|
| Kurzgeschichte |
Genere narrativo affermatosi negli anni cinquanta e sessanta del Novecento, la Kurzgeschichte, benché il suo nome ne sia in pratica la traduzione, non può essere identificata automaticamente con la short story americana, benché da essa abbia desunto non solo la brevità, ma anche lo stile asciutto ed essenziale. Con il nome di Skizze o di Novellette si era infatti già andato afferamndo a cavallo fra Ottocento e Novecento un genere narrativo che aveva per sua specifica peculiarità la concisione. Fra i modelli a cui si rifacevano questi brevi brani in prosa si possono ricordare gli aneddoti di Heinrich v. Kleist e le Kalendergeschichten, le storie da calendario in voga nell’Ottocento, di cui fu campione Johann Peter Hebel (1760-1826). Il suo Schatzkästlein des rheinischen Hausfreundes [Tesoretto dell’amico di casa renano, 1811] è una raccolta di brevi racconti e bozzetti, pubblicati prima come storielle da calendario. Intorno al 1900 furono molti gli scrittori che si dedicarono a forme di prosa breve e brevissima e si affermarono soprattutto in epoca impressionistica, essendo l’Impressionismo cultore dell’attimo, dell’intuizione fulminea e momentanea, del lampo improvviso. Gli autori del cosiddetto “finis Austriae” scrissero tutti schizzi e bozzetti e novellette: si pensi a Peter Altenberg (pseud. di Richard Engländer, 1859-1919) e alle sue storielle fugaci ed evanescenti, per esempio quelle del volume Wie ich es sehe [Come la vedo io, 1896], raccolta di componimenti dallo stile telegrafico, che mirano a tratteggiare “una persona in una frase, l’esperienza di un’anima in una pagina, un paesaggio in una parola”. Si tratta di compatti psicodrammi, schegge narrative, i cui titoli somigliano a titoli di quadri (Blumen-Korso; Im Volksgarten; Der Landungssteg; Spätsommer-Nachmittag; Herbstabend) e illustrano splendori e miserie della società viennese prima della catastrofe della Prima Guerra Mondiale. Analogamente Arthur Schnitzler (1862-1931) è autore di molti brevi racconti, soprattutto all’inizio della sua carriera di scrittore, che gettano uno sguardo disincantato negli ambienti ipocriti e codini della buona borghesia di Vienna. Schnitzler, medico attento alla psicologia del profondo oltre che scrittore, sottopone qui la realtà che lo circonda a una critica sottile e impietosa. Fra i suoi racconti brevi scritti negli anni ottanta dell’Ottocento si possono menzionare Ekzentrik [Eccentricità], imperniato sulle confidenze di un bonvivant a un amico a proposito dei molti tradimenti da lui subiti da una cantante del varietà, affascinata da nani, giganti e strani figuri dell'avanspettacolo. Molte poi sono le storie di coppie dall'esistenza a tutta prima ineccepibile, il cui legame risulta di fatto fondato sulla menzogna e sul tradimento (si vedano, per esempio, Der Witwer [Il vedovo] o Der Andere [L'altro]). Oltre che sul binomio Amore-Morte, tanto caro alla letteratura dello scorso fine secolo, Schnitzler riflette anche sul ruolo dello scrittore come per esempio in Welch eine Melodie [Che melodia!], ritratto di un dilettante che diventa famoso con una partitura musicale scritta da un altro non professionista e che lui ritrova per caso nel bosco. Al centro di queste storie ci sono individui con i loro tormenti e i loro turbamenti, spesso con le loro turbe psichiche. Mentre le storielle di Schnitzler sono sostenute, pur nella loro sostanziale amarezza, da una levitas che stempera il tratto tragico nell’ironia, più inquietanti e angosciosi sono alcuni brevi componimenti del tormentato Franz Kafka (1883-1924). Fra questi Der Hungekünstler[Il digiunatore, 1922], personaggio da baraccone, per il quale l’astensione dal cibo è un modo – come l’anoressia – di attirare su di sé l’attenzione del prossimo. Digiunare per lui è un’arte, ma il pubblico non lo capisce e lo apprezza soltanto finché il suo rifiuto del cibo fa sensazione. Quando l’astinenza diventa fatto costante, norma, il digiunatore è abbandonato a se stesso, lasciato solo a morire in una gabbia come un animale. Questo breve racconto è metafora per la condizione dell’artista puro, la cui arte è mortale e richiede sacrifici totali. Già più vicini alla Kurzgeschichte come la si intende oggi sono invece molti degli elzeviri di Joseph Roth (1890-1939), che si guadagnava da vivere facendo il giornalista. Esemplare in questo senso è il Berliner Saisonbericht, raccolta di pezzi giornalistici scritti fra il 1920 e 1939, pubblicati per la prima volta nel 1984. Molti dei pezzi sono schizzi, aneddoti, episodi, bozzetti, in una parola storie brevi, ossia “kurze Geschichten”. L’acuta capacità d’osservazione e la totale assenza di toni sdolcinati trasformano questi articoli, che illustrano in poche frasi i problemi legati alla fine della Prima Guerra Mondiale (miseria, carenza di alloggi e di lavoro), in una galleria di immagini della Berlino degli anni della Repubblica di Weimar, presentate spesso come singolari storie individuali. Lo stesso si può dire di molti pezzi giornalistici di Kurt Tucholsky (1890-1935) o di Egon Erwin Kisch (1885-1948). Mentre questi brani del giornalismo più alto degli anni venti e trenta traevano di solito spunto dalla cronaca quotidiana e frugavano soprattutto fra le miserie delle classi meno abbienti e meno fortunate, la Kurzgeschichte vera e propria, così almeno come essa viene intesa di norma nelle storie della letteratura, si afferma soltanto alla fine della seconda guerra mondiale e assume caratteristiche fisse, a tratti anche assai diverse dalle forme analoghe di prosa che l’hanno preceduta. Alla diffusione di questo genere narrativo contribuisce ovviamente la possibilità, alla fine della guerra, di poter tornare a leggere quegli autori - William Faulkner, Ernest Hemingway, Thomas Wolfe, Sherwood Anderson, Jack London - che vengono considerati gli antesignani del genere della short story. Come dice il suo nome, la Kurzgeschichte deve essere breve e quindi concentrarsi su un unico fatto o evento; proprio per la laconicità che la contraddistingue, la Kurzgeschichte inizia in medias res, senza preamboli. L’ambiente e gli spazi in cui si svolge sono, di regola, quelli della contemporaneità e della normalità. Il narratore crea nel lettore una tensione che non di rado trova soluzione in un finale a sorpresa, in una pointe che conferisce al brano valore critico e insieme paradigmatico. La Kurzgeschichte è infatti concepita come microcosmo che è specchio di un macrocosmo in cui valgono analoghe storture e assurdità; è “pars pro toto”, riflesso in sedicesimo di situazioni più generali; il suo messaggio non si limita quindi all’episodio momentaneo di cui narra, ma pretende di essere dilatato fino ad assumere un valore simbolico globale. Il finale resta tuttavia di solito aperto, non suggerisce una soluzione precisa e univoca. Anche quando la narrazione è in prima persona, il narratore non si fa coinvolgere e mantiene sempre una certa oggettività e distanza rispetto a quello che racconta: riferisce i fatti senza fare commenti, ma la vicenda che espone trascende la cornice del particolare fatto descritto e assume valore esemplare. Spetta tuttavia al lettore scoprire questo nesso fra il particolare e il generale, tocca a lui compiere questa transizione, perché la Kurzgeschichte si limita a suggerire questo tipo di riflessione, senza esplicitarlo. Piccoli conflitti della quotidianità diventano così segnali indicatori di tensioni ben più vaste e profonde. Anche i personaggi sono ridotti al minimo, non vengono delineati in maniera approfondita sul piano psicologico, né nel corso della vicenda sperimentano sviluppo alcuno, non conoscono “Bildung” nel senso canonico del termine. Il loro mondo interiore è suggerito da gesti, abiti, nomignoli, da una determinata maniera di esprimersi. Lo spazio in cui si muovono questi personaggi spersonalizzati è delineato con un numero di indicazioni minimali e anche in questo caso spetta alla fantasia del lettore assegnare ad esso connotazioni più precise. Il titolo della Kurzgeschichte è spesso allusivo e precise scelte lessicali preparano in qualche modo il lettore all’enigma che spesso si chiarisce solo nel finale. Non c’è scrittore di rilievo che negli anni cinquanta e sessanta del Novecento non abbia scritto Kurzgeschichten, componimenti che tra l’altro, nella difficile congiuntura economica che precedette il cosiddetto boom economico, erano più facili da pubblicare, perché ben si adattavano agli spazi limitati dei giornali, dove spesso uscivano in anteprima singolarmente, per poi essere assemblati senza difficoltà in antologie, destinate non di rado all’uso scolastico. In una realtà sempre più frenetica la Kurzgeschichte, con il suo breve respiro, ben si adattava a un pubblico frettoloso, al quale tuttavia non permetteva di essere distratto e superficiale, perché il suo intento era quello di spingerlo a riflettere su quanto nel mondo continuava a non funzionare. Secondo Wolfdietrich Schnurre (1920-1989), uno dei primi cultori di lingua tedesca di questo genere, la Kurzgeschichte era una sorta di sismografo della situazione sociopolitica successiva al disastro della seconda guerra mondiale, specchio della disperazione e del senso di colpa dei Tedeschi rispetto al recente passato. Sul piano estetico, sempre a detta di Schnurre, la Kurzgeschichte doveva essere incalzante e rinunciare a ogni elemento stilistico superfluo; la sua forza constava nella concisione, nell’azzeramento di ogni dettaglio che non fosse davvero indispensabile. Compressione e riduzione sono in effetti gli elementi su cui la Kurzgeschichte fonda la sua forza di suggestione. Nel componimento Das Begräbnis[Il funerale, 1946] Schnurre descrive per esempio lo sconcerto e l’isolamento di un Io narrante che si trova sul tavolo quest’annuncio funebre: “Da nessuno amato, da nessuno odiato è mancato oggi dopo lunga sofferenza sopportata con celestiale pazienza: Dio”. Nonostante la gravità di questa notizia, il decesso dell’Ente supremo, il mondo intorno al protagonista rimane immerso nella massima indifferenza e procede nello svolgimento delle sue attività quotidiane come se quell’evento non lo toccasse minimamente. Autrice di una serie di Kurzgescichten è anche Elisabeth Langgässer (1899-1950). Nel racconto Saisonbeginn [Inizio di stagione, 1947] essa illustra per esempio l’apertura della stagione turistica in un villaggio dall’aspetto idilliaco, dove tuttavia, all’ingresso del paese, c’è un cartello con la scritta: “In questa località termale gli ebrei sono indesiderati”. E’ un modo per rievocare, in maniera fulminea, la persecuzione razziale dell’era nazista. Non diverso, anche se molto più fortemente autobiografico, è il brano di Ilse Aichinger (Vienna 1921), Das vierte Tor [La porta quattro, 1946], testo il cui titolo fa riferimento all’entrata al settore ebraico del cimitero centrale di Vienna, dove i bambini che negli anni delle leggi razziali risultavano figli di genitori etnicamente non graditi, trovavano fra le tombe l’unico spazio per poter giocare in libertà. Mentre questo breve racconto presenta ancora una trama definita, le successive Kurzgeschichten della scrittrice viennese tendono a diventare sempre più ermetiche, a farsi portavoce di quello stato d’angoscia che attanaglia l’autrice, la quale si sente perennemente minacciata dal pericolo dell’afasia, dell’ammutolimento definitivo. Fantasie febbrili e incubi attraversano i dieci piccoli racconti della Aichinger raccolti nel 1952 con il titolo Rede unter dem Galgen [Discorso sotto la forca], dove l’autrice sostiene nell’introduzione che il rischio a cui è esposto il narratore contemporaneo non è più quello di diventare prolisso, bensì quello di non riuscire più “sotto l’impressione della fine, ad aprire la bocca”. Un mondo al contrario è quello che la Aichinger presenta anche nel breve racconto Spiegelgeschichte {Storia a specchio], che si apre con una morta e si chiude con una nascita. Una donna muore in seguito a un aborto; il suo decesso è accompagnato da voci che commentano la sua agonia, mentre, come in uno specchio essa rivive dall’angolo visuale della fine tutta la propria umana vicenda. Come autore di Kurzgeschichten si impose sulla scena letteraria Wolfgang Borchert (1921-1947) con la raccolta Draußen vor der Tür [Fuori, davanti alla porta, 1946] che stigmatizzava la precarietà del dopoguerra in brevi schizzi, come quello intitolato Brot, in cui la fame induce alla menzogna e alla disonestà nei rapporti interpersonali. Autore di numerose storie brevi Heinrich Böll (1917-1985), esponente di spicco di quella che è stata definita la Trümmerliteratur, la letteratura delle macerie, nel suo testo Wanderer, komst du nach Spa ... [Viandante, se arrivi a Spa ..., 1950] narra di un soldato che riconosce nell’improvvisato ospedale da campo in cui viene ricoverato, il suo vecchio ginnasio e, trasportato lungo i corridoi dell’edificio, tappezzati di ritratti, rivive per flash interi secoli di storia, fino all’avvento di Hitler e allo scoppio della guerra, propagandata anche strumentalizzando slogan tratti dall’antichità classica. Altro romanziere di spicco dei nostri giorni che fu anche autore di Kurzgeschichten è Martin Walser (1927), che intitola Lügengeschichten [Storie di menzogne], una sua raccolta di storielle del 1964, in cui tratta tra l’altro in maniera fulminea problemi di poetica e di stile sotto la veste criptica di un occassione quotidiana e banale. Sigfried Lenz, nato in Prussia Orientale nel 1926 e a sua volta noto soprattutto come romanziere, è anche autore di brevi racconti. Die Lampen der Eskimos [Le lampade degli Esquimesi], è una Kurzgeschichte della raccolta Der Spielverderber [Il guastafeste, 1965], che stigmatizza il contrasto fra teoria e prassi, fra i dotti trattati di uno scienziato che scrive complicati saggi sulle lampade degli Esquimesi e il furbo fabbricante delle stesse. L’astrazione della scienza si scontra con la concretezza vincente della realtà in questo brano che condanna il culto della cosiddetta torre d’avorio come avulso dal mondo e pertanto inutile e insulso. Un industriale, in questo caso produttore di seta artificiale, è il protagonista anche di una Kurzgeschichte di Alfred Andersch (1914-1980): Mit dem Chef nach Chenoncheux [A C. con il capo], tratta dalla raccolta Geister und Leute [Spiriti e persone, 1958]. Al centro del discorso c’è qui la dialettica mecenate-artista, due individui uniti da un rapporto di reciproca dipendenza, ma anche separati da quella sostanziale incomprensione che deriva da due opposte concezioni del mondo, l’una basata sul profitto, l’altra sul culto del bello. A conclusione si verifica l’impossibile simbiosi fra capitale e arte. Un autore sarcastico e mordace come Friedrich Drenmatt (1921-1990) non poteva non subire il fascino della Kurzgeschichte, di cui offre un esempio d’alto livello artistico nel notissimo racconto Der Tunnel [Il Tunnel, 1964], testo incentrato sulle progressive ansie di un giovanotto che non si spiega come mai il treno su cui viaggia resti tanto a lungo nel tunnel del titolo - anonimo come il protagonista -, finché non si scopre che il mezzo di locomozione è privo di autista e di freni e sta scaraventando a velocità sempre crescente il malcapitato nell’abisso. Ossisive come i suoi lunghi romanzi e le sue pièce teatrali sono le Kurzgeschichten di Thomas Bernhard (1931-1989), tese, come la sua opera intera, a dimostrare l’assurdità di un mondo adominato dalla follia, dove non è più possibile distinguere il comico dal tragico e dove tutto precipita nel grottesco. In pratica utti i narratori tedeschi nati negli anni venti del Novecento si sono cimentati, almeno all’inizio della loro carriera, con il genere della Kurzgeschichte. Quel che caratterizza questo componimento breve, come si deduce dagli esempi qui indicati, è dunque la varietà dei temi trattati e insieme la pregnanza, la capacità di suggerire in poche frasi riflessioni su argomenti scottanti e irritanti, vuoi sul piano collettivo, vuoi su quello oggettivo, evitando scivoloni nel sentimentale o nel decorativo.
|