Più produttività, meno impatto ambientale: due obiettivi inconciliabili?

Si stima che il settore zootecnico contribuisca per circa il 14,5% alle emissioni di gas serra di origine antropica. In particolare, all’interno del settore, i bovini da carne incidono per il 41% e le vacche da latte per il 20% (Gerber et al., 2013).

L’impatto ambientale del settore bovino è dovuto principalmente al metano prodotto dalle fermentazioni enteriche e ad altri gas serra, quali il protossido di azoto e, in minor quantità, l’anidride carbonica, provenienti dal processo di produzione e gestione dell’alimentazione per gli animali (Grafico 1).

Tuttavia, non tutti gli allevamenti impattano in ugual misura, pertanto risulta interessante indagare i modelli e le strategie gestionali più efficienti.

Un tema di frequente discussione riguarda l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi. Questi, infatti, hanno mediamente una densità di animali più elevata, impiegano una quantità consistente di risorse e, di conseguenza, l’impatto ambientale per singolo animale risulta maggiore rispetto ad allevamenti di tipo estensivo. Considerato che il livello produttivo di questi ultimi è solitamente inferiore, per consentire il confronto dei due sistemi di allevamento, è necessario trovare un elemento in comune. Infatti, in entrambi i casi, l’obiettivo aziendale è la massimizzazione della produzione; dunque si sceglie di stimare l’impatto ambientale per unità di prodotto, anziché per unità produttiva, come possono essere la vacca da latte o l’intera azienda.

Diversi studi hanno cercato una correlazione tra l’emissione di gas serra, espressa come kg di CO2-eq. su kg di latte corretto per grasso e proteine (FPCM), e il livello produttivo degli animali, dimostrando che animali più produttivi emettono una quantità inferiore di gas a effetto serra per unità di prodotto, rispetto ad animali meno produttivi. In particolare, Gerber et al. (2011) hanno riscontrato una diminuzione consistente di emissioni all’aumentare della produttività degli animali: fino a una produzione di 2000 kg di FPCM per vacca all’anno, si passa da 12 kg di CO2-eq/kg di FPCM a circa 3 kg di CO2-eq/kg di FPCM. Con l’aumentare della produttività oltre i 6000 kg di FPCM per vacca all’anno, i valori di emissione tendono a stabilizzarsi intorno a 1,6 e 1,8 kg di CO2-eq/kg di FPCM (Grafico 2).

Grafico 2. Relazione tra produttività ed emissioni di gas serra del latte

Queste riduzioni sono riconducibili, in primo luogo, al fatto che le emissioni sono considerate per unità di latte; quelle dovute al solo mantenimento e non influenzate dal livello produttivo dell’animale hanno quindi un peso inferiore in bovine che producono una maggior quantità di latte.

Spesso, poi, una buona produttività degli animali è legata a pratiche e tecniche di allevamento migliori, le quali contribuiscono, a loro volta, alla diminuzione delle emissioni: buona genetica degli animali, qualità elevata di mangimi e foraggi, alte digeribilità ed efficienza di utilizzo degli alimenti, etc.

Infine, animali più produttivi sono animali che normalmente godono di una buona salute e di elevato benessere, allevati ottimizzando l’efficienza di utilizzo delle risorse.

L’incremento della produttività degli animali e il miglioramento dell’efficienza in allevamento potrebbero contribuire quindi alla mitigazione dell’impatto ambientale da parte del settore delle bovine da latte (Bava et al., 2014). Da uno studio condotto su 41 aziende da latte lombarde, risulta che la strategia più efficace nella riduzione dell’impatto, in particolare da emissioni di gas serra e dall’uso di energie non rinnovabili, sia garantire un’alta efficienza di conversione degli alimenti in latte, quindi ottenere un’elevata produzione, ottimizzando l’impiego di risorse (Guerci et al., 2013).

Si ritiene, complessivamente, che migliorando la gestione dei reflui zootecnici, i processi di produzione, la qualità degli alimenti e le performance degli animali, le emissioni di gas serra potrebbero ridursi del 14-17% e le emissioni totali del settore lattiero-caseario del 4-5% (Gerber et al., 2013).

Da tempo si sviluppano nuovi dispositivi e tecnologie innovative. Il progetto Clevermilk approfondirà come questi strumenti possano supportare l’allevatore nella gestione aziendale e in che misura, indirettamente, potrebbero facilitare la mitigazione dell’impatto ambientale.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:

  • Bava L., Sandrucci A., Zucali M., Guerci M., Tamburini A. 2014. How can farming intensification affect the environmental impact of milk production? Journal of Dairy Science 97:4579–4593
  • Guerci M., Bava L., Zucali M., Sandrucci A., Penati C., Tamburini A. 2013. Effect of farming strategies on environmental impact of intensive dairy farms in Italy. Journal of Dairy Research 80 (03):300-308
  • Gerber P.J., Steinfeld H., Henderson B., Mottet A., Opio C., Dijkman J., Falcucci A., Tempio G. 2013. Tackling climate change through livestock – a global assessment of emissions and mitigation opportunities. Roma (Italy): Food and Agriculture Organisation of the United Nations (FAO).
  • Gerber P.J., Vellinga T., Opio C., Steinfeld H. 2011. Productivity gains and greenhouse gas emissions intensity in dairy systems. Livestock Science 139:100–108

Per visualizzare il lavoro riguardante i dati presentati nell’articolo: https://www.researchgate.net/publication/251707834_Productivity_gains_and_greenhouse_gas_emissions_intensity_in_dairy_systems

Maria Cecilia Bianchi