Giovanni Piana

Elogio dell'immaginazione musicale [§§4-6]


L'autore ha riferito su questo argomento nella giornata dedicata a "Dopo Adorno, verso una nuova teoria estetica della musica" del convegno organizzato da Nuova Consonanza, Roma, 30 novembre 1994.


4. Adornismo e storicismo

Se a partire da queste considerazioni volgiamo lo sguardo ad Adorno, che abbiamo rammentato di sfuggita all'inizio come un punto di vista a lungo dominante, è appena il caso di dire quanto poco riusciamo a trovare esigenze come queste non dico soddisfatte, ma semplicemente poste. Forse esse sono anzi, per ragioni di principio, implicitamente negate.

La filosofia della musica di Adorno ha sempre voluto essere una filosofia della musica moderna (nuova), e se tentassimo di considerare la sua produzione sotto il profilo di una filosofia della musica sic et simpliciter resteremo forse sorpresi di fronte alla scarsità del materiale che potremmo trarre da essa. La verità, solo apparentemente paradossale, è che in Adorno c'è una filosofia della musica moderna senza che ci sia una filosofia della musica.

Si tratta di un paradosso solo apparente per il fatto che Adorno non ha di mira una riflessione filosofica sulla musica sviluppata in stretta prossimità con la sua teoria. Il progetto complessivo di Adorno, in rapporto alla problematica musicale, resta legato all'assillo di fornire una chiave filosofica per una vicenda culturale di particolare importanza nella storia della musica novecentesca.

Questa chiave, come si sa, è una chiave tutta giocata nei termini di una sociologia filosofica.
Vorrei che a tutte queste parole fosse dato il loro giusto peso. È importante infatti che si parli di una chiave, così come il fatto che si sottolinei il riferimento ad una sociologia filosofica. Parlare di sociologia filosofica in riferimento ad Adorno significa essenzialmente parlare di una sociologia dedotta da una filosofia della storia.

Di conseguenza la sua indagine è indubbiamente un'indagine rivolta al "significato", ma questo significato si trova tutto già scritto in quella filosofia della storia, con la sua necessaria unilateralità, con i suoi vincoli, le sue limitazioni e restrizioni. Del resto, almeno in larga parte, proprio a questa circostanza è dovuta la fortuna che Adorno ha avuto in Italia: l'impianto hegeliano di Adorno conferiva infatti ai suoi discorsi un che di familiare ad una cultura immersa da sempre in tematiche storicistiche. Io penso che Adorno possa essere considerato, per quanto riguarda l'ambito della cultura italiana, un episodio interno agli sviluppi dello storicismo.

5. La maschera metaforica.

Su questo sfondo assume un diverso risalto il nostro elogio dell'immaginazione musicale.
Nelle considerazioni precedenti ci è sembrato importante avanzare un problema di senso dell'espressione musicale mettendo l'accento sugli elementi tecnico-costruttivi dell'opera: l'immaginazione gioisce delle tecniche, l'immaginare nella musica è un immaginare attraverso le possibilità compositive dei suoni, e dunque un immaginare attraverso le tecniche, attraverso la struttura.

Abbiamo tuttavia anche attirato l'attenzione sul fatto che, senza incorrere in alcuna incoerenza, il compositore può essere prospettato anche come un "sognatore di suoni" – la composizione stessa come una "revêrie", per usare un termine caro a Bachelard, e la dimensione dell'ascolto come un'adesione a questa "revêrie", una dimensione a cui si accede aprendosi a dinamismi immaginativi latenti, ad un "mondo" che non ha forma di mondo, in cui non vi sono né cose né fatti, ma direzioni di senso e di valore.

Abbiamo dunque operato una connessione tra problema del senso e problema delle funzioni immaginative, e così facendo abbiamo difeso la necessità di un approccio al problema del senso che tenesse la presa sulla superficie fenomenologica e sui nessi effettivamente proposti dalla costruzione musicale. L'afferramento di quelli che potremmo chiamare vettori immaginativi interni dell'opera rappresenta il primo passo – un passo che può essere effettuato ovviamente solo se la loro esistenza viene anzitutto riconosciuta.

Ma solo il primo passo. Vi sono infatti i contesti in cui si localizza il progetto compositivo nel suo insieme, contesti che non sono semplicemente leggibili in quella superficie fenomenologica. E la comprensione di questi contesti è di fondamentale importanza per penetrare nella complessità degli strati di senso di cui l'opera è costituita.

Potremmo dire che una fenomenologia dell'espressione non può fare a meno di una dialettica dell'espressione – ma il termine di "dialettica" deve essere allora liberato da ogni richiamo al piano di una filosofia della storia e indicare invece essenzialmente la dinamica dei rapporti tra immaginazione e realtà. Questi rapporti non sono definiti una volta per tutte nelle loro modalità; e nemmeno è definito una volta per tutte il grado di prossimità o di distanza dal mondo che sta all'orizzonte.

Una via assai diversa è quella di misconoscere la presenza di componenti espressive interne fondate sulle valorizzazioni immaginative e di concepire la funzione immaginativa come una pura capacità di produrre maschere metaforiche: alla funzione primaria della valorizzazione, come operazione che sta alla radice delle immagini, delle "figure" nel duplice senso in cui ne abbiamo parlato in precedenza, si sostituisce una funzione di mera trasposizione e rappresentazione sul piano musicale di significati gi acenti interamente altrove.

In Adorno ci si imbatte di continuo in valutazioni che partono da questo presupposto implicito, e questo tanto più per il fatto che si tenta di evitare l'obiezione di "riduzionismo" e si teorizza una sorta di significato sociale interno che investe anche ed in primo luogo gli aspetti formali dell'opera.

Vorrei sottolineare che dal nostro punto di vista si tenderà a dare un peso all'analisi strutturale del brano proprio perché si richiede che l'attenzione venga portata anzitutto alla Gestalt percettiva, e dunque alle regole di cui essa è il risultato. Nello stesso tempo si sostiene che questa analisi deve estendersi necessariamente al di là del piano fenomenologico strettamente inteso proprio per il fatto che mentre l'opera musicale come tale segue un tracciato ben delimitato, non è invece delimit ato il campo dei significati possibili che quel tracciato attraversa. Questo campo reca naturalmente in sé i segni della storicità, in varie forme che di volta in volta debbono essere accertate e riconosciute.

In Adorno invece il riferimento alla storicità, e quindi l'ambito del significato, è esclusivamente determinato da una teleologia filosofico-storica, e tende necessariamente ad una fissazione ed a una determinazione univoca. Di conseguenza gli elementi strutturali, le regole di articolazione e di organizzazione interna debbono essere considerate come una faccenda meramente tecnica, finché non arriva l'illuminazione filosofica che propone la maschera metaforica e nello stesso tempo la toglie riportandola al suo preteso significato reale come significato sociale. Questa illuminazione ha il carattere di una chiave, ignota anzitutto all'autore (le cui idee, i cui progetti, le cui opinioni debbono, come si sa, essere del tutto messe da parte come irrilevanti), ignota all'ascoltatore, per lo più considerato come irretito nelle maglie della "società amministrata"; ed è nota soltanto al "critico della cultura" che la rivela ed al quale si deve supporre sia stata rivelata dallo spirito del te mpo, e dunque dallo spirito assoluto che compie il suo cammino. Non si può non notare, tenendo conto degli stessi termini che sto ora utilizzando, che non solo la posizione di Adorno appartiene ad un'altra epoca, ma che si avverte come antiquata persino la polemica nei suoi confronti.

Come esempio di ciò che intendo dire parlando di "chiave" mi limiterò a citare l'interpretazione adorniana della ripresa nella forma-sonata in Beethoven che sarebbe null'altro che una trasposizione musicale, e quindi una maschera metaforica, del gesto di rinuncia al compimento della rivoluzione borghese, un vero e proprio riflesso di una volontà di conservazione di ordine ideologico sociale [1] .
In ogni caso l'idea che il paesaggio immaginario sia esattamente ciò che va tolto dalla superficie della musica per coglierne il senso effettivo corrisponde ad una tentazione ben presente nello storicismo in genere – essa non riguarda dunque solo Adorno. Ed in realtà essa penetra anche ampiamente all'interno dell'area della semiologia e dell'ermeneutica.

 6. Citazioni ed esempi che mostrano le ragioni della necessità di un elogio

Mi sia consentito un ultimo riferimento in proposito.

Vi è un punto, nel saggio di Nietzsche Il caso Wagner (1888) [2] in cui egli attacca il contenuto mitico del dramma musicale wagneriano come una pura "scorza" [3] , dentro la quale non troviamo altro che "la sfera reale, moderna" – anzi la "sfera borghese", ed assimila i personaggi femminili wagneriani a Madame Bovary. Ora, per il critico storicista questo passo rappresenta una formidabile intuizione interpretativa, benché essa debba essere mutata di segno. Questa circostanza ha infatti per Nietzsche un senso negativo e rappresenta per lui il crollo di una grande illusione, – e dunque una simile osservazione è guidata da un'intenzione denigratoria e di pesante derisione: per il critico storicista - e non parlo di uno qualunque, tutte le citazioni che seguono sono tratte da Massimo Mila [4] - essa corrisponde invece alla pura verità, ed anzi la grandezza di Wagner sta proprio nel fatto che il mito è in Wagner "metafora e rivestimento della realtà" [5] , una pura e semplice scorza dentro la quale si può scorgere un "robusto realismo" [6] . Motivo di apprezzamento è allora il fatto che, ad esempio, Fricka – cito letteralmente, lo confesso, con un certo disagio, con un imbarazzi crescente – non è altro che "un comunissimo esemplare di moglie gelosa", Brunilde "una ragazza generosa che sui banchi dell'università avrebbe certamente fatto il '68", Sigfrido "un giovane eroe pieno di entusiasmo che parte con tante illusioni alla conquista del mondo(...) e ci si rompe le ossa", Wotan "un cinquantenne deluso, un marito stufo, uno che ha sognato di combattere le belle battaglie e poi invece si è acconciato a tutti i compromessi per far carriera" [7].

Che cosa importa a me, esclama ad un certo punto Mila, dei Nibelunghi e dei Ghibicunghi? Egli risponde con una sola parola: "Niente" [8] . Risposta che ha da un lato un vago sapore lapalissiano – perché sarebbe certamente la risposta dell'uomo della strada se lo interrogassimo così: "Ti importa forse qualcosa dei Nibelunghi e dei Ghibicunghi?"; dall'altro, a me sembra quasi sinistra formulata da un cultore di cose dell'arte.

Lo stesso critico cita con favore la regia dell' Anello realizzata da Chéreau a Bayreuth, con la direzione di Boulez, nel 1976 [9]. Ad essa il semiologo Jean-Jacques Nattiez ha dedicato un intero libro[10] , nel quale, sia detto ai margini, è presente anche l'intenzione di un incontro tra semiologia ed ermeneutica [11] . Naturalmente non è qui il caso di entrare nel merito della questione – anche perché questi riferimenti wagneriani sono da parte mia del tutto occasionali, ed hanno una pura funzione illustrativa rispetto ai problemi di ordine generale che abbiamo toccato in precedenza.
La regia di Chéreau va certamente considerata, almeno in parte, uno dei tanti episodi di sociologizzazione nell'ambito del teatro musicale che sono stati sono stati la norma più che l'eccezione in questi ultima trentina d'anni – episodi che possono essere considerati come una possibile concretizzazione di una tendenza teorica in rapporto alla quale è certamente d'obbligo richiamare il nome di Adorno.

In questo caso Chéreau lesse Adorno su sollecitazione di Boulez, ed alcuni tratti vistosamente adorniani sono ri masti nella sua regia [12] .

Il punto che ci interessa notare è tuttavia che l'operazione interpretativa condotta parte dall'assunto tacito (e forse nemmeno troppo) che il senso possa essere dato soltanto in due modi: o attraverso la riduzione al presente storico del compositore o attraverso la riduzione al presente storico dell'ascoltatore; eventualmente attraverso l'una e l'altra insieme, come fa del resto Chéreau con ambientazioni che richiamano sia il Novecento che il primo Ottocento [13]. L' essenziale è togliere di mezzo l'extratemporalità immaginativa – reinchiodando saldamente le operazioni immaginative al terreno della determinatezza storica.

Dobbiamo essere grati a Chéreau di aver formulato con molta chiarezza questo punto. Egli dice una volta: "Io ho sempre detto di non comprendere la parola " Zeitlosigkeit" (atemporalità). Ogni mitologia è una mitologia di una epoca precisa" [14]. .

Era proprio il caso, io credo, di tentare una difesa dei diritti dell'immaginazione: per una riapertura di una riflessione a tutto campo sull'estetica e la teoria della musica.

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Note

1. Su questo punto si vedano le osservazioni di Antonio Serravezza, Musica, filosofia e società in Adorno, Dedalo, Bari 1976, pp. 34-36. Si fa qui riferimento all’ultimo capitolo dell’ Introduzione alla sociologia della musica di Adorno, trad. it., Einaudi, Torino 1971, pp. 250-252. - ritorna al testo

2. F. Nietzsche, Il caso Wagner, Mondadori, 1975.-ritorna al testo

3. ivi, p. 24. - ritorna al testo

4. M. Mila, Tra Wagner e Nietzsche , Quaderni di M/R, 4. Si tratta di un intervento ad un Convegno su Wagner e Nietzsche, tenuto a Torino nel 1983.- ritorna al testo

5. ivi, p. 31. - ritorna al testo

6. ivi, p. 27. - ritorna al testo

7. ivi, p. 25. - ritorna al testo

8. ivi, p. 25. A dir tutta la verità egli dice non “a me”, ma “a noi”. - ritorna al testo

9. “Quando ci si accorge del realismo profondo che sotto il velame del mito fa dell’Anello del Nibelungo, una storia ideale ed eterna dell’uomo, allora non è più possibile privarsi di questo specchio della nostra vita, e perfino la pazza messa in scena di Chéreau a Bayreuth, in ambienti moderni, con Fricka in abito da sera e il commendator Wotan simile a un autorevole cinquantenne in caccia d’avventure, non ci sembra poi tanto dissennata” (pp. 25-26). Cosicché sarebbe proprio il piattume che qui Mila chiama realismo profondo che renderebbe giustizia dell'aspetto "universalmente umano" del dramma wagneriano, aspetto che il mito notoriamente cela! - ritorna al testo

10. Tétralogies. Wagner, Boulez, Chéreau. Essai sur l’infidelité. Paris, Christian Bourgois Editeur, 1983. - ritorna al testo

11. “Non sorprenderà dunque che siano in questione, dall’inizio alla fine dell’opera, la semiologia e nella conclusione i rapporti tra semiologia ed ermeneutica” ivi, p. 12. - ritorna al testo

12. cfr. ivi, pp. 76-78. - ritorna al testo

13. L’ambientazione riguarda il primo ottocento e il sorgere della società industriale; e vi sono allusioni al novecento, a New York ecc. Commenta Nattiez che “Chéreau reintroduce sulla scena il mondo industriale del 1848 per far comprendere che il mito del Nibelungo raccontato in questa data concerne anche quell’epoca” ma così facendo dice anche allo spettatore del 1976: ‘Vedete che io non mi lascio gabbare da ciò che Wagner raccontava nel 1848’ (cfr. ivi, p. 79). - ritorna al testo

14. La dichiarazione, citata da Nattiez a p. 79, è contenuta in un’intervista a Boulez ed a Chéreau realizzata da Carlo Schmid sotto il titolo “Mithologie et Ideologie”, pubblicata nel programma “ Rheingold 1977” del festival di Bayreuth. - ritorna al testo


Indietro:

1. Se questo elogio sia necessario
2. Extra temporalità dell'immaginazione musicale
3. L'esigenza di un punto di vista interstorico in una riflessione sulla musica

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