - marco.marchesini@beniculturali.it
2 Laboratorio di Palinologia e di Archeobotanica - C.A.A. Giorgio Nicoli S.r.l. - palinologia@caa.it

Durante le campagne di scavo 2009-2010 nella terramara di Poviglio (RE) è stato condotto un completo ed esaustivo campionamento pollinico in-site dai principali livelli indagati archeologicamente; nel 2011, in occasione della posa di una tratta di metanodotto, è stato effettuato il campionamento di una sequenza off-site relativa ad un canale, distante circa 1,5 km dall’abitato. I successivi studi archeopalinologici hanno permesso di ricostruire l’evoluzione dell’ambiente, fornendo preziose informazioni sul paesaggio vegetale e sul livello di antropizzazione del territorio, mettendo a confronto per la prima volta i dati appartenenti a contesti in-site con quelli off-site.
L’immagine del paesaggio vegetale così ottenuta presenta, in una prospettiva multidisciplinare, le testimonianze e le interazioni delle attività antropiche di un preciso contesto storico-archeologico. Nel Bronzo Recente l’area circostante l’abitato risulta abbastanza aperta (valore medio delle arboree: 37,3%), mentre il ricoprimento arboreo risulta maggiore nell’area del canale di via Piccola (valore medio delle arboree: 72,7%) con elementi del Querceto mesofilo e dei boschi igrofili. Il livello di antropizzazione è elevato nell’abitato e nelle zone limitrofe, dove sono testimoniate coltivazioni di cereali, leguminose e canapa, invece è molto basso nell’area di via Piccola, dove le coltivazioni sono praticamente assenti. La presenza delle piante tipiche di aree umide è significativa in entrambi i siti.
Nel Bronzo Recente Avanzato si registra un forte calo del tasso di afforestamento sia nei campioni in-site che in quelli off-site (11,2%-27,7%); inoltre incrementa il livello di antropizzazione, in particolare in via Piccola e si espandono le aree aperte a prato/pascolo, che superano in questa fase il 50% degli spettri pollinici.
Nella fase di abbandono il tasso di afforestamento rimane basso e si verifica un incremento significativo delle specie tipiche di zone a prato/pascolo/incolto, che raggiungono il 70%.
In alcuni livelli off-site, in particolare nel canale dell’abitato, risulta elevata la presenza di granuli pollinici secondari a testimonianza di un probabile apporto di sedimenti più antichi provenienti da zone appenniniche.




Le strutture idrauliche del sito di Fondo Paviani (Legnago, Verona) nel quadro della ricostruzione paleoambientale dell’area.

C. Nicosia1; C. Balista2; M. Cupitò3; G. Leonardi3; E. Dalla Longa3; M. Dal Corso4; W. Kirleis4

1 CREA- Université Libre de Bruxelles - cristianonicosia@yahoo.it
2 Geoarcheologi Associati s.a.s. Padova
3 University of Padova - michele.cupito@unipd.it, giovanni.leonardi@unipd.it,
4 Christian-Albrechts University of Kiel - wiebke.kirleis@ufg.uni-kiel.de

Il sito del Bronzo Recente-Finale (XIV-XII sec. a.C.) di Fondo Paviani copre un’area di oltre 20 ettari ed è circondato da un fossato e da un aggere quadrangolare. Il sito si trova nell’area di bassa pianura a Sud di Verona, nelle cosiddette “Valli Grandi Veronesi”. Fondo Paviani è situato all’interno della paleovalle del fiume Menago, una delle valli fluviali terrazzate incise durante l’Olocene nel Conoide Antico dell’Adige e rioccupate da fiumi di risorgiva. Il Conoide Antico dell’Adige corrisponde al sandur del ghiacciaio del Garda di età tardo-pleistocenica.
I dati provenienti da diverse campagne di scavo dell’Università di Padova, integrate dal rilevamento di ampie sezioni stratigrafiche e da carotaggi manuali hanno permesso di investigare una parte dell’interno del sito e le strutture idrauliche poste a Est del sito stesso. Oltre all’analisi di un primo fossato pre-aggere e dell’aggere stesso, l’attenzione è stata rivolta al riempimento della valle compresa tra il manufatto aggerale e il margine del terrazzo del Conoide Antico dell’Adige. Tale riempimento è composto da ca. 2 m di sedimenti organici (torbe detritiche, gyttja) e, in minor parte, minerogeni. La sequenza qui esposta è stata utilizzata per ricavare informazioni sul paleoambiente precedente, contemporaneo e successivo alla vita del sito. Oltre al rilevamento stratigrafico di campagna e allo studio tipo-cronologico dei manufatti rinvenuti, si è fatto ricorso ad analisi archeobotaniche, malacologiche, radiocarboniche, sedimentologiche e micromorfologiche.




La dendrotipologia: uno strumento per lo studio dei rapporti uomo-ambiente nell’età del Bronzo

N. Martinelli

Dendrodata s.a.s - nicoletta.martinelli@dendrodata.it

La dendrocronologia sin dagli anni ’80 del secolo scorso si è imposta come strumento indispensabile allo studio dei contesti preistorici italiani, trovando il suo principale campo di applicazione nella datazione dei villaggi palafitticoli. La cronologia dell’antica e media età del Bronzo dell’Italia settentrionale, in particolare, si fonda in gran parte su risultati ottenuti dalle datazioni dendrocronologiche. Nell’ultimo periodo, tuttavia, gli sviluppi metodologici della dendrocronologia applicata all’archeologica si sono rivolti ad altri aspetti della disciplina (dendrochronology ‘beyond dating’).
La dendrocronologia, infatti, non è solo un metodo di datazione, ma una scienza di più ampio respiro, di ambito ambientale, che con i suoi metodi permette di decifrare e raccogliere vari tipi di informazioni registrate nelle sequenze anulari degli alberi, fino a giungere alla ricostruzione dei principali parametri climatici del passato su scala annuale, tramite la dendroclimatologia. Nell’ottica del principale argomento di questo incontro di studi, tuttavia, è soprattutto l’ambito di ricerca definito dendrotipologia, che può rivelarsi uno strumento potente nella ricostruzione di dettaglio dello studio del rapporto uomo-ambiente.
La dendrotipologia è un’analisi basata sulla combinazione di parametri forestali (diametro del tronco, classe d’età, tasso di accrescimento) e parametri tecnologici (scelta del tipo di legno, tecniche di lavorazione), che permette di ottenere informazioni sia sulle scelte operate dall’uomo sia sulle condizioni dei boschi usati come fonte di approvvigionamento, giungendo all’identificazione delle pratiche forestali utilizzate nella preistoria. Sulla base dei dati forniti dalla dendrotipologia è possibile riconoscere le diverse risposte adottate dalle comunità al variare delle condizioni ambientali e delle strutture forestali e, quindi, giungere a una ricostruzione di dettaglio delle modalità dell’occupazione degli ambienti (B
illamboz 2011).
Recentemente i metodi della dendrotipologia sono stati applicati con successo anche su vari contesti dell’Italia settentrionale, fra i quali risultano già editi i due villaggi palafitticoli del Lucone D (BS) (2035 - 1969 cal BC (±10) e del Sabbione (VA)(1632 -1563 cal BC (± 30)(M
artinelli 2013).
Tali indagini hanno permesso di intravedere come, durante l’età del Bronzo, caratterizzata da forti variazioni, climatiche da un lato e socio-economiche dall’altro, anche in Italia settentrionale si assista a una storia insediativa non lineare accompagnata da profondi cambiamenti nella struttura forestale. Al Lucone D è documentato lo sfruttamento di una zona boschiva quasi del tutto naturale, sorta però a seguito di una rigenerazione spontanea dopo un episodio di deforestazione, avvenuto circa 120 anni prima del primo insediamento del villaggio del Bronzo Antico del 2035 cal BC. L’approvvigionamento del legname di quell’anno e degli anni successivi non pare derivare da abbattimenti generalizzati, con creazione di ampie radure, ma piuttosto da tagli episodici, effettuati
‘on demand’ su alberi con caratteri particolari.
Qualche secolo più tardi i boschi sfruttati al Sabbione portano traccia di un impatto antropico molto più forte, con segni di interventi e fasi di rigenerazione asincrone, probabilmente legate a un marcato sviluppo demografico. Ciò conduce alla progressiva mancanza di disponibilità del buon legname di quercia caducifoglia della sezione
ROBUR e la palizzata più esterna viene edificata con pali anche di altre specie legnose meno pregiate. Qualcosa di analogo avviene, nel corso del 18° secolo cal BC, nel villaggio del Frassino I (VR-Peschiera) dove, per le costruzioni degli ultimi episodi insediativi si ricorre alla quercia della sezione CERRIS.
La dendrotipologia, in confronto ad altre scienze di ambito paleo-ambientale, presenta il vantaggio di operare su campioni che sono allo stesso tempo arte-fatti (gli elementi delle strutture lignee di un villaggio) ed eco-fatti (gli alberi da cui sono stati ricavati) e costituisce una sorta di interfaccia tra l’archeologia e le scienze naturali. Il forte livello di contestualizzazione che ne deriva permette una migliore comprensione dei rapporti fra uomo e ambiente e una migliore definizione dello sviluppo insediativo, anche in termini di rapporto fra lo sviluppo forestale, le proprietà tecnologiche del legname disponibile e gli adattamenti/adeguamenti costruttivi.
Risulta evidente, quindi, come l’applicazione delle indagini dendrocronologiche e dendrotipologiche a quei contesti terramaricoli caratterizzati dalla conservazione del legno potrebbe dare un contributo determinante all’identificazione dei fenomeni naturali e antropici che hanno condotto al collasso del territorio, permettendo anche di seguirne lo sviluppo su scala annuale, con una risoluzione temporale sconosciuta ad altri metodi.

Bibliografia:
B
illamboz, A., Applying dendrotypology to large timber series, in, a cura di Fraiture P., Tree Rings, Art, Archaeology. Proceedings of the Conference, in Scientia Artis 7, (Brussels 10-12 February 2010), Brussels 2011, pp. 177-188.
M
artinelli, N. Dendro-typology in Italy: The case studies of the pile-dwelling villages Lucone D (Brescia) and Sabbione (Varese), in, a cura di Bleicher N., Gassmann P., Martinelli N., Schlichtherle H., Dendro –Chronologie –Typologie –Oekologie, Festschrift für André Billamboz zum 65. Geburtstag,. Freiburg im Breisgau 2013, pp. 117-124.




Rividischia (Codroipo, Udine): un esempio di sistema di captazione idrica di un castelliere friulano dell’età del bronzo

C. Putzolu, G. Tasca, D. Vicenzutto

Si intende presentare un caso di studio sui sistemi di alimentazione idrica di castellieri friulani.
Il sito scelto per l’indagine è il castelliere di Rividischia in comune di Codroipo, individuato nel 1983 e oggetto di scavi organizzati dai Civici Musei di Udine in collaborazione con la Società Friulana di Archeologia tra il 1998 e il 2000. Il sito è stato quindi oggetto di indagini su dati telerilevati e campionature sul terreno (carotaggi) da parte di A. Fontana nella prima metà degli anni 2000.
Il sito, originariamente arginato, ha forma quadrangolare delimitata da paleoalvei perfettamente riconoscibili in foto aerea.
Nell’impossibilità di organizzare uno scavo estensivo dell’area compresa tra i paleoalvei, diversi saggi sono stati aperti nei punti che sembravano conservare lembi di stratigrafia: il progredire delle conoscenze sull’età del Bronzo in Friuli ha permesso solo di recente di dare una precisa scansione cronologica ai contesti indagati:

Una ricerca di superficie sistematica effettuata nell’area immediatamente a Sud all’esterno del castelliere, in prossimità quindi della struttura 1, ha portato a individuare numerosi punti di affioramento di pochi cocci (esiste una carta puntuale), di cui non conosciamo però l’interpretazione funzionale: è però quanto di più simile a un paesaggio dei dintorni di un castelliere che conosciamo oggi.




Il potere dell’acqua: canali, élite e cambiamenti traumatici.

A. Di Renzoni

ISMA-CNR - andrea.direnzoni@isma.cnr.it

Il potere è spesso visto come un elemento fondamentale nel meccanismo che regola le strutture sociali delle comunità ed è generalmente (ma non necessariamente) connesso a concetti quali quelli di forza e dominanza e viene analizzato ponendo particolare enfasi sull’aspetto economico-produttivo. Questa caratteristica, comune sia agli approcci di stampo “liberista” che marxisti (Miller, Tilley 1984), nella ricerca archeologica ha indotto molti autori a concentrare l’attenzione sulle dinamiche legate all’organizzazione del lavoro e all’accesso alle risorse, analizzando il potere in un dato contesto nella dicotomia “egalitario vs gerarchizzato” e ricercando nel record archeologico le tracce di tale contrapposizione.
In tal senso, una delle più evidenti manifestazioni archeologiche della diseguaglianza sociale è ravvisabile nella strutturazione del territorio, concepito come esito dell’
interazione tra la dimensione culturale organizzata e le risorse (Binford 1983). Il paesaggio come prodotto culturale può essere visto come l’espressione del modo in cui "… determinate classi di persone hanno immaginato se stesse e il loro mondo ... e attraverso il quale hanno sottolineato il loro ruolo sociale..." (Cosgrove 1984). Lo spazio fisico, allora, viene modellato anche in risposta a determinate esigenze simboliche: monumenti e grandi infrastrutture comunitarie sono segni permanenti che collegano la comunità al suo territorio ma allo stesso tempo possono rappresentare l'egemonia delle élite nell'ambito della sfera politico-cultuale (attività cerimoniali e/o civiche connesse ai monumenti) e della sfera economico-produttiva (massa critica di risorse allocate, pianificazione e programmazione, organizzazione del lavoro) (De Marrais et alii 1996).
In questo quadro possono essere letti i segni di alcuni degli aspetti più caratterizzanti la
facies terramaricola: quelli legati alla conformazione strutturale degli abitati e la densità demografica raggiunta grazie a un efficace sfruttamento del terreno attraverso tecniche irrigue. Il cambiamento nelle relazioni spaziali tra gli insediamenti che si percepisce al passaggio tra BM2 e BM3/BR1, unitamente all’emergere di forti disparità nelle dimensioni degli abitati nello stesso momento, è stato più volte letto come il segno di una tendenza verso una crescente complessità sociale (Cardarelli - Cremaschi 1997; Cardarelli 2009); alla stessa maniera la realizzazione di opere idrauliche è stata frequentemente correlata all’emergere e al formalizzarsi delle élite (Davies 2009).
Anche il veloce collasso del sistema è stato messo in relazione alla struttura sociale e, in ultima istanza, alla natura del potere nella società terramaricola: ai processi innescati da un inaridimento del clima una società sostanzialmente egalitaria non avrebbe saputo reagire, segnando di fatto il rapido e completo spopolamento di un territorio densamente abitato. Questo modello implica due assunti principali: il primo che le terramare non avessero dei gruppi egemoni capaci di accumulare potere economico (e quindi in grado di condizionare le scelte economico-produttive del resto della comunità), il secondo che l’assenza di élite così formalizzate renda difficile, se non impossibile, il superamento di forti stress al sistema (
Cardarelli 2009).
In tal senso entrambi i postulati meritano una profonda considerazione: 1) è stato infatti più volte sottolineato come “uguaglianza” e “disuguaglianza” non siano concetti univoci ma come, al contrario, ne esistano molte forme diverse e come queste rivelino diversi sistemi di relazioni sociali e di organizzazione economica e politica (F
rangipane 2007); 2) la progettazione, la realizzazione, lo sfruttamento di sistemi di produzione complessi, nonché la gestione dei conflitti che da essi scaturiscono non sembrano necessariamente implicare una società stratificata (Hunt - Hunt 1979).
Alcuni contesti, archeologici ed etnografici, forniscono l’opportunità per riflettere su questi aspetti, sui modelli fino ad ora proposti e sulla possibilità di formulare ipotesi alternative.

Bibliografia:
Binford L. R., Working at Archaeology, New York 1983.
Cardarelli A., Terramare: l'organizzazione sociale e politica delle comunità, in, a cura di Bernabò Brea M., Cardarelli A., Cremaschi M., Le Terramare. La più antica civiltà Padana, Catalogo della mostra, Milano 1997, pp. 653-660.
Cardarelli A., The Collapse of the Terramare Culture and growth of new Economic and Social System during the late Bronze Age, in Scienze dell’antichità 15, 2009, pp. 449-520.
Cosgrove D. E., Social Formation and Symbolic Landscape, London 1984.
De Marrais E., Luis Jaime Castillo L. J., Earle T., Ideology, Materialization, and Power Strategies, in Current Anthropology, Vol. 37, No. 1, 1996, pp. 15-31.
Frangipane M., Different types of egalitarian societies and the development of inequality in early Mesopotamia, in World Archaeology, Vol. 39, No. 2, 2007, pp. 151-176.
Hunt R. C., Hunt E., Canal Irrigation and Local Social Organization, in Current Anthropology, Vol. 17, No. 3, 1979, pp. 389-411.
Miller D., Tilley C., a cura di, Ideology, Power And Prehistory, Cambridge 1984.



La distribuzione dei manufatti in bronzo nel villaggio grande della terramara di Poviglio in relazione alle fasi e alle strutture

M.A. Bernabò Brea, A. Mutti

Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna - mariaadeliabernabobrea@beniculturali.it

Museo della Terramara S. Rosa di Poviglio – muttiangel@libero.it

Gli scavi, ormai trentennali, nella terramara S. Rosa a Poviglio hanno restituito alcune centinaia di reperti in bronzo e messo in luce una superficie estremamente vasta entro la quale si osserva una complessa articolazione di strutture. Sembra dunque possibile mettere in relazione con queste ultime, distinte per macro-fasi, la distribuzione dei manufatti metallici, anche in vista di una più completa interpretazione funzionale delle aree del villaggio nelle diverse fasi di vita. Le autrici si propongono di presentare i primi risultati dell'indagine in corso, a partire soprattutto dalle due classi di manufatti presenti col maggior numero di esemplari e che appaiono diagnostici da vari punti di vista: gli spilloni e i pugnali.



Beck to Poviglio. Ambre e materiali vetrosi di ambito terramaricolo e dintorni.

P. Bellintani1; I. Angelini2

1 Ufficio Beni Archeologici della Provincia Autonoma di Trento
2
Università degli Studi di Padova -

Dopo le prime indagini svolte sui materiali vetrosi di Poviglio, grazie all’interessamento di Maria Bernabò Brea, è stato possibile attivare nel 2005 due progetti di ricerca su ambre e materiali vetrosi dell’età del Bronzo italiana. Nell’ambito di tali progetti, patrocinati da I.I.P.P. e Soprintendenza di Trento e coordinati dagli scriventi, sono state condotte indagini archeologiche e archeometriche sui principali complessi di materiali del nord Italia, del Lazio, della Puglia, della Sardegna e della Sicilia.
Ripartendo dagli studi di Horace Beck sulla tipologia delle perle in faïence e vetro e da quelli di Curt Beck sulla caratterizzazione dell’ambra, siamo oggi in grado di definire le principali tappe della diffusione di materie prime, tecnologie e prodotti di fondamentale importanza per la comprensione delle dinamiche di scambio su lunga distanza nel II millennio a.C..
Tornando a Poviglio, va sottolineato che qui compaiono, nel Bronzo recente, manufatti riconducibili a probabili lavorazioni nord italiane di ambra e vetro, interpretabili come possibili precedenti dell’artigianato vetrario e dell’ambra dei centri produttivi del Bronzo finale del Veneto meridionale (Frattesina e Campestrin).




Dal Villaggio Piccolo al Villagio Grande: lo sfruttamento delle materie dure di origine animale a Poviglio.

Noelle Provenzano

CNRS, Université de Montpellier

Gli scavi della terramara S. Rosa di Poviglio, iniziati trent'anni fa, sono stati molto importanti da più punti di vista per la conoscenza delle produzioni su materie dure di origine animale, non soltanto in relazione agli insediamenti terramaricoli della Pianura Padana centrale ma anche, a livello più generale, per tutti quelli datati all’Età del Bronzo. Le conoscenze riguardanti queste industrie, famose per essere una delle caratteristiche della cultura terramaricole, si diffusero soprattutto attraverso le prime pubblicazioni ottocentesche e tramite l'importante monografia di G. Saflund; vanno inoltre ricordati alcuni dati puntuali pubblicati più di recente. Le ricerche di terreno e quelle di laboratorio, condotte a Poviglio con un approccio moderno, hanno permesso dunque non solo di rivelare la complessità e la varietà tipologica di questi manufatti, ma anche di inserirli nei loro contesti crono-culturali, consentendo infine di sviluppare una visione crono-tipologica più accurata, anche se in continua evoluzione.
La terramara di S. Rosa di Poviglio, insediata per quasi tutto il periodo terramaricolo, ha restituito finora quasi 900 pezzi rappresentanti tutte le categorie tecnologiche: blocchi di materie prime, supporti, abbozzi e naturalmente oggetti finiti. Confrontando queste informazioni con i dati stratigrafici e spaziali, la varietà degli elementi raccolti e la buona conservazione delle superfici, è stato infine possibile indagare in profondità le analisi tipo-cronologiche e tecnologici di queste produzioni. Ora si può ben rappresentare la complessità dello sfruttamento delle materie dure di origine animale presso la terramara di Poviglio, prendendo in considerazione la gestione del mondo animale selvatico e domestico, le tecniche e gli strumenti utilizzati, i metodi di trasformazione, la composizione degli strumenti in materia ossea dei gruppi terramaricoli e, infine, l'organizzazione del lavoro relativo a queste produzioni in un dettagliato quadro crono-culturale.



Lo sfruttamento delle risorse animali nella Romagna dell’età del Bronzo in rapporto al quadro economico delle Terramare emiliane

E. Maini

Alma Mater Studiorum-Università di Bologna - elena.maini@unibo.it

Nel presente contributo verrà esposta una sintesi organica delle recenti ricerche archeozoologiche condotte in Romagna.
E’ noto che durante l’età del Bronzo in tutta la Pianura Padana, stabilmente e intensamente abitata, si realizza un modello di sfruttamento economico della risorsa animale pienamente organizzato e autosufficiente che, affiancando l’agricoltura, utilizza appieno i prodotti animali primari e secondari necessari al funzionamento del ciclo stesso.
Le comunità di villaggio dell’età del Bronzo mostrano solitamente una economia animale caratterizzata da percentuali sempre molto basse di cani e cavalli, che non rientrano quasi mai all’interno della sfera alimentare, e rapporti percentuali relativi alle principali specie di interesse alimentare (maiali, capre-pecore e buoi) che variano, anche notevolmente, da sito a sito. Dai dati disponibili si evidenzia per l’Emilia-Romagna un’economia di allevamento con alte percentuali di ovicaprini, seguiti in ordine di importanza dai maiali e dai buoi. Finora da questo quadro risultava pressoché escluso, per carenza di dati, il comparto culturale romagnolo. Le recenti ricerche archeologiche ed archeozoologiche condotte hanno consentito quindi di ampliare notevolmente le conoscenze sulle fasi iniziali e finali dell’età del Bronzo in Romagna, palesando sostanziali differenze, rilevabili soprattutto a livello di importanza delle singole specie, rispetto alla situazione delle terramare emiliane nonostante le due aree, strettamente correlate a livello culturale, mostrino strategie economiche parzialmente sovrapponibili.
Se nell’Emilia centrale, proprio durante le ultime fasi di vita della cultura terramaricola prima dell’inizio del collasso, aumentano capre e pecore, che sono meno esigenti sul piano alimentare rispetto ai buoi (
De Grossi Mazzorin 1996a e b; De Grossi Mazzorin & Riedel 1997; Farello 2011), in area romagnola la situazione non sembra seguire questa tendenza. È possibile riscontare infatti come l’importanza economica degli ovicaprini sia sempre rilevante ma a differenza di quanto evidenziato in ambiente terramaricolo, ad esempio a Poviglio e Montale (Riedel 2004; De Grossi Mazzorin & Ruggini 2004), in ambito romagnolo la percentuale di capre e pecore non tende ad aumentare considerevolmente durante le fasi di passaggio dal Bronzo Medio al Bronzo Recente ma si mantiene piuttosto stabile (Maini & Curci 2013).
L’aumento degli ovicaprini nei campioni terramaricoli viene posto in relazione a numerose concause che hanno portato al declino delle terramare, fra cui compare un cambiamento climatico in senso arido, che può aver innescato una piccola crisi agricola (
Cremaschi 2009). Un peggioramento nella qualità dei raccolti potrebbe proprio, in area emiliana, aver favorito animali più adattabili, e quindi più economici da mantenere in momenti di crisi. All’opposto, quindi, la maggioranza di buoi in territorio romagnolo potrebbe essere legata al persistere di condizioni ancora favorevoli rispetto all’area terramaricola che probabilmente era giunta invece ad uno sfruttamento delle risorse territoriali non più sostenibile in un ambiente fortemente impoverito e al tempo stesso gravato da una forte pressione demografica (Cremaschi 2009). Una situazione così grave non sembra riconoscersi in Romagna e, benché manchino ancora studi paleoambientali esaurienti, con buona probabilità l’area romagnola doveva essere meno popolata e probabilmente con risorse territoriali ancora disponibili.
L’economia di bestiame dedotta in base alle analisi archeozoologiche ci suggerisce per le comunità di villaggio dell’età del Bronzo, stanziate sia in pianura sia in collina che presso la costa romagnola, una condizione economica ancora fiorente. A riprova di questa tendenza, dai contorni ovviamente molto sfumati, è possibile ricordare che la zona adriatica, al contrario di quella dell’Emilia centrale sembra conoscere una certa continuità insediativa anche nel passaggio Bronzo Recente e Finale sull’onda probabilmente delle nuove vie commerciali che diverranno basilari per l’economia delle epoche successive. Queste supposizioni trovano conferma negli insediamenti di Ripa Calbana e nel ricco popolamento riscontrato sul Monte Titano nella Repubblica di San Marino circoscritto alle fasi di passaggio Bronzo Finale-Prima età del Ferro (
Negroni Catacchio 1983; Bottazzi & Bigi 2009; Zanini & La Pilusa 2009; Cattani & Miari 2010; Bietti Sestieri 2010).

Bibliografia
Bietti Sestieri A.M. 2010, L’Italia nell’età del Bronzo e del Ferro. Dalle palafitte a Romolo (2200-700 a.C.), Manuali Universitari, 92, Carocci, Roma.
Bottazzi G., Bigi P. 2009, a cura di, Primi insediamenti sul Monte Titano. Scavi e Ricerche (1997-2004), All’Insegna del Giglio, Firenze.
Cattani M., Miari M., 2010 La Romagna tra antica e recente età del Bronzo, Relazioni generali, Sessione 3 - Le comunità di villaggio dell’età del Bronzo, Preatti XLV Riunione Scientifica dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Modena 26-31 ottobre 2010, reperibile in http://www.archeologia.unibo.it
Cremaschi M. 2009, Foreste, terre coltivate e acqua. L’originalità del progetto terramaricolo, in, a cura di M. Bernabò Brea M., Cremaschi M., La vasca di Noceto La Torretta. Acqua e civiltà nelle terramare, Milano, pp. 34-44.
De Grossi Mazzorin J. 1996a, Archeozoologia delle “ossa di bruti” provenienti dagli scavi della stazione preistorica sul Monte Castellaccio presso Imola, in, a cura di Pacciarelli M., La collezione Scarabelli 2 Preistoria – Musei Civici di Imola, Casalecchio di Reno, pp. 181-218.
De Grossi Mazzorin J. 1996b,
Analisi dei resti faunistici dall’insediamento protostorico di San Giuliano di Toscanella, in, a cura di Pacciarelli M., La collezione Scarabelli 2 Preistoria – Musei Civici di Imola, Casalecchio di Reno, pp. 308-312.
De Grossi Mazzorin J., Riedel A. 1997, La fauna delle terramare nelle ricerche ottocentesche e La fauna delle terramare, in (a cura di) M. Bernabò Brea, A. Cardarelli, M. Cremaschi, Le terramare: la più antica civiltà padana, Catalogo della mostra, Milano 1997, pp. 87-89 e 475-480.
De Grossi Mazzorin J., Ruggini C. 2004
, I dati archeozoologici, in, a cura di, A. Cardarelli, Parco archeologico e Museo all’aperto della Terramara di Montale, Modena, pp. 66-67.
Farello P. 2011,
La fauna della terramara, in (a cura di) P. Desantis, M. Marchesini, S. Marvelli, Anzola al tempo delle Terramare, guida, pp. 46-48.
Maini E
., Curci A. 2013, “Considerazioni sull’economia di allevamento nella Romagna durante l’età del Bronzo” in J. De Grossi Mazzorin, A. Curci, G. Giacobini, Economia e ambiente nell’Italia padana dell’Età del Bronzo. Le indagini biarcheologiche, BACT, Quaderno 11, Edipuglia 2013, pp. 357-376
Negroni Catacchio N. 1983,
Rapporto tra l’area alto-adriatica e quella medio-tirrenica durante il Bronzo finale, in Padusa XIX, n. 1,2,3,4, pp. 65-72.
Riedel A. 2004,
La fauna, in (a cura di) M. Bernabò Brea, M. Cremaschi, Il Villaggio Piccolo della Terramara di Santa Rosa di Poviglio. Scavi 1987-1992, Origines, Firenze, pp. 744-771.
Zanini A., La Pilusa E. 2009,
La Romagna tra la fine del mondo terramaricolo e i nuovi assetti protostorici medio-tirrenici. Il sito di Ripa Calbana, in Atti della Giornata di Studi “La Romagna nell’ età del Bronzo” Ravenna, Solarolo, 19 settembre 2008, IpoTESI di Preistoria, vol. 2,1, pp. 101-114 in http://ipotesidipreistoria.cib.unibo.it.




Il sito palafitticolo di Viverone Vi1-Emissario: aggiornamento dei dati e nuove indagini

L. Fozzati1, F. Rubat Borel2, N. Martinelli3, J. Köninger4, F. Menotti5

1 Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia - luigi.fozzati@beniculturali.it
2 Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte - francesco.rubatborel@beniculturali.it
3 Dendrodata s.a.s. - nicoletta.martinelli@dendrodata.it
4 Terramare – Archäologische Dienstleistungen - janus@jkoeninger.de

5
Basel University - francesco.menotti@unibas.ch

Il villaggio sommerso nel lago di Viverone Vi1-Emissario, dal 2011 iscritto come parte componente (IT-PM-01) del sito seriale transnazionale UNESCO Siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino, è un sito di grande importanza per lo studio della strutture insediative palafitticole e per la definizione della cronotipologia della media età del bronzo dell’Italia settentrionale in relazione ai coevi contesti transalpini. Già campo di ricerche subacquee da parte della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte negli ultimi decenni del secolo scorso (dir. L. Fozzati), in questi ultimi anni ha visto nuove indagini nell’ambito dei lavori preparatori del Dossier di Candidatura (dir. F. Rubat Borel).
L’insediamento è stato individuato come sito prioritario per l’analisi del progetto dell’SNF-Swiss National Foundation
The end of the lake-dwelling phenomenon: cultural vs environmental change condotto dall’Università di Basilea, Institute of Prehistory and Archaeological Science (dir. F. Menotti). Nel 2011 nel sito si sono svolte due campagne di indagini subacquee a cura della Terramare Archäologische Dienstleistungen di Friburgo in Brisgovia (Germania)(J. Köninger), nel corso del quale è stato eseguito il campionamento subacqueo per la dendrocronologia (Menotti et alii 2012).
La cronologia del sito era finora nota dall’analisi cronotipologica dei reperti. La stragrande maggioranza dei materiali metallici appartiene al BM2 (BzB2/C1), con preesistenze e continuità nelle fasi immediatamente precedenti e successive attestate dalle ceramiche, ma sono note anche una frequentazione del Neolitico Medio (V.B.Q.) e una rioccupazione in HaB1 antico. Allo studio della ricca collezione di oggetti metallici (oltre 200 bronzi), realizzata da F. Rubat Borel per il suo progetto di dottorato presso l’Università di Padova, si è aggiunto il recente ritrovamento dei dati che permettono di associare i diversi reperti all’interno di una griglia di 5 m di lato.
Le indagini dendrocronologiche, affidate alla Dendrodata s.a.s. (N. Martinelli) sono state condotte su 80 sezioni di palo in legno di quercia caducifoglia della sez.
ROBUR e hanno condotto alla creazione di una cronologia del sito, che interessa ben 65 elementi lignei. Nella cronologia sono distinguibili più di dieci episodi di abbattimento, avvenuti nell’arco di circa 40 anni, alcuni dei quali sono probabilmente da attribuire ad attività di manutenzione e/o rinforzo piuttosto che all’edificazione di nuove strutture. Anche alcuni dei pali campionati già nel 1989 nell’area prossima al camminamento centrale del sito (Fozzati et alii 1998), si sono sincronizzati su questa cronologia.
La datazione assoluta delle strutture lignee è stata ottenuta applicando il metodo del
wiggle-matching a due date radiocarboniche. I risultati ottenuti indicano che gli abbattimenti per le principali fasi di edificazione delle strutture palafitticole sono avvenuti tra l’intervallo 1465 – 1387 cal BC e l’intervallo 1443 – 1365 cal BC (2σ). Anche un campione prelevato da una delle palizzate in legno di ontano ha fornito una data nell’ambito tra la metà del 15° e la metà del 14° secolo cal BC.
L’analisi dei dati dendrocronologici e cronotipologici può dare nuovo sviluppo alla ricerca, mostrando aspetti dell’evoluzione dell’abitato non ancora riconosciuti pienamente.


Bibliografia:

Bertone A., Fozzati L., La civiltà di Viverone. La conquista di una nuova frontiera nell’Europa del II millennio a.C., Biella 2004.
Fozzati L., Fedele F., Le palafitte del territorio piemontese: risultati e prospettive della ricerca, in Sibrium, 17, 1983-84, pp. 17-53.
Fozzati L., Martinelli N., Evans S.P., Le strutture palafitticole dei siti sommersi del lago di Viverone, in Preistoria e protostoria del Piemonte, in Atti IIPP XXXII (Alba, 29 settembre – 1° ottobre 1995), Firenze 1998, pp. 197-200.
Fozzati
L., L’archeologia delle aree umide in Piemonte e gli insediamenti lacustri del lago di Viverone, in, a cura di Mercando L., Venturino Gambari M., Archeologia in Piemonte. I. La preistoria, Torino 1998, pp. 147-156.
Menotti F., Rubat Borel F., Köninger J., Martinelli N., Viverone (BI) - Azeglio (TO), sito palafitticolo Vi1-Emissario. Indagini subacquee e campionamento dendrocronologico, in Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte, 27, 2012, pp. 196-201.
Rubat Borel F., La Media età del Bronzo nel Nord-Ovest italiano: la facies di Viverone e il sito eponimo, tesi di dottorato di ricerca in Scienze Archeologiche, Università degli Studi di Padova, 2009.
Rubat Borel F., Gli ornamenti del Bronzo Medio dall’abitato nel lago di Viverone: il costume femminile tra Italia nordoccidentale e cerchia nordalpina, in, a cura di Casini S., Il filo del tempo. Studi in onore di Raffaele C. de Marinis, Notizie Archeologiche Bergomensi 19, 2011, pp. 205-219 .

Rubat Borel F. , Warriors living in the pile-dwelling of the Lake Viverone (Piedmont): in settlements as in tombs?, in, a cura di Canci A., Cupitò M., Warfare and Aristocracy in Bronze Age Italy: Archaeology and Antropology (Padua, October 13th-15th 2009), BAR-British Archaeological Reports, in corso di stampa.



Le necropoli del Bronzo Antico di Arano (VR) e Sorbara di Asola (MN): risultati e confronti alla luce delle analisi antropologiche.

I. Dori, G. Falchetti, G. Stefania, L. Bachechi, J. Moggi Cecchi

Università degli Studi di Firenze - irene.dori@unifi.it

I recenti ritrovamenti di necropoli a inumazione dell’antica età del Bronzo in area mantovana e veronese rappresentano delle importanti fonti di informazione in grado di aumentare le conoscenze sul patrimonio ideologico, tecnologico, sugli usi funerari e sulle caratteristiche bioarcheologiche delle comunità presenti nelle aree di pianura dell’Italia settentrionale a cavallo tra la fine del III e gli inizi del II millennio a.C.
L’indubbio interesse per il Bronzo antico e per la rivoluzione sociale che si ebbe con introduzione dei metalli ha fatto sì che molte delle analisi di carattere antropologico sulle popolazioni di questo periodo siano in gran parte antecedenti agli anni ’70 del secolo scorso. Per questo motivo, sebbene esistesse una certa attenzione allo studio dei reperti ossei, mancava tuttavia ancora una consapevolezza del loro valore e la disponibilità a mantenere tali materiali per indagini future. Gli studi svolti in quel periodo erano esclusivamente descrittivi, miranti unicamente all’inquadramento tipologico e morfologico della popolazione. Solo negli ultimi anni si è verificato un cambiamento nell’approccio allo studio dei reperti ossei: le moderne ricerche puntano infatti a ricostruire la biologia, lo stile di vita e le condizioni di salute delle popolazioni del passato.
Il materiale scheletrico oggetto del presente studio proviene dagli scavi effettuati in prossimità di Sorbara, frazione del comune di Asola (MN) e nella località di Arano (Cellore di Illasi, VR).
Le necropoli in questione differiscono per la numerosità del campione scheletrico in esse presenti (rispettivamente 20 individui nella necropoli mantovana e 74 in quella veronese), ma in entrambi i casi le indagini archeologiche hanno portato alla luce una somiglianza nelle modalità di deposizione dei defunti. All’interno delle fosse i corpi erano deposti in posizione rannicchiata sul fianco sinistro o destro, con gli arti inferiori e superiori flessi verso il tronco (
Baioni, 2001; Salzani - Salzani, 2008). Per entrambi i siti, le analisi antropologiche hanno dimostrato che gli individui maschili e femminili erano posizionati su fianchi opposti con un diverso orientamento del cranio (“deposizione bipolare”). Ciò che differenzia Arano da Sorbara di Asola è la maggiore variabilità nell’orientamento del capo degli individui di quest’ultimo sito. Se nella necropoli veronese gli individui maschili e femminili sono posizionati rispettivamente sul fianco sinistro con il cranio a sud e sul fianco destro con il cranio a nord, a Sorbara invece è possibile osservare una variabilità nell’orientamento della testa: i defunti rannicchiati sul fianco sinistro presentano il cranio disposto verso S, S/SW o S/SE; quelli sul fianco destro hanno invece un orientamento verso N, N/NW o N/NE (Baioni, 2001; de Marinis, 2003; de Marinis & Valzolgher, 2013).
L’obiettivo principale del presente studio è stato quello di ottenere informazioni utili alla caratterizzazione delle popolazioni presenti in Italia settentrionale durante le prime fasi dell’età del Bronzo. Occorre sottolineare che, allo stato attuale delle ricerche, è stato possibile analizzare solo 10 individui provenienti dalla necropoli di Sorbara (50% del campione) contro la totalità degli inumati di Arano. Lo stato di conservazione dei materiali, in alcuni casi estremamente precario, ha compromesso la possibilità di ottenere da tutti i reperti la stessa quantità e qualità di dati e solo per alcuni di essi è stato possibile discutere il risultato in modo comparativo.
Attualmente lo studio si è concentrato sulla realizzazione di un profilo paleobiologico delle popolazioni in questione, prendendo in considerazione quegli aspetti morfologici e metrici utili alla determinazione di alcune caratteristiche antropologiche come la statura e la struttura fisica. È stato inoltre analizzato il materiale dentario, registrando alcune delle principali affezioni dento-alveolari (carie, tartaro, perdita
ante-mortem dei denti, usura e ipoplasia dello smalto) in quanto utili indicatori per la ricostruzione dello stile di vita e dello stato di salute dei campioni in esame.


Bibliografia:
Baioni M., La necropoli dell’antica età del Bronzo di Sorbara (Asola – MN), in Quaderni di Archeologia del Mantovano, 2, 2000 [2001], pp. 41-90.
de Marinis R. C., Riti funerari e problemi di paleodemografia dell’antica età del Bronzo nell’Italia settentrionale, in Notizie Archeologiche Bergomensi, 11, 2003, pp. 5-78.
de Marinis R. C., Valzolgher E., Riti funerari dell’antica età del Bronzo in area padana, in, a cura di de Marinis R. C., L’età del Rame: la pianura padana e le Alpi al tempo di Ötzi, Brescia 2013, pp. 545-559.
Salzani L., Salzani P., Storie sepolte. Riti e culti all’alba del duemila avanti Cristo, Catalogo della mostra (Verona, 25 ottobre 2008 – 3 giugno 2009), Verona 2008.



L'abitato del Bronzo Medio e Recente di Cesena: evoluzione del sito e contatti con l'area terramaricola

M. Miari, D. Gasperini, E. Maini

Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, - monica.miari@beniculturali.it

Alma Mater Studiorum-Università di Bologna - elena.maini@unibo.it

Recenti indagini (2012-2013) eseguite nel centro urbano di Cesena hanno portato in luce i resti di un insediamento dell'età del Bronzo, sorto a mezza costa di un articolato complesso collinare oggi dominato dalla Rocca Malatestia e naturalmente delimitato, a nord e a est, da una scarpata naturale.
Il settore indagato si articola lungo un terrazzo orientato in senso nord-sud e lateralmente inciso da un fosso ancora attivo al momento dell'impianto dell'abitato, ma successivamente colmato e obliterato nel corso dell'arco di vita del sito. L'assetto insediativo si caratterizza per la presenza di strutture a terra, tra cui sono stati individuati allineamenti di buche di palo pertinenti sia a edifici che a palizzate, pavimentazioni esterne in limo scottato, grandi piastre in concotto.
Dai dati di scavo e dall'analisi dei materiali emerge l’esistenza di tre principali fasi insediative, scandite da interventi di riassetto e rimodulazione della morfologia naturale e collocabili all’interno di un arco cronologico piuttosto limitato, tra la fine del Bronzo Medio 3 e il Bronzo Recente pieno.
Seppure ancora in fase preliminare l'analisi delle faune e lo studio dei materiali, tra cui manufatti in osso e corno, metalli e forme di fusione, consentono di gettare un primo sguardo sugli aspetti ambientali e produttivi di un sito che, pur gravitando sul mondo peninsulare, mostra importanti contatti con l'area terramaricola.



Ambiente e coltivazioni nel mondo delle terramare

A.M. Mercuri

Università di Modena e Reggio Emilia - annamaria.mercuri@unimore.it

La ricerca archeobotanica ha permesso in questi ultimi anni di tracciare sempre più in dettaglio l’ambiente e le coltivazioni che caratterizzavano il territorio al tempo delle terramare. I dati pollinici, ottenuti da campioni raccolti in siti archeologici e fuori sito, hanno permesso di comprendere che, sin dall’Olocene iniziale, la pianura padana è stata caratterizzata da una copertura forestale scarsa. La naturale apertura del paesaggio, la ricchezza d’acqua e fertilità dei suoli hanno reso questo un habitat articolato e per molti versi favorevole agli insediamenti umani.
Dalle analisi polliniche di alcuni siti archeologici (Terramara di Poviglio, Terramara di Montale, Vasca di Noceto, Terramara di Baggiovara, Necropoli di Casinalbo; Aceti
et alii 2009; Ravazzi et alii 2004; Mercuri et alii c.s.), integrata in ricerche interdisciplinari, è stato possibile comprendere che gli abitati erano costruiti in luoghi relativamente poco frequentati e che la copertura vegetale di tali luoghi fu radicalmente trasformata dalle attività delle terramare. Queste ebbero un impatto evidente sui boschi, querceti misti con digitazioni di conifere, non estesi. I boschi divennero più radi, con alberi abbattuti nei punti di insediamento dei villaggi. L’impatto antropico, dapprima assai locale, si estese velocemente a livello regionale tanto da diventare visibile anche assai lontano dai villaggi. Se ne trova, ad esempio, una chiara immagine nelle curve polliniche di una carota marina (RF93-30) che raccoglieva in Adriatico centrale i sedimenti riversati in mare dal Po (Mercuri et alii 2012). I segni di un graduale incremento di deforestazione e lo sviluppo di un paesaggio culturale nella pianura sono pertanto evidenti al Bronzo Medio a livello sovra regionale, e accanto alle tracce di cereali si diffondono quelle degli indicatori antropici spontanei (erbacee infestanti dei campi, ruderali, nitrofile). L’area di influenza di ogni abitato fu coperta da un mosaico di aree adibite a pascolo e da campi di cereali, probabilmente alternati a legumi. I campi di cereali non erano assai estesi o non erano coltivati tutti gli anni, e non erano distribuiti uniformemente attorno al villaggio.
L’impatto delle terramare includeva la gestione del bosco, sfruttato per il consumo dei frutti oltre che per il legname, e la compartimentazione dello spazio in piccoli appezzamenti agricoli destinati a sfruttamento diversificato, per coltivazione o allevamento. La disponibilità delle risorse vegetali fu probabilmente tra le cause di ricchezza e declino degli insediamenti, limitati nella loro espansione e durata non solo dalle cause logistiche e sociali insite nella loro organizzazione, ma anche dalla relativa capacità di sfruttamento del bosco, dei suoli e dell’acqua. I dati pollinici su questo suggeriscono sempre più una certa variabilità locale, e propongono una certa gradualità nell’assottigliamento delle risorse ambientali secondo un gradiente di esaurimento che potrebbe aver visto prima il rallentamento nella rigenerazione degli alberi, poi il depauperamento del terreno agricolo dovuto ad anni di coltivazioni. Queste potrebbero essere sfociate in un sovrasfruttamento a causa di concimazioni (alluvioni?) sempre più scarse.


Bibliografia:
Aceti A., Ravazzi C., Vescovi E., Analisi pollinica della successione stratigrafica, in a cura di Bernabò Brea M., Cremaschi M., Acqua e civiltà nelle terramare. La vasca votiva di Noceto, Milano 2009, pp. 121-131.
Mercuri A.M., Bandini Mazzanti M., Torri P., Vigliotti L., Bosi G., Florenzano A., Olmi L., Massamba N’siala I., A marine/terrestrial integration for mid-late Holocene vegetation history and the development of the cultural landscape in the Po valley as a result of human impact and climate change, in Vegetation History Archaeobotany 21 (4), 2012, pp. 353-372.
Mercuri A.M., Montecchi M.C., Pellacani G., Florenzano A., Rattighieri E., Cardarelli A., Environment, human impact and the role of trees on the Po plain during the Middle and Recent Bronze Age: pollen evidence from the local influence of the terramare of Baggiovara and Casinalbo, in Review of Palaeobotany and Palynology, in corso di stampa.
Ravazzi C., Cremaschi M., Forlani L., Studio archeobotanico della terramara S.Rosa di Poviglio (R.E.). Nuovi dati e analisi floristica e sintassonomica della vegetazione nell’età del Bronzo, in, a cura di Bernabò Brea M., Cremaschi M., Il villaggio piccolo della terramara di Santa Rosa di Poviglio. Scavi 1987-1992, Firenze 2004, pp. 703-735.



Il collasso della civiltà terramaricola

A. Cardarelli

La Sapienza Università di Roma - andrea.cardarelli@uniroma1.it

Dopo circa cinque secoli di ininterrotto sviluppo il sistema economico e politico delle terramare subisce un definitivo tracollo attorno alla metà del XII secolo a.C., determinando un drammatico collasso da cui scaturirà un assetto profondamente diverso dell’Italia protostorica. A riguardo di tale fenomeno gli studiosi di preistoria hanno avanzato ipotesi, già a partire dal XIX secolo, sulle cause che determinarono questa crisi epocale, ma solo ora le ricerche archeologiche cominciano a fornire plausibili spiegazioni. In questo intervento si cercherà di fare il punto sulla stato della questione e si avanzeranno alcune ipotesi interpretative alla luce dei dati emersi.



I Micenei nell’Alto Adriatico

M. Cupitò

Università degli Studi di Padova – michele.cupito@unipd.it

Per molto tempo si è ritenuto che il focus dei rapporti tra il Mediterraneo centrale e il mondo egeo-miceneo fosse incentrato sull’Italia meridionale, la Sicilia, le isole del Basso Tirreno e la Sardegna. Come già da tempo evidenziato da Lucia Vagnetti, tuttavia, l’intensificarsi dei rinvenimenti di ceramiche di tipo egeo, soprattutto a partire dalla fine degli anni ‘70 del ‘900 e nei decenni successivi, ha comportato un parziale ripensamento del problema, facendo risalire lungo l’Adriatico le tracce di tali relazioni, sia lungo la costa, sia in alcuni insediamenti terramaricoli della Pianura Padana orientale.
Il contributo chiave delle analisi archeometriche, condotte da Sara T. Levi, Marco Bettelli e Richard Jones, finalizzate principalmente alla definizione della provenienza di tali ceramiche, ha consentito di stabilire che in molti casi, il vasellame in questione era prodotto localmente in diversi centri produttivi. L’identificazione di ceramica italo-micenea riguarda, come è noto, non soltanto gli importanti insediamenti della Sibaritide, dell’area tarantina o dell’Adriatico meridionale, ma anche centri medio-adriatici e il sistema di siti noto come
polity della Valli Grandi Veronesi, qui a partire, forse, da periodi anche piuttosto precoci. In questa stessa zona, la presenza a Frattesina di materie prime provenienti verosimilmente dal Mediterraneo orientale, come l’avorio di elefante e i gusci di uovo di struzzo, lavorati poi in loco, ha fatto ipotizzare una preferenziale direttrice ciprioto-levantina nei traffici a lunga distanza che interessavano quest’area almeno a partire dalla fine dell’età del Bronzo. Il rinvenimento nel grande insediamento arginato di Fondo Paviani nel corso delle ricerche condotte dall’équipe protostorica dell’Università di Padova di ceramiche figuline tornite e dipinte in rosso e nero – secondo uno stile ignoto ai ceramisti propriamente micenei o cretesi di quel periodo, ma ampiamente riscontrabile nella tradizione ceramica del Levante mediterraneo – apparentemente associate a ceramiche di tipo miceneo TE IIIC, fa spostare nel tempo – e nello spazio – tale specifica direttrice ciprioto-levantina da cui finora era sembrata interessata unicamente Frattesina.
L’intervento intende riesaminare il problema dei tempi e dei modi in cui, verso lo scorcio dell’età del Bronzo, la presenza egea, anche nel suo vettore ciprioto-levantino recentemente emerso a Fondo Paviani, abbia caratterizzato questa porzione più settentrionale dell’Adriatico, accompagnandone i momenti di grande trasformazione dei sistemi insediativi, economici e sociali. Esso, inoltre, riprenderà brevemente la controversa questione della presenza egeo-micenea nella laguna di Venezia – testimoniata, al contrario dei rinvenimenti sopra descritti, unicamente da materiali da collezione o di provenienza non (più) controllabile – anche alla luce di un riesame complessivo delle dinamiche del popolamento dell’area lagunare e del suo entroterra.



Il sito di Guardamonte sul Monte Vallassa ( PV-AL) nel quadro dell’insediamento umano in Appennino Settentrionale nell’età del Bronzo.

G. Baratti

Università degli Studi di Milano - giorgio.baratti@unimi.it

Lo scavo sistematico condotto nell’Oltrepò Pavese dal 1995 dall’Università degli Studi di Milano sulle monte Vallassa, un’altura naturalmente difesa in Valle Staffora lungo la linea di confine con il territorio piemontese, ha permesso di identificare la presenza di una vivace fase insediativa nel corso del II millennio, almeno dal Bronzo Medio fino al pieno Bronzo Finale.
Il sito di Guardamonte, grazie alla sua collocazione geografica - in vista verso Nord della Pianura Padana e verso Sud dei passi che immettono in diretto contatto con il reticolo viario Appenninico e da qui verso il Levante ligure- ,sembra marcare tutte le principali tappe dell’occupazione dei territori appenninici settentrionali, da una fase precoce del Neolitico Medio fino all’età del Ferro con una breve ripresa in età romana.

Fin dal Bronzo Medio o Recente, dopo le fasi di frequentazione preistorica, appaiono le tracce dell’avvio di un insediamento stabile con una
pianificazione generale delle aree abitate che si manifesta con la realizzazione, come negli altri contesti montani, di ampi terrazzi costruiti con opere murarie a secco e riporto di terreno, in prospettiva, verosimilmente, di uno stanziamento di lunga durata.
Quanto avviene al Guardamonte con l’impianto stabile dell’uomo, trova riscontro nella coeva diffusione di abitati sulle colline e i monti dell’Italia settentrionale; l
’espansione demografica generalizzata che, proprio nella fase avanzata del Bronzo Medio e soprattutto nella prima fase del Bronzo Recente coinvolge gli ambienti collinari e montani nell’Italia settentrionale posti a corona intorno alla Pianura Padana, appare oggi in un quadro più ampio che vede, pur adeguato al differente contesto geomorfologico e ambientale, un significativo investimento di carattere strutturale, mirato alla definizione di insediamenti stabili e duraturi, sincronizzabile con quanto accade in pianura nelle aree interessate dai siti di cultura terramaricola.
Questo processo sincronico appare dunque, alla luce anche di quanto emerso sul Monte Vallassa e nei siti dell’Appenino Ligure emiliano dove le indagini hanno rivelato livelli dell’età del Bronzo, più verosimilmente inquadrabile in un contesto più generale di ordine economico e ambientale, non necessariamente legato a specifiche logiche di comparti culturali omogenei. I siti appaiono come entità di controllo all’interno però di un sistema complesso, legato a forme di produzione, circolazione e gestione di settori territoriali più o meno ampi e abitati, in forme di interdipendenza con tutti i comparti ambientali contermini. Il modello, per i sui evidenti legami con le istanze geografiche e ambientali cui si accennava, sembra riproporsi, a partire dal VI secolo a.C., con le medesime caratteristiche e contraddizioni nel momento della ripresa in Appennino settentrionale nell’età del Ferro, pur in un quadro parzialmente mutato per il nuovo assetto politico del territorio.
Le
presenze ricorrenti, se pur non abbondanti, nelle unità stratigrafiche di Guardamonte, di reperti ascrivibili al Bronzo Finale, testimoniano una continuità di vita, ancora una volta parallelamente con quanto avviene negli altri siti appenninici, palesando come il collasso della pianura e la conseguente inevitabile crisi del sistema integrato Pianura - Appennino, attivo nei secoli precedenti debba aver colto il mondo appenninico non del tutto impreparato ad avviare contromisure efficaci per il mantenimento di un sistema economico di sostentamento in grado di reggere al contraccolpo delle mutate condizioni generali.


Bibliografia:
B
aratti G., Clima e insediamenti umani. Mutamenti climatici e dinamiche di popolamento nell’Italia nord-occidentale nella prima età del Ferro, in Bollettino storico per la provincia di Novara, vol. XCIII.1, 2002, pp. 233-248.
B
aratti G., Dinamiche insediative e rinvenimenti sul Monte Vallassa dal Neolitico all’età del Bronzo, in, a cura di Chiaramonte Treré C, Antichi Liguri sulle vie appenniniche tra Tirreno e Po: nuovi contributi. Quaderni di ACME, pp. 47-111, Milano 2003.
B
aratti G., Ultime ricerche dell’Università degli Studi di Milano sul Monte Vallassa, loc. Guardamonte (AL -PV), in Iulia Dertona, vol. anno LVIII, s. 2, fasc. 99, 2009, pp. 59-80.
B
aratti G., Dinamiche insediative nell’Appennino ligure emiliano tra età del Bronzo ed età del Ferro nel quadro dei rapporti con la pianura, in Archeologia Preromana in Emilia occidentale. La ricerca oggi tra monti e pianura, Atti della Giornata di Studi. Quaderni di ACME, Milano 2009, pp. 181-202.
B
aratti G (c.s.). Lo scavo dell’Università Statale di Milano al Castelliere del Guardamonte, Atti Casteggio e l’antico: 25 anni di scavi e ricerche archeologici in provincia di Pavia (Casteggio 19.10.2013), in corso di stampa.
Chiaramonte Treré C., Baratti G., L’insediamento ligure sul Monte Vallassa nella seconda età del Ferro: i risultati delle nuove ricerche, in, a cura di Venturino Gambari M., Gandolfi D., Ligures Celeberrimi. La Liguria interna nella seconda età del Ferro. Atti del Congresso Internazionale di Studi Liguri, Mondovì, 26-28.4.2002, Bordighera 2004, pp. 241-249.
Chiaramonte Treré C., Baratti G., Mordeglia L., L’insediamento sul Monte Vallassa (AL-PV), spartiacque tra due bacini fluviali, in Paesaggi d’acque. Preistoria e protostoria in Etruria, Quinto incontro di studi, Sorano-Farnese 12-14.5.2000, Milano 2002, pp. 273-286.



Cisterna di Tolentino: per un’ipotesi ricostruttiva delle fasi abitative dell’età del Bronzo. Dalle capanne su impalcato aereo alle capanne a terra.

G. Pignocchi

gaia.pignocchi@libero.it

La revisione appena intrapresa della documentazione di scavo del sito marchigiano di Cisterna di Tolentino (MC), presentato in maniera preliminare alla XXXVIII Riunione Scientifica dell’IIPP svoltasi nelle Marche nel 2003 (Percossi et alii 2005), si inserisce nell’ambito di un progetto di ripresa dello studio e dell’analisi di uno dei contesti archeologici più significativi dell’età del Bronzo Media e Recente dell’area medio-adriatica.
Il sito di Cisterna, ubicato sulla sinistra idrografica della media vallata del fiume Chienti, alla periferia orientale di Tolentino, al margine della zona industriale, è stato oggetto di un intervento di archeologia di emergenza attraverso quattro campagne di scavo, dal 2000 al 2003, concentrate su un’area limitata dove il giacimento archeologico colmava l’interno di un paleocanale individuato durante i saggi di accertamento del 1993. Le campagne di scavo della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche, sotto la direzione di Edvige Percossi, hanno evidenziato, all’interno di una limitata porzione del paleocanale che interseca l’antica scarpata fluviale, una complessa sequenza stratigrafica che deve essere ancora attentamente valutata anche in relazione allo studio complessivo e dettagliato dei materiali. Numerose buche di palo su entrambi i lati del canale e nella zona prossima al tratto di maggior pendenza della scarpata sembrano pertinenti ad una struttura a impalcato aereo su cui si ergevano le capanne.
Particolarmente interessante quanto emerso nell’ultima campagna di scavo del 2003 che potrebbe chiarire la dinamica evolutiva delle tipologie abitative definendone nel contempo la cronologia.

Già nel 2000 l’indagine di scavo, condotta partendo da N nei settori I2, I3, L2, L3, aveva rimesso in luce, lungo le pareti inclinate del canale naturale, una serie di buche di palo
pertinenti ad una probabile struttura ad impalcato aereo, con buche più grandi esterne e buche più piccole interne, ad allineamento pressoché rettilineo con orientamento N-S. I numerosi frammenti di concotto con una superficie piana, interpretati come lembi di pavimentazione, fanno ipotizzare l’esistenza di battuti di terra relativi a una struttura posata sull’impalcato ligneo sopraelevato. In questo settore i materiali, dal BM3 al BR2, con presenza anche di frammenti di ceramica italo-micenea, sembrano essere rimescolati nei vari livelli non consentendo di chiarire nel dettaglio la sequenza cronologica.
Nel 2001, nei settori I3-I4-L3-L4, sono state rimesse in luce ulteriori buche di palo che possono meglio definire la struttura ad impalcato aereo, di forma quadrangolare con orientamento secondo i punti cardinali. Inoltre in direzione W (quadrati H3 ed I3) sono state individuate una buca di palo isolata e due cavità ovali poco profonde.
Nel 2002 l’indagine ha riguardato i settori L7 e L8 posti a S dell’area precedentemente indagata e prospiciente l’antica scarpata fluviale che forse delimitava il margine meridionale dell’abitato. Lo scavo, interrotto prima di raggiungere il piano basale, non ha evidenziato ulteriori buche di palo, ma la presenza di residui di concotto e di una grande quantità di materiali, tra cui ceramica italo-micenea, fanno ritenere possibile l’esistenza di strutture abitative.

Nel 2003 lo sbancamento è stato condotto ampliando il saggio eseguito nel 2002 (quadrati L7 e L8) in direzione SW (quadrato I7), NW (quadrati I6wz e L6wz) e SE (quadrati M8-N8-O8). In questi ultimi settori è stato scavato l’intero fronte della scarpata in modo da rintracciare l’eventuale sponda del paleocanale ad E.
L’indagine archeologica è stata poi approfondita solamente all’interno dei quadrati L7-I7 dove sono affiorati resti di pali o travi di legno carbonizzati con andamento N-S, che sembrano appartenere a un’unica struttura. Essi delimitano un’area di forma quadrangolare di ca. 3 m di lunghezza per 2 m di larghezza che ricopre un livello limoso ricco di carboni e cenere separato, nel margine N, da uno strato di concotto. Due buche, che tagliavano gli strati sopra descritti nel settore I7y, erano forse connesse a sistemazioni o alloggiamenti legati alla frequentazione dell’impiantito.
In direzione E-SE, nei quadrati L8-M8-N8-O8, l’indagine è stata limitata all’individuazione del livello sommitale della sponda orientale del paleocanale.
Questi livelli erano ricoperti da strati limosi-ghiaiosi, per uno spessore complessivo di 0,6 m, riferibili a episodi colluviali che sembrano separare nettamente la sequenza inferiore appena descritta da quella superiore.
Quest’ultima appare caratterizzata dalla presenza di livelli sovrapposti con presenza di una grande quantità di pietre (calcare, arenaria, selce), frammenti ceramici, anche di tipo egeo, oggetti in bronzo, manufatti in osso e corno, attribuibili a fasi successive a quelle sopra descritte.
E’ da sottolineare l’importanza di una lettura di questo tipo, che individua almeno 2 momenti diversi di frequentazione del sito.
Pur nella limitatezza dell’area scavata e nell’incompletezza dell’indagine di scavo che non ha interessato il settore centrale e nel settore più meridionale non è giunta fino all’asportazione completa del deposito archeologico, è possibile effettuare alcune ipotesi riguardanti la tipologia delle strutture evidenziate e la loro sequenza cronologica che trova analogie con alcuni abitati terramaricoli, in particolare proprio con Santa Rosa di Poviglio.
I resti di legno carbonizzato rinvenuti nel settore più meridionale interpretati come appartenenti ad una sorta di impiantito ligneo, confermano l’ipotesi ricostruttiva formulata a proposito delle buche di palo individuate più a N lungo le pareti inclinate del paleocanale.
Gli elementi strutturali rimessi in luce (buche di palo, assi lignee carbonizzate, concotto pavimentale) sono tutte interpretabili come i resti di un impalcato aereo sorretto da pali verticali impostati nell’alveo del canale naturale e sul quale si ergevano le capanne. L’accumulo di materiali all’interno del paleocanale può essere ricondotto a due cause, una antropica, conseguente all’azione di discarica dalle abitazioni soprastanti, e l’altra naturale, in seguito ad apporti colluviali da parte delle acque di scorrimento superficiali, che sommata alla notevole inclinazione dei livelli basali ha determinato in parte anche il rimescolamento dei manufatti nei quadrati più a N. Nei settori più meridionali le indicazioni dedotte dalla sequenza stratigrafica, in relazione alla presenza di tracce di elementi strutturali e ai manufatti in associazione, sembra meglio precisare la successione di almeno due fasi cronologiche dell’insediamento di Cisterna, la più antica, forse databile al BM3-BR1, caratterizzata dalla presenza di chiare testimonianze di strutture abitative su impalcato aereo impostate su un paleoalveo a ridosso dell’antica sponda fluviale del Chienti. A questa fase è seguita una ristrutturazione durante un momento più evoluto del BR con l’impianto, sul paleocanale ormai colmato e sul terrazzo alluvionale, di abitazioni a terra ormai distrutte dai ripetuti interventi agricoli e dai lavori di edificazione recenti. Rimane da sottolineare come tali ipotesi siano da considerarsi del tutto preliminari in quanto basate su un’analisi ancora incompleta della documentazione di scavo e dei materiali.

Bibliografia:
Percossi E., Pignocchi G., Sabbatini T., Un sito dell’età del bronzo a Cisterna di Tolentino (MC), in Atti IIPP XXXVIII, II, 2005, pp. 659-678.


Moscosi di Cingoli e Santa Rosa di Poviglio: alcuni elementi a confronto.

G. Pignocchi

gaia.pignocchi@libero.it

L’insediamento di Moscosi di Cingoli (MC), nell’alta valle del Musone, oggetto di più campagne di scavo dal 1980 al 2001, risulta il contesto marchigiano dell’età del Bronzo indagato in maniera più estensiva e sistematica anche attraverso una serie di analisi interdisciplinari. Le indagini condotte dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche sotto la direzione di Mara Silvestrini, hanno evidenziato una complessa sequenza stratigrafica che si articola in diverse fasi attraverso una successione di livelli di frequentazione dal Bronzo medio 3 alla fase finale del Bronzo recente attestando un’evidente evoluzione dell’assetto insediativo e delle attività economiche e produttive caratterizzate soprattutto per la presenza di elementi strutturali lignei eccezionalmente conservati e per il sorgere di una serie di attività artigianali altamente specializzate.
Al di sopra degli strati relativi al Bronzo medio appenninico, nel livello risalente alla fase iniziale del Bronzo recente, è infatti affiorata una struttura lignea a reticolo ortogonale costituita da un tavolato di assi disposte ad incastro su un’intelaiatura di tronchi di quercia e di frassino. Le aree di argilla concotta rinvenute sopra il tavolato fanno ipotizzare la presenza di battuti di terra pavimentali compattati in seguito all’azione del fuoco. Tale struttura, che può essere interpretata come un assito con funzione pavimentale per evitare il contatto diretto con il terreno umido dell’antica sponda fluviale, rappresenta un caso unico ed eccezionale di abitato su bonifica che trova confronti in ambito terramaricolo padano. Al di sopra della piattaforma sorgevano le abitazioni, delle quali si sono conservati tracce dell’alzato costituite da frammenti di travi e porzioni di concotto. L’area era cinta da una palizzata individuata sul lato nord che presentava un’interruzione, verosimilmente corrispondente ad una sorta di ingresso all’abitato. A questa fase, che sembra terminare con un incendio, segue una ristrutturazione dell’area che subisce una riorganizzazione, con focolari strutturati, finalizzata ad un utilizzo per attività produttive e artigianali all’aperto altamente specializzate, rivelando una accresciuta floridezza dell’abitato durante tutto il Bronzo recente dovuta all’intenso sviluppo degli scambi commerciali delle materie prime e degli oggetti finiti tra area egea e meridionale da un lato ed area terramaricola e padana dall’altro. Particolarmente abbondante il materiale ceramico costituito da forme aperte destinate alla mensa e grossi contenitori per le derrate alimentari che denotano una produzione di particolare pregio, con presenza anche di ceramica di tipo egeo (S
abbatini et alii 2009, fig. 5). Straordinariamente rappresentata l’attività metallurgica. L’affermazione di attività artigianali specializzate nella lavorazione di materiali di pregio è documentata, a Moscosi, anche dalla presenza di oggetti d’ornamento in ambra e pasta vitrea. Un ulteriore settore produttivo affermatosi nel corso del Bronzo recente è rappresentato dall’abbondantissima industria su corno di cervo e su osso, sotto forma di oggetti finiti e di scarti di lavorazione. Nella fase avanzata del Bronzo recente particolarmente evidenti sono a Moscosi le influenze dall’area terramaricola non solo nella ceramica, per quanto riguarda forme e decorazioni, ma anche nella produzione metallurgica e in altre produzioni quasi del tutto esclusive delle due aree come gli strumenti in materia dura animale ed i pesi litici. Per alcuni di questi manufatti in particolare si possono riscontrare corrispondenze con alcuni materiali del villaggio grande di Santa Rosa di Poviglio. Nella ceramica di impasto fine le scodelle con labbro non distinto decorate a solcature orizzontali sotto l’orlo (fig. 1.1) (Pignocchi, Silvestrini cs; Bianchi 2004, fig. 13.1), le tazze carenate con parete leggermente concava e ansa a nastro verticale (Sabbatini, Silvestrini 2005, fig. 2.4; Bernabò Brea et alii 1997, fig. 185.7), le tazze carenate a parete svasata con ansa a nastro sopraelevata decorata solcature verticali (fig. 1.2) (Sabbatini, Silvestrini 2005, fig. 8-9; Bianchi 2004, figg. 8.6,8, 13.6, 19.5), le tazze a parete rientrante e vasca profonda (fig. 1.4) (Sabbatini, Silvestrini 2005, fig. 2.1; Bianchi 2004, fig. 83). A Moscosi esiste anche una varietà di tazza a gola con ansa a nastro verticale decorata da un fascio di solcature longitudinali che proseguono sulla vasca in due fasci divergenti (fig. 1.3) (Silvestrini, Pignocchi 1999, fig. 8.4), decorazione presente in due esemplari di tazze a Santa Rosa di Poviglio (Bernabò Brea et alii 1997, fig. 188.2; Bianchi 2004, fig. 13.10). Presenti a Moscosi anche varie fogge di tazze carenate a parete fortemente svasata con vasca bassa o media (fig. 1.5-6) ampiamente attestate negli strati sommitali del villaggio grande di Poviglio (Bianchi 2004, figg. 9.1-3, 13,5, 19.1,4). Esistono poi anche le forme a collo con carena più o meno pronunciata talvolta decorate a solcature verticali (fig. 1.7-8) che ricordano alcune forme di Poviglio (Pignocchi, Silvestrini cs; Bianchi 2004, figg. 9.6,13.4,17.1, 19.9, 22.7). Per quanto riguarda i vasi biconici a collo distinto con decorazione complessa all’esemplare di Moscosi (fig. 1.9) (Sabbatini, Silvestrini 2005, fig. 3.1) si può accostare quello di Santa Rosa di Poviglio (Bianchi 2004, fig. 10.3). Tra i manufatti in bronzo i modelli condivisi sono soprattutto i pugnali tipo Bertarina e tipo Castelluccia (fig. 1.10,11) (Sabbatini, Silvestrini 2005, fig. 4.2,5; Bernabò Brea et alii 1997, fig. 189.1 e 10) e tra i materiali di pregio le perle d’ambra lenticolari (fig. 1.13) (Sabbatini, Silvestrini 2005, fig. 4.16; Bernabò Brea et alii 1997, p. 350) e le perle a botticella in pasta vitrea decorate a linee ondulate (fig. 1.14) (Sabbatini, Silvestrini 2005, fig. 4.17-18; Bellintani, Biavati 1997, fig. 354.6). A Moscosi esiste anche una valva di forma di fusione in arenaria (fig. 1.12) per la realizzazione di un manufatto costituito da un pomello lenticolare e da un breve stelo cilindrico (de Marinis 1999, p. 189, n. 41) che trova stringente confronto con un esclusivo manufatto in bronzo interpretato come impugnatura o parte di una conocchia proveniente dallo strato sommitale del villaggio grande di Santa Rosa di Poviglio (Bernabò Brea et alii 1997, p. 350, fig. 189.11; Peroni 1997, fig. 381; Bianchi 2004, p. 433, fig. 23.12).


Bibliografia:
Bellintani P., Biavati A., Ornamenti in materiale vetroso, in, a cura di Bernabò Brea M., Cardarelli A., Cremaschi M., Le Terramare. La più antica civiltà padana, Catalogo della Mostra, Milano 1997, pp. 610-613.
Bernabò Brea M., Bronzoni L., Fornari C., Mutti A., Provenzano N., Lo strato sommitale del Villaggio grande di S. Rosa a Fodico di Poviglio (RE), in, a cura di Bernabò Brea M., Cardarelli A., Cremaschi M., Le Terramare. La più antica civiltà padana, Catalogo della Mostra, Milano 1997, pp. 348-350.
Bianchi P.A.E., Capanne e spazi domestici del Bronzo Recente avanzato nel Villaggio grande della terramara S. Rosa a Fodico di Poviglio, in Rivista di Scienze Preistoriche LIV, Firenze 2004, pp. 411-485.

Peroni R., Il potere e i suoi simboli, in, a cura di Bernabò Brea M., Cardarelli A., Cremaschi M., Le Terramare. La più antica civiltà padana, Catalogo della Mostra, Milano 1997, pp. 661-673.
Pignocchi G., Silvestrini M. , Le Marche e l’area terramaricola: elementi di confronto nella ceramica di Moscosi di Cingoli e Cisterna di Tolentino, in Atti IIPP XLVIII (Padova, 5-9 novembre 2013), in corso di stampa.
Sabbatini T., Silvestrini M. 2005, Piano di Fonte Marcosa, Moscosi di Cingoli: un sito pluristratificato dell’Appennino Marchigiano. Le fasi del Bronzo Recente, in Atti IIPP XXXVIII, II, (Portonovo, Abbadia di Fiastra, 1 – 4 Ottobre 2003) Firenze 2005, pp. 639-657.
Silvestrini M., Pignocchi G., L’insediamento dell’età del Bronzo di Moscosi di Cingoli (MC): una sequenza stratigrafica dal Bronzo medio al bronzo finale, in Picus XIX, 1999, pp. 29-50.
Sabbatini T., Silvestrini M. Milazzo F., Moscosi di Cingoli (Macerata) e l’area centro adriatica nella tarda età del bronzo, aspetti di carattere internazionale e di koinè metallurgica fra Egeo ed area alpina, in, a cura di Borgna E., Càssola Guida P., Dall’Egeo all'Adriatico: Organizzazioni sociali, modi di scambio e interazione in età postpalaziale (XII-XI sec. a.C.), Roma 2009, pp. 235-256.



Ambiente e insediamenti del Bronzo nella Sardegna centro- occidentale: il sito di Sa Osa (Cabras-Or)

A. Depalmas1, G. Fundoni1, R.T. Melis2, A. Usai3, M. Zedda1

1 Università di Sassari, depalmas@uniss.it, mzedda@uniss.it
2 Università di Cagliari, rtmelis@unica.it
3 Soprintendenza beni archeologici Cagliari e Oristano - annita.usai@beniculturali.it

Il sito di Sa Osa è localizzato nella Sardegna centro-occidentale, nel settore settentrionale del Golfo di Oristano, a circa due chilometri dall’attuale linea di costa e a circa 500 metri dall’attuale corso del fiume Tirso. Il sito ricade nel tratto terminale della pianura alluvionale del Tirso, delimitato dallo Stagno di Cabras a Nord, dallo Stagno di Santa Giusta a Sud e dalla pianura costiera di Torre Grande a Ovest. L’evoluzione geomorfologica dell’area è stata fortemente influenzata dalla dinamica fluviale, dalle variazioni del livello del mare e dai cambiamenti climatici quaternari. Il territorio circostante l’insediamento è caratterizzato da depositi alluvionali pleistocenici e olocenici terrazzati del fiume Tirso e del Fiume Tanui. Verso la costa e lo stagno di Cabras le alluvioni sono intercalate a depositi lagunari e marini. Nella piana costiera, delimitata dal cordone litorale olocenico di Torre Grande, le aree umide sono state bonificate e colmate dalle alluvioni recenti e depositi antropici. Lo studio geoarcheologico ha permesso di evidenziare che il sito si estende sia su un terrazzo alluvionale (settore settentrionale) che nella piana di esondazione del Fiume Tirso (settore meridionale). In particolare l’analisi stratigrafica e pedostratigrafica ha rilevato, nel settore settentrionale, una sequenza di depositi alluvionali grossolani pleistocenici con intercalati paleosuoli rossastri ferrettizzati e alluvioni oloceniche. Il settore meridionale è invece caratterizzato dalle alluvioni fini oloceniche della piana di esondazione del fiume Tirso che colmano una profonda incisione nelle alluvioni pleistoceniche.
Il sito di Sa Osa, scoperto durante i lavori di costruzione della strada Oristano-Torre Grande, rappresenta un contesto particolare per quanto riguarda la Sardegna protostorica in quanto si tratta di un insediamento nuragico senza nuraghe e quasi senza strutture murarie, per giunta con una serrata successione di fasi occupative e con dislivelli ridottissimi tra le rispettive superfici di frequentazione.
Elemento caratterizzante è la presenza di pozzi (18) alcuni dei quali si sono rivelati depositi straordinari per la quantità e la qualità dei reperti archeologici e di quelli di natura organica.
La maggioranza delle unità archeologiche indagate hanno restituito contesti omogenei del Bronzo Medio, salvo alcuni frammenti ceramici intrusi riferibili alla facies calcolitica Sub-Ozieri e al Bronzo Antico. Si hanno anche attestazioni del Bronzo Recente e del Bronzo Finale e in una struttura delimitata da pietre sono stati recuperati materiali dell’età del Ferro.
Nell’insediamento di Sa Osa sono emersi anche interessanti indicatori sullo sfruttamento delle risorse locali (pesca marina e fluviale, allevamento di suini e bovini, caccia di cervidi) e su aspetti produttivi specializzati (es. viticultura, produzione di vasellame, industria su osso) (
Usai et alii 2010).


Bibliografia:

Usai
A., Sebis S., Depalmas A., Melis R.T., Caruso S., Castangia G., Pau L., Sanna I., Sechi S., Serreli P.F., Soro L., Vidili S., Zedda M., Zupancich A., L’insediamento prenuragico e nuragico di Sa Osa - Cabras (OR). Topografa e considerazioni generali, in Atti IIPP XLIV, II, 2012, pp. 771-782.



Adattamenti socio-economici delle comunità dell'Età del Bronzo in Puglia alle modificazioni climatiche tardo oloceniche del Mediterraneo centrale

I. M. Muntoni1, G. Fiorentino2, C. D’Oronzo2, M. Primavera2, F. Radina1

1 Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia, italomaria.muntoni@beniculturali.it
2 Università del Salento

The study consists of a regional-diachronic overview of Bronze Age archaeobotanical data focused on south-eastern Italy, as reflected by charcoal and seed/fruit analysis performed on 15 archaeological sites widespread along Puglia region.
This synthesis, aiming at reconstruction of Human-Plants relation during a period of changes in environment and cultural systems, offers interesting evidence of “contemporary” shifts in both paleoenvironmental and palaeoeconomical records throughout the lapse of time between Mid and Late Bronze Age.
While Anthracology points to a phase of changing in vegetation cover, seeds/fruits analysis reveals a shift in subsistence economies. Changes in agro-production are discussed taking into account agronomic features (water and temperature requirements) during the key periods of the growing, according to the current literature referred to the region.
Given that the decisions on changing the agriculture production can be, at least, related to: a) environmental conditions or b) socio-economic requirements, an integrate approach should help to understand the role of climate and/or human forces.
For this reason we integrate and discuss the major changes in the light of socio-cultural dynamics inferred from archaeological evidences (population growth, social complexity, storage capacity) and high–resoluted paleoclimate proxy available for the central Mediterranean area, in order to understand whether and how Bronze Age communities in Puglia adapted or modified in response to seasonal climatic changes.

Bibliografia:
Fiorentino G., D’Oronzo C., Primavera M., Caldara M., Muntoni I.M., Radina F., Variazioni ambientali e dinamiche antropiche in Puglia (5.600-4.000 a.C.), in Rivista di Studi Liguri LXXVII-LXXVIII, 2011-2012.
Fiorentino G., Caldara M., De Santis V., D'Oronzo C., Muntoni I.M., Simone O., Primavera M., Radina F., Climate changes and human-environment interactions in the Apulia region of southeastern Italy during the Neolithic period, in The Holocene 23 (9), 2013, pp. 1297-1316.



Alto Casino (San Cesario, Modena). Insediamento dell'antica età del Bronzo

A. Ferrari1, V. Leonini2, N. Morandi1

1 Antiquarium di Spilamberto (MO) – morandi_niccolo@yahoo.it
2 Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna – valentina.leonini@beniculturali.it

Nell’inverno-primavera 2012/2013 forti eventi erosivi spondali hanno portato alla messa in luce, nell’alveo del fiume Panaro, di tracce di un fossato ad andamento curvilineo prossimo ai noti rinvenimenti del 1979 di Alto Casino. Individuato nell’estate successiva alla secca del canale di magra è stato fatto oggetto di un intervento di emergenza esteso su di una superficie di poco meno di 20 m², intervento condizionato dalla seguente sommersione tardo estiva. Il fossato, a sezione lenticolare e ampio attorno ai 6 m, era conservato per una profondità massima di circa 1 m, erosi in età storica i livelli superficiali e la paleosuperificie su cui si apriva. La successione sondata mostra, al di sopra di un livello d’uso, episodi di riempimento intenzionale più o meno ricchi di scarichi antropizzati, deposti in ambiente umido caratterizzato da acque stagnanti.
Ad un primo esame le industrie appaiono inquadrabili in un episodio sostanzialmente successivo al Tardicampaniforme, con rimandi ad aspetti pieni e avanzati del Bronzo Antico sudappenninico e nordpadano.



La capanna dell'età del bronzo di Amolara (Adria): stato delle ricerche e prospettive future

F. Bortolami

Università Cà Foscari Venezia - fiore_1@live.it; fiorenza.bortolami@libero.it

Il sito dell’età del Bronzo di Amolara, località a nord-est dell’odierna città di Adria, è stato rinvenuto nel corso di un controllo archeologico legato a lavori di rifacimento e potenziamento del metanodotto della città. In seguito all’individuazione di una stratigrafia archeologica con depositi fortemente antropizzati è stato condotto uno scavo di emergenza che ha portato alla luce il settore periferico di un insediamento pluristratificato riferibile all’età del Bronzo media e recente, caratterizzato da 3 fasi di occupazione susseguitesi senza soluzione di continuità.
La fase più antica riflette un ambiente stagnale instabile sul quale si imposta un sistema insediativo con struttura su impalcato ligneo; questa fase, che col tempo va progressivamente asciugandosi, si conclude con l’incendio e il collasso della struttura su impalcato, seguita dalla stesura di un consistente riporto di terreno. La seconda fase è rappresentata da una fitta sequenza di livelli impostati sullo strato di riporto, legati ad attività piro-tecnologiche come è stato possibile determinare dall’individuazione di piastre in argilla scottata e parti in elevato in limo-argilloso crudo che probabilmente costituivano strutture come forni.
L’ultima fase del sito è interessata dall’impianto di una struttura stabile, denominata capanna α, che interessa tutto l’ultimo ciclo di occupazione. Questa struttura, sviluppata longitudinalmente in senso est-ovest, presenta una pianta sub-rettangolare con focolare centrale ed è delimitata esternamente da un piccolo fossato; questa prima fase di utilizzo si chiude con l’incendio parziale della capanna che viene subito ripristinata mantenendo l’assetto e l’orientamento precedente. Successivamente la struttura va incontro ad un disfacimento completo e l’intera area viene destinata ad attività agricole.
Il sito è stato fin da subito oggetto di specifiche analisi che ne hanno determinato il contesto geoarcheologico e geomorfologico, e di analisi archeo-zoologiche, polliniche e radiometriche; i dati ottenuti hanno restituito importanti informazioni per quanto riguarda la determinazione delle caratteristiche principali del sito.
Contemporaneamente alle analisi scientifiche è stato affrontato anche lo studio tipo-cronologico dei materiali ceramici che ha consentito di inquadrare l’orizzonte cronologico di vita dell’intero insediamento a partire da fasi di BM 3 fino al BR 2. La sequenza crono-tipologica dei materiali così elaborata è avvalorata dai risultati delle analisi C14 effettuate su campioni provenienti dal deposito archeologico.
Questo contributo si propone di esporre lo stato delle ricerche e degli studi finora condotti sul sito di Amolara, i cui risultati hanno permesso di inquadrare il sito in maniera più specifica nel quadro dell’età del bronzo della pianura padana, ma soprattutto intende presentare le prospettive di lavoro future rivolte principalmente all’analisi e alla ricostruzione dell’uso dello spazio interno (ed esterno) della capanna, all’individuazione delle aree di lavorazione e di come queste fossero organizzate in rapporto al resto dell’ambiente.

Bibliografia:
B
ortolami F., Contributo alla conoscenza dell’età del Bronzo recente nel territorio polesano. La capanna di località Amolara (Adria): analisi dei materiali ceramici, tesi di laurea, Università Cà Foscari, Venezia, 2012-2013.
G
ambacurta G. et alii (c.s.), Adria, via Amolaretta e via Zaccagnini: le indagini 2010 – 2011. Notizia preliminare, in corso di stampa.



Il Parco di Montale: 10 anni di attività fra ricerca, divulgazione e didattica

C. Zanasi

Museo Civico Archeologico Etnologico – Parco archeologico e Museo all’aperto della Terramare di Montale - cristiana.zanasi@comune.modena.it

Inaugurato nell’aprile del 2004, il Parco open-air di Montale rappresenta oggi una delle realtà museali più attive sul territorio emiliano, impegnata a promuovere la conoscenza delle sue antichi radici attraverso una divulgazione di qualità. Il parco è stato un precursore di questa particolare declinazione di museo, fin da quando, già negli anni ’90, il Museo Civico Archeologico di Modena ha cominciato a progettare di dotarsi di un settore all’aperto che affiancasse la proposta tradizionale delle proprie sale espositive con soluzioni in grado di superare quella frattura fra oggetto e contesto di provenienza che inevitabilmente si viene a creare con la musealizzazione dei reperti.
La formula del museo all’aperto, che allora conoscevamo quasi esclusivamente da testimonianze europee, poteva assolvere in modo efficace questo compito. Il progetto era nato proprio pensando alla Terramara di Montale, ancora parzialmente intatta, dove si stavano svolgendo scavi archeologici, diretti dal museo stesso, che restituivano risultati straordinari in relazione alla conservazione di strutture. Fin dalle prime riflessioni è dunque risultato evidente che la realizzazione sarebbe stata improntata ad un metodo rigorosamente scientifico con scelte di carattere filologico sia sul fronte della ricostruzione di strutture sia su quello della ricostruzione di oggetti.
Il metodo filologico adottato nella realizzazione del parco ovviamente si riflette sul tipo di comunicazione che il parco rivolge al pubblico, con dimostrazioni di archeologia sperimentale o di antiche tecniche artigianali, e agli studenti, invitati a seguire passo passo le fasi del lavoro che ha condotto gli archeologi dallo scavo alla ricostruzione intesa come punto di arrivo di un percorso di ricerca. L’aspetto educativo (inteso come educazione al bene culturale) ha dunque affiancato, per non dire sopravanzato, la dimensione emotivo-evocativa, spesso prevalente in questi contesti.



Il Parco Archeologico del Villaggio Neolitico di Travo: valorizzazione e tutela.

M.A. Bernabò Brea, M. Maffi

Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, - mariaadeliabernabobrea@beniculturali.it
Museo e Parco Archeologico di Travo -
maria.maffi@libero.it

Dal 1981 la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna conduce indagini mirate alla ricostruzione del popolamento preistorico della media Val Trebbia, in collaborazione con la locale Associazione Culturale di Travo. Dal 2002 il rilievo scientifico assunto dallo scavo archeologico aperto in loc. S. Andrea a Travo ha consentito di avviare una cooperazione franco-italiana per lo sviluppo delle indagini.
L’attività di ricerca condotta nel corso di 30 anni è costituita da vari aspetti: ricognizione del territorio per l'individuazione dei siti archeologici, scavi archeologici di ricerca o di emergenza, analisi di laboratorio e indagini sui materiali raccolti.
Il Museo Archeologico della media Val Trebbia nel Castello Anguissola di Travo, di cui è stata allestita già da vari anni la sezione preistorica e protostorica e più recentemente quella romana, rappresenta lo specchio, sul piano divulgativo, del lavoro svolto e in corso.
A partire dal 1995 l’avviamento dello scavo sistematico nell’abitato neolitico di S. Andrea a Travo ha aperto nuove potenzialità sia scientifiche che di valorizzazione.
Il sito di S. Andrea, infatti, presenta una fitta rete di strutture abitative e funzionali ben conservate, che consentono indagini di grande interesse sull'organizzazione spaziale e sociale del villaggio.
Il Comune di Travo, d’intesa con la Soprintendenza, ha promosso nel 2006 un progetto di realizzazione di un Parco Archeologico a S. Andrea, il cui primo stralcio è stato finanziato nell’ambito dell’ “Obiettivo 2” e i successivi a completamento con la legge regionale 18.
In considerazione dell’importanza scientifica dell’area e dell’esistenza di un progetto di valorizzazione, su richiesta della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha provveduto all’esproprio del terreno.
Il Parco Archeologico per la valorizzazione del villaggio neolitico di S. Andrea a Travo, ormai a completamento, rappresenta l’esito dell’attività di indagine e di valorizzazione portata avanti dai soggetti citati sopra da circa 30 anni.
Esso è stato progettato dall’Arch. Riccardo Merlo di concerto con la Soprintendenza competente; è ampio circa un ettaro e comporta la recinzione dell’area in cui sono conservate le strutture preistoriche, la protezione e il consolidamento delle strutture stesse, la sistemazione a verde dell’area circostante, la costruzione di un locale di accoglienza e di parcheggi per i visitatori. In una seconda fase progettuale è stata realizzata la ricostruzione di tre case preistoriche messe in luce dallo scavo.
Il punto di forza del progetto è basato appunto sull’accostamento tra la conservazione in vista delle strutture preistoriche che lo scavo archeologico ha messo in luce nel sito e la ricostruzione in scala naturale di alcune di esse, tra cui tre delle case rettangolari di legno ed alcuni forni a ciottoli arroventati.
Per la conservazione delle strutture neolitiche messe in luce nel corso degli scavi, opportunamente consolidate, sono state realizzate coperture di legno con tetto a doppio spiovente di paglia, che ripropongono i volumi ipotizzati per gli edifici di S. Andrea a partire dai rapporti proporzionali leggibili dai dati planimetrici.
L’intera fascia di terreno corrispondente all’area espropriata, nella quale si prevede di ampliare negli anni futuri lo scavo archeologico, è interessata da pannelli con spiegazioni sul sito e sulle strutture per i visitatori; in essa si è allestito un locale destinato all’accoglienza dei visitatori e ai margini è predisposto un parcheggio.
Nella fascia libera da strutture archeologiche è avviata la piantumazione con essenze vegetali documentate tra i resti paleobotanici dello scavo: quercia, olmo, piante da frutto selvatiche, etc., accanto alle quali piccole coltivazioni sperimentali mostrano le varietà di cereali e di legumi coltivati nel sito durante il neolitico.
Le ricostruzioni delle strutture, sono state realizzate a partire dalle planimetrie messe in luce nello scavo ed ispirandosi alle esperienze portate avanti da tempo in Francia e in Svizzera, oltre che a quelle effettuate in alcuni parchi archeologici italiani, tra cui soprattutto il Parco della terramara del Montale presso Modena.

Bibliografia:
Cardarelli A., Parco archeologico e museo all’aperto della Terramara del Montale, Modena 2004.
Pétrequin P. et alii, Construire une maison 3.000 ans avant J.C. Le lac de Chalain au Néolitique, 1991.
Ramseyer D., La costruction d'une ferme néolithique, comme il y a 5.000 ans, in Revue Chantiers vol 1, 1997, pp. 53-58.



Nuove esperienze di didattica museale al Museo della Terramara S.Rosa di Poviglio

C. Basile1, N. Di Foggia2, M. Garofalo3

1 Museo della Terramara S. Rosa - carmenbasileus@yahoo.it
2 Convitto Nazionale Maria Luigia di Parma - difonicola@libero.it
3 Cooperativa Sociale Co.Re.S.S. - garofalo.marilena@virgilio.it

Durante la comunicazione si presenteranno alcune nuove attività didattico-laboratoriali svolte presso il Museo della Terramara S.Rosa di Poviglio. Intese come servizi museali per la qualità sociale, mirano allo studio e allo sviluppo di una comunicazione inclusiva (o dedicata) per favorire l’interazione e l’apprendimento secondo modalità alternative e non solo verbali.
Il primo progetto prevede il coinvolgimento nell’archeologia di disabili cognitivi in età evolutiva incoraggiandone così e “portando fuori” (dal latino e-ducere) le capacità manuali, cognitive e affettivo-relazionali, emergenti e potenziali, attraverso la partecipazione ad attività didattiche (visita e laboratori) mirate. Queste, attraverso l’esperienza di attività sensoriali e di osservazione, permettono un lavoro personale di elaborazione e informazione sul tema della preistoria, argomento cruciale perché relativo agli aspetti più ancestrali dell’essere (come) umano.
Il secondo utilizza il metodo specifico della
philosophy for children: attraverso le pratiche filosofiche, piccoli fruitori dell’oggetto museale (in questo caso scuola secondaria di primo grado), ma anche adulti, si mettono in gioco come dei veri e propri ricercatori (di senso), mettendo in scena un workshop di rielaborazione critica dell’esperienza museale e dando senso alla tensione passato-presente. L’oggetto museale è trattato come un frammento di esistenza che si può tenere in mano e, così, dominare spiritualmente il lasso di tempo che scorre dalla sua nascita: il passato, con i suoi destini e i suoi cambiamenti, è raccolto nel punto di un presente intuibile esteticamente.




   Riassunti dei poster



Analisi tipologica di falcetti di bronzo protostorici

A. Armig liato

Alma Mater Studiorum-Università di Bologna - alearmi@live.it

In questa ricerca sono stati presi in esame i falcetti utilizzati nell'età del Bronzo al fine di proporre una tipologia e identificare i diversi modelli sulla base di una o più caratteristiche. L’areale di indagine comprende il Friuli Venezia Giulia, il Veneto, la parte meridionale del Trentino, la Lombardia orientale, parte dell’Emilia e della Romagna. Nel corso dell’intera durata dell’età del Bronzo i falcetti hanno subito molte trasformazioni, prima fra tutte quella del materiale. Per la prima parte dell’età del Bronzo (BA e BM1-2) si trovano esclusivamente falcetti di legno con armatura in selce. Dal BM2 iniziano a comparire falcetti di bronzo che diventeranno sempre più frequenti nel corso del Bronzo Recente.
Su 171 elementi catalogati,
158 sono identificabili come falcetti veri e propri (53 integri, 105 frammentari), 11 sono matrici (2 di argilla, 9 di pietra), 2 sono manici di legno; solo una piccola parte presenta alcune caratteristiche ritenute fondamentali per un’analisi tipologica: considerate la lama (a dorso continuo/a dorso interrotto), il codolo (con o senza foro), il tallone e la linguetta. Le diverse morfologie, prima isolate e poi combinate tra loro, hanno permesso di identificare tipi differenziati, caratterizzati da elementi peculiari dei singoli strumenti (vedi fig. 1). I dati preliminari della ricerca sembrano propendere per la presenza di manifatture locali (quali ad es. la presenza o meno di una o più costolature, il loro appiattimento più o meno pronunciato, il profilo del taglio della lama più o meno angolato), pur nell’ambito di orizzonti culturali per lo più omogenei. Confrontando le diverse caratteristiche sia cronologicamente sia geograficamente è stato possibile ricostruire un’evoluzione delle forme: da quelle più semplici prive di foro per l’immanicatura e linguetta con lama asimmetrica fino a quelle con singolo o duplice foro, linguetta e lama simmetrica.

Bibliografia:
Bernabò Brea M., Cardarelli A., Cremaschi M., a cura di, Le Terramare. La più antica civiltà padana, Catalogo della Mostra, Milano 1997.
Bernabò Brea M.A., Cremaschi M, a cura di, Il villaggio piccolo della terramara di Santa Rosa di Poviglio. Scavi 1987-1992, Firenze 2004.
Bietti Sestieri A. M., The metal industry of continental Italy, 13th-11th century, and its aegean connections, in Proceeding of Prehistory Society 39, 1973, pp. 383-424.
Bietti Sestieri A. M., Protostoria. Teoria e pratica, Roma 1996.
Carancini G. L., Metallurgia e società nell’Italia protostorica, in, a cura di Caselli F.P., Agostinetti P. P., La miniera, l'uomo e l'ambiente: fonti e metodi a confronto per la storia delle attività minerarie e metallurgiche in Italia, Convegno di studi, Cassino, 2-4 giugno 1994, p. 289.
de Marinis R. C., L'età del Bronzo: la metallurgia, in AA.VV., Archeologia in Lombardia, Milano 1982, pp. 63-82.
de Marinis R. C., Frontini P., Preistoria e protostoria nel territorio di Piacenza, in AA.VV., Storia di Piacenza, 1, Piacenza 1990, pp.716 e 721.
de Marinis R. C., 2, Circolazione del metallo e dei manufatti nell’età del bronzo dell’ Italia settentrionale, in Materie prime e scambi nella preistoria italiana, in Atti IIPP XXXIX (Firenze, 25-27 novembre 2004), vol. III, Firenze 2004, pp. 1289-1317.
F
orni G., Le tecniche agricole nelle terramare, in, a cura di Bernabò Brea M., Cardarelli A., Cremaschi M., Le Terramare. La più antica civiltà padana, Catalogo della Mostra, Milano 1997, p. 468, fig. 272.
F
urlani U., Il ripostiglio di Gargaro, in AttiMusCivTrieste, 8, 1973-1975, pp. 51-61.
M
uller-Karpe H., Beiträge zur Chronologie der Urnenfelderzeit nördlich und südlich der Alpen, 1959.
M
utti A., Caratteristiche e problemi del popolamento terramaricolo in Emilia occidentale, Bologna 1993.
M
utti A., a cura di, Gli scavi nella terramara Santa Rosa a Fodico di Poviglio. Guida all’esposizione, Guastalla 2007, p. 63.
P
rimas M., Die Sicheln ur Mitteleuropa, I, in PBF XVIII, 2, München 1986.
S
offredi A., Abitato dell’età del Bronzo a Bande di Cavriana (Mantova), in Atti IIPP XI-XII, (Firenze, 11-12 febbraio 1967 / Sicilia, ottobre 1967), 1968, pp. 155-164.
T
irabassi J., I falcetti di Monte Pilastro, in, a cura di, Bernabò Brea M., Cardarelli A., Cremaschi M., Le Terramare. La più antica civiltà padana, Catalogo della Mostra, Milano 1997.
T
osatti A.M., Insediamento dell’età del Bronzo a Boccazzola Vecchia di Poggio Rusco (MN), in Preistoria Alpina 20, 1984, pp. 169-202.



Materiali ceramici dalla terramara di Santa rosa: un approccio archeometrico

L. Bonizzoni1, C. Viganò2, E. Ziraldo3

1 Università degli Studi di Milano - letizia.bonizzoni@unimi.it
2 Università degli Studi di Ferrara - clara.vigano@studenti.unife.it
3 Università degli Studi di Torino - emma.zira@gmail.com

La ceramica è, tra i manufatti archeologici, quello che maggiormente si ritrova all’interno dei siti, soprattutto dell’età del Bronzo. Le sue caratteristiche ne fanno infatti un materiale resistente, duraturo e spesso riutilizzato, con funzioni differenti, in un secondo momento di vita. Per questo motivo da sempre è stato oggetto di studi per comprenderne le forme e il loro variare nel corso del tempo. Lo studio tipologico, iniziato già durante la fase ottocentesca di esplorazione dei siti, ha permesso di stabilire griglie cronologiche ormai molto precise e di collocare, all’interno delle sotto-fasi del periodo in questione dei veri e propri “fossili guida”. Recentemente tuttavia, lo studio della ceramica ha subito nuovi impulsi, dall’integrazione delle analisi tradizionali, di tipo più prettamente archeologico, con analisi scientifiche, archeometriche, volte ad approfondire ulteriori aspetti legati a questo manufatto, quale la modalità di approvvigionamento delle materie prime, modi e tempi di lavorazione ed eventuali miglioramenti tecnici apportati nel corso del tempo.
Il lavoro presentato in questa sede fa parte di uno studio multidisciplinare su un lotto di frammenti ceramici provenienti dalla terramara di S. Rosa di Poviglio; in questo ambito, le analisi archeometriche, seppure preliminari, hanno contribuito a introdurre un nuovo metodo per lo studio di questi materiali ponendo le basi per un progetto che dovrà essere ulteriormente ampliato. Finora infatti le uniche analisi, anch’esse preliminari, erano state condotte mediante sezioni sottili e diffrazione di raggi X. Il vantaggio del nuovo metodo utilizzato, l’analisi con fluorescenza di raggi X (XRF), volto a identificare la composizione elementare dei materiali, permette di utilizzare i campioni tal quali, senza essere distruttiva o invasiva per l’oggetto.
Sono stati selezionati e analizzati 36 frammenti ceramici e 5 terreni provenienti direttamente dalle unità stratigrafiche dello scavo. Gli spettri ottenuti dall’analisi XRF sono poi stati trattati con l’analisi statistica multivariata (analisi delle componenti principali e analisi dei cluster), in modo da poter confrontare fra loro tutti i dati disponibili. Sono state confrontate, per ogni campione considerato, le percentuali mediate di potassio, calcio, titanio, cromo, manganese, ferro, zinco, rubidio e stronzio, elementi presenti in concentrazione minoritaria o in traccia. Infatti, un metodo comunemente utilizzato per individuare differenze nell’origine geografica di insiemi di campioni di ceramiche archeologiche consiste nell’esaminarne la composizione chimica elementare e nel sottoporre i dati così ottenuti ad analisi statistica multivariata
(Jones 1986). Poiché è noto che le argille possono presentare variazioni composizionali nell’ambito del medesimo giacimento o, viceversa, risultare relativamente poco differenziate da un sito all’altro, è generalmente raccomandata la determinazione delle percentuali di un numero significativo di elementi, con particolare attenzione a quelli cosiddetti minori o addirittura in tracce (Neff 2000).
Lo studio condotto sui materiali provenienti dalla terramara di Santa Rosa si è rivelato assai interessante, soprattutto perché ha permesso la messa a punto di un metodo che finora non era mai stato utilizzato per l’analisi archeometrica di materiali relativi all’età del Bronzo in area terramaricola. Le analisi della composizione elementare hanno mostrato una sostanziale omogeneità composizionale tra loro e con i terreni locali, pur riconoscendo la presenza di due gruppi distinti, differenziabili fondamentalmente per la diversa concentrazione di calcio (V
iganò 2013).
In particolare, i due gruppi non riflettono né la differenza tipologica, né quella stratigrafica o di datazione. Questo è coerente con una produzione non standardizzata, in cui le tipologie e l’approvvigionamento non sono legati a un’economia di scambio o di mercato. Una della ipotesi possibili per questa variazione riguarda la diversa profondità a cui l’argilla è stata estratta: infatti, studi effettuati in altri siti assimilabili hanno dimostrato come al variare della profondità di campionamento della materia prima, vari anche la somiglianza di composizione con i campioni stessi (A
madori 2002).
Da queste considerazioni, l’esigenza per il futuro è quella di implementare le analisi sui terreni in altre zone di pertinenza dell’insediamento e a differenti profondità, oltre ovviamente a considerare per l’analisi scientifica ulteriori campioni di varia tipologia e provenienza stratigrafica.
Dato anche il numero ridotto di campioni analizzati sarà certamente necessario approfondire il lavoro con ulteriori indagini archeometriche, in modo da poter confrontare i risultati ottenuti da diverse tecniche d’indagine.
È stato comunque importante dare il via a questo tipo di ricerca, per poter aprire la strada a un nuovo possibile lavoro multidisciplinare sui reperti archeologici.

Bibliografia:
A
madori M.L., The interpretation of the complex fabrics of Bronze ages potteries from Imola (Italy), in Modern Trends in scientific Studies on ancient Ceramics, BAR international Series 101, 1, 2002.
J
ones R.E., Greek and Cypriot Pottery, Athens 1986.
Neff H., Neutron activation analysis for provenance determination, in, a cura di Ciliberto E., Spoto G. Archaeology, Modern Analytical Methods in Art and Archaeology, New York 2000, pp. 115-116.
V
iganò C., The raw material of the pottery production from the terramara S. Rosa: an archaeometrical approach, in 12th European Meeting on Ancient Ceramics,19-21 September 2013, Padova, Italy 2013.



Le strutture interne, fra Villaggio Piccolo e Villaggio Grande.

F. Borgi, P. Ferrari, T. Lachenal, E. Menghi, M. Salvioni, M. Scuotto

Tra gli anni 2008-2013 è stato indagato un transetto che collegava le aree del villaggio grande a quelle del villaggio piccolo esplorate nelle precedenti campagne. Il tratto così messo in luce è apparso sul piano delle strutture particolarmente articolato e ricco di problematiche che andranno affrontate con future ricerche. I fatti nuovi emersi possono così riassumersi:
- A nord dell’area del villaggio grande precedentemente esplorata, proseguono nel nuovo settore gli edifici su impalcato delimitati da allineamenti di buche di palo, sui quali insistono i caratteristici cumuli di cenere. Questi sono limitati da un allineamento di profondi pozzi distribuiti lungo una scapata lievemente rilevata.
- A partire da questa, in direzione del villaggio piccolo, si delinea una superficie leggermente inclinata, caratterizzata da fosse, piccole canalette, qualche allineamento di buche di palo, ma priva di strutture abitative ben espresse. La stratigrafia è di debole spessore e costituita da un terreno organico, simile per molti aspetti alle Terre Nere, note in altri contesti archeologici. Di difficile interpretazione, potrebbe essere un’area adibita alla stabulazione e alla macellazione degli animali, come indicherebbero anche i resti faunistici particolarmente abbondanti. Al limite nord di quest’area, nella campagna di scavo del 2013, è venuto in luce un massiccio terrapieno, del tutto inaspettato, che potrebbe corrispondere sia a un primo ampliamento del villaggio piccolo, sia alla delimitazione settentrionale del villaggio grande.
- Particolarmente significativo è risultato il fossato che separa il villaggio grande dal villaggio piccolo, che, pur essendo noto già dalle prima esplorazioni della terramara, è stato solo nel corso di queste campagne compiutamente esplorato. Esso raggiunge i quattro metri di profondità dall’attuale piano di campagna, superando di almeno un metro la profondità del fossato a meridione del villaggio grande ed è conformato a doppio anello. I suoi riempimenti basali denunciano la presenza di acque profonde a debole scorrimento idrico ricche di fauna acquatica, verso l’alto si assiste a un progressivo interramento della struttura. Con lo scavo del fossato è stato messo in luce un tratto, sia pur breve, del margine meridionale del villaggio piccolo, che, al di sotto del massiccio terrapieno perimetrale, appare costituito da una ripida scarpata, modellata ad arte sul dosso su cui il sito appoggia, garantendone un aspetto particolarmente arroccato e di difficile accesso.



Reperti di corniolo (Cornus mas L.) e vite (Vitis vinifera L.) dalle terramare modenesi: considerazioni paletnobotaniche

G. Bosi, R. Rinaldi, M. Bandini Mazzanti

Università di Modena e Reggio Emilia . giovanna.bosi@unimore.it

Il corniolo (Cornus mas L.) e la vite (Vitis vinifera L.) sono due taxa importanti per l’alimentazione umana fin da epoche pre-protostoriche. Per il corniolo alcuni autori hanno ipotizzato in Italia Settentrionale pratiche colturali già all’Età del Bronzo. Gli endocarpi di corniolo delle terramare di Montale e di S. Ambrogio, confrontati con quelli romani della città di Modena e con un campione attuale commerciale, evidenziano cambiamenti nella loro forma; si nota, infatti, un progressivo incremento dell’indice L/l dagli endocarpi più antichi a quelli più recenti. La modifica potrebbe essere compatibile con l’avvio di pratiche selettive che hanno favorito nel tempo lo sviluppo della polpa rispetto al nocciolo, pratiche che possono aver avuto inizio già dal Bronzo. Se si considerano i dati carpologici dell’Italia Settentrionale, al Bronzo finale/Ferro i reperti di corniole (che potevano forse essere utilizzati per produrre bevande fermentate) diventano trascurabili, mentre aumentano quelli di vite, come avviene in maniera chiara anche nell’ambito della terramara di Montale nelle sue fasi finali. La vite di Montale ha caratteri che possono essere definiti intermedi tra forma spontanea e coltivata, forse un segnale di cure antropiche su individui selvatici presenti nell’area del sito. La maggiore attenzione rivolta alla vite è sottolineata anche dal “passaggio di testimone” con il corniolo, che sembra perdere d’importanza e visibilità.



La malacofauna del Fossato della terramara Santa Rosa di Poviglio: scavi dal 2008 al 2012

F. Drago

Università degli Studi di Milano - francesco.drago.i@gmail.com

L'utilizzo dei molluschi come bioindicatori paleoambientali si basa sull'assunto che i comportamenti e le esigenze ecologiche della stragrande maggioranza delle specie sub-fossili quaternarie marine, terrestri e di acque interne siano essenzialmente uguali a quelli delle specie attualmente viventi. Il lavoro presenta la malacofauna rinvenuta durante gli scavi avvenuti dal 2008 al 2011 della Terramara di Santa Rosa di Poviglio proveniente dall'area al margine del fossato che separa il Villaggio Piccolo dal Villaggio Grande, e quella rinvenuta durante gli scavi del 2012 all'interno del fossato che separa i due villaggi. La malacofauna studiata è rappresentata maggiormente da specie di tipo acquatico e ha permesso di ricavare alcune ipotesi sulle caratteristiche ambientali del fossato; mentre considerazioni ambientali sull'area prossima al sito sono state dedotte dall’osservazione della malacofauna terrestre. È stato inoltre rinvenuto un esemplare marino appartenente al genere Nassarius che potrebbe indicare possibili frequentazioni delle aree costiere o scambi commerciali.

Bibliografia:
Albaina N., Olsen J. L., Couceiro L., Ruiz J. M., Barreiro R., Recent history of the European Nassarius nitidus (Gastropoda): phylogeographic evidence of glacial refugia and colonization pathways, in Mar Biol 159, 2012, pp. 1871–1884.
A
nderson R., An annoted list of the non-marine mollusca of britain and ireland, in Journal of Conchology 38, London 2005, pp. 607-638.
Cossignani T., Cossignani V., Atlante delle Conchiglie Terrestri e Dulciacquicole Italiane, Ancona 1995.
D
rago F., Tra Villaggio Grande e Villaggio Piccolo. Stratigrafia e fauna nell'area interna della terramara Santa Rosa di Poviglio, tesi di laurea in Scienze Naturali, Università degli Studi di Milano, 2011-2012.
G
eorgiev D. G., Freshwater malacofauna of Upper Thracian Lowland (Southern Bulgaria), in Acta zool. Bulg., 64 (4), 2012, pp. 413-420.
G
irod A., Importanza dei molluschi terrestri e d’acqua dolce in archeologia, in Preistoria Alpina, 40, suppl. 1, 2005, pp. 125-131.
Grigorovich I. A., Mills E. L., Richards C. B., Breneman D., Ciborowski J. J. H., European Valve Snail Valvata piscinalis (Müller), in the Laurentian Great Lakes Basin, Internat. Assoc. Great Lakes Res., 31, 2005, pp. 135–143.
H
owlet S. A., The Biology, Behaviour and Control of the Field Slug Deroceras reticulatum (Müller), tesi di laurea discussa alla facoltà di Biologia, University of Newcastle upon Tyne 2005.
Poggiani L., Mattioli G., Micali P., I molluschi marini conchiferi della Provincia di Pesaro e Urbino, 2004.



Ricostruzione paleoambientale delle terramare di Baggiovara e Casinalbo (Modena)

M.C. Montecchi1, A.M. Mercuri1, G. Pellacani2, A. Cardarelli3

1 Università di Modena e Reggio Emilia - mariachiara.montecchi@unimore.it
2 Museo Archeologico Etnologico di Modena
3
La Sapienza Università di Roma

Lo studio palinologico della Terramara di Baggiovara (Bronzo Medio 1 e 2, dal 1650 al 1500 a.C. circa) e della Necropoli di Casinalbo (Bronzo Medio 2 e Bronzo Recente 2, dal 1550 al 1150 a.C. circa) ha fornito nuovi elementi utili alla comprensione dell’uso del territorio al tempo della cultura terramaricola durante il Bronzo Medio e Recente nell’area dell’alta pianura modenese. I due siti sono distanti circa 1,6 km l’uno dall’altro, non lontani dalla Terramara di Montale (Mercuri et alii 2006, 2012). I diagrammi pollinici di Baggiovara e Casinalbo mostrano simili dati medi, dimostrando come anche studi in contesti influenzati da presenza umana (on-site), nonostante le stratigrafie siano tipicamente influenzate dalla presenza e attività dei gruppi insediati, possano essere utili per le ricostruzioni paleoambientali. In base a quanto emerso dai dati pollinici, i siti sorsero in aree caratterizzate da scarsa presenza umana. La maggior parte delle aree circostanti i villaggi dovevano essere destinate a pascoli e in parte alla coltivazione dei cereali. Le zone boschive, che rappresentavano una risorsa sia per il legname, sia per i frutti che potevano essere raccolti nello spontaneo, erano diventate più rade, fino quasi a scomparire in alcuni luoghi, con l’ampliamento dei villaggi. L’attività umana continuativa e persistente su un’area limitata ha inevitabili conseguenze sugli equilibri ecologici. In particolare, l’azione simultanea di più insediamenti e l’elevata pressione demografica nell’area possono aver avuto ripercussioni anche su scala regionale (Cremaschi et alii 2006; Cardarelli 2010).

Bibliografia
C
ardarelli A., The collapse of the Terramare Culture and growth of new economic and social systems during the Late Bronze Age in Italy, in Atti del Convegno Internazionale Le ragioni del cambiamento / Reasons for change (Roma, 15-17 Giugno 2006), in Scienze dell’Antichità 15, Roma 2010, pp. 449-520.
Cremaschi
M., Pizzi C., Valsecchi V., Water management and land use in the terramare and a possible climatic co-factor in their collapse: the case study of the terramara S. Rosa (Northern Italy), in Quaternary International 151, 2006, pp. 87-98.
Mercuri A.M., Accorsi C.A., Bandini Mazzanti M., Bosi G., Cardarelli A., Labate D., Marchesini M., Trevisan Grandi G.,
Economy and environment of Bronze Age settlements Terramaras on the Po Plain (Northern Italy): first results from the archaeobotanical research at the Terramara di Montale, in Vegetation History Archaeobotany 16, 2006, pp. 43-60.
Mercuri A.M., Bandini Mazzanti M., Torri P., Vigliotti L., Bosi G., Florenzano A., Olmi L., Massamba N’siala I.,
A marine/terrestrial integration for mid-late Holocene vegetation history and the development of the cultural landscape in the Po valley as a result of human impact and climate change, in Vegetation History Archaeobotany 21 (4), 2012, pp. 353-372.
Mercuri A.M., Montecchi M.C., Pellacani G., Florenzano A., Rattighieri E., Cardarelli A
., submitted, Environment, human impact and the role of trees on the Po plain during the Middle and Recent Bronze Age: pollen evidence from the local influence of the terramare of Baggiovara and Casinalbo, in Review of Palaeobotany and Palynology.



Tra Villaggio Piccolo e Villaggio Grande nella terramara S. Rosa di Poviglio: i materiali ceramici del fossato al margine della terramara piccola

C. Pizzi1, C. Viganò2, E. Ziraldo3

1 Università degli Studi di Milano – chiara.pizzi@libero.it
2 Università degli Studi di Ferrara
3
Università degli Studi di Torino

Le indagini archeologiche compiute a partire dalla campagna di scavo 2012 a S. Rosa di Poviglio (RE), hanno permesso di intercettare un tratto del fossato che separa il Villaggio Piccolo dal Villaggio Grande, mettendone in luce entrambe le sponde. L’esistenza di tale fossato era già nota grazie ad una trincea aperta nel 1984 (Bernabò Brea et alii 1990), e che attraversava longitudinalmente tutto il sito. Ai tempi delle prime indagini, tuttavia, l’esplorazione si era interrotta senza intercettare i riempimenti dell’età del Bronzo. Le successive ricerche nel Villaggio Piccolo (Bernabò Brea, Cremaschi 2004) si erano fermate al margine superiore del fossato, individuando una palizzata lignea perimetrale, distrutta da un incendio e sostituita in una fase avanzata con un massiccio terrapieno. Grazie al contributo delle indagini geofisiche è stato invece possibile intercettare la struttura del fossato interno, aprendovi un saggio di notevole profondità che ha rivelato una situazione inedita, finora non documentata nel mondo terramaricolo. Le due sponde, rispettivamente Nord e Sud del fossato hanno mostrato una situazione differente, di cui anche i materiali rinvenuti ci permettono di seguire l’evoluzione. I manufatti ceramici rinvenuti poggianti alla sponda Nord del fossato sono piuttosto abbondanti e assai differenziati sia dal punto di vista cronologico che tipologico. Ciò permette di evidenziare una articolazione nel tempo compresa tra il Bronzo Recente avanzato (materiali che si appoggiano al terrapieno) e il Bronzo Medio 2 (depositi del fondo del canale). Molto più frammentari sono i materiali provenienti dalla sponda Sud; difficilmente databili anche per la prevalenza di forme poco significative dal punto di vista tipologico, essi si collocano in un generico periodo di Bronzo Medio anche piuttosto avanzato. In quest’ultimo insieme ricorrono anche materiali di epoche successive, che inducono a pensare che la struttura rimanga in uso, seppure in modo sporadico e discontinuo per un lunghissimo periodo compreso tra l’età del Bronzo e l’età romana. Il Villaggio Piccolo risulta dunque circondato non da un solo fossato ma da due canali concentrici, per una ampiezza complessiva di 20m, il cui fondo si trova oggi a 4.50 m dal piano campagna; quello più interno che delimita il piede del villaggio ed è costituito da una ripida scarpata tagliata artificialmente nel dosso fluviale sul quale venne costruito l’abitato, mentre quello più esterno, al di là della sponda tagliata artificialmente che lo limita, risale gradualmente fino al livello di campagna dell’età del Bronzo, posto ad una profondità di più di 1 m dal livello di campagna attuale. La terramara non si configura pertanto come un semplice villaggio posto a livello dei campi, ma un fortilizio, rilevato rispetto alla campagna circostante e solidamente difeso, sia dalla sua posizione eminente, sia da una palizzata lignea prima e da un massiccio terrapieno poi. Tale circostanza è coerente con il quadro di tensioni e conflittualità nella società terramaricola che sta emergendo dalle recenti ricerche e giustificherebbe il massiccio investimento di lavoro erogato per sviluppare le strutture difensive dei villaggi.

Bibliografia:
Bernabò Brea M., Cremaschi M., Il villaggio piccolo della terramara S. Rosa di Poviglio. Scavi 1987-1992, Firenze 2004.
Bernabò Brea M., Bronzoni L., Cremaschi M., Mutti A., Le indagini 1983-1984 nella terramara S. Rosa a Fodico di Poviglio (RE), in Padusa XXV, 1990, pp. 69/172.
Viganò C., Materiali ceramici provenienti dall'area del fossato e del terrapieno del Villaggio Piccolo di S.Rosa di Poviglio (RE): analisi stratigrafiche, tipologiche e archeometriche, tesi di laurea in Scienze e Tecnologie per i Beni Culturali e i Supporti Digitali, Università degli Studi di Milano, 2012-2013.
Ziraldo E. G., Reperti ceramici della terramara di Poviglio: aspetti stratigrafici, tipologici e archeometrici relativa a materiali ceramici provenienti da S. Rosa di Poviglio, tesi di laurea in Scienze e Tecnologie per i Beni Culturali e i Supporti Digitali, Università degli Studi di Milano, 2012-2013.



Issues in radiocarbon dating the Terramara of Santa Rosa di Poviglio

E. Valzolgher1, M. Cremaschi2, A. Zerboni2

1Ricerche Archeologiche snc/Archäologische Untersuchungen OHG - eriovalz@gmail.com
2
Università degli Studi di Milano

Since the late 1980s, an intensive dating program has been undertaken at the Terramara Santa Rosa di Poviglio. Altogether, 31 radiocarbon dates have thus far been obtained at three different 14C laboratories (Geochron Laboratories, Cambridge, MA, USA; Poznańskie Laboratorium Radiowęglowe, Poznań, Poland; Center for Applied Isotope Studies, University of Georgia, Athens, GA, USA). Here, we present a preliminary evaluation of the as-yet-unpublished radiocarbon dates from the Villaggio Grande. Future work will include: 1) a reappraisal of the Villaggio Piccolo charcoal dates (Bernabò Brea, Cremaschi 1997; Cremaschi 2004), by employing novel statistical methods (see e.g. Dee, Bronk Ramsey 2014); 2) Bayesian modelling of the Villaggio Grande radiocarbon dates (Bronk Ramsey 2009); and 3) an assessment of the overall radiocarbon evidence from the Terramara of Santa Rosa di Poviglio in the broader context of the north Italian MBA and LBA absolute chronology and late Holocene climate changes.

References:
Bernabò Brea M., Cremaschi M., Datazioni radiometriche dalla terramara S. Rosa di Poviglio, in, a cura di Bernabò Brea M., Cardarelli A., Cremaschi M., Le Terramare. La più antica civiltà padana. Catalogo della Mostra, Milano 1997, p 350.
Bronk Ramsey C., Bayesian analysis of radiocarbon dates, in Radiocarbon 51(1), 2009, pp. 337–360.
C
remaschi M., Le datazioni radiocarboniche, in, a cura di Bernabò Brea M., Cremaschi M., Il Villaggio Piccolo della Terramara di Santa Rosa di Poviglio. Scavi 1987–1992, Firenze 2004, pp. 693–702.
Dee M.W., Bronk Ramsey C., High-precision Bayesian modeling of samples susceptible to inbuilt age, in Radiocarbon 56(1), 2014, pp. 83–94.