Carlo
Serra
Spazio musicale e paesaggi sonori
Introduzione
Potrebbe sembrare inutile riavviare oggi una discussione sul concetto di paesaggio sonoro[1], elaborato ormai venticinque anni fa da R. Murray Schafer, soffermandoci sui danni connessi all'inquinamento acustico; d'altra parte, è difficile non farsi cogliere dalla tentazione di un rapido richiamo a quel tema, nel momento in cui gli ultimi dati sulle malattie del lavoro danno al primo posto, fra le patologie che affliggono i lavoratori italiani, proprio i disturbi connessi alla sordità, che risultano in continuo incremento[2] nell’ultimo trentennio, secondo quanto recita il rapporto presentato dall’INA alla fine del luglio 2002. Il primo che insorgerebbe contro quest'approccio al testo sarebbe probabilmente lo stesso Schafer, rivendicando in modo deciso la natura teorica, ed estetica, del suo lavoro.[3] Una valenza estetica che andrebbe presa nel suo significato più profondo, e, almeno sotto un profilo conoscitivo, genetico, perché intimamente connessa ad una riflessione sulla funzione del momento sensibile nelle vicende della vita di coscienza. Schafer vuole insegnare nuovamente al lettore una sensibilità nei confronti degli eventi acustici che circondano il mondo, aspira a ricostruire una storia dell'attitudine all'ascolto, ponendosi il problema di un metodo che insegni a rivalutare la funzione dell'irrompere del suono nel processo di riconoscimento dello spazio da parte della soggettività. Le riflessioni che presentiamo vorrebbero chiarire, almeno in parte, i presupposti gnoseologici su cui si appoggiano le analisi sviluppate da Schafer rispetto ai problemi connessi al tema del paesaggio sonoro. Questi aspetti c’incuriosiscono: nel testo, infatti, il rapporto figura - sfondo assume un ruolo centrale, tanto nell'elaborazione di un concetto di spazialità, intesa esistenzialmente come capacità di abitare il mondo, che nell'elaborazione di un modello antropologico del comportamento rispetto al suono. E' significativo che tali problematiche si accompagnino ad un ostentato atteggiamento di rimpianto per la maggior sensibilità che il mondo antico avrebbe avuto nei confronti dei fenomeni sonori, e dei loro portati immaginativi, mentre il nostro vivere si articolerebbe tutto in una dimensione che opacizza la componente emotiva legata al suono e la sua capacità di marcare atteggiamenti, valenze emozionali, elaborazioni simboliche nei confronti dello spazio che ci circonda. In questa prospettiva, l'opacizzarsi del rapporto figura - sfondo sembra essere il sintomo di uno stato di profondo disordine, che tormenta le relazioni fra fonte sonora e attività simbolizzante della coscienza. Tale preoccupazione teorica ci sembra sia stata poco rilevata nelle discussioni che hanno avvolto la ricezione dell'opera, ed è forse il caso di riportarla al centro di una discussione filosofica. La centralità del rapporto figura -sfondo per definire il rapporto che lega il mondo dei suono all'attività della coscienza pone, infatti, le intuizione del teorico canadese di fronte a due difficoltà. La prima è legata al modo di pensare l'enuclearsi di un concetto di figurazione sonora, legata, sul piano fenomenologico, al carattere diffusivo del suono: se siamo circondati da musiche, rumori, segnali, che ci avvolgono continuamente, che ci portano instancabilmente nel ventre del loro intrecciarsi, come definire in modo nitido una figura rispetto allo sfondo che la circonda? Tra le pieghe di quest’interrogativo, avvertiamo il problema dello squilibrio che caratterizza il rapporto fra la dinamica dei suoni, la loro capacità attrattiva, le loro potenzialità timbriche e figurali e la sostanziale staticità della fonte che li emette. Il mondo moderno pone in primo piano suoni monotoni, elaborati da fonti ad alto volume, suoni dai quali ci si difende attraverso un atteggiamento di insensibilità all'acustico, che alla lunga impoverisce l’immaginario. La necessità di costruire tassonomie descrittive in grado di cogliere la natura peculiare dei suoni, va così incontro alla seconda difficoltà, ossia definire l'atteggiamento di chi ascolta, di chi partecipa al processo di figurazione, di acquisizione di forma del suono e che sa riconoscerlo. Secondo il nostro autore, è proprio questa sensibilità che nella società postindustriale vive in uno stato di profondo abbandono. Il recupero della pratica dell'ascolto che Schafer vorrebbe suggerirci è così tesa a recuperare il piacere di delibare i suoni, e a considerarne l'essenziale peculiarità qualitativa, nell'elaborazione utopistica di un modello di nuova abitabilità del mondo. Cosa significa, in questo contesto, abitare? La risposta è articolata su più piani. Il mondo brulica di eventi acustici, che sollecitano la nostra coscienza e s’imprimono sui nostri vissuti in modo profondo: i luoghi che abitiamo e in cui viviamo sono segnati da una loro identità sonora, legata alla loro morfologia, alle specifiche configurazioni naturali, alle forme di insediamento che lo popolano, alla dimensione culturale di chi ne utilizza le risorse. Ovunque vi sia vita, c'è suono, ed il mondo va paragonato ad una grande composizione musicale, di cui saremmo, al tempo stesso, attori e fruitori. Il suono è aspetto del presentarsi del mondo alla nostra coscienza, una spia che ne rivela le intime articolazioni. L'esperienza del suono è quindi esperienza di un ambiente, dei movimenti che lo permeano e delle emozioni che collegano i suoni alla morfologia dei luoghi in cui lo esperiamo. Schafer tende così a dare un'interpretazione narrativa del rapporto che lega la ricezione degli ambienti rispetto alle sonorità che li caratterizzano: il libro, scritto da un compositore dall'orecchio sensibilissimo, e dall'ampia cultura letteraria, raccoglie una grande collezione di luoghi narrativi, di fonti che evocano un archivio di suoni perduti. Classici latini e greci, testi medievali, trattati scientifici, veri e propri brani di letteratura, fonti a stampa si connettono, per mettere capo ad un mosaico che delinea, con amore, qualcosa che ricorda una sorta di storia culturale dei suoni e dei rumori, e della loro elaborazione da parte della soggettività umana. Il lettore viene così introdotto in un ampio repertorio descrittivo, che abbraccia suoni d'ogni genere, dal ruggire degli elementi al canto degli animali, dall'evoluzione dei primi strumenti musicali all'invadenza del pianoforte moderno, dal rumore degli utensili, a quello delle armature, dai più disparati macchinari industriali fino ai mezzi di trasporto, che evocano con felicità l'evolversi delle caratteristiche interne dei paesaggi sonori nel loro allontanarsi dalla natura. Viviamo circondati da suoni che si diffondono, offendendo il nostro orecchio e condizionandoci: una patina difforme di suoni uniformi, muti e continui come quelli di un motore, segnano, senza variazioni parametriche l'ambiente che ci circonda, e ricadono sui nostri pensieri, sul nostro immaginario, condizionandone in modo monotono gli orizzonti, ed impoverendone le stesse possibilità narrative. I suoni moderni, semplicemente, durano, identici a se stessi nel fluire del tempo. Nel mondo antico, il rumore del lavoro è discreto: nella bottega del fabbro, il tintinnare dei martelli sul metallo crea intrecci poliritmici, da quel martellamento si sviluppano suoni discreti cui porgiamo l'attenzione come ad una composizione musicale (affermazione questa che porta dentro di sé molti problemi, perché dovremmo subito chiederci in che senso questo accada), mentre il moderno si affaccia attraverso forme di brutale razionalismo che vedono nei suoni naturali, quale il gorgoglio delle acque, il farsi avanti della triade tonale, o l’ingenuo naturalismo della fondazione fisico - matematica della teoria degli armonici. Nel mondo che ci circonda un inarrestabile ed indifferenziato ronzare, sordo e povero d'informazione, riempie l'ambito in cui, nel quotidiano, sfilano anonime forme di vita: rumori di traffico aereo, urbano, di condizionatori d'aria, di produttività cieca riempiono e rendono insensibile, nel loro stratificarsi, l'orecchio e la coscienza dell'uomo moderno. Nei suoni prodotti dal mondo che abitiamo, sembra dunque essersi perduta la possibilità di plasmare una forma, di articolare un rimando che li porti oltre se stessi, oltre la loro pura datità. Non possiamo più indugiare di fronte ad un suono, che si è fatto sterile trasparenza, pura struttura di rimando, priva di quelle opacità che lo rendono attraente. Lo svuotamento di significato si riverbera nelle nostre abitudini d'ascolto, a partire dalla percezione del sé. Il rumore dei passi, che descrive l'andatura quindi un modo di abitare lo spazio, di esprimere un carattere nel movimento, e ad esprimere un ritmo determinato dal moto del corpo, dall'appoggiatura al suolo della pianta del piede, dal coordinarsi di caviglia e ginocchio si trasforma prima nel moto continuo della ruota, dove ancora è possibile distinguere sonorità diverse in grazia della materialità variabili dei terreni e degli acciottolati, infine perde ogni possibilità d'articolazione nel rombare del motore a combustione interna [4]. In questa vicenda culturale, diventa centrale lo svilupparsi di analisi tese a mettere in luce la funzione delle dinamiche, attraverso cui il mondo sonoro solletica ed opprime la coscienza dell'ascoltatore, articolandosi dall'impercettibile alla soglia del dolore, attraverso i rumori inafferrabili del vento tra le foglie, i solenni rintocchi delle campane, i ticchettii degli orologi, il gorgoglio dei ruscelli, lo sferragliare di carrozze, i rumori sordi delle civiltà industriali o quelli letali delle guerre. Ad ognuna di queste sollecitazioni, corrisponde uno specifico rapporto con l'ambiente. La nozione di ambiente viene dunque letta in una prospettiva esistenziale, anche se le descrizioni raccolte da Schafer non trascurano suoni che emergono in regioni remote e non abitate. A questi ultimi, come ai suoni degli elementi, corrispondono valenze mitiche, che da un lato li collocano sul piano delle matrici simboliche, dall'altro defluiscono in un confronto con la dimensione quotidiana dei suoni che ci circondano, per indicare un orizzonte di irriducibile purezza. Ai suoni corrispondono atteggiamenti emotivi, che ne determinano valenze che mutano di epoca in epoca, con l'evolversi delle fonti sonore e delle forme di vita che esse imprimono: nelle varie ricostruzioni che si succedono nel libro, l'attenzione di Schaffer sembra ossessionata dal tema del timbro. La sua curiosità nei confronti delle componenti fonematiche e di quelle onomatopeiche, gli permette di dominare la poesia di Poe, la prosa di Hugo o i repertori descrittivi più disparati, mettendone sempre in luce le qualità timbriche, secondo un atteggiamento che rivendica le possibilità narrative del materico. Nelle citazioni che costellano il percorso del libro, la descrizione del suono si porta implacabilmente in primo piano, costituendosi come vera protagonista del testo che, dopo aver catturato l'autore, coinvolge il lettore in un gioco evocativo di suoni scomparsi, di canti d'uccelli o di sirene, e infine di simboli connessi ai quattro elementi, in cui la rumorosità diviene cifra essenziale di un rapporto identificativo della soggettività con la natura. La coscienza umana, unica aldilà delle singole culture, è così immenso serbatoio di suoni, in cui, a livello inconscio, riverbera e si agita la forza primitiva degli elementi, che condiziona il nostro modo di rapportarci al mondo. Si affaccia così l'idea di una grande matrice immobile, che va preservata. Il tema dell'abitare si colora così di connotazioni prescrittive: esso deve conformarsi a modelli pre-tecnologici, in cui si possa avvertire la centralità della natura e delle sue componenti materiali, che continuano ad agitare la nostra coscienza. La valenza sociale del suono va interpretata secondo questa angolazione. I rumori e le varie tecnologie che li producono, mutano la qualità delle relazioni umane, e lo stesso accade per l'evoluzione degli strumenti musicali e delle forme di ricezione della musica. Al tema della perdita della forma e del ritmo, ossia dell'individualità del suono che occupa il paesaggio musicale postindustriale si affianca, dall'epoca della rivoluzione elettrica, quello della schizofonia, del prodursi di una separazione fra fonte sonora ed evento: viviamo in un'epoca di riproducibilità tecnica, in cui il suono è spesso separato dalla fonte originaria che lo aveva prodotto, in un mondo di suoni decontestualizzati e perciò spogliati di tutti i loro referenti autentici, in una continua dislocazione acustica dei suoni riprodotti, che uccide ne uccide il significato, assieme a quello del silenzio[5]. Alla schizofonia corrisponde un'ideologia dell'anonimato della spazialità in cui gli eventi acustici vengono alla luce. Si potrebbe tentare, e Schafer lo fa, di elaborare uno schizzo delle modificazioni culturali nella ricezione dei suoni, modificazioni che si ripercuotono all'interno della società e dei suoi modi di produzione: dal suono delle fabbriche, alla perdita dell'innocenza del cielo, grande cloaca dei suoni aerei, l'irrompere prepotente dei suoni umani, dell'inquinamento acustico, modificano ogni forma di vita. Rumore è potere, non solo nella comunicazione, ma anche sul piano delle pratiche politiche e di quelle di controllo del cittadino. Il tema del suono confluisce immediatamente in quello della sua diffusione nelle pratiche comunicative, attraverso l'analisi di uno strumentario tecnico ben variegato, che comincia con gli accenti tonici delle lingue e termina con la trasmissione radiofonica radio o televisiva. Chi ha più potere, può fare più rumore, amplificare il proprio messaggio attraverso strumenti mediatici, che ne amplificano le voci. Non si tratta certo di un atteggiamento nuovo: Schafer vede una linea di continuità fra i portati ideologici della Phonurgia Nova di Athanasius Kircher (1673) ove le riflessioni sull'acustica si intrecciano all'elaborazione di macchine sonore in grado di propagare la voce nelle più lontane regioni dello spazio, facendolo proprio, e l'attuale funzione dei media, secondo una linea interpretativa che si rispecchia in quella di Marshall McLuhan. Il corollario che ne deriva, è che al restringersi della dimensione privata del dominio acustico, corrisponda una ulteriore mortificazione del valore sociale del silenzio. Nel libro, diventato, con buona ragione, un classico, vanno così intrecciandosi temi complessi ad ombreggiature ideologiche che meriterebbero un'analisi accurata, a causa della nebulosità che ne avvolge, da più parti, contenuti e portati concettuali. Ce ne occuperemo, soprattutto per quanto attiene ai rapporti fra suono e conferimento di significato. L'ultima parte, dedicata al tema del design acustico, in cui si levano sensate critiche al modo con cui architetti ed esperti di acustica hanno travisato tali temi, rimarrà così al di fuori del nostro studio.Il consuonare del mondo nel monocordo di Fludd[6]
§1. L'ascolto fra le rovine: le toniche del paesaggio sonoroOgnuno di noi porta dentro di sé una serie di suoni che individuano l'ambiente in cui si è formato. Facendo propria una dimensione introspettiva, Schafer osserva che i suoni plasmano la nostra personalità, sollecitando i nostri stati d'animo e condizionano la nostra vita affettiva: le testimonianze letterarie assumono così il valore di una sorta di analisi ad alta voce dei proprio vissuti e dei propri malesseri. In quanto tali, sono pagine di un diario collettivo che racconta il progressivo sradicamento dell'uomo dal mondo della natura.
Nella costruzione di una archeologia dell'ascolto, esiste una sorta di esibito compiacimento, che nel nostro autore fa presa sul tema della natura perduta: l'evoluzione è una sorta di tradimento. Nelle pieghe del testo si avverte una radicale ostilità all'idea di progresso, che implica necessariamente meccanicità e spersonalizzazione, perdita dell'intimità nel rapporto con se stessi. Nell'evocare la peculiare natura ideologica del concetto di introspezione, il testo si fa carico di una distinzione di livello fra il divenire storico del suono ed il suo modello metafisico, fra suoni stabilizzati, immutabili, e divenire storico dei rumori, fra alto e basso insomma, e quest'impostazione crea subito dei problemi, perché ci aggredisce fin dalle prime pagine, dando un colore fortemente etico alle tassonomie che seguiranno e confondendo immediatamente il discorso, perché una simile classificazione dei suoni non può permettersi il lusso di fissare immediatamente i loro modelli al di fuori della trasformazione storica, senza sviluppare parallelamente una teoria che dia ragione di come ci atteggiamo rispetto al suono. Il rischio di una simile impostazione non sta tanto nel cercare universali linguistici, che valgano come pietra di paragone, ma nel non riuscire a mettere a fuoco le caratteristiche del processo di simbolizzazione. Quali sono, e come variano, le modalità d'ascolto nella storia e nelle culture? La risposta di Schafer non si rivela lineare, né potrebbe esserlo. Le toniche di un paesaggio sonoro sono costituite dai suoni creati dalla sua geografia e dal suo ambiente: acqua, vento, foreste, pianure, uccelli ed animali costituiscono le toniche che influenzano il carattere di chi abita una determinata regione. In che modo? Attraverso un rapporto percettivo che il nostro autore ricostruisce attraverso le relazioni fra figura e sfondo. Viene così importato un modello qualitativo, difficilmente rilevabile sul piano quantitativo, che crea un campo di forze in cui entrano almeno tre variabili: il darsi del suono per prospettive successive, il suo stagliarsi in modo più o meno conflittuale con uno sfondo, e la reazione di un ascoltatore, che lo percepisce e che viene segnato da tale esperienza. Ponendo il problema in questi termini è difficile parlare di un modello scientifico, anche se questo modulo della psicologia della forma trova un suo fondamento sul piano visivo, e se sul piano sperimentale quell'approccio alla psicologia musicale ha preceduto storicamente il modello visivo stesso, aspetto che Schafer sembra non tenere in gran conto. Del resto, questo accade anche in psicologia. Rimane comunque che se la figura è ciò che viene percepito, lo sfondo (cioè la tonica) le deve dare il suo risalto e il suo spessore, le attribuisce cioè un carattere determinato. In queste situazioni, Schafer osserva che i suoni inseriti nella loro ambientazione naturale, assumono un carattere archetipo, che influenza il carattere degli uomini che lo abitano: ecco una radice atta a sviluppare una prima mitizzazione del discorso sulla natura, che trova un giusto fondamento sul fatto che la scomparsa di quei suoni, che si imprimono come impronte sul carattere degli abitanti, viene giustamente avvertito come un impoverimento culturale. Dall'altra parte, si fa particolarmente pressante il tema della nostalgia di una forma d'articolazione del suono (l'intreccio poliritmico legato al discreto, l'identità quasi melodica dei segnali e così via), che possiamo indicare solo in modo molto vago. Alla friabilità dell'argomento, corrisponde la mancata messa a fuoco del problema teorico fondamentale: come i suoni influenzino la vita della coscienza, in quali relazioni essi si pongano con l'esperienza della spazialità o dell'abitare in generale, e soprattutto in che modo si esplichi l'attività della coscienza, che scivola dalla percezione passiva all'interpretazione simbolica, senza che l'analisi di Schafer colmi la lacuna descrittiva che il modularsi di livelli così impegnativi mette immediatamente in gioco. Ci si trova così ad indicare dei caratteri determinati di cui presagiamo oscuramente l'esistenza, ma che non potremmo indicare con sicurezza. Spieghiamoci con un esempio banale: sulla riva del mare, il canto del gabbiano si staglia sul mobile sfondo delle onde, mentre quel canto rimane soffocato e coperto dai rumori del porto. I gruppi di suoni che accompagnano l'evento principale, possono attenuarlo, sino a farlo scomparire o possono metterlo in rilievo, come accade nel primo caso. Il mare è la tonica nella prima situazione, mentre nella seconda la tonica è determinata da una serie di rumori che vanno dipanati, alla ricerca di un suono principale, che funga da riferimento per l'ambientazione delle forme di vita che in quel luogo orientano le dimensioni immaginative degli abitanti. Avremo così due possibili gradazioni del paesaggio sonoro: un paesaggio sonoro ad alta fedeltà, in cui i suoni si stagliano in modo netto, senza sovrapposizioni, ed un paesaggio a bassa fedeltà, caratterizzato da un avvilupparsi di suono che sovrappongono le loro frequenze in modo confuso, e che danno luogo ad una situazione informe. L'evento principale (il canto dell'uccello, il fischio della sirena, il rombo del motore della nave, lo stridere della catena sulla banchina) è invece il segnale, la figura che viene determinandosi, stagliandosi in modo sempre più chiaro. Risulta problematico chiedersi cosa significhi, in questo contesto, fedeltà: forse ad una generica possibilità di marcare attraverso dei segnali? L'ascoltatore, sembra dire Schafer, è costantemente giocato dal rapporto emozionale con il suono, percepisce in modo mutevole queste relazioni, muovendosi nello spazio. La particolare accezione del termine fedeltà sembra scavalcare i suoni in quanto tali, ed implica che vi siano suoni buoni e suoni cattivi, impronte sonore che incidono bene e che incidono male, confondendo aspetti etici con ambiti recettivi, e sviluppando considerazioni che poco hanno da dividere con l'analisi di un atteggiamento. I dislivelli ideologici che covano dentro a questi atteggiamenti, ci invitano a scendere nel dettaglio del problema percettivo e del dischiudersi delle relazioni che stringono l'emergere del suono alla sua simbolizzazione.In questo contesto, dovremmo pur chiederci cosa significhi assumere un atteggiamento rispetto ad un ambiente estraneo e se questo modo di reagire non vada affrontato in modo più analitico, anziché essere proposto come la dimostrazione della validità dello schema figura - sfondo. Su cosa si radica il modo in cui questa vicenda ci viene narrata? E' solo una questione di stupefazione di fronte ad un nuovo suono. Stupefazione che si arresta subito, che non mette capo a nulla. Eppure, quante domande si affastellano nella mente del personaggio che vede, per la prima volta, il sopraggiungere della notte moscovita.
Dobbiamo ridurre tutto questo solo ad un vissuto psicologico, come Schafer fa, o possiamo osservare che, inseriti in un nuovo ambiente, tutti i nostri sensi si tendono, nell'individuazione di quelle varianti, che ci potrebbero utili per familiarizzarci con un luogo, con cui dobbiamo prendere confidenza?
Lo stesso Schafer si rende conto che il binomio figura - sfondo, pensato in termini tanto generici, non riesce a dar ragione del modo in cui si reagisce alla diffusione di un nuovo suono, o alla familiarità con cui reagiamo ai vecchi. Per questo motivo, egli è costretto a ricorrere ad un'altra nozione, quella di competenza sonologica. Ma questo passo, che propone il classico tema dell'adeguatezza, incornicia il discorso di Schafer all'interno di un approccio cognitivista, che urta non poco con tutto l'argomentare precedente.§ 6 Rumori ed ineffabilità.
Nelle discussioni che abbiamo ricostruito, abbiamo spesso fatto cenno ad una distinzione che dobbiamo porre fra due atteggiamenti ben diversificati fra loro, quello che si interroga su cosa ascoltiamo e quello relativo a come ascoltiamo, su come cerchiamo di individuare le relazioni fra i suoni che ci circondano. Schafer è consapevole di questi problemi, ma li evita, invitandoci a porre tutta la nostra attenzione sull'evento acustico. “In un tessuto sonoro a larga banda è presente anche un'altra illusione acustica: l'udire suoni diversi. Quando Bruce Davis ed io lavoravamo alla composizione di Okeanos - opera in cui mescolavamo alla naturale polirumorosità del mare suoni elettronici e voci che leggevano testi di poesie d'argomento marino - ricordo che, dopo aver lavorato per ore su nastri su cui era inciso il rumore delle onde, vi udivamo spesso altri passaggi della composizione che da sommersi emergevano fino al livello della percezione, per venir poi nuovamente ricacciati nell'oblio della cascata dei flutti. ”.[15] Naturalmente, questo vale anche per molti altri suoni, e Schafer osserva che, in fondo, una spiegazione di tali fenomeni, “ ridurrebbe il grande potere di attrazione e il valore simbolico di questi suoni. ”[16]. Allo stratificarsi del suono si affida così un elogio dell'ineffabilità e del rimando al non determinabile. Emerge qui con chiarezza come l'orecchio del compositore sia totalmente rapito da un amore per il suono e per il non determinato, rispetto cui siamo invitati tutti a tacere, per non rovinarne la sacralità. Non manca un richiamo allo stupore, stupore per un polimorfismo che arricchisce il materiale, rispetto al quale, finalmente, opacità è ricchezza, ed il chiaroscuro occasione per nuove esplorazioni, per un imprevedibile ripresentarsi del rapporto figura - sfondo. Il materico è dunque una vena inesauribile, a patto che venga scelto dal compositore. All'ascoltatore tocca in sorte una sorta di inquietante immobilità. Potremmo arrestarci qui, perché si tratta di enunciazioni che trovano il loro fondamento in una dimensione estetica, che non può più essere filtrata attraverso riflessioni epistemologiche. Torniamo così all'immagine di Fludd e alle riflessioni sul modello e sull'adeguatezza. L'ascolto di un intrecciarsi di suoni complessi, come il rumore del mare, ci fa accedere nel regno del polimorfo, che dobbiamo contemplare presi da vertigine: dietro all'illusione acustica (a questo punto, perché chiamarla così?) si nasconde un radicamento in un fenomeno originario, che non riusciamo a comprendere. Viene, tuttavia, spontaneo chiedersi in che modo dovremmo ascoltare i suoni del mare, per ottenere questo magico risultato. Schafer ci propone un esempio tratto dalla psicologia, dove il rumore multiplo del pianto di un bambino mascherato da nove decibel di rumore bianco, sollecita reazioni narrative diverse da un gruppo di ascoltatori, che vi trovano, significativamente, illustrazioni di diverse situazioni. Come questo possa accadere, lo deciderà la psicologia. Eppure, potremmo dire che ognuna di quelle immagini ha una sua legittimità, racconta un vissuto diverso. Ma il rumore le elude tutte, rimane l'oggetto frastagliato, che fugge ad ogni analisi. Dobbiamo avviarci ad una conclusione, fissando alcuni rilievi critici. Partendo dal problema delle diverse reazioni, rispetto ad un suono, osserviamo che qui l'intera argomentazione andrebbe reimpostata, ponendo attenzione alle modalità della correlazione che quell'esempio mette in campo. In quel caso, infatti, il suono sostiene attività mentali diverse, non tanto per una sua qualità ineffabile o per la sua mancanza di articolazione, ma perché quella matericità viene pensata come un filo conduttore per narrazioni variamente orientate, e che l'analisi, in questo caso, si intreccia subito al modo in cui viene filtrata l'evocatività afferente alla materia. Lo stile narrativo riporta in primo piano un andamento discorsivo del pensiero, una grammatica dell'esperienza, che scavalca e piega i caratteri del suono ibridato, intrecciandola in liberi percorsi immaginativi, che trovano un fondamento nelle emergenze complesse che il suono ibridato suscita. Per far questo, dobbiamo mettere da parte archetipi e uscire dal circolo dei rimandi da suono a suono, e chiederci in che modo contesti d'esperienza possano essere trasposti immaginativamente in un racconto libero, che segue il ritmo di un oggetto sonoro che non vuole, ne può, assumere forma. E' evidente che, anche in questo caso, la ricerca di un paradigma alternativo al visivo, si rivela del tutto inutile: situazioni analoghe accadono quando guardiamo delle macchie sui muri, leggendole come fossero paesaggi, nel tentativo di animare narrativamente la materialità. Non è dunque un problema di modello visivo o acustico, ma semplicemente di una forma dialogica fra materia, percezione ed immaginazione, legata al nostro modo di porci rispetto all'evocazione di forme nella matericità: gli aspetti grammaticali inerenti al modo in cui organizziamo la percezione prendono consistenza proprio nella descrizione delle nostre esperienze sensibili, assumendo un andamento ludico, che trova il proprio radicamento nelle forme grammaticali che collegano il momento percettivo al gioco linguistico. Non vogliamo riferirci a semplici orientamenti psicologici, ma proprio a quell'elaborazione di costruzioni linguistiche, che affiorano negli atteggiamenti con cui ci poniamo in relazione al mondo. Proviamo a spiegare queste affermazioni, chiarendo cosa ci allontana dalle analisi sviluppate in The tuning of the world. Il primo passo è chiarire che in quest'opera si mette in atto un deliberato rifiuto del concetto di rumore, a favore di una tensione musicale, che vuol costruire non tanto una tipologia tratta dalla sonorialità che ci circonda, ma un quadro assiologico, in cui il musicista decida cosa valga e cosa non valga nell'ambito dei suoni che arrivano dal mondo. Dovremmo, anzitutto, fare attenzione al linguaggio che l'autore usa, perché esso ha portati concettuali molto chiari: usare delle parole piuttosto che altre indica, in primo luogo, un modo di pensare e quindi di organizzare il campo ideologico in cui verranno disposti gli elementi che costituiscono la nozione di paesaggio sonoro. Le toniche di un paesaggio sono pensate in analogia alla funzione della tonica nel discorso musicale ottocentesco, anche se Schafer sembra avere in mente una funzione di tonica che fungerebbe da universale in tutta la musica: la tonica è la nota che identifica la chiave o la tonalità di una composizione musicale. Esse sono, secondo la definizione del nostro autore, sovrascoltate, espressione poco chiara, ma che forse allude al fatto che ogni elemento nella composizione tonale può acquistare significato architettonico, solo se venga messo in relazione a quella pietra angolare, che ne costruisce il carattere strutturale, delineandone la spazialità. I portati formali entrano poi a definirne il decorso strutturale. E' certamente paradossale cominciare a parlare di un paesaggio sonoro, prendendo come paradigma un elemento storicizzato di un linguaggio musicale, che nella nostra tradizione ha occupato un ruolo centrale per tre secoli, e farlo valere come un criterio generale: si tratta di una forzatura, che richiama una nozione di ordine assai stringente, che forse non ha congruenza con una classificazione della funzione del rumore o del suono in generale, e che neutralizza fin dall'inizio l'architettura ed il modo in cui verranno pensate le relazioni fra intero e parte nella composizione del paesaggio. Allo stesso modo, tutta la riflessione sul suono e sul rumore sembra deliberatamente confondere ciò che rientra nell'ambito ristretto dello spazio musicale, con l'ambito, ben più ampio, dello spazio sonoro. In Schafer l'ascolto del rumore passa attraverso continui riferimenti alla dimensione del musicale e quest'atteggiamento genera le equivocità che mettono continuamente in crisi il suo discorso, nel tentativo di nobilitare il rumore, filtrando tutto ciò che lo distingue dal musicale. Avremo così domini ristretti, e confusi, da mettere in ordine, perdendo quelle differenze specifiche, che ci conducono nell'alveo del suono. Vengono fatte così valere crudeli regole genealogiche, nei confronti del suono musicale, che assume la valenza di una mimesi derivata dall'ambito dei rumori: il basso albertino discenderà da una sublimazione dello scalpitio degli zoccoli dei cavalli che trainano le carrozze, la dinamica bachiana andrà inscritta all'interno del rapporto rumore-potere, e così via, in una democratica, ma poco argomentata, genesi delle forme classiche dal rumore che induce all'impressione di uno sterile stiracchiamento del concetto di suono, che fatto rimbalzare dal piano della materia a quello dell'immanenza della forma in modo disordinato. L'impostazione complessiva, nell'affastellarsi di questi problemi, ci ripropone il problema del vedere e dell'ascoltare come capacità di cogliere regole: ma aspetto teorico e momento valutativo entrano in un rapporto spasmodico. Il mimo coglie le regole di un movimento, ma non di movimenti qualunque, sembra ammonire Schafer. Le regole che emergono dai suoni che circondano la vita moderna, sono poco interessanti. Di esse dovrà far questione l'arte dell'ascolto, nobilitandole, scegliendo suoni e forme di vita secondo criteri che trovano il loro terreno non tanto sull'estetico, ma dell'estetizzante. Ma se cogliere le regole significa pensare, e l'ascoltare va inteso come capacità di riconoscere e di intendere, una restrizione di questo tipo ha ben poco da insegnarci. Se non scelgo quello che ascolto e il mondo non muta al mutare del mio atteggiamento, è proprio all'interno del conferimento di significato che si gioca la partita più complessa. La potremo giocare solo se siamo disposti ad ammettere alcune distinzioni, che Schafer non prende mai in considerazione. La prima è che una cosa è ascoltare dei suoni, un'altra metterne in confronto tra di loro, un'altra ancora pensarne la legittimità attraverso dei modelli. In questo caso si passa continuamente dalla percezione di qualcosa al tentativo di cogliere delle relazioni, che dovrebbero legittimare ciò che stiamo ascoltando. Sono tre opzioni molto diverse tra loro, e che quando si intrecciano, come accade in questo libro, devono essere ricondotte ai propri contesti. Se prendiamo per buona la terza, che è in fondo quella più legata alle istanze del nostro autore, la nozione di suono segnale elaborata è troppo rigida e ovvia, e fa parte di un processo più ampio in cui il passaggio da segnale a simbolo trova il proprio fondamento nel modo in cui ci atteggiamo rispetto al suono. Il richiamo agli archetipi, come giustificazione ultima di quest'attività della coscienza rischia solo di appesantire il discorso, e di volgerlo in un'unica direzione. Come abbiamo già fatto rilevare, Schafer è consapevole della presenza di questi problemi: non esita, ad esempio, a recuperare l'idea di un'originaria attività del recupero onomatopeico del rumore che si sublimerebbe nella fonetica delle parole, ma anche questo rapporto, che, nella sua prospettiva rientrerebbe a pieno titolo in una rivalutazione della componente materica nella genesi delle parole viene visto come un semplice fatto e non viene problematizzato o discusso a fondo. Si postula una dimensione imitativa e si passa ad altro. Il medesimo atteggiamento è riscontrabile in tutte le analisi sulla natura del suono, sul modo di rappresentarlo attraverso le relazioni tra attacco, corpo, transiente e caduta che rischiano così di venire appiattite sul piano semiologico (pensare il suono come segno o forma di comunicazione), mentre su quello estetico vengono sussunte come modello, senza un piano descrittivo intermedio, di tipo fenomenologico. Il rifiuto di una messa a fuoco di questioni così importanti, come del resto accade per l'intreccio che lega il ritmico al tattile ed al timbrico, evidenzia lacune concettuali molto pesanti, che danno la sensazione di una pericolosa friabilità nell'apparato progettuale dell'opera. Lo stesso limitarsi ad estrarre da un ricco repertorio di testi la semplice narrazione dei portati emotivi collegati ai suoni, senza far questione della funzione della componente descrittiva nelle opere citate, pone ulteriori dubbi al lettore: gli stessi estratti dalle opere letterarie avrebbero bisogno di un contesto più ampio, e rientrano comunque all'interno di contesti narrativi che andrebbe, di volta in volta, chiariti: manca, infatti, un criterio unitario, non semplicemente empirico, nell'elencazione di queste fonti, che sembrano crollare sul lettore al puro scopo di farlo entrare in una celebrazione dell'evento acustico, che non vuole, o non sa, chiarire i suoi contorni. L'impressione che se ne trae è che il modo di trattare testi, descrizioni, e, più tardi, diagrammi esplicativi, tenda a mettere in luce un atteggiamento che vive un mistico smarrimento nell'oggetto. Schafer sa bene che non si tratta di esempi qualunque, ma di nodi pregnanti che dovrebbero narrare le evoluzioni di una storia naturale della sensibilità al suono, e che una simile costruzione, sempre che sia possibile, richiede una teoria incisiva e capace di mostrarne specificità ed articolazioni individuabili nel modello. Di tale teoria, il libro non presenta tracce. Schafer ha ottimi motivi, ad esempio, per lamentarsi delle incapacità descrittive delle teorie dei contesti[17]: ma non avendo svolto una riflessione sul modo in cui viene declinata la componente teorica che lega il suono all'ambito della percezione di un suono, continua a trastullarsi con il mondo delle illusioni acustiche [18].Vi è, insomma, il tentativo di costruire una tipologia, ma mai una riflessione sul modo in cui essa venga elaborata sul piano dell'esperienza. Incontriamo tipicità su un terreno in cui storico ed empirico si confondono, rimandando ad un sostrato metafisico della sensibilità, di cui non sappiamo dar ragione, mentre le stesse trame motivazionali, che creano l'humus per l'inserimento del suono nel racconto, mostrano, al contrario, quanto sia importante il continuo intrecciarsi di pensiero e percezione nell'esperienza che facciamo del suono. In ultima analisi, l'ascoltatore evocato da Schafer, con le sue passività e le sue tendenze astrattive poggiate sulle abitudinalità, ricorda molto da vicino certe finzioni care alla grande tradizione dell'empirismo filosofico, ma è del tutto privo della sottigliezza analitica che contraddistingue quelle ricostruzioni. Veniamo ora alla riproposizione del tema naturalistico, che fa capolino nell'evocazione del mare in Okeanos. Abbiamo già cercato di indebolire l'idea di un manifestarsi del suono o della illusione acustica, richiamando in primo piano l'atteggiamento di chi cerca una trama narrativa nella materialità, e abbiamo cercato di porre in luce come vi siano dei precisi atteggiamenti, che nascono spontaneamente di fronte alle possibilità narrative che offre il materiale stesso. Il motivo dello statuto problematico che l'ambito del prospettico e del visivo suscita nell'opera di Schafer risiede, forse, proprio qui. Certamente, ascoltare dei suoni o guardare delle macchie, individuandovi l'emergere di alcune trame narrative, propone schemi differenti rispetto al modello prospettico, e, seguendo tale orientamento, si fa comprensibile la decisa rivendicazione delle possibilità narrative del materico, che sono comunque sempre limitate dalla loro effettiva significatività, rispetto alle trasposizioni immaginative di chi legge quelle macchie o ascolta quei suoni, come se fossero una storia, trasponendo la trama materiale in un adombrarsi progressivo di labili strutture di senso, che conducono ad una configurazione stabilizzata. In tutta questo vicenda, al contrario, emergono elementi che dovrebbero segnalare l'uscita dell'ascoltatore dallo stato di passività, portandolo in direzione di un intendere che gioca con la materiale del suono, e la intreccia ad un'attività immaginativa che ne esplora le possibilità linguistiche. Certamente, non siamo in grado agire sul suono che stiamo ascoltando, esattamente come non siamo in grado di scegliere ciò che cade sotto ai nostri occhi, si tratta di un mondo che è già dato, ha un suo tessuto di regole, del tutto indipendente dalla nostra volontà. Gli aspetti etici connessi al tema dell'ambiente non vanno trascurati, ma posti su di un piano diverso, che preceda o segua, un'analisi rigorosa del problema. Nessun regolo teorico può sottrarci all'esperienza del contatto con ciò che ci circonda. Ma esiste la possibilità di entrare in contatto con il mondo della percezione secondo un atteggiamento che viene orientato dalle possibilità linguistiche che emergono dalla materialità, Si tratta solo di accettare la funzione del movimento dell'immaginazione, coprendo l'abisso che in Schafer separa il mondo percettivo dall'attività simbolica. Potremmo cominciare con l'osservare che l'appoggiarsi al rapporto figura-sfondo, in quanto tale, non ci aiuta molto nella comprensione delle relazioni che intercorrono fra suono e interpretazione delle relazioni di somiglianza fra suoni. In un ascolto attivo, preso dalle dinamiche che muovono la percezione impegnata a stabilire relazioni di somiglianza, l'approccio legato a quella distinzione, fondamentale nel costituirsi dell'ambito della nostra esperienza, non viene in primo piano, mentre emerge l'attività di un soggetto, che muta il proprio atteggiamento da una sostanziale passività, ad una serie di azioni, che attivano lo stato percettivo verso la trasposizione immaginativa. Per questo motivo, proveremo a riprendere in mano il problema della trasposizione immaginativa del dato naturale, lasciandoci alle spalle il nostro libro, ma non la preziosa categoria di paesaggio sonoro, che tenteremo, nuovamente, di interpretare, legandola ai concetti di corpo, luogo e regola.Prendiamo le mosse da un esempio tratto dall'ambito delle arti plastiche. In un articolo [23] recentemente pubblicato Fiorella Minervino ci parla di uno dei procedimenti ideativi dello scultore Henry Moore. Esso consisteva nel far salire una formica su di un foglio di carta e nell'inseguirne con precisione il percorso con una matita, fino all'emergere di una forma. Quella forma veniva isolata, riportata su un foglio di carta, diventando il modello di una scultura.
Si tratta di una buona esemplificazione di un atteggiamento teso a cogliere le regolarità nelle figurazioni offerte dalla natura, e delle sue possibili trasposizioni all'interno di una pratica artistica. In questo caso, la partita si gioca sull'interpretazione che viene data del tracciato di partenza (nessuno, credo, potrebbe sostenere che l'autore del disegno preparatorio per la scultura sia l'insetto).
Dovremmo iniziare a porci il problema di come lo scultore guarda a quel susseguirsi di tracce, di impronte discrete da cui viene selezionata una forma, ossia la continuità della linea o l'emergere della figura. Cosa si stia cercando, nel guardare l'intrecciarsi di linee e curve lasciato da un insetto?
In realtà, viene individuata una forma, solo perché c'è una pratica o una progettualità che si costruisce attraverso quella ricerca. In quel brulicare di segni, alcune cose vengono isolate, portate in primo piano, riorganizzando il piano percettivo e mettendo in evidenza un intreccio di motivi da cui isolare una forma. All'artista dovremmo chiedere se davvero stia cercando una cosa o se si stia muovendo in un percorso in cui il polimorfismo naturale divenga occasione per lo stabilizzarsi di una forma o di una figura: in realtà, il modo in cui si guarda alla natura è già orientato, segue intenzioni specifiche, ed in questo atteggiarsi, il rapporto figura sfondo si rivelerebbe un'interpretante povero, perché la complessità delle operazioni mette capo ad una vera e propria attività intenzionale di ricerca, in cui viene elaborata una strategia interpretativa che deve confrontarsi con un dato, e che lo elabora attivamente, dopo averlo isolato. Figura e sfondo sono il risultato di una ricerca di elementi pregnanti nell'elaborazione metamorfica di una forma. Lo scultore interpreta il percorso come qualcosa di unitario che rivela un ordine individuabile secondo uno stile interno alla sua pratica artistica. L'idea di forma risulta dunque rafforzata, attraverso un richiamo all'idealizzazione del dato naturale. Ne consegue un passaggio fondamentale, che conduce dalla discretezza della traccia alla continuità della curva, e l'arricchimento espressivo legato all'ampliarsi della dimensione, al rafforzarsi dell'elemento plastico nella forma. Nel passaggio da puntiforme a curvilineo, nella urgenza drammatica dell'ampliarsi delle dimensioni, che implica uno stagliarsi della componente plastica del movimento, prende spessore un'interpretazione del dato naturale, che gioca con la materialità di partenza, e che se ne allontana, consapevolmente. Il passaggio dalla traccia alla pienezza della curva, ovvero l'emergere della plasticità,è un gioco fra l'espressivo ed il concettuale, che marca una vettorialità nello spazio, che fa parte della costruzione linguistica della forma della scultura, che trasforma un limite in un decorso narrativo. In questa prospettiva, affacciamoci su un esempio musicale, offertoci da un brano del compositore francese François-Bernard Mâche [24]. In Ianassa, (1980), tratto da Quatre Phonographies de l'eau, egli ci vuol far intendere nella registrazione delle gocce di pioggia i ritmi di una sorta di danza. Si tratta, sostanzialmente, di una fotografia sonora, che ci fa riconoscere in un fenomeno naturale una danza. Cosa accade mentre ascoltiamo questo brano, di grande suggestione? Dando indicazioni di questo tenore, un compositore ci sta orientando, ci sta suggerendo delle regole, ci invita ad un gioco interpretativo, che ha di mira le regolarità ritmiche che emergono dallo sgocciolare. L'ascolto non è esperienza del tutto passiva, siamo invitati ad ascoltare andando alla ricerca di qualcosa, più esattamente di una serie di relazioni ritmiche scandibili, che permettano l'enucleazione di una forma da quel fenomeno naturale. Il ready-made proposto da Mâche ha, infatti, regole molto strutturate, è un gioco che trae la propria ricchezza da vincoli, che sono presenti nel modo in cui si presenta lo sgocciolare: siamo così portati ad affermare che anche a noi sembra una danza. Ma questo accade perché riconosciamo un intreccio fra regolarità del ritmo e variazione, che ci fa emergere l'andamento ondivago d'una danza. Nel focalizzarsi dell'attenzione che sul fenomeno ritmico, in cui regolarità e variazione debbono presentarsi per adombramenti successivi (se non ci fosse questa dialettica presente nel materiale, non individueremmo proprio nulla), vediamo passare dal primo piano allo sfondo una sequenza ritmica, che ha una struttura descrivibile :se non accadesse, non potremmo mettere in luce la levità musicale delle variazioni che determinano l'incresparsi della poliritmia.
La Skyline in apertura d'articolo deriva dal montaggio di elementi tratti dal disegno di Moore.
[1] Questo saggio è stato pubblicato nel 2002 all’interno di una raccolta di saggi, Incontri, a cura di Paolo Scarnecchia, Ismez – Onlus Editore, Roma, 2002 che verteva attorno al concetto di pasaggio sonoro. Nel ringraziare Ismez, per avermi concesso la possibilità di ripubblicare il testo, vorrei ricordare che Incontri documentava, attraverso i contributi di Concetto Campo, François – Bernard Mâche, Gianni Pavan e Paolo Scarnecchia, il dibattito teorico che aveva sostenuto la prima edizione del Festival Vis Musicae, dedicato altema dell’ascolto, a cui contribuirono anche le reazioni di Lombardi – Satriani e Bonanzinga. Per informazioni su quella preziosa iniziativa, che da allora cerca di coniugare il dibattito teorico alla programmazione musicale di un intero festival, è possibile consultare il sito dedicato ad essa dedicato: http://www.vismusicae.it/.
[2] Stupisce il commento che il telegiornale del primo programma, in data 30 luglio 2002, ha offerto sui dati raccolti dall’Ente INAIL rispetto all’incremento delle malattie professionali connesse all’udito. Nel filmato si chiosava che tali guasti erano fortunatamente legati all'aumento dell'occupazione, e quindi che l'incremento di malattie professionali non andava visto come preoccupante, perché inquadrabile in un generale momento di crescita economica (?). Un bizzarro modo di argomentare, che suscita il sospetto che l'ineffabile estensore del testo ammetta che l'ingresso di persone a contratto, più o meno indeterminato, nel mondo del lavoro, debba essere necessariamente connesso all'incremento di malattie professionali. A tale mentalità corrisponde un singolare concetto di qualità della vita, cui non riusciamo ancora a rassegnarci.
[3] R. Murray Schafer, The tuning of the world, McLelland and Stewart Limited, Toronto, 1977. Traduzione italiana di Nemesio Ala, Il paesaggio sonoro, Ricordi - Lim, Lucca, 1985 p. 285. Citeremo sempre dalla traduzione di Ala.
[4] Di fronte al dolore per la perdita di spazi e di momenti ritualizzati, che Schafer lamenta in modo tanto accorato, viene spontaneo osservare che gli uomini camminano tuttora sulle isole pedonali, spesso rammemorando momenti del loro passato, sollecitati da suoni, rumori, odori e quant'altro, e che tutto questo accade anche in spazi privi di quelle forme di ritualità.
[5] A margine, potremmo osservare che si tratta di un prezzo che paghiamo volentieri, quando si pensi che dischi e radio ci hanno permesso di avvicinarci a culture lontane, di godere del piacere della musica anche tra le mura domestiche. Ciò che emerge dalle pieghe da questo discorso è una incomprensione della funzione del supporto sonoro, che non è certo condannato, per la sua riproducibilità, ad aver solo una funzione negativa. Si pensi anzitutto al significato della funzione della registrazione sul campo, che va oltre le semplici considerazioni sulla sua rappresentatività spaziale di un ambiente, o al fatto che attorno al supporto sonoro organizziamo pratiche di ascolto collettivo, studio , analisi, in una declinazione sociale ed individuale dello strumento stesso. Riflessioni orientate in questa direzione, assai feconda, potrebbero essere rintracciate anche nella prospettiva benjaminiana.
[6] La scansione dell'immagine è stata tratta da un sito internet, oggi chiuso. Non è stato pertanto reperirne il permesso di pubblicazione.
[7] Ivi, p.212.
[8] Ivi, pp. 215 - 216.
[9] Ivi, p.218.
[10] Ivi, p.221
[11] Ivi, pp .221 - 224.
[12] Ivi, p. 223.
[13] Ivi.
[14] Ivi.
[15] Ivi.
[16] Ivi, p.224.
[17] Ivi, p. 205.
[18] Ivi, p. 207.
[19] A. Schaeffner, Origine des instruments de musique. Introduction ethnologique à l'histoire de la musique instrumentale , Paris, Payot, 1936, rééd. par Mouton & Co et Maison des Sciences de l'Homme, 1959. trad. it a cura di di Diego Carpitella,.Origine degli strumenti musicali, Sellerio, Palermo, 1985, p. 45.
[20] J. Dybowsky, La route du Tchad. Du Loango au Chari, Paris, Firmin – Didot, sd. P.363. I testi di Dybowski sono reperibili sul sito Gallica, http://gallica.bnf.fr/VoyagesEnAfrique/
[21] Cfr. il testo d’accompagnamento del CD Unesco Central African Repubblic, Aka Pigmy Music, musics and Musicians of the World, 1971, ora reperibile in CD.
[22] La notte dei lampi. Quattro saggi sulla filosofia dell’immaginazione è Editore Guerini e Associati, Milano, 1988. Oggi reperibile in edizione digitale nell'archivio di scritti di Giovanni Piana presso il sito Spazio Filosofico: http://www.lettere.unimi.it/~sf/index.html
[23] Fiorella Minervino, Moore, la vita in forma, La Stampa, 7 agosto 2002.
[24] Per approfondire i temi teorici presenti nell'opera di François-Bernard Mâche, inviamo alla lettura del suo ultimo libro, Musique au singulier, Éditions Odile Jacob, Paris, 2001. Dello stesso autore, vedi anche Musique, mythe, nature Librairie des Méridiens Klincksieck et Cie, Paris,1991 ( Musica, mito, natura. I delfini di Arione, traduzione italiana di Daniele Ballarini, Bologna, Cappelli, 1992).
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