Negli
anni l955-l957 ho seguito i corsi di Enzo Paci all'Università di Pavia
e ho potuto assistere da vicino all'inizio di quel suo profondo coinvolgimento
nel movimento fenomenologico che avrebbe in seguito lasciato delle tracce
importanti nella vita culturale italiana. Venivo dall'Università di Milano,
dove intorno a Banfi e Dal Pra si stava coagulando un gruppo di allievi
(l'ultima delle generazioni banfiane) che sarebbero poi stati tra i primi
allievi milanesi dello stesso Paci.
Paci
viveva uno dei momenti più intensi e fertili della sua attività filosofica [1] . Le lezioni che ascoltavamo si depositavano, proprio in quegli
anni, in una serie di testi di grande spessore: la filosofia presocratica,
lo schematismo kantiano, la visione panoramica del pensiero contemporaneo.
In un contesto di interessi così ampio e articolato si inseriva la ripresa
della fenomenologia husserliana.
Si
trattava, appunto, di una ripresa. Di Husserl, che il suo (e anche mio)
maestro Antonio Banfi aveva fatto conoscere per primo in Italia, Paci
si era già occupato fin dagli anni Trenta. Con spirito simpatetico, ma
anche con distacco. L'intransigenza razionalistica di Husserl, la sua
concezione della filosofia come "scienza rigorosa", legittimava
agli occhi di Paci la "fatale reazione" heideggeriana, generando
l'esistenzialismo dal seno stesso della fenomenologia. [2] Un’analoga motivazione era alla base della
sua presa di distanza, in quegli anni, dal razionalismo trascendentale
di Banfi. Ma ora, verso la metà degli anni Cinquanta, la rilettura di
Husserl avveniva in una nuova chiave. Al centro non era più il "disperato
razionalismo" del fondatore della fenomenologia: il fuoco della rilettura
era diventato il "mondo della vita" e la critica dell'obiettivismo
moderno condotta nelle pagine della Crisi delle scienze europee. Il
senso dell'intera fenomenologia husserliana gli appariva trasformato.
Lo
stimolo decisivo verso questa nuova interpretazione, per Paci sempre più
appassionante, del pensiero di Husserl, veniva da Merleau-Ponty. Aggiornando,
nel l956, un suo scritto divulgativo sull'esistenzialismo, Paci scriveva
che questa filosofia aveva ormai acquistato "un carattere decisamente
fenomenologico con Merleau-Ponty, il quale da un lato ci riconduce a una
più positiva valutazione dell'eredità filosofica di Husserl e dall'altro
caratterizza l'esistenzialismo come una filosofia della relazione" [3] . Relazionismo era il nome e la sostanza della filosofia
maturata da Paci in quegli anni, in stretto rapporto con l'organicismo
di Whitehead, cioè con "una filosofia del processo organico, fondato
sulla realtà ineliminabile del tempo e sulla interdipendenza degli eventi" [4] . Citando la Fenomenologia della percezione ("je
devrais dire qu' on perçoit en moi et non pas que je perçois")
Paci scriveva: "Il mondo si percepisce in me perchè il suo livello
si differenzia, si trascende, in me si apre, perchè il processo del mondo
in me emerge." Così Paci integrava la percezione di Merleau-Ponty
e la Lebenswelt di Husserl in una vasta concezione naturalistica,
per la quale percepire significava "sentire il consumo del processo
cosmico", "la realtà cosmica che preme nella percezione come
bisogno ed esigenza di soddisfazione e di lavoro" [5] . E anche nell'Introduzione alla edizione italiana dell'Elogio
della filosofia ribadiva l'affinità tra l'"organicismo"
di Merleau-Ponty e quello di Whitehead [6] . Per questa via Paci trovava in Merleau-Ponty
motivi di grande affinità col proprio pensiero, anche se non di totale
identificazione. Rileggeva intensamente la Fenomenologia della percezione,
che nelle lezioni di Pavia ritornava con insistenza, magari nel contesto
dell'interpretazione della critica kantiana.
Come
è noto, i testi destinati a diventare canonici per la nuova lettura di
Husserl - in primo luogo la III parte della Crisi, ma anche Idee
II e altri - erano rimasti a lungo inediti. Fin dagli anni di guerra,
tuttavia, pochi appassionati avevano potuto consultarli presso gli archivi
di Lovanio. Tra questi Merleau-Ponty, che partendo dalla centralità del
discorso sul Leib era stato motivato a mettere Husserl in contrasto
con il suo idealismo, fino a sviluppare quella versione esistenzialista
della fenomenologia in cui anche Paci "riconobbe ciò che attendeva"
(per usare un'espressione dell'Elogio della filosofia). Anzi, Paci
radicalizzava il punto di vista di Merleau-Ponty, arrivando ormai a considerare
Husserl "più esistenzialista di Heidegger" [7] .
Agli
occhi di chi, come me, veniva dalla lettura di Idee I e dalla notevole
ma ormai stagionata interpretazione banfiana, ne usciva un'immagine della
fenomenologia completamente trasfigurata, a tutta prima quasi irriconoscibile,
sia nel senso che alla coscienza pura husserliana subentrava la nuova
soggettività incarnata, gravata di tutta la passività e l'opacità della
percezione corporea, sia per le suggestioni cui la versatilità culturale
di Paci apriva in direzione della psicoanalisi, della letteratura e delle
varie forme dell'arte contemporanea. La fenomenologia diventava veramente
anche per Paci - e secondo uno stile del tutto originale - quel movimento
che "è in cammino da molto tempo", che i suoi discepoli "ritrovano
ovunque, certamente in Hegel e in Kierkegaard, ma anche in Marx, Nietzsche
e Freud" e che "si confonde con lo sforzo del pensiero moderno" [8] .
Attraverso
Merleau-Ponty Paci si ricollegava indirettamente a quella profonda svolta
cui la fenomenologia era andata incontro nel periodo di Friburgo, con
il passaggio delle consegne tra Husserl e Heidegger. Benché Paci abbia
sempre manifestato indisponibilità per gli sviluppi di quello che chiamava
l'"ontologismo" heideggeriano, non c'è dubbio che la matrice
della nuova interpretazione husserliana risalisse a quell'ascendente.
Nonostante l'autonomia sempre maggiore che le posizioni di Heidegger avevano
preso dal pensiero di Husserl, la continuità del movimento era stata garantita
da alcuni allievi di entrambi, come Eugen Fink. Nel corso degli anni Trenta
Fink aveva mantenuto viva la mediazione tra le due filosofie, verso la
fine del decennio consegnando una versione del pensiero di Husserl che
andava dichiaratamente al di là delle sue intenzioni originarie, anche
se sulla strada da lui tracciata. Lo stesso Merleau-Ponty aveva tratto
il massimo frutto da questa mediazione, durante gli anni della guerra
e le sue visite a Lovanio [9] .
Il
rapporto tra Paci e Merleau-Ponty mi fa pensare anche a un altro tema,
quello della storia e di quel presente storico che era rappresentato in
tutti quegli anni dalla guerra fredda e dal confronto-scontro tra i due
"massimi sistemi".
Il
periodo che si apre con la fine della seconda guerra mondiale è stato
caratterizzato in filosofia, soprattutto in Italia e in Francia - oltre
naturalmente ai paesi "oltre cortina" - da una presenza condizionante
del marxismo nelle sue diverse correnti. Fin dagli anni di guerra Banfi
aveva innestato la propria decisione per il comunismo sull'impianto razionalistico
del suo pensiero degli anni Trenta. A Milano si era formato così un ambiente
filosofico-politico nettamente dominato dalla figura di Banfi e dal suo
orientamento politico-culturale. Ma la scelta partitica aveva convinto
solo limitatamente i suoi più anziani allievi, che infatti ne presero
prima o poi le distanze. Paci era stato il primo e più deciso contestatore
della scelta comunista di Banfi, che considerava come un salto irrazionale
e come il frutto di un ottimismo storico scarsamente credibile [10] . Penso che Merleau-Ponty,
con la sua travagliata esperienza del "marxismo d’attesa" e
poi con la definitiva presa di distanza dal movimento negli anni Cinquanta,
dovesse riuscirgli convincente anche per quanto si riferiva alla dialettica
storica del presente. A Pavia, quando se ne parlava indugiando sotto gli
antichi portici dell'università, Paci era ancora nettamente polemico verso
Banfi e il suo "salto" nel comunismo.
Contemporaneamente,
tuttavia, stava maturando proprio allora quel processo che sarebbe continuato
fino allo sbocco sessantottesco, con un ricambio generazionale. Con il
XX congresso del Partito comunista sovietico, la condanna dello stalinismo,
il sorgere nei paesi socialisti di voci di marxisti dissidenti (che Paci
fu sempre pronto ad ascoltare), infine con Questions de méthode - testo in cui Sartre dipingeva il marxismo come la filosofia della
nostra epoca - anche in Italia si delineava una nuova atmosfera di marxismo
critico, aperto alle correnti filosofiche contemporanee. Ciò implicava
anche un rinnovato coinvolgimento nel movimento delle classi sociali
e una nuova analisi socio-politica, spesso in contrasto con la linea
culturale tenuta fino allora dal PCI. Con il suo arrivo all'università
di Milano nel l957-58, Paci incontrava un'atmosfera giovanile molto più
dilatata e movimentata di quella che aveva conosciuto a Pavia. Essendogli
rimasto vicino per qualche anno come "assistente volontario",
credo di aver fatto un po' da tramite - insieme a un altro allievo del
periodo pavese: Renato Rozzi - tra Paci e alcuni ex allievi di Banfi
(scomparso nel l957) ai quali se ne unirono molti nuovi. Per evitare elenchi
che sarebbero necessariamente incompleti, ne nomino uno solo, che non
è più tra noi e che Paci aveva subito individuato per quell'essere straordinario
che era: Enrico Filippini [11] . A lui affidò la traduzione di un vasto corpus husserliano.
Diversi altri allievi ben noti hanno continuato, ciascuno secondo un suo
stile personale, l'impegno di Paci con la fenomenologia, completando la
cura delle opere husserliane e di quelle di Merleau-Ponty [12] . In quegli anni si è formata intorno a Paci (e - mi viene da
aggiungere - intorno a Husserl e Merleau-Ponty) una comunità di giovani
fenomenologi (i "giovani amici"milanesi ricordati nel Diario
fenomenologico) che trovavano i loro interlocutori ideali anche in
Marx, nel giovane Lukács e in Sartre.
Per
parte propria Paci, sempre estremamente ricettivo all'atmosfera dei tempi,
ricuperava il suo Marx, filosofo e teologo alla rovescia, quello del
feticismo delle merci, cercando le linee di contatto con Storia e coscienza
di classe e - come dirò subito - con i tentativi (poi ridimensionati)
di Merleau-Ponty all'epoca di Senso e non senso. (Tra le mie testimonanze
che riguardano questo nuovo coinvolgimento di Paci, ricordo di avere assistito
a Praga, nell'Istituto di filosofia presso il quale avevo soggiornato
per un anno, alla sua conferenza su Il significato dell'uomo in Marx
e in Husserl, alla presenza di Karel Kosik e di Jan Patocka, che assolse
splendidamente l'incarico di traduttore dal francese al ceco per il pubblico
presente).
Nel Diario fenomenologico, alla data 22 luglio l957, c'è un'annotazione
che si riferisce alla morte di Banfi. "Tutta la sua opera, da ora,
cambia significato e sento che esige una nuova valutazione." Ora
Paci se ne sentiva di nuovo erede, sia pure nella nuova versione cui marxismo
e fenomenologia stavano andando incontro. Con la nuova interpretazione
- nel corso degli anni Sessanta e in parte dei Settanta - Paci riprendeva
di fatto il tentativo già sperimentato da Merleau-Ponty di ripensare la
prassi marxista alla luce della nozione di esistenza. Si sottraeva invece
alle conclusioni critiche verso il movimento comunista internazionale
e la sua filosofia della storia cui lo stesso Merleau-Ponty era arrivato
successivamente; conclusioni che - bisogna aggiungere - in quegli anni
apparivano alla maggior parte di noi troppo pessimistiche. Sul terreno
della politica culturale era piuttosto Sartre a fungere da punto di riferimento,
anche per i rapporti che si stavano stabilendo con un PCI che apriva spiragli
di rinnovamento.
Qui
chiudo le mie testimonianze e le mie riflessioni. Voglio solo aggiungere
che negli ultimi anni Paci, messo di fronte alle rinnovate prove di chiusura
e irriformabilità del movimento comunista internazionale e alla stessa
degenerazione del movimento sessantottesco in Italia, a cui aveva preso
parte con grande entusiasmo e non senza una certa ingenuità "filosofica",
si sarà forse domandato se la sottovalutazione (almeno in linea di fatto)
del Merleau-Ponty delle Avventure della dialettica, della sua diagnosi
impietosa del movimento comunista e della sua concezione della storia
non fosse stato un passo troppo affrettato. Come Merleau-Ponty aveva anticipato
nella Prefazione a Segni, l'epoca storica era sul punto
di cambiare e di fatto il cambiamento si sarebbe fatto sentire già con
la primavera di Praga e il suo affossamento, con la "Solidarnosz"
polacca e con tutto quello che ne è seguito.
[1] Cfr. A. VIGORELLI, L'esistenzialismo positivo di Enzo Paci.
Una biografia intellettuale (l929-l950), Milano, F.Angeli, l987.
Le pagine introduttive danno una visione d'insieme dell'opera di Paci
nel contesto della filosofia italiana.
[2] Cfr. E. PACI, Pensiero esistenza e valore, Milano-Messina,
Principato, l940, pp. 30 sgg.
[3] E. PACI, Ancora sull'esistenzialismo, Torino, Edizioni
Radio Italiana, l956, pp. 5-6. Cfr. anche la Prefazione a Dall'esistenzialismo
al relazionismo, Messina-Firenze, G. D'Anna, l957, pp. 5-6, dove
Paci afferma che la sua precedente concezione filosofica doveva correggersi
"non solo per quanto riguarda il concetto dell'essere, ma anche
secondo un'interpretazione di Husserl aderente agli ultimi scritti del
grande filosofo e per molti aspetti assai vicina a quella di Merleau-Ponty
di cui l'opera filosofica credo che abbia una notevole importanza nel
pensiero contemporaneo". (Si vedano nello stesso volume i saggi Prospettive relazionistiche, Senso esistenza e natura, Tempo
e natura e altri. L'accendersi del nuovo interesse di Paci per
la fenomenologia si può verificare anche dai contenuti delle tesi di
laurea discusse in quel periodo: una sola tesi su Merleau-Ponty nel
l956 a Pavia; una serie consistente di tesi su Husserl, Merleau-Ponty
ecc. a Milano dal l959/60 (cfr. A. CIVITA, Bibliografia degli scritti
di E. Paci, Firenze, La Nuova Italia, l983).
[4] E. PACI, Dall'esistenzialismo al relazionismo, cit.,
p. l5.
[5] Le citazioni sono tratte da Dall'esistenzialismo al relazionismo,
cit., rispettivamente alle pp. 358, 385 e 387. Il relazionismo di Paci
implicava "un certo naturalismo, una certa valutazione positiva
del 'naturale' contro il 'non naturale'", e "la tendenza del
processo all'armonia" (cfr. Dall'esistenzialismo al relazionismo,
cit., pp. 35-36), aspetti che Paci cercava di leggere sia in Whitehead
che in Merleau-Ponty.
[6] E. PACI, Introduzione a: M. MERLEAU-PONTY, Elogio
della filosofia (a c. di E. Paci), Torino, Paravia, l958, pp.
XVII-XVIII. In questo contesto Paci constata la vicinanza tra i due
pensatori nonostante che Merleau-Ponty non si riferisca mai a Whitehead.
E' interessante notare come in realtà Merleau-Ponty abbia manifestato
notevole interesse per Whitehead nei corsi tenuti al Collège de France
tra il l956 e il l960 e pubblicati in Francia solo nel l995 (cfr. MERLEAU-PONTY, La natura, ed. it. a c. di M. Carbone, Milano, Cortina, l996,
pp. l67-182)
[7] E. PACI, Introduzione citata a: M. MERLEAU-PONTY, Elogio
della filosofia , p. XI.
[8] M. MERLEAU-PONTY, Fenomenologia della percezione, Milano,
Il Saggiatore, l965, p. 16, cit. da Paci nell'Introduz. cit. all'Elogio
della filosofia.
[9] Cfr. i testi raccolti in E. FINK, Studien zur Phaenomenologie (l930-l939).
[10] Si vedano le pagine di diario di E. PACI, Colloqui con
Banfi , in "Aut aut", n. 214-215, l986, pp. 72-77 e
sullo stesso numero G. D. NERI, Un confronto teologico-politico tra
Paci e Banfi.
[11] Filippini, tra i primi a "ricordarsi" di Merleau-Ponty
in Italia in un suo articolo pubblicato su "Repubblica" il
20.5.l981, ha lasciato anche un gustoso Ricordo di Enzo Paci
in "Nuovi Argomenti", luglio-settembre l986, pp. 114-124.
[12] Nel presente contesto non posso non nominare almeno Andrea
Bonomi, per i suoi scritti su Merleau-Ponty e la cura delle sue opere.
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