Indiscutibile punto di partenza per affrontare e penetrare la variegatissima
Odissea del Lied schubertiano è lop. 4 n. 1, Der Wanderer
(Il viandante) su testo di Schmidt von Lübeck. Il percorso dellattività
compositiva del maggiore di tutti i liederisti, che si stende dal 1814 al
1828 e comprende circa 620 lavori, ha in quel canto, scritto nellottobre
del 1816 e pubblicato nel 1821, il suo simbolo, oltre che inizio e iniziazione
spirituale. Molto in proposito è stato scritto e per questo rimandiamo
il lettore ai pregevoli lavori di Bortolotto, Lo Presti e Mennuti
[1]
. Il tema del viandante: «Ich komme von Gebirge her; / es dampft das
Tal, es braust das Meer. / Ich wandle still, bin wenig froh, / und immer fragt
der Seufzer: wo?» (Io vengo dalla montagna, è nebbiosa la valle,
è in burrasca il mare. Vagolo silenzioso, son poco lieto, e sempre
chiede il mio sospiro: dove?) tornerà, ora come disegno musicale, ora
come motivo poetico delle liriche prescelte, ora come programma o «stigma»,
nel corso di tutta lopera schubertiana. Il vagare senza meta, o verso
una meta che si sa irraggiungibile, la ciclicità indotta da partenza
e ritorno, desiderio di fuga, esperienza di viaggio formativo accompagnata
da nostalgia della casa avita, stanno a indicare il percorso dolente della
vita il cui termine è la morte. Tutto ciò è simboleggiato
anche nello svolgersi degli eventi naturali, in particolare è evidente
nel motivo del ruscello, e troppo nota è lattenzione che Schubert
porta alla Natura, in tutte le sue manifestazioni, ivi compresa ovviamente
quella umana, perché ci si debba diffondere oltre su tale tema. Basti
notare che la Natura è contrassegno costante nellopera del Maestro.
Ma altrettanto sorprendente è il fatto che, dei quattro elementi empedoclei,
quello che ricorre con incredibile (e commovente) frequenza è lacqua.
Lacqua nei suoi tre stati di aggregazione, nel suo modo dapparire
ai nostri sensi, nei suoi multiformi aspetti e nei suoi variegati riferimenti
allanimo umano. Anzitutto il ruscello, ma anche la fonte, le sorgenti,
il fiume, la cascata, labisso spumeggiante, il lago, il mare, il gorgo,
eppoi la pioggia, la brina, la neve, la tormenta, il ghiaccio, le nubi, le
lacrime. Cercare il motivo di tale predilezione sarebbe impervio, fatica certo
non inutile, che rimanda però alla felice similitudine agostiniana
del fanciullo che ambisce vuotare il mare con un cucchiaio. Inoltre esporrebbe
allobiezione che i testi di un centinaio e oltre di
Lieder in
cui ricorre il tema dellacqua sono opera di poeti austro-tedeschi, precedenti
o contemporanei, comunque estranei al compositore.
Nella lirica tedesca, sia del periodo cosiddetto classico sia del romantico, di fatto troviamo assai
spesso il richiamo al liquido elemento. E Schopenhauer, nel terzo libro del
Mondo Come Volontà e Rappresentazione, nota giustamente: a ben comprendere
le idee esprimentisi nellacqua, non basta veder lacqua dun
placido stagno o corrente dun corso regolare ed eguale: quelle idee
si rivelano appieno sol quando lacqua si mostra alle prese con tutte
le situazioni e gli ostacoli che, operando su di lei, la spingono alla manifestazione
piena di tutte le sue proprietà. Perciò la troviamo bella quando
precipita, rumoreggia, spumeggia, si lancia in alto o ricadendo si polverizza,
o alfine, ad arte costretta, come raggio sprizza verso il cielo. E così
in circostanze diverse variamente mostrandosi, sempre afferma costante il
carattere proprio ... La vita delluomo quale apparisce il più
sovente nella realtà, somiglia allacqua come noi di solito la
vediamo, in fiume e stagno ... così larte poetica oggettiva lidea
dellumanità, della quale è caratteristico il presentarsi
in caratteri fortissimamente individuali. Quindi il motivo dellacqua
preesiste nelle liriche dei poeti musicati da Schubert e, se vogliamo, con
frequenza notevole. Già, ma intanto quelle liriche Schubert le ha scelte,
fatte proprie, sceverate, assunte come motivo e stimolo per la sua inesauribile
vena musicale, a differenza di Schumann, Mendelssohn e Brahms in cui raramente
lacqua compare, sia pure fuggevolmente.
Larte nella sua autonomia ideale ha il privilegio, che alla scienza e alla filosofia è negato,
di poter scegliere liberamente il proprio oggetto. E la scelta di Schubert,
sicuramente motivata, deve avere un significato anche per noi. Cercarlo con
lausilio della psicoanalisi (tentazione insana!) è operazione
che si prospetta infruttuosa, ancorché lecita
- on a détruit
la Bastille pour ça -. Ora, uninterpretazione che poggi sulla
psicologia degli stati profondi e che savvalga, come reperto «autoptico»,
dellopera a noi pervenuta, ma non nasca da un rapporto interpersonale,
non sia cioè condotta dalla persona viva, è procedimento che
trascende il campo sperimentale, e pertanto è fallace, o quanto meno
espone al rischio del fraintendimento, vale a dire dellerrore. Schubert,
hélas! nest plus avec nous. A parte il fatto che la sua
morte precede di quasi settantanni la pubblicazione della Traumdeutung,
probabilmente egli stesso non avrebbe saputo spiegare, con il suo adorabile
candore, il motivo di una scelta che a noi appare tanto significativa. Lacqua
nei suoi infiniti aspetti, ora elemento reale, talvolta addirittura
protagonistés,
ora metafora, ovvero simbolo, immagine sonora, troppo spesso ricorre, al punto
di farci pensare che il musicista la considerasse essenza stessa della vita
umana, delluomo, del suo sangue.
Diciamo quindi, con motivata convinzione, che lacqua è veramente per Schubert un luogo della mente, per
di più prediletto. Lattenzione che il nostro musicista e i suoi
poeti, quasi sempre romantici, portano alla Natura ha connotati quasi mistici,
religiosi. Essa è rappresentata, amata, compresa, esaltata in tutta
la sua infinita ricchezza. Testimoni sono i testi delle liriche e i pentagrammi
che ne derivarono. Non certo le allegre scampagnate, con i concerti
en
plein air, le amene riunioni conviviali rallegrate dal vino, raffigurate
per i patiti delle biografie dai quadretti di Kupelwieser e di Moritz von
Schwind. Schubert però non descrive la Natura, si fonde in essa, la
interpreta, cioè la ricrea. Il «tacito infinito andar del tempo»
in lui si fa rappresentazione sonora dello scorrere del ruscello, del fiume,
della cascata. Il mare tranquillo, il nordico «mare pigrum ac prope
immotum», chegli non conobbe in vita (e a noi poco importa),
il mare che aveva acceso la fantasia di Tacito, nasconde nel suo seno il liquido
movimento delle correnti che il compositore rende con stupefacente instabilità
armonica, modulazioni continue, inattese, degli accordi arpeggiati, sì
che avvertiamo, con angoscia, i pericoli agghiaccianti nascosti sotto limperturbabile
calma della superficie. Il musicista investe la Natura con la propria soggettività,
in essa infonde il proprio io, con il corredo dei suoi sentimenti, con tutti
i moti dellanimo, con la sua squisita sensibilità. Cioè
la Natura è occasione, a volte pretesto, per effondere liricamente
sensazioni, ansie, angosce, inebrianti passioni, cocenti delusioni, dolori,
pacificati comunque nella serenità della creazione artistica. Schubert
ha il dono di cogliere lanima delle cose. Il testo poetico non è
pretesto per comporre. Troppo convincente è ladesione della musica
alla realtà della lirica prescelta. Schubert non forza il testo, se
non minimamente e di rado, ma aggiunge, e il risultato è maggior ricchezza,
ottenuta peraltro senza deformare. Egli si prefigge di commuovere le cose,
gli elementi naturali, per averne finalmente lanima e questo itinerario
emozionante, più che sceglierlo, gli è dato, concesso, conferito
dalla Musa: è la vocazione dellartista creatore. In lui la mobilissima
vitalità dellessere coincide con leffusione del sentire
e si attua nella sfera del sublime, di «ciò chè grande
al disopra dogni comparazione», se la felice definizione kantiana
ci è concessa dal pubblico odierno invero piuttosto scanzonato. Legato
al tema del ruscello, dello scorrere dellacqua, è quello del
fluire del tempo, inteso come vertiginosa parabola i cui estremi son nascita
e morte, arcata della vita, contraddistinta da perpetua alternanza di gioia
e dolore, sorrisi e lacrime, e pertanto sorgente inesauribile di fecondità
spirituale, il cui pungolo recondito è rappresentato dal binomio di
malattia e morte. Per quanto deplorevole sia il processo, e lacrimevole la
vicenda, innegabile la conseguenza: la sensibilità acuita dal presentimento
della fine imminente ha come riscontro la prodigiosa fecondità dellultimo
anno (la morte colse Schubert a trentun anni). Viene spontanea la domanda
ingenua: che avrebbe scritto se solo dodici mesi in più gli avesse
concesso Atropo? Le opere del 1828, e solo di capolavori si tratta, fanno
presagire miracolose creazioni di sconvolgente modernità come seguito
ovvio, anzi obbligato. Ora, se gli attimi, i frequentissimi e felici attimi
compositivi, quasi sempre confinati al mattino, che gli furono regalati in
vita, hanno lasciato nel Lied, nonché nelle opere strumentali,
un segno indelebile, che esclude obiezioni critiche, che non tollera incomprensioni
musicologiche, ma che si dimostra ambito sicuro per i posteri, confine invalicabile,
faro direzionale, elisio illuminante, vien fatto di chiederci: che avrebbe
concesso a lui, e a noi, un solo mese in più? Lanimo dellartista
è solito vivere nellintimità, nella profondità
insondabile del sentimento. «La musica è larte dellanimo
che immediatamente si volge allanimo stesso.» La scultorea definizione
hegeliana, che cronologicamente avrebbe potuto adattarsi al nostro compositore,
di cui però il filosofo non ebbe notizia, esteticamente sembra coniata
per Schubert e forse per lui solo. «Lusingare gli attimi della vita,
carezzarli di infinita musica e magia, per indurli a dire la loro verità.
Come in un interrogatorio di gelosia.» Così Giacomo Debenedetti
a proposito di Swann, nella Recherche proustiana. Ma a noi viene in
mente il Lied sconvolgente
Die Liebe hat gelogen. «Lanima
individuale deve venire a concordare con lanima del mondo» aveva
scritto Novalis. Rovesciate questa esortazione dettata dallidealismo
magico e avrete i Lieder di Schubert, o meglio la loro motivazione
recondita. Per eseguirli, bisogna anzitutto essere musicisti, e non artisti
consumati, occorre molto candore, anzi innocenza, e soprattutto semplicità,
la stessa che di queste pagine è connotato visibile; ma non tragga
in inganno lapparenza! anche nelle opere del 1814, quando il Maestro
aveva appena diciassette anni, sotto la superficie levigata sono nascoste
complessità sorprendenti, sapienza e maturità sbalorditive,
«pascoliane» sottigliezze. Epperò la risultante è
una sola: Schubert compone per gli uomini, non per i musicologi o gli specialisti
e anche in questo sta la sua grandezza, nel Lied
certamente inarrivata,
se non invalicabile.
Abbiamo parlato di candore. È opportuno per il nostro Maestro spiegare che si intende con questo. Schubert non era affatto
ingenuo, le sue doti di penetrazione psicologica erano sorprendenti e tali
appaiono a noi ancor oggi. La profondità nellindagare e rendere
musicalmente i sentimenti umani appare chiaramente nelle opere, in particolare
nel Lied, basti pensare al celeberrimo Die junge Nonne. Ma nella vita
non aveva secondi fini, cioè fini pratici e risultava quindi particolarmente
indifeso. Anche per questo lo amiamo. Suo precipuo interesse era quello di
cogliere i momenti significativi della vita, quel che nellumanità
vè di durevole, di eterno, di universale, non leffimero,
il fugace. Ciò che nella natura ben presto sparisce larte rende
duraturo, uno sguardo, un fuggevole splendore, tratti spirituali della vita
e delluomo, transeunti, che ci sono e subito vengono dimenticati: tutto
questo larte sottrae allesistenza momentanea, superando anche
per questo riguardo la natura. Ciò che Hegel dice a proposito del rapporto
dellideale con la natura vale anche per il Lied
schubertiano.
E dobbiamo aggiungere che il genio prorompente ed eccezionalmente prolifico
del nostro Schwammerl, il piccolo fungo, come lo chiamavano affettuosamente
gli amici, chegli ebbe moltissimi e fedeli, dominava con facilità
le liriche che giornalmente veniva musicando, con squisita sensibilità
le afferrava e se ne appropriava, percependone significanze recondite e valutandone
pregi e manchevolezze. Schubert è solo apparentemente vincolato dal
testo. Il contenuto perviene a rappresentazione musicale non nella sua immediatezza
legata alla parola scritta, ma vien colto dallo Spirito e nelle sue forme
ampliato e, poeticamente, diversamente orientato. La musica perciò
non è simbolo del testo e men che meno accompagnamento - il simbolo
di per sé è sempre ambiguo - bensì anima ideale della
poesia. Comunica a noi lidea percepita quale pura contemplazione, con
il corredo dello smarrimento nellintuizione creatrice. Produrre in arte
significa «trar fuori lidea», «perché il bello
si determina come parvenza sensibile dellidea». Quando il Wanderer,
il viandante - e pensiamo soprattutto alla Winterreise - afflitto dalla
perdita dellamata, immerso in cupa nostalgia, morso dal gelo, attanagliato
dallangoscia, nel suo «fatale andare», con il desiderio della
casa natia, di tutto ciò che è heimlich, calma, intimità,
serenità del domestico lare, vien sopraffatto dal ritorno delle memorie
di scene passate e lontane, che gli balenano innanzi come paradiso perduto,
ecco che la magia dei ricordi, questi «miraggi dileguati», si fa
eco rasserenante, dolcezza introspettiva, pacificazione, serenità creativa.
E lo squarcio del modo maggiore, dopo lagghiacciante minore, un sorriso
tra le lacrime, ci avvince e conquide, non solo, ma con la sua profonda umanità
ci convince che veramente la musica «è rivelazione più
profonda di ogni saggezza e filosofia» comebbe a scrivere il vicino
di casa, e di tomba, del nostro amato Maestro. Ma quando parla la musica è
meglio che il critico taccia.
Cominciamo a enucleare quanto nei
Lieder di Schubert improntati allacqua, a distanza di quasi due secoli,
siamo riusciti a vedere. Ne esamineremo solo alcuni, fra i più significativi,
ché unanalisi esaustiva prenderebbe un tomo assai voluminoso.
Cominciamo da Meeres Stille, su testo di Goethe, op. 3 n. 2, musicato
nel maggio-giugno del 1815, quando Schubert era solo diciottenne ma aveva
già al suo attivo i capolavori del 1814, Erlkönig e
Gretchen
am Spinnrade. Basta guardarla questa pagina, unica, per capirne il peso
simbolico. Non crediamo esista altro Lied
e forse neppure alcun pezzo
strumentale altrettanto scarno dal punto di vista dellarticolazione,
del gesto pianistico: 32 battute, 32 accordi isocroni arpeggiati del pianoforte
e non vi è nulla di specificamente pianistico; a prima vista si potrebbero
dire archi di unorchestra, o, viceversa, larpa dun cantore.
Altra cosa simbolica, una sola indicazione dinamica, il pianissimo iniziale,
unindicazione agogica assai significativa, Sehr langsam, ängstlich
(molto adagio, angoscioso); non cè un crescendo né un
diminuendo, non un segno espressivo, insomma un unico gesto: laccordo
pianistico; ununica durata: la semibreve, un unico colore timbrico:
cioè la regione grave. E questa livida isocronia sta come linea di
confine tra calma e angoscia, assolutamente, mortalmente regolare. Teniamo
presente che, al metronomo indicato (che non sappiamo di chi sia ma immaginiamo
plausibile), , ogni accordo
vien ad avere la durata di tre secondi e mezzo, quindi la scansione risulta
tremendamente lenta. Il testo daltronde parla di bonaccia, ma la bonaccia
per il marinaio significa pericolo mortale, ché da essa non si esce
e spesso prelude al tifone. Notiamo che Schubert abolisce di proposito la
seconda strofa della poesia goethiana ove latmosfera si fa serena. Abbiam
detto un unico colore timbrico: la regione grave. Il registro usato dal pianoforte
è di tre ottave e una terza, circa la metà grave della tastiera.
Se si prende in esame il «bordo» acuto del seguito
di accordi, ovvero la loro parte melodica, balza allocchio unopprimente
fissità: in 25 accordi su 32, troviamo infatti come nota superiore
il re, o il mi bemolle, o il mi bequadro, note cioè che si muovono
nel ristrettissimo ambito di una seconda; ne derivano totale assenza di
vero senso melodico e totale «pedalizzazione» superiore che vanno
ad aggiungersi alle altre ossessive componenti di immobilità. A tale
staticità strumentale non può non corrispondere unaltrettale
fissità nel canto. Lambito totale sarebbe di una nona, per
la precisione dal la sotto il do centrale al si bemolle sito una nona minore
sopra [2] . Ora, il testo goethiano consta
di sessanta sillabe e il canto è pressoché sillabico, cioè
ha praticamente una nota per ogni sillaba. Di queste 60 sillabe, 12 sono
intonate sul re, la stessa nota che compariva 13 volte su 32 come nota superiore
del pianoforte, 14 sono intonate sul sol del secondo rigo in chiave di violino,
10 sul fa, e solo 8 sono sulla tonica, cioè il si bemolle; insomma
44 note su sessanta sono confinate su sole quattro altezze e questa è
fissità che fa rabbrividire. Dobbiamo comunque accennare allambiguità
insita in tutto ciò: abbiamo un mare calmo, ma la bonaccia è
presagio di morte, quindi genera angoscia e non calma. E infatti la nota
prevalente non è la stabile tonica, il si bemolle, ma il sesto grado,
che è tra laltro il detentore del relativo minore. Il
Lied
è in tono maggiore, ma il colore prevalente è in realtà
quello di sol minore; e inoltre, delle 8 comparse melodiche della tonica,
base stabile della scala, soltanto due sono armonizzate con un accordo definitivamente
stabile, cioè di tonica (nellaccordo finale e sul levare, punto
debole quindi, della battuta 4, alla parola Wasser). Ecco il sintomo
musicale del vero cuore espressivo del Lied: la staticità
non è calma, ma quiete mortale, genera angoscia, così come
lisocronia non è calma ma ossessione. Notiamo infine, ancora
sul piano armonico, che le cadenze perfette, le risoluzioni in si bemolle,
sono pochissime, e che la tonalità viene continuamente «depistata»
sul terzo e sesto grado (re minore e sol minore), cioè le toniche
deboli, i due minori interni al tono di si bemolle maggiore. Non solo, unindagine
sulle note melodiche che non siano: re, fa, sol, si bemolle, ci porta inoltre
a osservare che prevalgono quelle cromaticamente non appartenenti alla scala
di si bemolle: ci sono infatti quattro do diesis e nessun do bequadro, tre
mi bequadri e soltanto due mi bemolli che farebbero invece parte della scala.
Laccento è quindi posto su ciò che in realtà
risulta inquieto in quanto estraneo alla scala di si bemolle. La struttura
formale complessiva consta di quattro periodi, come quattro periodi dun
corale, corale di sacralità laica, corale di morte; i periodi sono
esattamente di otto battute ciascuno e questa simmetria assume un tono spettrale.
Diciamo corale, non solo per la struttura globalmente accordale, ma anche
perché, come nei corali di Bach, cè una sosta alla fine
di ogni periodo, anche se è realizzata ritmicamente in modo costantemente
diverso e con un allungamento progressivo, come ci si volesse fermare sempre
più: la prima volta, sulla parola Meer, abbiamo una minima
puntata seguita dalla pausa, la seconda volta, sulla parola
her,
una semibreve, la terza e la quarta volta ci sono due corone, vale a dire
due fermate senza tempo. Tolte queste quattro battute dappoggio, tutte
le altre sono costituite da due sole cellule ritmiche: minima puntata e
semiminima , oppure
due minime . E i
due ritmi sono immancabilmente in sequenza alternata,
,
il che genera vistosamente un ritmo di marcia inesorabile, di marcia funebre.
Dobbiamo notare che i quattro periodi sono uno diverso dallaltro,
e che manca quindi un vero concetto di ripresa. Vi è solo un piccolo
e affascinante sintomo di ritorno, perché lultimo periodo comincia
con lo stesso re puntato
dellinizio del Lied e il ritorno è ben percepibile.
Vi è tuttavia una correzione di tiro: il re qui è adagiato
sul suo accordo, quello del terzo grado, re minore, mentre allinizio
del Lied compariva sullaccordo di tonica. Un ulteriore sintomo
di angoscia, tutto è uguale, ma nulla ritorna mai davvero uguale.
Prima di addentrarci in unindagine sullarmonia di questo
Lied,
occorre sottolineare il fatto che ogni accordo dura tre secondi e mezzo,
dura cioè talmente da assumere una sorta di autonomia fonica. La
distanza fra un accordo e laltro è tale che si finisce per
ascoltare il singolo accordo ben più che la sua concatenazione col
successivo. Un esempio chiarirà il nostro pensiero. Il primo periodo
finisce, con la parola Meer, sullaccordo di re maggiore, il
cui nesso funzionale con il tono di si bemolle è lessere dominante
del relativo minore (sol minore); ma, data la durata enorme di tre secondi
e mezzo per ogni accordo arpeggiato, noi finiamo per percepirlo come tonica
di re maggiore, tonalità assai lontana. Ma lesempio più
forte delle conseguenze espressive dellautonomia fonica del singolo
accordo è ciò che avviene nel terzo periodo ove si susseguono
sette accordi con funzione di tensione, cioè tutte dominanti di toni
differenti che vengono a generare più di venti secondi di instabilità
e di non risoluzione, un ponte su di un fiume che si allunga e sallontana
sempre, facendoci dubitare che arrivi mai alla fine su laltra riva.
Questa liquidità oscura e regolare è, come
si vede, di fatto enormemente inquieta al suo interno. Allinizio,
nellarco di cinque battute, quattro sono con laccordo di tonica
in stato fondamentale e alla terza abbiamo una dominante nel primo rivolto;
la sensazione è quella di un inizio haydniano, confortevolmente stabilito
e confermato, ma da qui in avanti non troveremo più risoluzioni in
tonica fino allultima battuta! La banale semplicità iniziale,
paradigma di legittimità accordale, rende così ancora più
vistoso labbandono successivo, una sorta dironia amara dopo
lattacco rassicurante. Per riassumere succintamente la dinamica armonica
dei quattro periodi: il primo ha una impostazione iniziale di ostentata
banalità, ma presenta una violenta svolta al lontano re maggiore
nella seconda parte; il secondo periodo si aggira tranquillamente sui toni
vicini a si bemolle (sol minore, mi bemolle); il terzo periodo invece è
costituito da un crescendo di tensione sorprendente, con quelle sette battute
di fila costituite da accordi con funzione di dominante che si allontanano
dallimpianto tonale di base e giungono fino a una triade di mi minore
sulla parola Todes, un inatteso accordo di passaggio cromatico di
estraneità e di lontananza voluta dalla tonica (con essa fra laltro
in rapporto di tritono), la cui solita durata di tre secondi e mezzo diventa
qui di insostenibile peso fonico. Il quarto periodo riparte dal terzo grado,
cioè da re minore, si appoggia inopinatamente sullomologo re
maggiore, tornando al minore e cadenzando velocemente al finale si bemolle
maggiore. Concludendo, la coincidenza tra lassoluto raggelamento articolativo
ritmico e formale e viceversa il brivido dato dalle funzioni armoniche instabili,
insanabile aporia, è in legame profondo col testo che legge nel mare
implacabilmente calmo un segno di morte.
Nel giugno e luglio del 1815 Schubert lavorò senza
interruzione a Lieder composti su testi di Goethe, che furon pubblicati
in seguito presso Cappi & Diabelli come op. 4 e op. 5. Il n. 3 dellop.
5, Der Fischer, è un canto strofico con tutte le caratteristiche
del VolksLied o, meglio, della ballata romantica. La realizzazione
musicale è fatta di ununica strofa ripetuta quattro volte e
cioè sufficiente a determinare unassoluta mancanza di direzionalità
drammatica, a dispetto della dolorosa vicenda conclusiva dellultima
strofa. Una figura femminile fantastica sorge stillante dallacqua,
rimprovera il pescatore e alla fine lo attira a sé conducendolo a
morte. Potrebbe essere la nemesi in risposta alla povera trota del
Lied
successivo, Die Forelle, che finisce i suoi guizzi argentei appesa
allamo. Cè solo, alla sedicesima battuta, una settima
diminuita, sulla parola feuchtes (stillante), peraltro immotivata
rispetto al testo, quasi una minaccia per quel che seguirà, ma è
lunico, microscopico accenno drammatico. Non solo la musica non segue
la vicenda, è dichiaratamente strofica, come una ballata, ma la strofa
stessa al suo interno non segue il testo. Altre volte in Schubert abbiamo
visto che, anche in un Lied strofico, la musica della singola strofa
si foggia sul verso, lo illustra fedelmente, variando là dove vi
siano elementi che lo richiedano. Qui nulla di tutto ciò; la musica
è assolutamente haydniana, come ben evidenziano alcune cadenze in
chiusura di strofa.
Non cè nessuna modulazione a toni lontani,
tutto è semplicemente si bemolle maggiore e si aggira soltanto tra
i toni vicini; nulla di sconvolgente, tutto è immobile dallinizio
alla fine. Contrasto tra la fiabesca, ma in fondo tragica storia, e lapollineo
suono senza direzionalità alcuna, sia dal punto di vista formale
(quattro strofe uguali), sia dal punto di vista medio-formale (allinterno
della strofa non cè nessuna tensione), sia dal punto di vista
microstrutturale (la condotta dellarmonia) e in tale contrasto sta
forse la forza, lefficacia di questo Lied. Nessuna adesione
al testo, tutto si svolge come se la musica raccontasse una fiaba. Impressione
prevalente per lascoltatore è il fatto che, quando lacqua,
articolativamente ben ravvisabile nelloscillazione statica delle quartine
del pianoforte, si richiude sul povero pescatore, la superficie rimane immota,
come se nulla fosse accaduto. Una ballata che si svolge come un sogno sereno.
La contrapposizione con il Lied Die Forelle non potrebbe essere più
netta: là, alla fine, abbiamo un dramma allitaliana, seppure
svolto con sottile vena ironica, o almeno la rappresentazione di un dramma,
qui invece tutto è stranamente tranquillo e, se si vuole caricare
la cosa di un significato, esso diverrebbe agghiacciante, quasi cinica indifferenza
alla vicenda del testo, il che non rientra affatto nellatteggiamento
di Schubert verso la Natura e gli uomini, contrassegnato da sensibilità
straordinaria. Non dimentichiamo inoltre che, nellanno precedente,
aveva scritto due Lieder altamente drammatici,
Erlkönig e
Gretchen am Spinnrade, quindi la vena drammatica non gli faceva certo
difetto.
A cavallo fra il 1816 e il 1817 Schubert diede alla luce
un piccolo capolavoro destinato alla celebrità e subito divenuto
famoso tra gli amici delle schubertiadi, Die Forelle (La trota),
op. 32. Quasi contemporanee furon le prime due versioni, cui ne succedettero
altre tre nel 1818, nel 20 e nel 21, in realtà con pochissime
varianti. Il testo era di Christian Friedrich Daniel Schubart, poeta lirico
del Settecento originario del Württemberg. Dobbiamo far presente al
lettore che, su sollecitazione del violoncellista Sylvester Paumgartner,
Schubert utilizzò la musica del Lied
per il celeberrimo Quintetto
in la maggiore, detto «della Trota», nel 1819.
Il Lied
è infatti un piccolo apologo della
trota, lunico, della vasta serie esistente riguardante il rapporto
pescatore-pesce, che sia visto dalla parte del pesce. Esso simboleggia un
poco il rapporto carnefice-vittima, ed ha un che di scanzonato e sinistro
al tempo stesso: la vittima, la povera trota, viene ingannata e uccisa,
ma poiché è solo un pesce, il massimo della drammaticità
viene realizzato con tinte e movenze da recitativo di melodramma, è
cioè rappresentazione della drammaticità, non vera drammaticità,
per di più con un poco di parodia, insolito umorismo schubertiano.
Assume poi un tono addirittura cinico la ripresa, col suo andamento scanzonato
e saltellante applicato alla contemplazione della vittima uccisa; alle parole
«e io, turbato, rimasi a guardare la vittima ingannata» vien quasi
voglia di dire: meno male chè turbato! Cè il patetico,
come rappresentazione del pathos, cè lironia e cè
il dramma. E la musica, in re bemolle maggiore, è ironico-gioiosa,
nella generale semplicità armonica e melodica (vera melodia da fischiettare);
è da osservare come questo Lied
sia uno di quelli in cui il
testo (il titolo, diremmo) genera una articolazione pianistica altrimenti
inesistente: il guizzare imprevedibile della trota genera una snella battuta
di due quarti in cui il pianoforte nel primo movimento scivola su una veloce
e sghemba sestina ascendente che alterna intervalli diatonici a cromatismi
di passaggio e si arresta poi con uno slancio improvviso, ascendente anchesso,
sul secondo movimento ben più statico.
La tradizione della musica occidentale predilige da sempre
ritmi costituiti dal movimento forte lento e da quello debole più
mosso: infatti la sarabanda, che ha opposta caratterizzazione, è
una danza di origine ispano-araba. Nella trota linversione del rapporto
movimento-stasi, zoppo e guizzante, è sicuramente motivata dal riferimento
allacqua e al guizzare della trota che nuota in essa. Dopo la letterale
ripetizione musicale che caratterizza la seconda strofa del testo, si arriva
allelemento B relativo alla terza strofa; qui il testo è estremamente
narrativo e il farsi torbido dellacqua è fedelmente raffigurato
in modo quasi madrigalistico: la sestina infatti non si ferma più
e diventa un mescolio armonico oscuro e confuso. I successivi accordi ribattuti
che accompagnano lattimo conclusivo della pesca ci ricordano poi davvero,
con ironia quasi grottesca, le movenze di un recitativo dopera lirica
italiana. La ripresa, sia pur parziale, applicata però alla contemplazione
della trota pescata e non più alla trota che guizza, assume, come
si diceva, un tono sgradevolmente estraneo alla natura del testo e la sua
ironia sfiora il cinismo.
Sempre nel 1817 Schubert ventenne si cimenta con Schiller.
A dire il vero già ai tempi del Convitto, nel 1813, Salieri aveva
proposto agli allievi alcune liriche ormai famose del poeta di Marbach e
il giovanissimo musicista sera persino cimentato proprio con un canone
sulla seconda strofa di Gruppe aus dem Tartarus che qui consideriamo,
lavoro contrassegnato come op. 24 n. 1. Abbiamo comunque un certo numero
di Lieder che per argomento han loltretomba, per esempio
Fahrt
zum Hades, Freiwilliges Versinken, dellamico Mayrhofer e, di Schiller,
Klage des Ceres, Das Mädchen aus der Fremde, Der Pilgrim, di
Schubart An den Tod e infine il
Religiöses Drama Lazarus
di Niermeyer e anche lì abbiamo il filone delle acque infernali.
La dantesca immagine schilleriana del ruscello dellabisso dà
luogo a una sorta di melologo cantato: la voce infatti si comporta come
semplice narratrice delle immagini sonore del pianoforte, prendendo atteggiamenti
propri di un recitativo; in generale è veramente difficile poter
definire sequenza melodica la linea del canto, massime nellinizio,
Etwas geschwind (Piuttosto mosso). La voce narra, o piuttosto si
fa eco dimmagini: «Ascolta - come mormorio dastioso mare,
come nel bacino di cave rocce geme un ruscello, romba laggiù in tetro
abisso un greve-lieve, straziato Ach!» Parliamo di melologo cantato
perché la voce è semplice «portatrice» di parole
del testo, mentre tutta limmagine sonora è nel pianoforte,
che si fa evocativo ai limiti del poema sinfonico. E qui lunico riferimento
possibile, anche dai punti di vista armonico e articolativo, è Franz
Liszt: si veda per esempio la pagina iniziale, quel tremolo di ottave ossessivamente
spezzate con forcelle che crescono sino al fortissimo e decrescono al piano
per poi riprendere. È così potentemente immaginativo questo
Lied che il soffermarsi sul singolo rapporto testo-musica ridurrebbe
questultimo al livello di madrigalismo e lanalisi a una semplice
descrizione.
Preferiamo viceversa arrivare subito alla straordinaria
spina dorsale dellintera composizione, una spina dorsale che percorre
tutte le strutture, continua, ossessiva, costituita da un percorso cromatico
ascendente, e non discendente, come, dato largomento degli inferi,
sarebbe stato logico pensare: tutto il Lied
è infatti attraversato
da una scala cromatica che sale, talvolta sarresta, per subito ripartire
e questo suggerisce una visione o interpretazione sotterranea del testo,
o della vita dellAde, come di un inferno interiore in continua tensione,
sempre frustrata, verso la luce, verso lalto. Non avrebbe senso altrimenti
in un percorso infernale, ove tutto noi ci figuriamo come statico, grave,
o discendente.
È luogo ricorrente, nella tarda produzione pianistica
di Liszt (1870-80), quello di non mettere alcuna alterazione in chiave,
non certo per affermare il tono di do maggiore, quanto perché limpianto
tonale si era fatto così instabile che nessuna tonalità doveva
essere scelta come base del pezzo; ebbene la stessa cosa avviene in questo
Lied schubertiano scritto cinquantanni prima di quelle «audacie»
lisztiane; anche qui non vi è nulla in chiave, ma il primo do maggiore
è quello che esplode sulla parola Ewigkeit (eternità),
solamente alla quarantaquattresima battuta dellAllegro. Dire che questo
Lied è in do è cosa ardua: la prima tonalità
che si delinea entro il turbine cromatico, e per di più solo di passaggio,
senza fermarcisi sopra con una cadenza, è quella di la bemolle minore,
ben lontana dal do!, che compare alla battuta dodici, dopo di che riparte
il vortice cromatico che giunge sino allapprodo del re minore nellattacco
dellAllegro, che però viene negato nel giro di un secondo,
perché comincia un altro cromatismo ascendente senza appoggi armonici,
il cui punto dapprodo è il fa diesis minore finalmente vero,
affermativo, con tanto di cadenze, che compare alla ventesima battuta dellAllegro
sulla parola folgen, e dura per circa otto battute. Si noti che ci
troviamo alla distanza di tritono, la più ampia possibile, dal do:
il fa diesis è una sorta di anti-do. Poi, improvvisamente, senza
alcuna mediazione, una cadenza di fa diesis minore scivola di semitono ascendente
e va a sol minore, facendo ripartire il moto cromatico che si fermerà
solo sullesplodere del succitato do maggiore alla parola
Ewigkeit.
Alcuni successivi passaggi che collegano i poli do e fa
diesis (do-fa-do diesis-fa diesis) riportano infine al do e lunica
scala discendente del pezzo richiude il Lied
come un libro sulla
nota do, ma armonizzata come do minore, nella battuta isolata con corona
finale in pianissimo.
Esiste un particolare e sotterraneo collegamento tra le
tonalità, utilizzato in pieno solo nel XX secolo da Béla Bartók,
ma che il musicologo ungherese Ernö Lendvay, coniando il termine di
armonia assiale, dimostra essere presente, in modo più o meno cosciente,
anche nella musica romantica. È possibile cioè legare a ogni
tonalità maggiore due tonalità minori e la prima è
quella che mantiene le stesse alterazioni in chiave, cioè il cosiddetto
relativo minore, che è a distanza di terza minore (Do maggiore-la
minore), lo chiameremo collegamento A, la seconda quella che porta lo stesso
nome (Do maggiore-do minore) che chiameremo collegamento B. Questultima
è più lontana per quanto riguarda le alterazioni in chiave
(ve ne sono tre di differenza), ma è legata dal fatto di aver la
stessa tonica, cioè la stessa nota base. E ciò consente una
sorta di percorso chiuso ciclico:
Allinterno di questi collegamenti le tonalità
a distanza di tritono (do-fa diesis, oppure mi bemolle-la) assumono tra
loro laspetto di poli opposti, per «colore», per «clima»
sonoro.
Se si prende la Sonata per due pianoforti e percussione
di Bartók, si nota che loscurissimo inizio è tutto imperniato
sul fa diesis che, essendo il tritono del do, incarna il mondo delloscuro,
il contro-tono, lombra della tonalità, mentre chiunque conosca
quella famosa sonata sa che la grande esplosione tematica è imperniata
sul do maggiore. Cioè nellasse do-mi bemolle-fa diesis-la,
il principio opposto al do, che è il fa diesis, rappresenta loscurità.
Il paragone con la Sonata per due pianoforti e percussione è di evidente
pertinenza: ma anche in altri lavori bartokiani il polo delloscurità,
della magmaticità è rappresentato dal fa diesis mentre il
polo della luminosità è incarnato dal do. Il caso del nostro
Lied (precedente la Sonata bartokiana di ben 110 anni!) è
paradigmatico, sembra proprio voler dimostrare larmonia assiale; infatti
si parte dalla nota do, si fa un cromatismo e ci si ferma sul mi bemolle,
chè la via di mezzo fra il do e il fa diesis, sia pure come
dominante di la bemolle minore, poi si ripassa attraverso il do e ci si
arresta (rapidamente) solo al la (sia pur come dominante di re minore).
Soltanto larrivo al fa diesis, cioè al tritono del do arresta
davvero il cromatismo. E qui tutto cambia perché per otto battute
abbiamo un fa diesis minore ben affermato, ma arrivati alla fine di questa
fase si riparte, però non dal fa diesis, bensì dal suo quinto
grado, il do diesis. La nuova scala cromatica omette solo il fa diesis (che
era già stato poco prima amplificato) e quando si giunge al sol esso
diviene la dominante di quel do che esplode con il fortissimo sulla parola
Ewigkeit. Non possiamo non notare che il fa diesis di prima cadeva
sulla parola Trauerlauf (funebre corso), e si trattava di otto battute
in pianissimo del tutto contrapposto quindi al clima del do maggiore.
A questo punto, tenendo presente che in Bartók spesso
la pratica dellarmonia assiale è collegata allimpiego
di proporzioni formali e strutturali desunte dalla sezione aurea, abbiamo
fatto una indagine in questo senso sul Lied
schubertiano (si tenga
presente che luso della sezione aurea nelle proporzioni formali della
musica è attestabile talvolta fino dai tempi di J.S. Bach) e il risultato
è stato sorprendente. Abbiamo considerato solo lAllegro, che
consta di 73 battute e abbiamo costatato che la sezione aurea positiva (73
x 0,618 = 45,1) cade dopo la parola Ewigkeit (il do maggiore fortissimo),
sulla pausa della battuta seguente; la sezione aurea negativa (73 x 0,382
= 27,9) cade invece sulla pausa alla fine della frase in fa diesis minore,
dopo la parola Trauerlauf. Il doppio riscontro a noi sembra eccessivo
per essere casuale! Le due sezioni auree si innestano quindi proprio là
dove sono i cuori tonali, lomphalós patetico di quel
percorso cromatico. Non sappiamo se Schubert fosse consapevole o meno di
tale fatto per noi tanto sorprendente, ma in caso affermativo saremmo di
fronte a unarchitettura formale e tonale profonda e misteriosa.
La caratteristica più netta nelluso della
voce, che ci ha indotti a parlare di melologo e di voce narrante, è
data dal fatto che la linea vocale segue letteralmente il cromatismo, e
ha i soli momenti melodici quando approda a qualcosa, quando larmonia
si stabilizza (di passaggio, come sul la bemolle minore o, più stabilmente,
come sul fa diesis minore), in questi casi e solo in questi casi la voce
non è mero riflesso del cromatismo pianistico, ma vera e propria
frase. Perché tutto questo? Forse perché lambiente è
più forte delle anime che si trovano negli inferi e qui il protagonista
è quello. Del resto la voce che nel testo invita a guardare i defunti
e il loro paesaggio infernale è abbastanza impersonale. Dobbiamo
sottolineare che ci sembra non esista nella storia della musica un altro
lavoro che sia interamente attraversato da una scala cromatica ascendente.
Concludendo, questo Lied è veramente un poema sinfonico con
voce recitante, ma anche un caso anomalo, e quel che stupisce, che lascia
attoniti, è la dirompente forza espressiva della sua modernità,
tanto più che è stato scritto nel 1817, quando Liszt e Schumann
erano bambini e lAutore appena ventenne.
Nellestate del 1817 Schubert scrisse, con dedica
ad Anton Stadler, amico suo sin dai tempi del Convitto, un
Lied il
cui testo rimane dautore sconosciuto, e che quindi potrebbe anche
essere del musicista stesso, Der Strom. Riduttiva, guardando queste
quattro pagine, ci sembra la traduzione «Il fiume», ché
ci vien fatto di pensare piuttosto a una corrente impetuosa, travolgente.
Infatti balzano allorecchio, prima ancora che allocchio, alcune
evidenti articolazioni «schumanniane» (non dimentichiamo che Schumann
aveva in quel momento sette anni e che ne mancavano ancora quindici ai suoi
primi Lieder). Musicalmente la barriera Austria-Germania è nettissima:
lAustria trae tutte le sue armi armoniche e i suoi comportamenti formali
soprattutto dallItalia, mentre la Germania si rifà nettamente
al corale di Bach. Epperò nel nostro caso dobbiamo parlare di «schumannianità»
anzitutto per la scrittura pianistica, ma anche per quella vocale. Le figurazioni
del pianoforte son costituite implacabilmente, dalla prima allultima
battuta, di quartine contrapposte (sinistra-destra, quindi quattro contro
quattro note), una scrittura molto densa, soprattutto se si considera la
collocazione di tali quartine nel registro medio-grave. In realtà
la quartina non fa altro che diventare una specie di nervatura ritmico-articolativa
di vere e proprie disposizioni accordali da corale. Cioè, se si suonasse
questo Lied sovrapponendo le note di ogni quartina, ne uscirebbe
un perfetto corale a quattro parti ben collegate. Ma così facendo
verrebbe a mancare quella nervatura ritmica, il flusso denso delle quartine,
che sta a significare, o a rappresentare lacquaticità, il ribollire
della corrente. Rispetto ad altri Lieder
occasionati dal tema del
fiume o del ruscello, non cè qui direzionalità di percorsi,
essendo questo ribollire piuttosto statico nel registro.
Le sette battute introduttive, senza la voce umana, sono
caratterizzate da una tripla «schumannianità»: anzitutto
la densità della scrittura a quartine contrapposte; poi il fatto
di costruire la sequenza melodica leggendola in trasparenza entro le quartine
stesse, quasi essa fosse un semplice coagulo della vibrazione armonica che
sinsinua tortuosamente per gradi congiunti: fa-mi-re-do diesis-re-si-do-la-si
bemolle-la-la-re. Altro comportamento che sarà frequente in Schumann:
se si prendono in esame le due parti estreme, il basso e la linea del canto,
si nota che mantengono una totale indipendenza melodica, procedendo però
improvvisamente per ottave al momento della cadenza, e venendo così
a enfatizzare le punteggiature musicali, che arrivano come martellate dopo
le varie inquietudini armoniche. Ma lelemento nettamente più
filotedesco e schumanniano è un atteggiamento diverso dalle consuetudini
schubertiane nelluso dellarmonia: normalmente è tipico
del musicista viennese accostare regioni tonali molto lontane tra loro,
spesso in maniera assai drastica, senza però accentuare le tensioni
allinterno di un tono mediante cromatismi; entro una tonalità
si mantiene cioè su cadenze di matrice haydniana, il che rende poi
ancora più sorprendenti i veloci cambi di modo o le escursioni a
toni lontani. Qui invece abbiamo il comportamento opposto, che è
di matrice affatto tedesca, poiché proviene ancora una volta dal
corale bachiano: grande motilità allinterno, epperò
staticità generale. Cioè, fatta eccezione per un solo punto,
in cui si allontana molto tonalmente, da fa maggiore a fa diesis minore,
tipico slittamento di semitono con modulazione a tono lontano, la musica
si attiene ai toni vicini a re minore (si ricordi appunto che il corale
di Bach si mantiene sempre entro i toni vicini a quello dimpianto).
Ma se si guardano in questo Lied i singoli collegamenti accordali,
notiamo unenorme presenza di dominanti secondarie, sì che ne
abbiamo a un certo punto sei di fila che rinviano con pervicacia la risoluzione,
si tratta cioè di continue alterazioni cromatiche che, accentuando
le tensioni interne a una tonalità, non provocano però alcuna
modulazione. Instabilità armonica interna, assai simile in fondo
a quella di Meeres Stille.
Cè infine, e compare spesso, una spina dorsale
costituita da un cromatismo discendente, che suggerisce la discesa del fiume
ed è anchessa tipicamente schumanniana.
Laltra considerazione concerne la parte vocale, ed
è di nuovo componente schumanniana: la voce passa di colpo dal continuo
tortuoso grado congiunto ai grandi salti, daltronde in forte legame
col testo, perché quando questo dice «sale, cade in increspate
onde, qui simpenna, caccia laggiù in selvaggia processione»
abbiamo salti dottava e persino di decima, vere impennate nelle pieghe
del discorso musicale. E quella della voce che si slancia improvvisamente
e coraggiosamente è una componente cara al romanticismo successivo,
tipicamente tedesco; daltronde anche il testo che parla in prima persona
si identifica con quella Stimmung.
Abbiamo prima accennato alla sorprendente modulazione a
fa diesis minore, di fronte a una cinquantina di battute precedenti tutte
aggirantisi nei toni vicini; il fatto che essa avvenga con un solo accordo
intermedio, malgrado la lontananza del tono darrivo, fatto comprensibilissimo
in Schubert, risulta assai insolito qui e finisce per essere una greve sottolineatura
del testo, che dice «Doch nimmer findend» (perciò mai più
trovando).
Dobbiamo ancora sottolineare in questo
Lied impetuoso
la drammatica implacabilità della sua scrittura ribollente che evita
riposanti risoluzioni. Del resto tutto Schumann è fatto di continui
rinvii delle cadenze con lausilio di dominanti secondarie, e però,
quando finalmente giunge, la sospirata cadenza arriva come una martellata
e qui è esattamente così: nella durezza dellimpatto
della brusca cesura ravvisiamo i segni del conflitto spirituale, di una
negatività che non è solo psicologica e sentimentale, bensì
metafisica. Notiamo infine il consueto atteggiamento problematico di Schubert
nei confronti delle riprese; per lui la ripresa non è assolutamente
un obbligo formale da rispettare, ma, rovesciando i termini, è vero
e proprio espediente compositivo cui ricorrere qualora il testo lo richieda.
In questo caso, per esempio, quando i versi citano di nuovo il fluire della
corrente, a quel punto la musica incappa in un frammento di ripresa, quasi
un segnale, sorprendente per il compositore stesso: alle parole «wird
nimmer froh» (non si fa mai gioioso) il canto si ritrova sullo
stesso frammento iniziale, mi bemolle-do diesis-re, per un attimo sembra
riprendere la stessa concatenazione melodica (quasi se la ritrovasse davanti
strada facendo), e anche questo comportamento assomiglia a quello di un
fiume, ma in realtà riprende solo il flusso tematico, non il tema
stesso, e lo abbandona sostanzialmente subito. Questo è lunico
percepibile microaccenno di ripresa, quasi la implacabile fantasia schubertiana
sospingesse verso lidi sempre nuovi. Quindi drammaticità molto forte,
schumannianità di scrittura, di armonia, di comportamento vocale;
lacqua che è sicuramente il ribollire di quella situazione
stretta e linquietudine tutta interna al tono, questa vita che si
rivoltola mormorando è linquietudine dentro la tonalità,
con la sola eccezione che abbiamo illustrato.
Nel mese di marzo del 1817 Schubert si cimenta con un testo
assai impegnativo di Goethe, Gesang der Geister über den Wassern,
e lo fa con il quartetto vocale. Nellanno precedente aveva anche provato
a musicarlo per sola voce e pianoforte e, nel 1820, aveva deciso daggiungere
al quartetto vocale laccompagnamento del quintetto darchi (due
viole, due violoncelli, contrabbasso), considerando tale versione come definitiva.
Noi ci occuperemo di quella del 1817.
Ai primi dellOttocento in Germania e Austria sorsero
associazioni di cantori dilettanti dette Liedertafel che si diffusero
rapidamente inducendo i musicisti a scrivere per trio e quartetto vocale.
Il primo ad adottare tale forma fu Michele Haydn, ma toccò a Schubert
il compito di portarla a perfezione, come ben evidenzia il lavoro che prendiamo
in esame, il quale non è un Lied sensu proprio, in quanto
è scritto per coro maschile a cappella. Limponenza del testo
goethiano genera limponenza della musica. Ora il coro a cappella ha
in sé automaticamente un connotato di «assoluto», di «sacralità
laica» nel nostro caso, e fa di questo Lied
un vero e proprio
mottetto laico, non un madrigale, perché troppo spirituale per esser
madrigalistico.
Parliamo di mottetto perché la struttura formale
è in tutto e per tutto simile (con una sola piccola eccezione) a
un mottetto antico, rinascimentale, ben lontana da una struttura ottocentesca.
È costituita infatti da episodi separati da corone e non collegati
da alcun nesso tematico. Ogni episodio è fondamentalmente a sé
stante dal punto di vista melodico-armonico, non ci sono ritorni tematici,
proprio come nella polifonia quattro-cinquecentesca. Il passaggio da un
episodio allaltro è contrassegnato talvolta da un cambio darea
tonale anche piuttosto netto, come si può vedere nella prima pagina,
in cui abbiamo tre diesis in chiave per la prima strofa,
Sehr langsam,
(la maggiore), poi uno solo nella seconda, Etwas geschwinder, (sol
maggiore); si tratta quindi di una struttura armonica sostanzialmente a
blocchi, e questo invece è tipicamente schubertiano. Lunico
accenno di ripresa, ma non riusciamo a definirla così, meglio dire
«cornice», abbiamo alla fine del Lied,
Langsam,
nelle ultime sei battute, che ripropongono, non però nota per nota,
lidea dellinizio.
Importante è notare che ogni immagine poetica è
realizzata con situazioni musicali così chiare, nitide, riferite
in modo talmente trasparente ai versi, da far sì che ogni episodio
divenga una specie di struttura simbolica, anziché struttura descrittiva.
Cioè il riferimento alle parole del testo viene fatto con tale trasparenza
che finisce per assumere laspetto di archetipo o simbolo dellimmagine
che si fa musica.
A questo punto non ci resta che tracciare una specie di
elenco degli episodi e del tipo di trattamento del coro e dellarmonia,
considerando il rapporto tra immagine del testo e figura musicale. La prima
strofa, di sette versi, si realizza in un episodio diviso in tre zone, tre
sotto-episodi:
-
i primi due versi, praticamente uguali agli ultimi, esprimono un concetto,
il concetto base, vale a dire la tesi che «lanima delluomo
somiglia allacqua», cui segue: «viene dal cielo, risale
al cielo e di nuovo alla terra deve tornare, eterna vicenda», e il
fatto che una tesi venga data in maniera assolutamente non immaginativa,
cioè come se il coro fosse una sola voce collettiva, che, ribattendo
omofonicamente un accordo, assume un tono di «recitato», ci
sembra perfettamente coerente con la concezione di quei due versi iniziali.
-
limmaginosità e la conseguente figuralità della
musica cominciano da qui, cioè con il percorso alto-basso-alto
(«viene dal cielo, risale al cielo e di nuovo alla terra deve tornare»).
-
il terzo sottoepisodio, che completa la prima strofa, consta solo delle
parole fortemente sottolineate «ewig wechselnd», eterna
vicenda. Del primo comportamento abbiam detto. Del secondo, notiamo che
i riferimenti sono i più ovvii possibili: visto che occorre mettere
in scena la discesa e la salita, il coro finalmente si spezza in due parti,
tenori e bassi, e si verifica un doppio percorso di discesa-salita. Dobbiamo
sottolineare un elemento sottile, ma fondamentale e affascinante, poiché
qui la musica dice più della parola: alle battute 5-7, ai versi
«vom Himmel kommt es, zum Himmel steigt es», le due voci
riproducono quella concatenazione dintervalli che prende il nome
di quinte dei corni, re-fa diesis, la-mi, fa diesis-re, antico comportamento
dei corni naturali che da sempre è segnale di partenza e, quindi,
di lontananza; e lo troviamo infatti, nel 1704, nel Capriccio sopra la
lontananza del fratello di J.S. Bach diciannovenne, poi, nel 1809, nella
Sonata in mi bemolle beethoveniana detta «degli addii». Linserimento
in questo Lied, da parte di Schubert, delle quinte dei corni diviene un
bellissimo riferimento alla Sehnsucht, esprime lanelito,
la nostalgia, il desiderio del ritorno, la ormai ben nota sensazione dellinadeguatezza
del luogo ove si è, che abbiam veduto nel
Wanderer, applicata
ora alla condizione del trovarsi, dellessere inserito, meglio dir
«precipitato a forza» nel percorso eterno cielo-terra. Con le
parole «und wieder nieder zur Erde muss es» (e di nuovo
alla terra deve tornare) vien fatto coincidere un lungo gioco sulle terze
minori, re-si-re-si, un intervallo neniante e infantile anchesso
collegato alla nostalgia. Scelta molto forte, che mette a nudo improvvisamente
una intensa spiritualità schubertiana che la bonomia del musicista
non avrebbe fatto sospettare: è la vistosissima sottolineatura
della vicenda eterna, dellEterno soprattutto, nellepisodio
successivo, imperniato sulla parola «ewig» ripetuta e molto
protratta; notiamo qui lavvento della calma, tutto rallenta, tutto
si placa, tutto è molto dolce, molto tematico, molto melodico.
È il momento modulante che condurrà al sol maggiore dellepisodio
successivo e tutto si allarga in un canto ricco di avvincenti cromatismi
interni: siamo nel vero cuore melodico della prima parte, che abbiamo
considerato come una A tripartita. Nella seconda parte, Etwas geschwinder,
in sol, tonalità lontana quindi dal la maggiore iniziale, comincia
limmagine del rapporto con lacqua, cioè con la cascata
impetuosa che diroccia dallalta rupe.
-
La prima parte di questo episodio è quella che va dalle parole
«strömt von der hohen» (diroccia dallalto) al verso
«zum glatten Fels» (sul levigato masso) e comprende tredici
battute in cui il flusso dellacqua è reso figurativamente
con movimenti discendenti e isocroni di crome; ma se è vero che
esse continuano a scendere nel registro, è vero anche che nel frattempo
continuano a ripartire dallalto, il che inserisce, in un moto direzionale,
una componente di circolarità e lincedere di tale circolarità
ancora fa pensare al Wanderer. In questo caso limmagine è
chiara fino al limite del madrigalismo, «la musica specchio delloratione»,
fedelmente al dettato monteverdiano. Meno madrigalistica è la connotazione
data alla seconda parte della strofa. Lacqua si muoveva prima precipitando
dalla parete, ma in modo felice, si frantumava a basso gioiosa, senza
drammaticità, sul levigato masso, «zum glatten Fels».
-
Questa prima fermata, alle parole «und leicht empfangen» (e
dolcemente accolta), è realizzata con modalità che ricordano
il placarsi che abbiam visto alla parola «ewig»: stessi tipi
di valori, stessi dolci cromatismi, insomma un corale, ma pure abbastanza
mosso al suo interno, anche dal punto di vista armonico.
-
Vi sono simmetrie evidenti nel Lied: alla staticità dell«ewig»
menzionato corrisponde la prima stazione dellacqua discesa dal monte;
al primo movimento, che non era affatto drammatico, dellacqua che
scaturisce e fluttua (movimento già preannunciato peraltro in b,
nel percorso alto-basso tra cielo e terra), corrisponde lesplosione
drammatica del testo che dice: «contrastano rupi il flutto precipite,
spumeggia irosa a grado a grado verso labisso». E qui notiamo
le prime tre voci in forte, ma con il secondo basso in fortissimo, con
ampi intervalli che arrivano al salto di nona minore e persino a quello
di undicesima. Armonicamente non vè nulla di particolarmente
audace, ma i movimenti interni sono di grande drammaticità. Non
a caso abbiamo qui lunico momento in fortissimo del Lied; e a questo
punto osserviamo che le immagini hanno un tale peso simbolico, in quel
netto delinearsi e in quellessere semplicemente accostate senza
alcun tentativo di collegamento, che non possiamo fare a meno di considerarle
ognuna una stazione della via crucis della vita.
-
Siamo ora arrivati a un Adagio (Langsam) in pianissimo, alle
parole «Im flachen Beete» (nel disteso corso), in cui tutto
di nuovo si placa e lo specchio calmo del lago è evocato con «movimento
statico», semplici oscillazioni, senza direzionalità. Interessante
è pure il rapporto fra le singole sezioni, legate da un sottile
gioco di analogie e contrasti a livello sempre figurale e mai tematico.
-
NellEtwas geschwind
di pag. 68, alle parole rapide e incalzanti,
che animano poi la musica «Wind ist der Welle lieblicher Buhle»
(vento è dellonda tenero amante), torna il movimento. Landamento
si piega in giochi imitativi molto veloci tra il vento e londa,
in rapide botte e risposte, il che rispetta il rapporto di causa-effetto
esistente tra i due fenomeni naturali. E qui lonomatopea è
simbolo del movimento stesso della vita, fluctus fortunae, e quindi
è archetipicamente rappresentativa. LAdagio (Langsam)
si ripresenta improvviso nelle sei battute finali, ma non si può
neppure questa volta parlare di ripresa, perché è proprio
lassunto iniziale che torna dopo aver esaurito la sua realizzazione
interna. Il Lied è uno dei capisaldi di Schubert, un vero
capolavoro, un poema dellacqua e della vita di enorme peso simbolico
e noi non sentiamo affatto il bisogno del sostegno strumentale alle voci;
questa è la tipica musica da cantare a cappella, ma non per un
semplice riferimento storico al mottetto, bensì proprio per il
peso specifico della condotta delle voci, decisamente autosufficiente
e maggiormente astratto e simbolico.
Auf dem Wasser zu singen è un piccolo gioiello,
forse la più avvincente melodia schubertiana, musicato su testo del
conte Leopold zu Stolberg. Di incerta datazione, certo non posteriore al
dicembre 1823, dal momento che fu pubblicato in un supplemento della «Wienerzeitschrift
für Kunst», verrà edito da Cappi & Diabelli con numero
dopera 72 nel 1827. Tre strofe assolutamente identiche in cui Schubert
non cambia una sola nota. Avrebbe potuto, invece di scriverle per intero,
mettere il segno di ritornello dopo la prima. Il Lied
non è
quindi nella tradizionale forma chiusa, A, B, A; potremmo definirlo in forma
A, A, A Non cè quindi ripresa, cè
un tema solo più volte ripetuto; non cè B, a meno che
non si voglia considerare un B tonale il momento in cui, allinterno
della strofa che viene poi ripetuta, la tonalità passa dalliniziale
la bemolle minore a do bemolle maggiore. Tutto appare a prima vista molto
semplice, volutamente semplice, a tutti i livelli, anche a quelli di microstruttura
armonica, cioè di singola cadenza; la cadenza più elementare,
tonica-dominante-tonica, è nettamente prevalente. Persino le sottodominanti
sono poche. Questa è la premessa inevitabile: il
Lied ha una
prima superficie di lettura di disarmante trasparenza: tre strofe di testo,
tre strofe musicali uguali e, a livello armonico, è di grande semplicità.
Vi son però tre elementi importanti da osservare. Il primo riguarda
larticolazione pianistica scelta, la ben nota sestina costituita da
tre duine che rimbalzano appoggiandosi luna allaltra; essa non
cede mai, dalla prima allultima battuta, è implacabile.
Lappoggiatura che caratterizza la seconda e la terza
duina dogni sestina rende subito ragione duna tremula, incerta
mobilità; daltra parte limmagine offerta dal testo è
quella dellacqua su cui balugina il riflesso del tramonto; ora lappoggiatura
è flebile, sfumata, per sua stessa natura e, salvo poche eccezioni,
discendente. Sul piano intervallare il Lied
è strutturato,
in quasi tutte le battute, con una figura tipica, il salto ascendente di
ottava allinizio della battuta e la successiva discesa per appoggiature.
La figura complessiva è quindi costituita dallo slancio ascendente
e dalla discesa per appoggiature ed è impossibile non essere condotti
automaticamente allimmagine del ruscello che scende, non linearmente,
bensì saltellando tra i sassi, con incerta intermittenza. È
fondamentale notare che il salto dottava iniziale dogni battuta
genera la rotatorietà, la circolarità, perché ogni
volta vè slancio eppoi discesa. Siamo tentati di pensare a
unanticipazione del ciclo Die schöne Müllerin (La
bella mugnaia), con leterno girare sia della ruota del mulino, sia
del ruscello che la sospinge, sia della vita e delle sue fortunose vicende,
connesse con lansia del ritorno del Wanderer. Ma lappoggiatura
abbinata alla duina è anche una precisa figura retorica barocca,
simbolo del sospiro malinconico, della nostalgia, delleffetto della
lontananza; non possiamo non pensare ancora una volta al Capriccio bachiano
sulla lontananza del fratello. Nostalgia significa appunto letteralmente
«dolore del ritorno», e qui il wenden, il
kehren zurück
si identifica col salto ascendente dottava. Lacqua che scorre
sempre scendendo, ma sempre di nuovo cadendo dallalto e la malinconia
vengono così a coincidere nella loro rappresentazione strumentale.
A un successivo livello dindagine è importante notare che la
presenza di questa articolazione pianistica, incessante, e non solo prevalente,
costituisce il fondale per una voce che fa una cosa piuttosto rara nel
Lied
schubertiano, cioè viene trascinata dal pianoforte ad assumere
la sua stessa articolazione, con un po di ritardo, quasi volesse imitarlo.
In genere nel
Lied schubertiano voce e pianoforte
hanno due figure ritmico-melodiche tendenzialmente fisse, ma differenti,
contrapposte: il fatto che, nel nostro caso, la voce imiti e segua lo strumento
costituisce, secondo noi, il disvelamento definitivo ed esplicito della
metafora sottesa al testo, che emerge poi nei due versi: «sulle onde
scintillanti di gioia lanima scorre come la navicella»; se il
pianoforte incarna lacqua che fluisce, la voce è lanima,
che scorre come la navicella, e quindi in questo caso prende la figura del
pianoforte. Ma come? La stessa figura di duine appoggiate e legate diviene
melisma, cioè la sillaba vien detta sulla prima nota e poi «portata»
e il fatto di «portare» la sillaba sulla seconda nota accentua
nettamente la dimensione patetica della figura retorica barocca rispetto
a quanto possa fare il pianoforte, che rimane pur sempre uno strumento a
percussione. La maggiore accoratezza delle appoggiature vocali ci svela
il passo successivo della metafora: se la voce è lanima stessa,
il suo tramonto di anima-acqua non è semplice tramonto bensì
morte, come chiarisce la terza strofa e ciò rende ancora più
pregnante la ciclicità del moto, perché, ormai è evidente,
il moto circolare non è più soltanto lacqua che scorre
ma è il ciclo del Tempo, con la sua inesorabile legge, lanánke.
Ma a questo punto vè da fare losservazione
più importante concernente la tonalità, che quasi potrebbe
sfuggire, tanto essa è realizzata con naturalezza. La romantica «Sehnsucht»
consiste nellavere un sentimento di «nostalgia» in senso
etimologico, cioè nellaspirazione a essere in un luogo diverso
da quello in cui si è, ma senza sapere qual è lelisio
cui si anela; se si vuole, è frutto dellavvertire inadeguato
il luogo o lo stato in cui ci si trova.
Auf dem Wasser zu singen è, per chiunque
lascolti, senza lo spartito davanti, un Lied
in modo minore.
Lintroduzione pianistica di otto battute e limpostazione di
frase sono infatti in la bemolle minore; eppure le alterazioni in chiave
sono quelle di la bemolle maggiore; peraltro la svolta nel modo maggiore,
quando arriva, avviene nel tono relativo di la bemolle minore, cioè
do bemolle maggiore e non la bemolle maggiore, tonalità che sarebbe
di diritto quella dimpianto. Auf dem Wasser zu singen è
così, per chiunque lascolti, un Lied
in la bemolle minore
che due volte, nel corso della strofa tre volte ripetuta, approda al maggiore
(la prima volta al relativo do bemolle e la seconda, finalmente, allomonimo
maggiore, cioè la bemolle). Ma in chiave ci sono quattro bemolli,
cioè cè larmatura di la bemolle maggiore: ci si
muove così costantemente in una tonalità inadeguata a quella
predisposta sul rigo dallAutore stesso, vale a dire ci si muove costantemente
nel suo omologo minore. E il fatto che si vada a do bemolle maggiore non
smentisce, perché il do bemolle maggiore è tono vicino a la
bemolle minore (e non a la bemolle maggiore) in quanto è il suo relativo
maggiore. Quindi questo la bemolle minore assume laspetto di luogo
fisico presente, ma che è tópos instabile e inadeguato
perché attende di riposare nella sua stabilità, che è
data da quello che sarebbe dovuto essere il Lied, in base alla preparazione
tonale dallAutore stesso effettuata nellarmatura di chiave.
Il minore qui acquista la valenza di luogo instabile, inadeguato
e lo si nota anche graficamente dalle numerose, continue, alterazioni di
passaggio che devono essere apposte per situare il la bemolle minore. Comè
fatta la strofa? quando si va in la bemolle maggiore? ci si va durante lunica
nota tenuta lungamente dalla voce, alla trentesima battuta, un mi bemolle
tenuto sotto cui il pianoforte cadenza dapprima in la bemolle minore, e
poi, finalmente e inaspettatamente, nella battuta successiva, in la bemolle
maggiore. Se si raffrontano musica e testo, si nota subito che nella prima
strofa tale svolta così simbolicamente significativa avviene in un
punto assolutamente insignificante, cioè sulla parola
tanzet
del verso «tanzet das Abendrot rund um den Kahn» (danza il tramonto
attorno alla barca). E allora anche la triplice ripetizione di strofa musicale
esce dal suo banale aspetto formale di ballata e acquista un profondo peso
simbolico, perché alla terza volta, e in modo a nostro parere agghiacciante
[3] , si scopre che il luogo inadeguato,
cioè il minore instabile, è la vita, mentre la risoluzione
stabile e vagheggiata è la morte; infatti la terza volta il testo
dice: «finché con ali più elevate e raggianti io stesso
non sfuggirò alla legge del tempo» e per la terza volta va in
la bemolle maggiore. Quindi se la musica non era adeguata al testo per le
prime due strofe con il suo passaggio al maggiore, lo è invece e
vividamente la terza, il che vuol dire chera stata «concepita»
per lultima strofa: una forma tranquillamente circolare assume improvvisamente
una direzionalità amara e profonda, semplicemente svelando allultimo
momento un nesso testo-musica sconvolgente. Unultima osservazione:
in ogni strofa la risoluzione in maggiore, cioè lappoggio a
la bemolle maggiore, porta finalmente a un attimo in cui il disegno non
è più discendente, ma si stabilizza nel registro, il che equivale
a dire che la risoluzione in maggiore diventa lattimo di stabilità
armonico-articolativa. E anche questo acquista significato solo allultima
strofa, quando la risoluzione in maggiore vien fatta coincidere, con la
consapevolezza della morte. Che vè infatti di più stabile,
definitivo e irrevocabile? Della melodia stupenda lunica cosa che
si può dire, quando gli aggettivi si rivelano inadeguati, è
che ha il sapore di una barcarola, meglio, di una siciliana; infatti il
Lied appartiene alla felice, e fortunata, schiera dei
Lieder melodici,
quelli cioè in cui la linea pura del canto è bella e pregnante
in sé e non richiede commenti, né analisi.
Nellautunno del 1827, Schubert pubblicò privatamente
la sua opera 106, in cui erano inclusi alcuni Lieder
composti su
testi del prof. Karl Gottfried von Leitner, amico di vecchia data di Marie
Leopoldine Pachler, la quale aveva ospitato il compositore a Graz. A questi
lavori appartiene Das Weinen, un
Lied che non possiamo annoverare
fra i simbolici dellacqua propriamente detta, ma che, volendo, potrebbe
aprire un intero nuovo filone, cui in questa sede non possiamo però
dare spazio adeguato: il filone del pianto e delle lacrime. La severa articolazione
che il musicista ha scelto già di per sé conferisce a questo
lavoro una particolare importanza. La lacrima non ha in
Das Weinen
la sua rappresentazione più diretta, cioè pittorica, di goccia
che cade, come si può riscontrare per esempio in
Gefrorne Tränen,
nel ciclo Winterreise. Ma il severo moto, lento, isocrono, discendente
e imitativo, assolutamente insolito in Schubert, è sicuramente sublimazione
della lacrima. Peraltro tutto il testo del Lied
si presenta come
sublimazione della lacrima, unacqua affatto particolare, vista non
come diretta reazione a una contingenza dolorosa, bensì, rilkianamente,
come forza magica, consapevolezza della sofferenza, una sorta di comprensione
muta, senza parole, del dolore universale. Cioè «piango perché
porto su di me il dolore delluniverso» e la musica diviene polifonica
e severa, inserendosi in quel filo che collega sotterraneamente, nella tradizione
tedesca, Bach a Schumann. Queste lacrime sono gocce astratte che, stillando
lente e regolari, montano una polifonia, le cui quattro voci si sommano
via via fino allisocronia di un corale che nulla ha dellarticolazione
prettamente pianistica; questa pagina allude piuttosto a un coro, stilizzato
e simbolico, o a un quartetto darchi, proprio come accadrà
spesso in Schumann pochi anni più tardi. La polifonia, limitatività
sono un poco al di sopra della storia, si muovono nella regione delluniversale,
mentre la figuratività è storicamente connotata, tangibilmente
articolativa e strumentale e a essa ben corrisponde limmagine del
pianto come compassione nel senso etimologico del termine, modo di portare
a sé il dolore universale. Anche larmonia concorre a questo
clima di severità rinunciando ai giochi di colore delle modulazioni
lontane, tanto consuete in Schubert. Essa pur arricchendosi, allinterno,
di mille sfumature cromatiche, rimane vincolata a toni vicini.
Inoltre tutto, simbolicamente, è un tripudio della
quaternità, e il quattro, nelle simbologie che occorrono dal Medioevo
in avanti, è sempre il numero delluomo. Luomo di Leonardo,
a gambe e braccia aperte, è quaterno, inoltre quattro sono i punti
cardinali, cioè il mondo, mentre il quinto punto è il trascendente,
il cerchio è linfinito, e il quadrato è il terreno,
il definito.
Il Lied
è fatto di quattro strofe di quattro
versi ciascuna, e a esse corrispondono quattro strofe musicali uguali, fatte
di quattro frasi ognuna, una per ogni verso, le prime tre separate da una
pausa, mentre la terza e la quarta sono congiunte; esse si comportano come
frasi di un preludio corale bachiano: sono infatti composte da una ampia
introduzione strumentale, ampia dato il metronomo lento, e poi dallalternanza
di frasi vocali e di successive zone pianistiche; ci viene in mente il preludio
corale bachiano perché la frase, già peraltro rarefatta entro
il tessuto musicale, è soltanto un rivestimento del pianoforte, una
sorta di coagulo conseguente delle sue parti polifoniche, in quanto la voce
galleggia su di esso raddoppiandone semplicemente alcune note. E ciascuna
delle quattro frasi cadenza a un grado diverso, la prima al V grado, la
seconda al VI, la terza al III, e soltanto la quarta cadenza al I, cioè
a si bemolle maggiore, quasi a indicare i quattro punti cardinali delluniverso
umano di cui le lacrime sono spina dorsale e questo avviene con serena pacatezza.
Il semplice, però anomalo, contrappunto a quattro
voci, che si allarga a corale, racchiudendo in sé a tratti le frasi,
che ne sono parziale raddoppio, senza alcuna autonomia melodica, fa sì
che questo non sia un Lied imperniato sulla melodia, bensì
un contrappunto a quattro del pianoforte che finisce ogni volta in una frase
di corale, la cui voce superiore è raddoppiata dalla voce che pronuncia
il testo. Un Lied simbolico: potrebbe iniziare un intero capitolo
sul pianto, che qui viene sacralizzato in una cornice pacificata, con suprema
eleganza espressiva. Un profluvio di lacrime musicalmente esperito con felicità
ineffabile.
Nel marzo del 1828, a soli otto mesi dalla morte, Schubert
accostò per la prima volta le liriche di Ludwig Rellstab, cominciando
con Auf dem Strom,
Lied per voce di tenore, corno in mi e
pianoforte, che fu eseguito nel concerto monografico del 26 marzo, con il
cantante Ludwig Tietze e il cornista Josef Rudolf Lewy, il compositore stesso
al pianoforte, e fu pubblicato postumo con numero dopera 119. Esso
consta di tre lunghe strofe ed è un canto daddio allitaliana.
Impropriamente chiamato Lied, è quasi un poema che dura il triplo
dei normali lavori schubertiani di questo genere, circa 11 minuti. Lanalisi,
nel nostro caso, se non da escludere, è da accostare in punta di
piedi, ché rischierebbe duccidere la musica, che avvince e
commuove. La stupefacente economia formale, la compresenza delle funzioni
armonica e melodica di straordinaria linearità e nitore, la dolcezza
travolgente del canto, affidato a turno ora alla voce, ora ai due strumenti,
ne fa un Lied sui generis da ascoltare soltanto, unesperienza
emotiva da seguire con lanima, prima ancora che con lorecchio.
Non vi sono appariscenti strategie espressive, tutto si svolge come un empito
del sentimento che trova da sé la sua forma, senza fatica, segno
di magistero padroneggiato in modo assoluto. Ancora una volta i versi, ardenti
di passione, incontrano, con la mediazione della memoria lirica e musicale,
un compositore che sa dire più del poeta. Nelle parole, ricordi struggenti
che coinvolgono in Schubert lartista e luomo, consentendogli
di dire ciò chè ineffabile, esprimere linesprimibile.
E lempatia dellascoltatore con il musicista è totale.
Tutto scorre come la corrente, come la nave che si allontana, come lavvicendamento
delle memorie, con lo sguardo che si stende dalle rive in fuga alle stelle
benigne, un tempo pietose guardiane dun amore perduto, così
come dinanzi agli occhi di Schubert ormai fuggiva la vita. Un addio struggente
che però si placa in assoluta serenità creativa. Ladesione
al testo è perfetta, ma la musica al solito va oltre.
Una lunga introduzione di sedici battute, animate dal dialogo
dei due strumenti, e alla diciassettesima entra la voce sulla terzina discendente
della mano destra. Nel corso del Lied avvincenti interludi del pianoforte
con il corno in eco. Lequilibrio fra voce e strumenti è straordinario,
né stupisce, dal momento che in quei mesi tristi nasceva la Sinfonia
in do, in cui limpiego del corno è fondamentale e lorchestrazione
sapiente e raffinata.
Lacqua, praticamente protagonista del testo, non
ha immagini musicali corrispondenti, non cè nulla di acquatico
nellarticolazione della voce e del pianoforte, la musica si limita
ad arpeggi ascendenti o discendenti e ad accordi ribattuti. Il corno non
ha alcuna parte autonoma rispetto alla versione per voce e pianoforte, ma
incarna la dimensione della nostalgia leggendo solo la parte superiore,
a volte quella interna, mai la grave della scrittura pianistica. Alcune
note che sarebbero del pianoforte passano al corno, in qualche caso esso
raddoppia la parte della tastiera o introduce la voce umana. Il corno è
segno della malinconia conseguente alladdio. Ricordiamo al lettore
che, allepoca di Schubert, il corno del postiglione dava il segnale
della partenza della carrozza a cavalli.
Il Lied
è una specie di poema della partenza
sullacqua e dice allinizio: «Prendi gli ultimi baci di
commiato» su pedale di tonica, mi maggiore, con il corno che sembra
oggettivare la malinconia chè interna alla voce del pianoforte.
La struttura formale è affatto particolare. e merita
di essere delineata. Il tradizionale modello A-B-A è qui sostituito
da una continua divisione binaria degli elementi. Innanzitutto la vasta
forma complessiva è divisa in due parti tra loro identiche, A-A
quindi, cui si aggiunge soltanto una coda di ventiquattro battute del tutto
nuova dal punto di vista tematico, cosa questa piuttosto originale, quasi
fosse una chiusa, una firma, un post scriptum musicale. La grande
zona che vien ripetuta è a sua volta divisa in due parti che chiameremo
a e b, in quanto fortemente differenziate da tutti i punti di vista, melodico,
tonale, articolativo: in a la parte pianistica è basata su ripetuti
arpeggi; in b su accordi ribattuti; a è in mi maggiore, b in do minore;
a, poi, è a sua volta divisa in due zone, che indicheremo come
,
differenti sia sul piano tematico, sia su quello tonale. E qui osserviamo
di nuovo quel percorso romantico che si esplica con il gioco del giro delle
terze minori, dellarmonia assiale, per cui a una tonalità maggiore,
nel nostro caso mi, si apparenta il suo minore, mi, eppoi il relativo maggiore
di questultimo, sol. Infatti il Lied
comincia in mi maggiore
e tale si mantiene nellintroduzione strumentale e per i primi cinque
versi del testo, poi alle batt. 26-28 il collegamento pianistico con pedale
di dominante di si risolve in mi minore e comprenderà due versi,
quindi con gli ultimi tre passerà al relativo maggiore di mi, cioè
sol, a battuta 34. E questo è quel percorso per terze minori basato
su unalternanza trasposta di toni maggiori e minori, caratteristica
del periodo romantico che con Schubert scopre il suo meraviglioso orizzonte.
La parte b viceversa è divisa a sua volta in due
zone che indicheremo come
in quanto la seconda ripete interamente la prima; anche qui il giro tonale
procede per terze minori. I primi tre versi sono in do diesis minore (la
terza minore inferiore al mi), poi si passa attraverso il mi maggiore e
si sfocia nel do diesis maggiore del quarto, per subito approdare di nuovo
al do diesis minore che conclude la strofa. Complessivamente lo schema formale
è il seguente:
Otto parti quindi, con un ricco gioco interno di elementi
nuovi e di ritorni.
Per quanto riguarda lo schema armonico è da notare
che, stabilito il perno di mi maggiore, la parte a si aggira sulla terza
minore ascendente sol e la parte b sulla terza minore discendente do diesis.
Lassenza di un episodio B centrale è compensata,
per così dire, dalla novità tematica della coda, quasi un
B eccentrico; tale coda, tutta in mi maggiore, è interamente basata
su un pedale di tonica proporzionale allampiezza del
Lied e stabilizza
definitivamente il tono.
Ovviamente un discorso sullacqua come luogo della mente
in Schubert [4] non può escludere,
dopo lesemplificazione di questi Lieder, assai diversi tra loro
e splendidamente variegati, i Lieder dei tre grandi cicli,
Die
schöne Müllerin, Winterreise e lo
Schwanengesang, ma
ciò non può esser contenuto in un solo articolo; richiede
infatti un saggio a parte, complemento ideale del presente lavoro
[5]
.
|