Le
traiettorie acustiche di Le Corbusier è un saggio che Amedeo Petrilli
(1995-2005) aveva scritto in occasione delle lezioni che aveva tenuto presso
il mio insegnamento di Estetica alla Facoltà di Architettura di Milano-Bovisa.
Tali lezioni erano state lo stimolo per l’elaborazione di un lavoro molto
più ampio e articolato pubblicato dalla Marsilio nel 2001 e intitolato
Acustica e architettura. Spazio, suono, armonia in Le Corbusier (questo
testo venne pubblicato dopo una monografia dal titolo Il testamento di
Le Corbusier, 1999, e precede un volume, ora in corso di pubblicazione,
sempre per la Marsilio, L’urbanistica di Le Corbusier,
2006).
Amedeo
Petrilli, architetto conosciuto e molto stimato in Italia e all’estero, è
stato uno dei maggiori esperti dell’opera e del pensiero di Le Corbusier,
di cui fu allievo. Nel 1965 era entrato nel suo Atelier, a Venezia, lavorando
per il progetto dell’Ospedale, purtroppo mai realizzato, e aveva continuato
poi la sua formazione a Parigi.
Ha lavorato a Como (dove si può ammirare parte delle sue opere realizzate
come architetto) e a Milano, e ha insegnato per diversi anni alla University
of Pennsylvania in Philadelphia, alla University of Texas in Arlington e alla
University of Southern California in Los Angeles.
Se il suo primo volume è il testamento di Le Corbusier, l’ultimo, è drammaticamente
il suo stesso testamento. Durante la stesura ho avuto la fortuna di essere
una sua interlocutrice. Mi raccontava di essere giunto alla fine del suo percorso,
avendo completato il terzo libro su Corbu: “non ne scriverò altri. Il cerchio
è chiuso definitivamente”. Il cerchio del lavoro, della scrittura e della
vita. Non quello degli affetti.
Carpenter
Center for the Visual Arts Harvard University - Cambridge, Massachusetts Le Corbusier, 1961-64 |
Il
Palazzo delle Nazioni a Ginevra (1927-28)
Nel 1927 Le Corbusier e suo cugino Pierre Jeanneret parteciparono al concorso
internazionale per la Sede del Palazzo delle Nazioni a Ginevra e, benché il
loro progetto fosse risultato vincitore, la giuria, attraverso una serie di
pretesti e di operazioni molto discutibili, assegnò l'incarico a un gruppo
di architetti "accademici". Un anno dopo, nel 1928, ancora molto
amareggiato per l'esito della vicenda, Corbu pubblicò Une Maison - Un Palais[32], un libro estremamente interessante
in cui, dopo aver espresso i principi teorici generali della sua visione dell'architettura,
entra nel merito delle caratteristiche di quest'opera e dedica ai problemi
dell'acustica e della visibilità un intero capitolo, con il titolo: Una
grande sala per 2.600 persone, un organismo per vedere e ascoltare.
Le Corbusier precisa subito che si tratta di una sala per i discorsi,
un luogo in cui un numeroso gruppo di persone, che provengono dai quattro
angoli della terra e che parlano lingue differenti, non discuteranno principi
filosofici astratti e avulsi dalla realtà, ma problemi concreti e contingenti
come la pace o la guerra nel mondo. Invita poi a ricordare come, durante le
nostre visite alle grandi opere d'architettura del passato, ci fosse impossibile
udire persino le parole delle guide, a meno di non essere incollati ai loro
passi. Afferma cioè che in tutti questi grandi invasi - ricoperti da un soffitto
- di solito non si sente niente, se non una sorta di brusio, alcuni frammenti
indistinti, un rumore di fondo: gli innumerevoli echi s'incrociano infatti
tra loro e le onde sonore rimbalzano e si scontrano disordinatamente.
Come contrapposizione Le Corbusier esamina l'antico teatro all'aperto di Orange,
una città di origine romana situata nel sud della Francia, e segnala l'esperienza
che le guide locali realizzano per i visitatori: lasciata cadere una moneta
sulla pedana in legno del palco, il tenue rumore prodotto dal colpo arriva
all'orecchio degli spettatori seduti sulle gradinate, nella sua "totale
esattezza". E ne riferisce la ragione: è perché questo spazio non ha
il soffitto e il muro riflettente sul retro della scena, i materiali e la
disposizione dei gradini, seguono scrupolosamente le regole della fisica.
Ne deduce, confrontando la qualità tecnica e figurativa di quest'opera così
semplice con la sterile magniloquenza messa in mostra nel concorso di Ginevra,
che i teatri antichi sono l'espressione di un disegno rigoroso e pieno di
sapienza, mentre molti grandi invasi progettati o realizzati nell'epoca moderna
spesso non tengono nemmeno conto dei principi essenziali dell'acustica.
Salta subito all'occhio che il vero problema - anche nel passato - era quello
del "soffitto" e, secondo Le Corbusier, soltanto la sua realizzazione
strutturale aveva assorbito l'impegno dei grandi costruttori. Però, a suo
avviso, le leggi dell'acustica ci introducono in un ordine di problemi che
non è più soltanto di natura statica, ma "biologica", con conseguenze
formali del tutto differenti. E, prendendo come esempio gli esperimenti sviluppati
negli stessi anni dall'ingegnere francese Gustave Lyon[33], descrive l'itinerario percorso
per definire la forma e il volume della grande sala. Spiega subito che il
suono è un'onda sferica di cui il timpano non percepisce che un'infima porzione
del rumore emesso, così piccola che - alla distanza di undici metri - la voce
umana non è più sentita in onda diretta. Afferma inoltre che la sfera sonora
è come una palla da biliardo che rimbalza su tutte le superfici che incontra,
seguendo l'angolo d'incidenza. Ogni urto determina una nuova sfera che a sua
volta si propaga e di cui soltanto una parte molto piccola arriva al nostro
orecchio: si genera dunque un'immensa diffusione acustica la cui origine era
una, e il cui effetto è di moltiplicarsi enormemente e, nel contempo, di indebolirsi
sempre di più.
Ma - si domanda Le Corbusier- un grande numero di questi rumori non arriveranno
molto ritardati? Spiega infatti che l'esperienza ha stabilito che l'orecchio
umano non differenzia i suoni se non quando sono separati, al loro arrivo
al timpano, con una frequenza di un quindicesimo di secondo: vale a dire che
tutti i suoni che riusciamo ad ascoltare, al di sotto di questa frequenza,
sono percepiti come un solo suono. E aggiunge: "Ora, un quindicesimo
di secondo rappresenta un percorso di circa ventidue metri. Risultato: situando
l'oratore al suo posto, in un punto preciso, si può tracciare con la matita
l'immagine esatta degli avvenimenti, e cioè da una parte le traiettorie percorse
dalle sfere che rimbalzando arrivano all'orecchio degli ascoltatori; dall'altra,
l'onda diretta che raggiunge ogni spettatore"[34].
Avverte però che, dopo aver tracciato i grafici esatti delle traiettorie acustiche,
bisogna prendere un'altra decisione molto importante: dal momento che la sala
riflette sia le onde che raggiungono l'obiettivo sia quelle che arrivano in
ritardo, è necessario "correggerla". Ma in che modo? Attraverso
un utilizzo sapiente dei materiali: è infatti necessario mettere, nel punto
preciso, dove si producono le onde ritardate, un materiale assorbente capace
di annullarle. Non si deve però dimenticare che l'onda diretta apporta un
ascolto quasi impercettibile e che il rumore emesso diventa sensibile soltanto
tramite le innumerevoli onde secondarie, rinviate dalle superfici riflettenti:
per cui, anche se abbiamo corretto la sala, avremo un ascolto puro, ma estremamente
debole.
Ed è qui che entrano in gioco le caratteristiche dei teatri antichi e viene
svelata la strategia adottata: sistemando l’oratore in un luogo preciso (matematico)
e incurvando sapientemente la tribuna del presidente, il muro di fondo della
sala e quello della scena - ovvero gli elementi che producono la riflessione
delle onde sonore - si riuscirà a “innaffiare” gli spettatori
in modo regolare e in quantità uguale e a produrre un ascolto equivalente
in ogni punto. I tre muri di scena riflettenti, seguendo una progressione
determinata dal quadrato della distanza, determinano la forma
dello spazio: teoricamente, è soppresso il soffitto e sono ridotti al mutismo
i muri laterali. E così, in questa sala immensa, si potrà
parlare con la certezza che tutti sentano e Le Corbusier può concludere che
le nazioni, finalmente, potranno “capirsi”.
Il
Palazzo dei Soviet a Mosca (1931)
Il programma del Palazzo dei Soviet prevedeva diversi spazi per le riunioni:
in particolare una sala per quindicimila spettatori. Nel secondo volume dell'Oeuvre
complète[35],
Le Corbusier parla della sala più grande e spiega che il problema - considerando
il numero dei posti e le dimensioni - era estremamente complesso, dal momento
che si doveva assicurare una "visibilità perfetta" per tutti gli
spettatori e una "acustica equivalente" per ogni ascoltatore: in
questo caso il soffitto, rispetto a quello di Ginevra, fu sostituito da una
"conca sonora" levigata, in cui tutti i punti generano gli angoli
d'incidenza necessari per innaffiare lo spazio con onde equivalenti. E per
analizzare la loro rifrazione, costruì in atelier un grande modello
della sala e collocò una sorgente luminosa nel punto preciso dove era prevista
l'origine del suono: questo esperimento gli permise di verificare che i posti
venivano tutti illuminati nello stesso modo, gli ultimi come i primi. Ribaltando
l'esperienza nel dominio delle onde sonore, appare evidente che vi è una ripartizione
assolutamente regolare tra il punto d'emissione - situato in un "luogo
matematico" - e l'orecchio degli ascoltatori.
Il progetto però non venne realizzato e fu poi sostituito da un edificio in
stile Rinascimento: lo spirito rivoluzionario e innovativo cedeva ancora una
volta il passo alla restaurazione. Anche in questo caso Le Corbusier fu molto
amareggiato e, con la sua infaticabile tenacia nell'affermare le sue idee,
così si espresse: "Una sala per quindicimila persone è un organo biologico
che obbedisce a dei calcoli matematici. Questi calcoli, se sono guidati dal
punto di vista plastico, possono condurre ad un'armonia impeccabile, a uno
splendore molto simile alle forme della natura. In questo caso il calcolo
riflette le leggi del mondo e si manifesta un principio di unità tra il cosmo
e l'opera umana. I fautori degli 'stili' non vogliono capire che i nuovi programmi
portano alla creazione di nuovi organismi, che a loro volta rispondono alle
leggi della statica, della resistenza dei materiali, dell'acustica e della
visibilità. Queste condizioni 'imperative' determinano uno stato di cose altrettanto
imperativo: si può così passare dal semplice soddisfacimento dei bisogni materiali
allo splendore dell'architettura, che è poesia, lirismo, commozione provocata
da rapporti inattesi"[36].
La
Cappella di Notre-Dame-du-Haut a Ronchamp (1950-55)
Cappella
di Notre Dame du Haut |
"Sulla
collina avevo disegnato con cura i quattro orizzonti. Questi schizzi provocarono,
dal punto di vista architettonico, una risposta acustica - un'acustica
visuale delle forme..."[37].
Nel 1950 Le Corbusier iniziò lo studio del progetto e durante il suo primo
sopraluogo, come scrisse, osservò a lungo il sito per prendere conoscenza
del "suolo" e degli "orizzonti". Una vecchia cappella,
squarciata dai bombardamenti dell'ultima guerra, era ancora in piedi e siccome
non esisteva una strada carrabile per trasportare i materiali, decise di accontentarsi
di sabbia e cemento e di recuperare le pietre come riempimento dei muri portanti.
Questi muri si sarebbero poi incurvati e dilatati per effetto delle "riverberazioni
acustiche" emesse dal paesaggio e avrebbero avvolto l'aula e le cappelle
laterali.
Alla fine del secondo libro sul Modulor - il sistema di misure
"armoniche" che Le Corbusier inventò riferendosi alle dimensioni
del corpo umano in movimento e su cui ritornerò - per approfondire il suo
atteggiamento teorico nei confronti delle proporzioni e il suo personale dissenso
rispetto alle regole perpetuate dagli ambienti accademici, riparlò di quest'opera
affermando che, una volta compiuta, avrebbe dimostrato che “l'architettura
non è un problema di colonne ma di eventi plastici. E questi 'eventi' non
si regolano con delle formule scolastiche o accademiche, bensì sono liberi
e illimitati"[38]. L'argomentazione è sintetica
e il tono rigoroso, ma quali sono le condizioni che possono trasformare l’ultimo
contrafforte dei Vosgi in una meta di pellegrinaggio, un luogo per il raccoglimento
e la preghiera, e nel contempo generare gli "eventi plastici" di
cui parla Le Corbusier?
Credo che la risposta la fornisca lui stesso nel quinto volume dell'Oeuvre
complète[39], in particolare quando si riferisce
alle ricerche plastiche - pittura e scultura - che conduceva in quegli anni
e che l'avevano portato alla percezione della presenza di "un fenomeno
acustico nel dominio delle forme". Afferma, infatti, che una matematica
e una fisica "implacabili" devono animare le forme e i volumi che
si offrono alla vista degli occhi: soltanto la loro concordanza, ricorrenza
e interdipendenza possono produrre il fatto architettonico, un avvenimento
che - a suo avviso - è flessibile, sottile, esatto e rigoroso come quelli
"acustici". Contestualmente entra in gioco l'acoustique paysagiste
e le emergenze naturali dei quattro orizzonti di Ronchamp diventano i silenziosi
interpreti di questa sinfonia. E scrive: "Tutto sarà coerente. Il lirismo
e l'espressione poetica, come nella musica, sono sempre generati dall'invenzione,
dalla definizione dei rapporti, dalla perfezione delle combinazioni matematiche"[40].
Come spiegavo all'inizio, se si confrontano tra loro un disegno autografo,
in cui appare la pianta con sovrapposto un diagramma, e la rappresentazione
grafica dei "toni combinati" elaborata da Reinier Plomp, viene la
tentazione di formulare una serie di ipotesi che potrebbero rivelarsi molto
suggestive, soprattutto se consideriamo che a questo edificio Le Corbusier
aveva affidato l'incarico di essere un "orecchio ambientale" e di
mettersi in sintonia con i "quattro orizzonti acustici". Si potrebbe
anche affermare che il reticolo in oggetto non è che un tracciato regolatore
- uno strumento spesso utilizzato per verificare l'organizzazione planimetrica
e i rapporti dimensionali nelle sue composizioni - ma è senza dubbio "intrigante"
verificare la perfetta identità presente nelle due trame ortogonali. Ovviamente
non è mia intenzione alimentare nuove elucubrazioni critiche o innescare ipotesi
inedite sulla genesi di un'opera che, tra l'altro, è sempre stata oggetto
di attacchi e di polemiche molto vivaci: dai solerti custodi della Verità,
nel migliore dei casi, Le Corbusier fu accusato di tradimento. Suggerirei
perciò di limitarsi a osservare con attenzione il disegno in oggetto e di
trarre individualmente le proprie conclusioni[41].
Il
Palazzo dell'Assemblea del Parlamento di Chandigarh (1952-57)
Nell'estate del 1950, una commissione governativa, in rappresentanza dello
stato indiano del Punjab, venne in Europa e dopo aver visionato il lavoro
di molti architetti, affidò a Le Corbusier il progetto per Chandigarh, la
nuova capitale: sarebbe sorta su un altopiano ai piedi della catena dell'Himalaya,
in un sito limitato da due grandi fiumi. Tra gli edifici pubblici previsti
vi era la sede del Parlamento e uno dei punti interessanti da segnalare fu
l'adozione della forma circolare della grande sala che poteva sembrare contrastare
con lo sviluppo di una buona acustica. Il volume era definito sui lati da
un guscio iperboloide in cemento e la copertura aveva una sezione obliqua
con un "tappo" di chiusura in carpenteria metallica. L'idea originaria
era di fare di questo tappo un vero "laboratorio di fisica", destinato
ad assicurare l'illuminazione naturale e artificiale, la perfetta ventilazione
interna e, citando le parole di Le Corbusier, il luogo della meccanica acustica-elettronica.
Le Corbusier aggiunse anche che questa struttura avrebbe permesso agli uomini
di osservare le "feste solari" e ricordato, almeno una volta all'anno,
di essere figli del sole.
A suo avviso la sala, in rapporto alla sua definizione geometrica, avrebbe
espresso una sorprendente nobiltà architettonica e tutte le correzioni acustiche,
in più o in meno, si sarebbero potute realizzare lungo l'involucro perimetrale
dello spazio. Spiegò inoltre che la caratteristica del profilo di questa forma
consentiva a una parte della superficie del guscio di riflettere il suono,
all’altra di assorbirlo o espellerlo. Se osserviamo infatti una delle prime
sezioni[42],
possiamo anche notare che sulla copertura appaiono appesi degli stendardi
colorati di varie dimensioni, utilizzati come correttori acustici, in seguito,
nelle immagini dell'opera realizzata[43];
vediamo invece che sulla parete sono fissate delle forme irregolari, o secondo
il termine tecnico utilizzato da Le Corbusier, delle "piastre acustiche".
Se mi soffermo su questo aspetto, apparentemente di scarsa rilevanza, è perché,
leggendo un'intervista fatta a Guillaume Jullian de la Fuente[44] ho scoperto una serie di informazioni
molto preziose sull'approccio "acustico" di Le Corbusier. Alla domanda
se lui fosse stato coinvolto nel progetto del Palazzo dell'Assemblea di Chandigarh,
Jullian rispose che lo studio dell'acustica della sala - la costruzione dell'opera
era già molto avanzata - fu la sua prima esperienza in atelier.
E aggiunse: "La preoccupazione di Le Corbusier era come lavorare con
la luce e il suono all'interno di quello spazio, e nel contempo cercava d'introdurre
qualcos'altro: per lui la luce aveva anche un significato 'cosmico' e voleva
relazionare il suo edificio con il solstizio indiano e con il movimento del
sole. Quando cominciammo ad occuparci dell'acustica della sala, Corbu mi chiese
di modificare la soluzione iniziale e di disegnare delle 'nuvole', quasi volesse
portare all'interno dell'edificio alcuni elementi formali che fanno parte
del cielo. La luce arrivava dall'alto e, secondo il diverso angolo d'incidenza
del sole durante le ore del giorno, produceva una sorta di gioco con le nuvole,
come nel cielo. Volle che le nuvole avessero colori differenti, alcune rosse
e altre gialle - un po’ come all'alba e al tramonto - un vero spettacolo cosmico
trasferito nello spazio interno. Ricordo anche che studiò a lungo i materiali,
i dettagli costruttivi e le proprietà acustiche di queste forme e decise di
staccarle leggermente dalla parete, per cui si generavano delle ombre sulla
superficie convessa del muro: forse tutto questo può sembrare un po’ curioso,
persino esoterico, ma Corbu cercava semplicemente di far reagire insieme la
luce, il sole, le ombre, la forma del muro, lo spazio e il suono..."[45].
Il
Convento di Sainte-Marie-de-la-Tourette a Eveux (1957-60)
"Alloggiare nel silenzio degli uomini che si dedicano alla preghiera
e allo studio e costruire per loro una chiesa"[46].
Fu in base a questo programma molto scarno che, nel 1957, Le Corbusier cominciò
a occuparsi del Convento della Tourette e si propose di conciliare le regole
e i rituali dell'ordine domenicano, già stabiliti a partire dalla seconda
metà del tredicesimo secolo, con le difficoltà determinate dal profilo naturale
del luogo prescelto per il progetto. Non solo studiò con attenzione i riferimenti
del passato - bisogna ricordare che le Certose di Ema e Pavia, visitate la
prima volta nel 1907, avevano sempre rappresentato uno degli elementi fondativi
della sua ricerca (sui problemi della residenza, per esempio) - ma rilevò
con grande cura l'antica abbazia di Thoronet in Provenza, una straordinaria
costruzione in pietra: se confrontiamo i due impianti possiamo scoprire sorprendenti
analogie nell'orientamento, nella distribuzione degli spazi liturgici, nel
rapporto esistente tra i volumi e nella rigorosa povertà della costruzione.
La chiesa era uno degli elementi più importanti dell'intero sistema spaziale
e, anche in questo caso, il luogo fisico configurò la soluzione finale: una
grande navata, determinata non da tracciati astratti fissati a priori, ma
dall'idea generatrice dell'insieme[47].
Uno dei problemi riguardava l'acustica e Le Corbusier racconta che in atelier
avevano pensato di costruire dei muri poligonali per spezzare il suono ed
evitare, con questo artificio, i riflessi e le riverberazioni ritardate; ma
non avendo a disposizione il denaro per realizzarli, fu stabilito che, in
fondo, non ne valeva la pena. E, confessa, che ne fu molto contento perché
gli sembravano del tutto superflui e inoltre, dal momento che la limpidezza
delle forme era l'aspetto dominante dell'insieme, aveva l'impressione che
avrebbero creato un "tumulto" visuale. Comunque, alla fine dei lavori,
l'acustica risultò essere eccellente.
Con grande ironia, spiegò che anche una risonanza scadente avrebbe potuto
adattarsi alla liturgia, perché in tante chiese è talmente inefficiente che
si finisce col confondere la liturgia con la cattiva acustica, datosi che
crea quel brusio, quel mistero e quella confusione che talvolta ammaliano.
Ma aggiunse subito: "Qui, però, vi trovate di fronte a un'acustica di
grande purezza. Non dirò di averla trovata in modo pienamente consapevole,
ma piuttosto di avere avuto fiuto"[48].
E per circostanziare, in termini più generali, i principi compositivi di questo
spazio, precisa che la posizione dell'altare, oltre che il centro di gravità,
indica il valore e la gerarchia di tutte le cose. Ma per essere più esplicito,
ricorre ancora una volta al suono: "Vi è nella musica una chiave, un
diapason, un accordo. In questo caso la nota è rappresentata dall'altare,
da cui si irradia tutta l'opera. Ciò è stato determinato dalle proporzioni.
La proporzione è una cosa ineffabile. Io sono l'inventore dell'espressione
lo spazio indicibile, una realtà che ho scoperto lungo il mio cammino"[49].
Suono,
musica, armonia
Ci potremmo domandare, a questo punto, che cosa sapeva Le Corbusier del
suono. E' noto che sua madre amava la musica e si esercitava al piano e che
il fratello Albert Jeanneret fu musicista e compositore, ma qual era la sua
personale conoscenza del fenomeno? Ammetteva di non avere ricevuto un'educazione
specifica e di non distinguere nemmeno le note, ma di possedere una sensibilità
capace di apprezzare e giudicare la musica. Nell'introduzione del primo libro
sul Modulor[50], si occupò del suono e
lo definì un avvenimento continuo che può salire senza interruzioni dal grave
all'acuto: la voce umana può modularlo liberamente - anche alcuni strumenti
- e spiegò che nel corso dei millenni era stato utilizzato per cantare, suonare
e danzare, anche se la sua trasmissione avveniva soltanto oralmente.
Aggiunse, però, che circa sei secoli prima della nascita di Cristo, qualcuno
decise che era necessario, per tramandarla fedelmente, scrivere la musica
e cioè fissarla su un foglio secondo una serie di segni convenzionali, determinati
e precisi, e introdusse una "graduazione": ruppe cioè la sua perfetta
continuità e individuò una serie di progressioni che avrebbero costituito
i gradini della scala (artificiale) del suono. Ma come si poteva sezionare
l'unità del fenomeno sonoro? Come tagliarlo secondo regole condivisibili?
A giudizio di Le Corbusier, questa questione molto complessa fu risolta da
Pitagora, il filosofo greco che ebbe una grande intuizione e individuò i due
termini del problema: da una parte la sensibilità dell'orecchio umano e dall'altra
i numeri, e cioè la matematica e le sue combinazioni.
Così fu inventata la prima scrittura musicale capace di registrare e trasmettere
le composizioni sonore. E questa pratica non solo servì a tramandare le sonorità
greche ma fu perpetuata anche nel Rinascimento, fino a quando venne inventata
una nuova notazione musicale - la gamma temperata - che diede vita a un ulteriore
impulso creativo. Ma perché Le Corbusier ci racconta queste cose? Per spiegare
che il suono non sarebbe stato un fenomeno trasmissibile con la scrittura,
se non fosse stato prima graduato e sezionato, vale a dire "misurato".
E dal momento che tutto quello che è costruito nelle tre dimensioni non aveva
ancora beneficiato d'una unità di misura equivalente a quella utilizzata nella
musica, si domanda: "Se esistesse uno strumento di misure lineari o visive
simile a quello della scrittura musicale, non ne risulterebbero facilitate
le cose che riguardano l'architettura?"[51] Attraverso il Modulor,
una gamma di misure armoniche relazionate alle dimensioni del corpo umano
e alla matematica, cerca di dare una risposta definitiva alla questione: il
sistema che inventa è semplice, pratico e rigoroso. Anche in questo caso,
i due termini messi in gioco sono la sensibilità della percezione umana e
i numeri.
Alla fine del secondo volume sul Modulor[52],
le argomentazioni diventano ancora più chiare, in particolare quando racconta
che la sua ultima "invenzione" - adottata per la prima volta nel
Convento della Tourette - sono i pans de verre musicaux (pannelli
di vetro musicali), una soluzione in cui le vetrate, interrotte da sottili
lame in cemento, vengono ritmate in progressione aritmetica seguendo le norme
che regolano da sempre la scrittura musicale. Ricorda anche che la sua messa
a punto fu perfezionata da Iannis Xenakis, un ingegnere greco diventato musicista
e più tardi architetto-collaboratore nel suo atelier: a giudizio di
Le Corbusier, tre vocazioni molto "favorevoli" riunite insieme.
E per dimostrare la stretta correlazione tra musica e architettura, precisa
che è rappresentata sapientemente in Metastasis, una composizione
musicale creata da Xenakis nel 1954.
Anche se sarebbe molto interessante esaminare a fondo i ragionamenti di Iannis
Xenakis sulle gamme dei tempi e sulle progressioni geometriche contenute nella
partitura, mi limiterò ad aggiungere che, oltre all'utilizzo delle due serie
numeriche del Modulor, se si osserva con attenzione la scrittura
musicale dei glissandi, appare evidente che la loro struttura
tridimensionale sembra anticipare la configurazione dei paraboloidi iperbolici
e dei conoidi che, qualche mese più tardi, avrebbero caratterizzato la forma
e l'involucro del guscio del Pavillon Philips[53] a Bruxelles, l'edificio che consentì
a Le Corbusier di comporre il suo "poema elettronico", un evento
spaziale e acustico in cui la musica, le immagini e le scansioni temporali
si intersecano armonicamente.
Il Padiglione Philips a Bruxelles (1956-58)
Padiglione
Philips Expo di Bruxelles Le Corbusier, 1956-58 |
Nel
1956, quando il direttore della Philips chiese di progettare il padiglione
per l'Esposizione Internazionale di Bruxelles, precisò subito che non avrebbero
esposto i loro prodotti commerciali, bensì presentato uno spettacolo con il
suono e la luce: aggiunse anche che l'architetto sarebbe stato libero di disegnare
la facciata come voleva. Le Corbusier rispose che non avrebbe realizzato una
"facciata" Philips, ma un poema elettronico. E affermò: "Tutto
succederà all'interno: suono, luce, colore, ritmo; un ponteggio metallico
potrebbe essere il solo aspetto esteriore del padiglione"[54]. Pose anche come condizione di
poter contare sulla collaborazione di Edgard Varèse, il noto compositore di
origine francese. Vorrei anche sottolineare che l'idea di servirsi della musica
elettronica - da questo momento in poi - diventerà per Le Corbusier un tema
ricorrente: lo riproporrà nel Palazzo dei Congressi[55]
di Strasburgo, nella Chiesa[56] di Firminy e nel Visual Arts Center[57] a Cambridge (Massachusetts).
Spiego subito che il "poema elettronico" immaginato da Le Corbusier
utilizza tutte le possibilità fornite dall'elettronica, dall'illuminazione
artificiale e dall'acustica ed è ospitato all'interno di un volume costituito
da gusci incurvati in cemento armato, dimensionato per accogliere seicento
spettatori ogni otto minuti, il tempo fissato per ogni rappresentazione: uno
spazio continuo in cui non esiste alcuna distinzione tra pareti e soffitto,
bensì una stretta relazione tra la forma a "stomaco" della pianta
e lo sviluppo dell'involucro. La performance visiva è divisa
in sette sequenze interrelate tra loro, durante le quali lo spettatore è al
centro di una serie di eventi visuali selezionati secondo un itinerario tematico,
mentre i numerosi dispositivi elettro-acustici diffondono la composizione
sonora. Si potrebbe anche affermare che, più in generale, questo organismo
non gioca soltanto il ruolo di cassa di risonanza delle riverberazioni acustiche
che si producono al suo interno, ma diventa esso stesso l'origine del suono,
quasi che l'architettura e la musica coincidano.
In atelier, Iannis Xenakis venne incaricato da Le Corbusier di occuparsi
dello sviluppo architettonico e di comporre la partitura musicale dei due
minuti di intervallo tra una rappresentazione e l'altra. Così Xenakis spiegò
il suo approccio: "Nell'ottobre del 1956, cominciai lo studio del progetto
preliminare. L'obiettivo di Corbu non era di realizzare un 'locale' in più
nella sua carriera, ma di creare un vero 'gioco' elettronico e sincronico
in cui il volume, il movimento, il suono e l'idea complessiva potessero formare
un tutto sbalorditivo. Mi resi conto che, per determinarne la forma, era necessario
considerare molteplici fattori, ma le mie ricerche musicali sui suoni a variazione
continua in funzione del tempo mi indirizzarono verso strutture geometriche
basate sulle rette o su superfici generate da curve piane, ovvero i paraboloidi
iperbolici e i conoidi"[58].
Il poema elettronico cominciava al buio (colore nero), vi era qualche istante
di silenzio e poi il suono di un gong annunciava l'inizio della composizione
musicale di Edgard Varèse. Più tardi, dopo aver ultimato la sua composizione,
Varèse dichiarò: "In musica ci sono tre dimensioni: orizzontale, verticale
e quella dinamica, espressa sia in crescendo sia in calando. Io potrei aggiungerne
una quarta, la proiezione del suono nello spazio, ovvero la sensazione che
se ne sta andando via per sempre e senza speranza di tornare indietro, una
percezione simile a quella suscitata dai fasci di luce emessi da un potente
proiettore: è infatti una condizione che vale sia per l'orecchio che per l'occhio"[59].
Aggiunse anche che nel Pavillon Philips, per la prima volta, sentì la sua
musica letteralmente "proiettata" all'interno di un organismo architettonico,
e se osserviamo il testo e i segni che caratterizzano la partitura, o meglio
i diagrammi tracciati per suggerire la variazione del colore sonoro e la sua
intensità, anche in questo caso, come già segnalato per Xenakis, possiamo
individuare incredibili analogie tra la scrittura musicale e la configurazione
spaziale dell'edificio.
Conclusione
Essendo sempre più incuriosito dall'insistenza di Le Corbusier nel volere
introdurre la musica elettronica nei suoi ultimi progetti, ho chiesto a Guillaume
Jullian de la Fuente (il mio Maestro) di spiegarmene le ragioni. Mi ha risposto
rivelandomi un'altra coordinata che ritengo utile riportare, a conclusione
del mio itinerario: "Quando cominciammo a lavorare, nel 1961, sul progetto
per il Visual Arts Center a Cambridge, Corbu mi diede un piccolo schizzo che
conteneva l'idea generatrice: un segno molto semplice - una rampa sinuosa
- avrebbe servito l'edificio e connesso tra loro le due strade parallele che
tangono il lotto. Voleva anche creare qualcosa con la musica, ma allora io
pensai che fosse un'invenzione un po’ folle. Mi disse, infatti, d'inserire,
all'interno della rampa, una serie di microfoni e di amplificatori che avrebbero
emesso dei suoni elettronici durante le diverse ore del giorno e della notte.
Non ero molto convinto e non studiai seriamente questa possibilità, anche
se di fatto l'edificio era pieno di curve e c'era questa promenade architecturale
- la rampa - che saliva e scendeva come una spirale, relazionando tra loro
il movimento, la luce e le viste: per così dire, un vero percorso 'musicale'.
Oggi, però, penso che si trattasse di un'idea estremamente suggestiva: immaginare
cioè che un edificio possa produrre la musica quasi fosse uno strumento e
che i suoni diventino parte integrante di un organismo architettonico in cui
ogni spazio ha il suo suono"[60].
[1]Le Corbusier, Entretiens avec les étudiants d’architecture, Éditions de Minuit, Paris 1957.
[2]Cfr. "Il Gazzettino" di Venezia, aprile 1965.
[3]G. Mazzariol, Esperienze di etica dell'architettura, "Venezia Arti", n. 4, 1990.
[4]Cfr. A. Petrilli, Il testamento di Le Corbusier. Il progetto per l'Ospedale di Venezia, Marsilio Editori, Venezia 1999.
[5]Le Corbusier, La Ville Radieuse, Editions Vincent Fréal & Cie, Paris 1964, p. 269.
[6]Guillaume Jullian de la Fuente, architetto cileno nato a Valparaiso, lavorò a Patigi nell’atelier di rue de Sèvres dal 1958 al 1965. Dopo la morte di Le Corbusier, fu incaricato di continuare l’Ospedale di Venezia e l’Ambasciata di Francia a Brasilia. Attualmente lavora e insegna negli Stati Uniti.
[7]L’intervista è pubblicata in A.Petrilli, op. cit., p. 115.
[8]Le Corbusier, Vers une architecture, Editions Vincent Fréal & Cie, Paris 1958, p. 103.
[9]Cfr. A. Petrilli, op. cit., pp. 52-53.
[10]Le Corbusier, Vers une architecture, cit., p. 110.
[11]Cfr. Le Corbusier, Oeuvre complète, Les Editions d’Architecture, Zürich 1991, vol. 5, 1946-1952.
[12]Cfr. ibid., vol. 4, 1938-1946.
[13]Cfr. ibid., vol. 6, 1956-1959.
[14]Cfr. ibid., vol. 7, 1959-1965.
[15]Cfr. ibid., vol. 8, 1965-1969.
[16]Mi riferisco, per esempio, al prezioso lavoro prodotto in quegli anni da Louis Kahn, Aldo van Eyck, Giancarlo De Carlo, Jørn Utzon, Candilis-Josic-Woods, Alison e Peter Smithson.
[17]Cfr. Le Corbusier, Oeuvre complète, cit., vol. 7, 1959-1965.
[18]Cfr. ibid.
[19]Cfr. ibid.
[20]Cfr. Le Corbusier, Le Modulor, Editions de l’Architecture d’Aujourd’hui, Boulogne sur Seine 1950.
[21]Le Corbusier, Entretiens avec les étudiants des écoles d’architecture, cit.
[22]Cfr. Le Corbusier, Urbanisme, Editions Vincent Fréal & Cie, Paris 1966.
[23]Cfr. Le Corbusier, Propos d'urbanisme, Editions Bourrelier, Paris 1946.
[24]Le Corbusier, Vers une architecture, cit., p. 220.
[25]A. Petrilli, Il testamento di Le Corbusier. Il progetto per l’Ospedale di Venezia. Marsilio Editori, Venezia 1999.
[26]Ruggero Pierantoni lavora presso l'Istituto di Cibernetica e Biofisica del CNR di Genova. Ha condotto ricerche e insegnato presso varie università americane ed europee. E' autore di numerosi libri, tra cui: Riconoscere e comunicare (1977), L'occhio e l'idea (1981), Forma fluens (1988), Monologo sulle stelle (1996), La trottola di Prometeo (1996), Verità a bassissima definizione (1998).
[27]Cfr. R. Plomp, Experiments in tone perception, Von Gorcum, Assen 1966.
[28]Cfr. R. Pierantoni, La trottola di Prometeo. Introduzione alla percezione acustica e visiva. Laterza, Roma-Bari 1996, cap. XLI.
[29]Le Corbusier, Ronchamp, Edizioni di Comunità, Milano 1957, p. 89.
[30]Ibid., p. 123.
[31]Le Corbusier, Modulor 2, Editions de l’Architecture d’Aujourd’hui, Boulogne sur Seine 1950, p. 154.
[32]Cfr. Le Corbusier, Une Maison - Un Palais, Editions Connivences, Paris 1989.
[33]Per maggiori informazioni sulle ricerche dell'ingegnere francese Gustave Lyon, cfr. R. Pierantoni, La trottola di Prometeo, cit.
[34]Le Corbusier, Une Maison - Un Palais, cit., p. 118.
[35]Cfr. Le Corbusier, Oeuvre complète, Les Editions d'Architecture, Zürich 1991, vol. 2, 1929-1934.
[36]Ibid., p. 131.
[37]Le Corbusier, Ronchamp, cit., p. 89.
[38]Le Corbusier, Modulor 2, cit., p. 265.
[39]Cfr. Le Corbusier, Oeuvre complète, cit., vol. 5, 1946-1952.
[40]Le Corbusier, Modulor 2, cit., p. 267.
[41]Cfr. Ronchamp, Maison Jaoul and Other Buildings and Projects, Garland Publishing Inc., New York and London and Fondation Le Corbusier, Paris 1984, vol. XX, 1951-1952.
[42]Cfr. Le Corbusier, Oeuvre complète, cit., vol. 6, 1952-1957.
[43]Cfr. Le Corbusier, Oeuvre complète, cit., vol. 8, 1965-1969.
[44]Guillaume Jullian de la Fuente, architetto cileno nato a Valparaiso, lavorò a Parigi, nell'atelier di rue de Sèvres dal 1958 al 1965. Dopo la morte di Le Corbusier, fu incaricato di continuare l'Ospedale di Venezia e l'Ambasciata di Francia a Brasilia. Attualmente lavora e insegna negli Stati Uniti.
[45]L'intervista venne registrata alla Cornell University, Ithaca, nel 1986.
[46]Cfr. Le Corbusier, Oeuvre complète, cit., vol. 6 1952-1957.
[47]Cfr. ibid.
[48]Jean Petit, Un convento di Le Corbusier, Edizioni di Comunità, Milano, 1961, p. 29.
[49]Ibid.
[50]Le Corbusier, Le Modulor, Editions de l’Architecture d’Aujourd’hui, Boulogne sur Seine, 1950.
[51]Ibid., p. 75.
[52]Cfr. Le Corbusier, Modulor 2, cit.
[53]Cfr. Le Corbusier, Oeuvre complète, cit., vol. 6, 1952-1957.
[54]Le Corbusier, Le Poème Electronique, Editions de Minuit, Paris 1976.
[55]Cfr. Le Corbusier, Oeuvre complète, cit., vol. 7, 1957-1965.
[56]Cfr. ibid.
[57]Cfr. ibid.
[58]Le Corbusier, Le Poème Electronique, cit.
[59]Cfr. Marc Treib, Space calculated in seconds, Princeton University Press, New Jersey 1996.
[60]L'architetto Guillaume Jullian de la Fuente mi ha rivelato questa coordinata nel corso di una conversazione che abbiamo avuto nel 1999 a Cambridge, Massachusetts.
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