Andrea Kong Maggia
Il processo improvvisativo


Introduzione

La nostra indagine si propone di osservare e riflettere sulla linea di confine tra ciò che accade nel continuum temporale e ciò che è, dove l'imprevisto è di casa e dove possiamo dire che si genera, in senso proprio, l'improvvisazione. In un certo qual modo una riflessione sulla contrapposizione fra la nozione di processo e quella di struttura attraverso i modi dell'improvvisazione. Per far questo, essendo l'improvvisazione un atto immanente nel tempo, ci rivolgeremo alle pratiche in cui essa assume una specializzazione. Sappiamo esserci degli ambiti che hanno esperienza della pratica improvvisativa: primariamente nella musica, dove l'accadimento istantaneo, la creazione sull'estro del momento subisce una forte rivalutazione e acquista significati particolari. A questi noi ci rivolgeremo. Precisiamo che la particolarità di questa ricerca è proprio il campo d'indagine che si propone. L'improvvisazione per sua natura costitutiva, come abbiamo accennato, è qualcosa che principalmente accade e che poco si presta ad una classificazione. Oltremodo l'atto improvvisativo in sé è qualcosa d'evanescente, effimero e transitorio, che possiamo ben dire antitetico a una rigorosa teoria scientifica che, invece, è tanto più valida quanto più riesce a predire con esattezza l'evento oggetto d'indagine.

Questo fa sì che l'improvvisazione in sé sia qualcosa che non si studia, perché semplicemente accade, e dunque non lascia traccia. Dato il carattere "istantaneo" dell'atto improvvisativo, diviene difficile e forse anche paradossale rintracciare materiali e studi che a esso si riferiscono. È invece possibile trovare dei percorsi, delle esperienze consapevoli, quando l'improvvisazione acquista la peculiarità di un atto che specializza una forma. Allora l'improvvisazione è musicale, teatrale, anche pittorica: spesso un'accezione di una disciplina artistica o comunque di un ambito dove libertà e creatività sono fortemente richieste. Acquisisce un passato che la solleva dall'attimo per storicizzarsi e in questo senso può essere studiata e compresa, ma sempre in riferimento ad una disciplina che la contiene.

Anticipiamo che il testo che segue si preoccuperà maggiormente dell'improvvisazione in sé, ma attraverso una particolare lettura di alcune sue specializzazioni, come aree di ricerca in cui possiamo effettivamente riscontrare cosa accade in atti improvvisati che hanno un più alto grado di consapevolezza. Dunque, all'inizio, proprio come farebbe un improvvisatore, dobbiamo guardare alla sua essenza, consci di aver di fronte un campo aperto, libero, avulso da ogni struttura e di carattere eminentemente temporale. Per affrontare questo problema, in apertura, tenteremo un'analisi che ci consentirà d'individuare le due categorie principali del processo improvvisativo, il tempo improvvisativo ed il campo improvvisativo. Conseguentemente, in queste categorie, definiremo le costanti che sempre partecipano all'atto improvvisativo in sé. Questa "metodologia", ci darà modo di agganciare l'evanescente improvvisazione agli atti di chi ha fatto di questa pratica una "forma espressiva", permettendoci di riflettere ed analizzare l'improvvisazione in sé in riferimento a performance improvvisative date. In questo senso abbiamo ritenuto che la musica avesse maggior voce in capitolo, ma ricorreremo anche ad altre forme d'arte, come la pittura di Jackson Pollock, che sarà particolarmente indicativa quando trattermo il campo improvvisativo.

Aggirato, in un qual certo modo, il problema dell'istantaneità dell'accadimento improvviso, introdurremo la performance improvvisativa che fa da sfondo a questa ricerca. La performance che proponiamo in questo lavoro come quadro di riferimento è Free Jazz di Ornette Coleman, storica incisione e "manifesto" della libera improvvisazione jazzistica(Ornette Coleman, Free Jazz, a Collective Improvisation by The Ornette Coleman Double Quartet, Atlantic 1364, New York 1961). Qui metteremo in relazione le categorie individuate all'inizio, il campo improvvisativo e il tempo improvvisativo, con la performance di Ornette Coleman. Vedremo come gli elementi spaziali che ineriscono all'improvvisazione in ambiti in cui essa è fortemente voluta si connotino strutturalmente. In seguito cercheremo di comprendere la particolare accezione temporale propria di un processo improvvisativo, il flusso temporale, riferendola a ciò che accade nella performance di Coleman. Che la musica sia innanzi tutto e perlopiù un'arte temporale è cosa risaputa, vedremo come nell'improvvisazione il tempo subisca un'ulteriore trasformazione, attraverso un movimento che va dall'interno verso l'esterno, dal soggetto all'ambiente. Certo col termine improvvisazione possiamo forse dare una vaga idea di quella particolare temporalità in cui le "cose avvengono istantaneamente", ma perlomeno possiamo intenderci su una zona, definire una prima area di ricerca e così rilevare che l'improvvisazione tende per sua natura costitutiva ad esimersi da ogni rigida definizione. Dunque il nostro procedere all'interno di questa pratica, (perché, in definitiva, l'improvvisazione è sempre un atto del soggetto) non è certo da intendersi come uno studio rigorosamente fondato e saldamente radicato su un sistema normativo di leggi e definizioni, ma piuttosto (e proprio per la natura specifica dell'oggetto d'indagine) come semplice indicazione di un area di ricerca di gusto squisitamente temporale. Una sorta di "improvvisazionismo", dunque, in cui ci avventuriamo con la dovuta cautela e speriamo con la necessaria modestia, cercando di far luce attraverso la riflessione di una pratica che ci ha da sempre affascinato per il suo alto contenuto creativo.

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