Massimo Privitera
Carmen, José, le castagnette e la fanfara


        
Nella letteratura sulla Carmen gode meritata fama la recensione di Théodore de Banville («Le national», 8 marzo 1875), l’unico a capire la portata innovativa di quell’opera.[1] «Au lieu de ces jolies poupées bleu ciel et couleur de roses, qui firent la joie de nos pères», scrive Banville,

[Bizet] a voulu montrer de vrais hommes et de vraies femmes éblouis, torturés par la passion, s’agitant au vent de la folie, et dont l’orchestre, devenue créateur et poète, nous raconterait les angoisses, les jalousies, les colères et les entraînements insensés[2]

[Al posto di quelle belle bambole blu cielo e color di rose, che fecero la gioia dei nostri padri [Bizet] ha voluto mostrare veri uomini e vere donne accecati, torturati dalla passione, che si agitano al vento della follia, e dei quali l’orchestra, diventata creatore e poeta, ci racconterà le angosce, le gelosie, le furie e gli impulsi insensati.]

 

Di questa recensione ci interessa qui un passo generalmente trascurato dalla critica:[3] quello relativo al numero 17 dell’atto II, cioè quando Carmen danza accompagnandosi da sola con il canto, le nacchere, e, dopo un po’, con il suono lontano della fanfara:

La romalis chantée et dansée par Carmen est d'une fougue ardente et enivrante; et les dernières mesures de cette danse, qui se mêlent à la retraite entendue au loin, créent un plaisir purement musical dont l'attrait est irrésistible.[4]

[La romalis cantata e danzata da Carmen è di una foga ardente ed inebriante; e le ultime battute di questa danza, che si mescolano alla ritirata sentita in lontananza, creano un piacere puramente musicale dal fascino irresistibile.]

 

      Parlando di «plaisir purement musical» Banville ha colto lo statuto particolare di questa scena, che a me pare il momento più incantatorio e seducente dell’opera, dotato di una speciale luminosità che esalta la dimensione archetipica della musica. Nelle pagine che seguono intendo indagare su questa speciale pagina, servendomi dell’impianto concettuale fornito da un libro del compianto psicoanalista Franco Fornari.

      1. Prima di addentrarci nel discorso è opportuno notare che nell’opera la scena è alquanto diversa dal corrispondente episodio della novella. In entrambe la danza di Carmen si trova verso la metà; ma il primo terzo del testo della novella è occupato da una cornice introduttiva (completamente assente nell'opera musicale, e il cui protagonista è Mérimée stesso), e dunque, di fatto, il nostro episodio viene a trovarsi poco dopo l'inizio della storia vera e propria, narrata in prima persona da José la sera prima di essere garrotato.
      La scena è ambientata a Siviglia in una casa in via del Candilejo dove Carmen ha condotto José per saldare il proprio debito:

      «Nous nous arrêtâmes dans cette rue-là, devant une vieille maison. Elle [Carmen] entra dans l'allée, et frappa au rez-de-chaussée. Une bohémienne, vraie servante de Satan, vint nous ouvrir […]. Dès que nous fûmes seuls, elle [Carmen] se mit à danser et à rire comme une folle, en chantant:
            - Tus es mon rom, je suis ta romi .
            Moi, j’étais au milieu de la chambre, chargé de toutes ses emplettes, ne sachant où les poser. Elle jeta tout par terre, et me sauta au cou en me disant:
            - Je paie mes dettes, je paie mes dettes! c'est la loi des Calés!
            Ah! monsieur, cette journée-là! cette journée-là!... quand j'y pense, j'oublie celle de demain […]. Nous passâmes ensemble toute la journée, mangeant, buvant, et le reste […]. Il n'y a pas de tour ni de bêtise qu'elle ne fît. Je lui dis que je voudrais la voir danser; mais où trouver des castagnettes? Aussitôt elle prend la seule assiette de la vieille, la casse en morceaux, et la voilà qui danse la romalis en faisant claquer les morceaux de faïence aussi bien que si elle avait eu des castagnettes d'ébène ou d'ivoire. On ne s'ennuyait pas auprès de cette fille-là, je vous en réponds. Le soir vint, et j'entendis les tambours qui battaient la retraite.
       - Il faut que j'aille au quartier pour l'appel, lui dis-je.
       - Au quartier? dit-elle d'un air de mépris; tu es donc un nègre, pour te laisser mener à la baguette? Tu es un vrai canari, d'habit et de caractère. Va, tu as un cœur de poulet.
       Je restai, résigné d'avance à la salle de police. Le matin, ce fut elle qui parla la première de nous séparer.
       - Écoute, Joseito, dit-elle; t'ai-je payé? D'après notre loi, je ne te devais rien, puisque tu es un payllo; mais tu es un joli garçon, et tu m'as plu. Nous sommes quittes. Bonjour.
       Je lui demandai quand je la reverrais.
       - Quand tu seras moins niais, répondit-elle en riant. Puis, d'un ton plus sérieux: Sais-tu, mon fils, que je crois que je t'aime un peu? Mais cela ne peut durer. Chien et loup ne font pas longtemps bon ménage. Peut-être que, si tu prenais la loi d'Égypte, j'aimerais à devenir ta romi. Mais ce sont des bêtises; cela ne se peut pas. Bah! mon garçon, crois-moi, tu en es quitte à bon compte. Tu as rencontré le diable, oui, le diable; il n'est pas toujours noir, et il ne t'a pas tordu le cou […].»[5]

      [Ci fermammo in quella via davanti a una vecchia casa. [Carmen] Entrò nell’ingresso e picchiò al pian terreno. Una zingara, vera serva di satana, venne ad aprirci […]. Quando fummo soli [Carmen] si mise a ballare e a ridere come una pazza, cantando:
      «Tu sei il mio rom, io sono la tua romi». Io ero nel mezzo della stanza carico di tutte le sue compere senza saper dove posarle. Ella gettò tutto a terra e mi saltò al collo, dicendomi: «Io pago i miei debiti, io pago i miei debiti, è la legge dei Calès!». Ah signore, che giornata, che giornata… Quando ci penso, dimentico quella di domani […]. Passammo assieme tutta la giornata, mangiando, bevendo, e altre cose ancora […]. Non ci fu sciocchezza o pazzia che non facesse. Le dissi che mi sarebbe piaciuto vederla ballare, ma dove trovare delle nacchere? Allora prende il solo piatto della vecchia, lo rompe a pezzi ed eccola ballare la romalis, facendo schioccare i pezzi di ceramica come se avesse avuto delle nacchere di ebano o d’avorio. Non ci si annoiava con quella ragazza, ve lo garantisco. Venne la sera ed io sentii battere i tamburi della ritirata.
       «Devo rientrare in caserma per l’appello» le dissi.
       «In caserma?» disse con tono sprezzante «sei forse un negro per lasciarti comandare a bacchetta? Sei un vero canarino, d’abito e di carattere. Va, hai un cuore di pollo».
       Io rimango, rassegnato in partenza agli arresti. Al mattino fu lei a parlar per prima di separazione. «Ascolta Joseito» mi disse «ti ho pagato? Secondo la nostra legge, non ti avrei dovuto nulla perché sei un payllo. Ma sei un bel ragazzo e mi sei piaciuto. Noi siamo pari, buon giorno.»
       Le chiesi quando l’avrei riveduta.
       «Quando sarai meno scemo» mi rispose ridendo. Poi in tono più serio: «Sai, figlio mio, che credo di amarti un po’? Ma non può durare. Cane e lupo non possono stare assieme a lungo: forse se tu prendessi la legge d’Egitto ti amerei tanto da diventare la tua romi. Ma sono sciocchezze: non è possibile. Ba’ ragazzo mio, credimi, sei stato pagato bene. Tu hai incontrato il diavolo, il diavolo non è sempre nero, non ti ha torto il collo […]».][6]

       Ci sono alcune differenze importanti fra l’episodio della novella e la corrispondente scena dell’opera, che vale la pena evidenziare per afferrare meglio quel «purement musical» di cui parla Banville. Intanto nella novella il rapporto carnale fra Carmen e José viene effettivamente e gioiosamente consumato - anche se il narratore evita volutamente di entrare in dettagli («nous passâmes ensemble toute la journée, mangeant, buvant, et le reste»). Nell’opera invece, per l'antico tabù che vieta la soddisfazione erotica sulla scena, esso è rimandato all'intervallo fra secondo e terzo atto, dopo la diserzione di José. Se ne viene a sapere solo a posteriori, quando ormai il legame d’amore fra i due si è trasformato in legame di rancore, e (per José) in furia di possesso.
       Poi, nella novella, la danza è un cosa del tutto estemporanea, e soprattutto conseguenza di una precisa richiesta di José; tant’è vero che le castagnette vengono improvvisate rompendo un piatto ed utilizzandone i cocci. Inoltre è assente una specifica menzione del canto – anche se viene naturale immaginarci che Carmen, danzando nel chiuso della stanza e in mezzo agli avanzi del pasto, abbia sentito il bisogno di accennare alla musica con la voce, per creare per qualche minuto un’ambientazione illusoria. In ogni caso nulla è detto nella novella sul potere seduttivo di quel canto. Ed è questa la differenza più importante con l’opera, dove è Carmen a decidere autonomamente di danzare per José; usa vere castagnette, ed è la musica la vera protagonista dell’azione.
       Infine, nella novella il richiamo sonoro della caserma non ha relazione con la danza (arriva molto dopo), ed è costituito da tamburi («le soir vint, et j'entendis les tambours qui battaient la retraite»). Nell’opera i tamburi diventano trombe (cioè la musica militare si sposta dal piano del ritmo a quello del melos, avvicinandosi così al canto di Carmen), ed il loro suono compare nel bel mezzo della danza.
       Nella novella, insomma, la scena della danza è solo parte di un episodio che ha rilievo tutto sommato secondario. Nell’opera invece la sovrapposizione fra il canto di Carmen, il ritmo delle castagnette e la fanfara costruisce una dimensione tutta speciale, la cui natura squisitamente musicale è stata perfettamente colta dall’intelligenza simpatetica di Banville.  

       2. Farò adesso riferimento ad un libro dello psicoanalista Franco Fornari: Carmen adorata. Psicoanalisi della donna demoniaca (Milano, Longanesi, 1985), in cui l'autore ripercorre, atto per atto, la vicenda della Carmen di Meilhac-Halévy-Bizet, interpretando simbolicamente le principali situazioni affettive del libretto e la loro interazione dinamica. Questa lettura sarà essenziale per l’interpretazione che proporrò della nostra scena.
       Fornari definisce il suo approccio «teoria dei codici affettivi». Si tratta di un'indagine in cui le dinamiche profonde, disposte a struttura concentrica, appaiono pensate in termini di contrapposizione. Dalla prima opposizione generale, natura/cultura, si discende alla contrapposizione tra codice femminile e codice maschile. Ognuno di questi due termini si scinde poi a sua volta: così il codice femminile (in definitiva più complesso, sfuggente ed affascinante di quello maschile) presenta la contrapposizione fra legge materna e legge femminile; cioè da un lato l'amore come dedizione e protezione, dall'altro l'amore come passione violenta e irriducibile alle leggi della società. Entrano insomma «in scena i due codici fondamentali che travagliano l'anima femminile: essere donna ed essere madre» (p. 62). Una contrapposizione che, radicalizzata, vede da un lato la donna divina e dall'altro la donna demoniaca.
In questo gioco dialettico Carmen, che rappresenta «la terribilità dell'amore come potenza totalmente naturale», è la vittima sacrificale,  incarnando «il conflitto tragico fra la legge della cultura e la legge della natura» (p. 57):

Essa diventa così la madre del parto-nascita; mentre la madre presentificata dal bacio dato e ricevuto da Micaëla, è quella che arriva, dopo il parto-nascita, come la quiete dopo la tempesta e che prende in braccio il bambino per attaccarlo al seno (p. 60).

       Il personaggio di José è invece giocato fra legge paterna (la legge del dovere, la cui espressione più compiuta è nella disciplina militare), e legge maschile (la legge dell'audacia, che ha nei contrabbandieri manifestazione estrema). Ciò che farà infine decidere José per la legge maschile è una situazione manifestatasi nel primo atto, quando Carmen sta per essere condotta in prigione. Con le parole della seguidilla Carmen fa intendere che ad un ufficiale (Zuniga) preferisce un brigadiere (José).

Si presenta dunque un triangolo edipico, per il quale il brigadiere diventa il figlio, e l'ufficiale diventa il padre. Dietro la seduzione di Carmen emerge dunque la potenza dell'amore materno che preferisce il bambino al padre (p. 65).

       Ma nel secondo atto il triangolo si ribalta. Quando José deve decidere fra Carmen (la passione) e la caserma (il dovere e l'onore) sembra sceglie la seconda, pur con il cuore in frantumi. Egli muta repentinamente solo quando entra in scena Zuniga; cioè quando l'ufficiale-padre si accinge a prende il posto del brigadiere-figlio nell'amore della donna-madre; è allora che si ribella alla legge del padre. Tutta l'opera dunque, centrata sulla figura della donna demoniaca, è una potente riflessione su come sia impossibile conciliare la passione (legge femminile) con il dovere (legge paterna).
       Curiosamente Fornari non presta particolare attenzione alla scena della romalis, che qui ci interessa, perdendo l'occasione di approfondire questa fugace incarnazione dell'utopia, questo arresto del tempo e della dialettica che si presenta sotto forma di suono puro, di erotizzazione dello jubilus  (Carmen canta senza parole). Egli si limita a leggere la scena come una semplice tappa nel flusso dinamico delle contrapposizioni. Invece, proprio in base all'interpretazione di Fornari, vorrei argomentare come l'aria delle castagnette abbia una posizione tutta speciale nel gioco di opposizioni, e che sia, letteralmente, centrale nello sviluppo affettivo del dramma. Essa è infatti lo spartiacque fra un prima, che è il dominio del gioco seduttivo e della progettualità amorosa, posto sotto il segno di Eros e giocato negli spazi solari della piazza; ed un dopo, che è il dominio della sensualità realizzata, sì, ma nella perdizione, posto sotto il segno di Thanatos e giocato nella notte e nelle montagne. Nell'ultimo atto questi due mondi arrivano alla resa dei conti, e trionfa la morte.   


           

       3. Eccoci dunque all'aria della castagnette. Questa scena è l'apoteosi della musica, nella duplice veste femminile e maschile: cioè sia come flusso (melos), sia come forma (ritmo); quella duplicità che trova superiore unità grazie all'armonia.[7]

Quando Carmen comincia a cantare sentiamo una melodia dalla struttura semplicissima (quasi archetipica), divisa in due parti, A e B. La polarità armonica è chiara ed elementare: A è centrata sulla tonica, Si bemolle maggiore; B sulla dominante, Fa. Semplice e regolare è anche l'articolazione interna: tanto A quanto B sono ulteriormente suddivisi in due parti di quattro battute ciascuna (A=a+a1, B=b+b1), assolutamente identiche fra loro, tranne che per le conclusioni (per dirla con i trovatori, la prima ouvert, la seconda clos). E, nonostante una cauta dissimulazione, sia A che B sono in realtà riconducibili ciascuna ad una propria cellula esposta nelle prime due battute, che, con ripetizioni e variazioni, va a costruire lo schema di 16 battute. 
       Questa struttura così semplice presenta grande interesse musicale grazie alla morbidezza del canto, vero e proprio capolavoro di seduzione. Carmen canta senza parole, e la sua melodia rimane entro l'ottava Re-Re. Il suo non è dunque un canto spiegato, ma un melodizzare intimo, un'esibizione ad uso esclusivo del suo uomo. Il canto di Carmen sfiora tutti i gradi della scala diatonica, salendo e scendendo, ma senza soffermarsi su alcuno in particolare. Non definisce un marcato polo tonale, ma oscilla in un indistinto modale fra Si bemolle maggiore e relativa minore (Sol); confermando così che la personalità di Carmen è inafferrabile. Ella, però, non canta più cromaticamente e con ampi salti, com'era successo nella Habanera e nella Seguidilla del primo atto, bensì diatonicamente e per piccoli intervalli. Si offre finalmente a José, voluttuosa ed impudica, come vuole il suo ruolo di femme fatale. Il desiderio è già acceso, e deve solo essere portato a compimento; così ella può, e vuole, saldare il suo debito, secondo la legge dei Rom.[8]
       L'inizio della scena è dunque nel segno dell'erotizzazione diffusa;  vi si rappresenta con i suoni il movimento del sinuoso corpo di Carmen che sfiora José danzandogli intorno. Inoltre, le morbide lallazioni del suo canto ci appaiono anche come un'erotizzazione della ninna-nanna: realizzazione cioè dell'incesto simbolico messo in gioco dal triangolo edipico.
       Se, come si è detto, l’opera ci priva della pagana gioiosità della novella, perché tace sull’appagamento erotico, come risarcimento Bizet ci offre la fugace ma irresistibile fusione di legge femminile e legge paterna. Carmen infatti canta una volta l'intera canzone,  A e B, con il solo accompagnamento delle castagnette. L'orchestra è discretissima: si limita a mimare, con il pizzicato degli archi, la percussione dei piedi di Carmen. Quindi ella si accinge a ricantare la stessa cosa, come in una versione intima di quel tourbillon zigano che aveva aperto il secondo atto. Ma mentre canta la prima parte (A), si  affaccia lontano, «aussi pp que possible», il suono della fanfara. Si scopre allora che la canzone e la fanfara (l'erotismo e la legge), apparentemente antitetiche, hanno in realtà la medesima struttura armonica, la medesima struttura profonda; e dunque possono essere sovrapposte. Chi ascolta viene incantato, e per qualche secondo gode di questo miracolo, come se Carmen indossasse sul suo corpo voluttuoso la divisa di José. I fantasmi agitati fin qui dalla narrazione sembrano finalmente conciliarsi. Ma l'incanto viene presto rotto. Carmen, che cantando per la seconda volta la canzone sta per passare a B, viene interrotta da José, il quale ha riconosciuto il vero messaggio degli squilli: è la legge del padre che presenta i suoi crediti. José assume istintivamente una postura militare. Il suo canto si adegua alle trombe: si muove per quinte ed ottave ed arpeggia accordi, appena ammorbiditi da un tetracordo ascendente.
       Non sappiamo se Carmen effettivamente non capisca il senso delle parole di José, o se piuttosto non voglia capirlo. Sta di fatto che per lei  la legge militare è solo un'occasione inattesa per danzare su di una vera musica. Ed è solo in questo ribaltamento del significato che ella vi si identifica, e risponde a José mimando anche lei le trombe: «Bravo! Viva!». Opera cioè un'erotizzazione al femminile dei simboli militari, ed imprime una metamorfosi alla simbologia maschile, cioè alla fallicità della rigida postura militare e della sciabola del dragone. La trasgressività di questo atteggiamento si apprezza ancor più nel confronto con la scena in cui Micaëla cercava José, ad apertura del primo atto. Lasciando i soldati ella aveva ripetuto la melodia di Morales sulla «garde montante»; dunque parla per un momento con lo stesso accento dei soldati. Ma non è una vera e propria erotizzazione: si tratta della tenera fidanzata di un soldato che, parlando con un collega del futuro marito, si compiace di usarne i medesimi accenti, e si mette così sotto l'ala protettiva della legge paterna.


           
Torniamo a Carmen, che ha stravolto le parole di José, e riprende a cantare da dove era stata interrotta. Si noti l’efficacia della costruzione musicale: il breve dialogo si svolge mentre la fanfara satura il B della seconda ripetizione e l'A di un'ulteriore riproposizione. Così quando Carmen ricomincia a cantare lo fa proprio su B: esattamente da dove aveva lasciato. Ancora per poco vediamo dunque coincidere canzone e fanfara, ma questa volta con la piena consapevolezza di lei; cosa che  carica la situazione di purpurea malizia, prima assente. Dopo aver intonato tutto il B, ella si accinge a continuare con una nuova ripetizione; ma viene interrotta una seconda volta, e definitivamente.
       Dobbiamo comunque pensare che anche José è stato affascinato dall'erotizzazione della fanfara, poiché aspetta che lei canti tutto il B per tornare a dire qualcosa. Ma certo José non ha mai pensato veramente che l'eros potesse avere il sopravvento, poiché egli è ancora saldamente centrato nel codice paterno; e crede che Carmen veda le cose nello stesso modo. E' uno strabismo della mente che lo accompagnerà fino alla conclusione della vicenda, e che dimostra come la sua concezione dell'amore e dell'incontro fra corpi sia opposta a quella di Carmen. Basta infatti questo episodio per render chiaro a lei ciò che anche lui percepisce, ma si rifuta di ammettere: e cioè che la loro storia è irrimediabilmente finita (e nel libretto, molto più che nella novella, appare finita ancor prima di cominciare). José riuscirà a prolungarla artificialmente, accettando di scendere negli inferi. Ma per Carmen sarà molto presto tempo di voltare pagina; e verrà il tempo di Escamillo[9]
.
 


Note

[1] Cfr. Winton Dean, Bizet, trad.it., Torino, EDT, p. 115. L’intelligenza e l’originalità di Banville possono esser apprezzate più intensamente, per contrasto, grazie all’ampio florilegio dalle oltre venti recensioni che Ludovic Halévy aveva ritagliato e conservato all'indomai della prima di Carmen, in Rémy Stricker, Georges Bizet, 1838-1875, Paris, Gallimard, 1999, pp. 326-331. Sul significato della  recensione di Banville cfr. Michel Cardoze, Georges Bizet, Paris, Mazarine, 1982, pp. 258-259.
[2] Cit. in Stricker, Georges Bizet, cit., p. 270. Dove non espressamente indicato, le traduzioni dal francese sono dello scrivente.
[3] Con l’eccezione di Dean, Bizet, cit., p. 115.
[4] I passi di Banville sono ripresi da Stricker, Georges Bizet, cit., p. 271.
[5] Prosper Mérimée, Carmen et treize autres nouvelles, édition établie, présentée et annotée par Pierre Josserand, (Nouvelles complètes de Prosper Mérimée, II), Paris, Gallimard, 1965, pp. 134-135.[6] Prosper Mérimée, Colomba-Carmen, traduzione di Fabio Ara, Milano, Mondadori, 1969, pp. 297-300.

[7] Derivo queste due categorie da un’antica tradizione ermeneutica, che esemplifico qui con le parole messe in bocca da Marziano Capella ad Armonia (IX, 995): «Ci dovrebbe essere noto che il ritmo è maschio e la melodia femmina. E appunto la melodia è una materia di cui non si conosce la forma, mentre il ritmo, poiché esercita una virile attività, procura ai suoni sia la forma sia differenti effetti»: Martiani Capellae De Nuptiis Philologiae et Mercurii, liber IX, introduzione, traduzione e commento di Lucio Cristante, Padova, Antenore, 1987, p. 171.
[8] «[Carmen’s] diatonicism indicates a straightforwardness absent from her previous songs […] because she is offering  [her body] to him in an intimate encounter. There are no chromatic tricks, no modal ambivalence here»: Susan McClary, Georges Bizet, “Carmen”, (Cambridge Opera Handbooks), Cambridge, Cambridge University Press, 1992, p. 95.
[9] Una prima stesura di questo saggio è stata letta al Secondo Colloquio di Musicologia del «Saggiatore Musicale», Bologna, palazzo Marescotti, 20-22 novembre 1998.
 

indietro