Nicola Pedone |
Osservazioni sulla Sequenza
XII per fagotto di Luciano Berio |
Anziché soffermarmi su questioni di carattere teorico che le sequenze di
Berio certamente suggeriscono, vorrei invece, partendo proprio dall'ascolto di Sequenza
Xll per fagotto, richiamare l'attenzione su alcuni punti apparentemente legati
alla mera tecnica strumentale, ma in realtà significativi di un certo modo
di operare di questo compositore.
Il brano si apre con una lunga nota tenuta che si muove con continuità
verso la regione acuta e, sempre in modo continuo, ridiscende verso il proprio centro.
Tutto questo movimento ininterrotto dura circa un minuto, dopodichè inizia
una serie di ribattuti, sempre piu veloci, sulla stessa nota Questa "semplice"
introduzione consente già un paio di osservazioni.
- 1. La lunghezza della nota richiede all'esecutore la tecnica della cosiddetta
respirazione continua o circolare, grazie alla quale è possibile inspirare
dal naso mentre si sta insufflando aria attraverso l'ancia. Durante questo movimento
l'esecutore usa le proprie guance come deposito di aria, alla maniera della sacca
della zampogna, mentre inspira attraverso il naso. Non si tratta di una tecnica
di facile acquisizione come ognuno può rendersi conto soffiando aria in un
bicchiere d'acqua per mezzo di una semplice cannuccia da bibita: quando si riuscirà
a produrre una fila continua di bollicine, allora ci si potrà considerare
buoni "respiratori circolari".
- 2. Abbiamo sentito che la nota si muove nel suo "intorno" con continuità,
ossia glissando. A considerare le cose in senso tradizionale, ciò potrehbe
definirsi in uso improprio dello strumento in questione, essendo il fagotto, come
sappiamo, uno strumento a chiavi, ossia concepito fin dal suo nascere in funzione
della discretizzazione dello spazio sonoro. In altre parole mentre per uno
strumento ad arco, per un trombone a coulisse, per non dire dei generatori elettronici,
il continuo rientra nelle possibilità date in partenza allo strumento, per
il fagotto la produzione di un continuum sonoro costituisce una sorta di
forzatura della natura stessa dello strumento.
- 3. In realtà, e qui siamo già nel'ambito delle considerazioni
a margine, questo lavorare sui limiti "tecnologici" dello strumento è
tipico di Berio "artigiano ed esploratore" del suono, come lui stesso
si era definito in uno scritto degli anni Cinquanta. In questo senso mi pare che
ci sia, mutatis mutandis, una linea di continuità rispetto all'idea
di virtuosismo di stampo sette-ottocentesco: l'idea, cioè, di costringere
l'esecutore a prove sempre più ardue che, alla fine, hanno lo scopo di spostare
un po' più in là il confine dell'ineseguibile. D'altra parte,
questa tensione tra eseguibile e ineseguibile fa tutt'uno con la storia stessa della
musica occidentale. Ai tempi di Mozart, ad esempio, era impossibile eseguire una
scala "pulita" con il corno, strumento, allora, ad armonici naturali.
Eppure, i concerti di Mozart per corno sono pieni di scale. Questa difficoltà
di scrittura era una sfida non solo per l'esecutore, ma anche per i costruttori
di strumenti, i quali sperimentarono via via l'aggiunta di canneggi addizionali,
fino ad arrivare al moderno corno cromatico.
- 4. Tornando alla Sequenza XII, altre considerazioni analoghe possono
farsi circa l'esplorazione delle zone-limite dello strumento, come per esempio i
suoni multipli, ottenuti uno con l'ancia, l'altro con la voce, a formare un bicordo
(con uno strumento monodico!). Anche qui ci troviamo di fronte ad una forzatura
atta a scoprire, in funzione espressiva, il potenziale dello strumento nonché
dello strumentista.

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