Carlo Serra

Ritmo e ciclicità nella cultura sciamanica


Per
TIM HODGKINSON


Premessa

Ritmo e ciclicità sono due concetti che, musicalmente, possono assumere valenze diverse quando entrano in contatto fra loro. In generale, con il termine ritmo, indichiamo un succedersi regolare nel tempo di suoni, cadenze, movimenti. In termini musicali, questa nozione viene ulteriormente specificata, in molteplici direzioni: con il termine ritmo indichiamo la successione degli accenti e la loro posizione nella frase musicale, oppure, più semplicemente la struttura di una battuta musicale.

All'interno di queste due caratterizzazioni della nozione di ritmo, è centrale l'idea che la parola tenda a designare lo svolgersi di fenomeni secondo un determinato ordine e intervallo. La ciclicità indica le modalità del ripetersi periodico del fenomeno ritmico, e queste ciclicità possono avere andamenti periodici omogenei e regolari oppure presentarsi in modo irregolare o asimmetrico. Queste irregolarità cicliche possono avere un forte significato espressivo, in particolare quando subentrano all'interno di una periodizzazione regolare, modificandola. Si tratta di strutture che rompono una regolarità data e proiettano il discorso ritmico verso delle periodizzazioni irregolari ma riconoscibili. Potremmo parlare di una trasformazione di un ordine dato, attraverso una diversa articolazione degli elementi che lo costituiscono.

In questo modo si passa da strutture caratterizzate ritmicamente da una forte omogeneità interna ad aggregati connnessi fra di loro attraverso un ordine ciclico che ne scandisce i momenti, ponendone alcuni in primo piano rispetto agli altri, secondo un processo di differenziazione interna. Ma questo tipo di situazione tende a trasformare la stessa nozione di ritmo, rimodellandola su quella di ciclicità La periodicità delle strutture cicliche assorbe l'andamento ritmico, ne ricostituisce la funzione a partire dalle proprie regolarità interne, le dispone sul piano temporale secondo la propria articolazione. Si tratta quindi di un problema che ha a che fare con la strutturazione stessa dell'idea di ritmo, con l'andamento delle sue possibili varietà a partire dalla disposizione degli elementi che ne costituiscono l'articolazione ed il possibile riconoscimento a livello percettivo. Nella musica degli sciamani siberiani è possibile incontrare questo fenomeno all'interno di una cultura che ha una visione magica del mondo della natura.

Nel saggio seguente ho cercato di trattare il tema a partire da un denso scritto di Tim Hodgkinson sulla dimensione ritmica della musica degli sciamani siberiani (Improvised Music and Siberian Shamanism). Per far questo ho cercato di presentare le relazioni fra improvvisazione e pratiche sciamaniche a partire dal punto di vista dello stesso Hodgkinson, ampliandone i riferimenti in una discussione dei problemi connessi alla dimensione della spazialità all'interno della performance, andando oltre l'analisi della ritualità dello stesso Hodgkinson ma non uscendo dai suoi presupposti.

In un secondo momento ho cercato di mettere in primo piano il significato espressivo che può assumere l'irregolarità ritmica all'interno delle cerimonie sciamaniche. L'idea che sta sullo sfondo è quella che il venir meno della regolarità ritmica in una cultura che tematizza in modo molto esplicito una interpretazione ciclica della componente magico-naturalistica nella propria ritualità, abbia un potente significato simbolico che permea di sè alcune pratiche musicali costitutive delle cerimonie con il tamburo. Il vero oggetto è la funzione simbolica del ritmo nella rappresentazione metaforica del concetto di natura, una rappresentazione che nella cultura sciamanica trapassa in direzione del magico a partire da un piano dell'esperienza in cui le regolarità sono ampliamente esplicitate verso una caratterizzazione dalle forti irregolarità interne.

Queste irregolarità vengono ad emergere nel cerimoniale sciamanico attraverso un uso libero della componente ritmica, che si sviluppa in modo imprevedibile attraverso l'esibizione di una musica che è attraversata da grandi polivalenze ritmiche.In questo modo la discussione ha toccato una possibile caratterizzazione semantica di quella esperienza musicale, a partire dalla constatazione che gli autori che hanno studiato il fenomeno parlano di una riconoscibilità della struttura ritmica di quelle musiche, meglio di una sua centralità.

Si tratta, naturalmente, solo di un commento, ma è stato possibile fare delle osservazioni su alcuni strumenti metodologici utilizzati da Tim Hodgkinson, in particolare su alcuni problemi di senso dell'esperienza della natura e della ritualità. D'altra parte, nel momento in cui si è affiancata all' interpretazione di Hodgkinson la ricca analisi etnomusicologica del saggio di Rouget "Musica e trance", non è stato possibile non sviluppare alcune riflessioni sul metodo utilizzato in quell'opera, a partire dalle stesse problematiche sviluppate dall'improvvisatore inglese.

Nel corso della discussione diventa centrale il problema delle ciclicità ritmiche. Tale aspetto della musica siberiana viene utilizzato da Hodgkinson come uno spunto per una serie di riflessioni teoriche sull'esperienza della musica, che tendono a trasformarsi in una serie di impegnative tesi di tipo analitico. Per questo motivo, il commento dovrà soffermarsi criticamente su alcuni presupposti ermeneutici che hanno una ricaduta notevole sulla ricostruzione della nozione di esperienza della musica in relazione al mondo del sacro. Il radicalismo che muove Hodgkinson, lo spinge a prese di posizione che hanno una presa profonda sul tema della funzione del ritmo nella musica che accompagna la trance dello sciamano. Il concentrarsi dell'autore su questo tema tende a lasciare in ombra numerosi aspetti della cerimonia, che vanno dalla dimensione vocale a quella della danza, prese in considerazione solo rispetto al loro correlarsi alle tematiche inerenti al ritmo. Questa prospettiva nasce dalla esigenza di confrontarsi, in primo luogo, con le peculiarità dell’approccio improvvisatorio alla dimensione della ritualità. Per questo motivo, nella seconda parte di questo commento, ho cercato di mostrare come l'impostazione di Hodgkinson si possa integrare ad una prospettiva più strettamente etnomusicologica, quale è quella offerta da Gilbert Rouget, e possa in qualche modo metterne in luce aspetti problematici, proprio per il suo partire da una profonda comprensione della dimensione musicale del problema della ritualità. In questo modo la discussione è venuta allargandosi in direzione di un versante etnomusicologico più stretto, per tentare di vedere quali elementi comuni potessero presentare linee interpretative così lontane.

E’ stato piuttosto curioso trovare una gamma di punti di contatto fra i due approcci, che partono da posizioni radicalmente diverse a livello metodologico, ma si incontrano nel mettere in mostra la centralità che assume la dimensione metaforica della nozione di ciclicità all’interno di simili rituali. In tali ricostruzioni gli autori tendono a indicare delle prospettive simboliche di notevole suggestione: di qui l’esigenza di una serie di discussioni, che sono state accennate all’interno del commento.

Per questo motivo, è stata messa in primo piano, oltre alla nozione di ciclicità, esplicitata con frequenza dagli autori, quella di poliritmia, che viene solitamente messa in secondo piano quando si parla dello sciamanismo siberiano, ma che ha il pregio di evidenziare alcuni assi portanti del concetto di scansione ritmica presente in questa musica. In particolare, parlerei di una poliritmia di tipo orizzontale, basata non tanto sulla sovrapposizione di metri e di ritmi, ma su una sorta di succedersi irregolare di ritmi diversi in una struttura di tipo ciclico.

I

Non è raro che un improvvisatore cerchi di documentare attraverso scritti teorici fasi specifiche della propria ricerca o momenti della propria produzione musicale. È già meno frequente imbattersi in una proposta di tipo teorico più articolata, che cerchi di scendere più nel dettaglio delle pratiche musicali, quasi che il momento analitico che si lega ad una produzione musicale di tipo improvvisatorio dovesse essere nascosto dietro a dichiarazioni di tipo genericamente "poetico" o su di una presunta estemporaneità della performance, a cui è spesso difficile credere. D’altra parte, non possiamo negare che, quando l’improvvisatore cerca di richiamare sulla propria produzione teorica l’interesse della critica, questa si comporta in modo assolutamente insufficiente a caratterizzare o a valorizzare ciò che l’improvvisatore propone come riflessione sul proprio lavoro: l’esempio caratteristico è la relativa mancanza d’interesse che ha accolto gli scritti teorici di Anthony Braxton, o la scriteriata adesione alle dichiarazioni programmatiche degli improvvisatori, i quali tendono spesso ad esprimersi con un linguaggio di origine poststrutturalista, che spesso rassicura la critica, nel quale si avverte più di un disagio teorico, legato all’uso di parametri linguistici che tendono ad allontanare sensibilmente il significato di una pratica che, nella sua fluidità, soffre molto quelle categorizzazioni così rigide. Di fatto, in questo panorama, l’articolo di Tim Hodgkinson Improvised Music and Siberian Shamanism sembra aprire una prospettiva abbastanza inedita in ordine al metodo elaborato nelle ricerca, anche se non riesce ad evitare alcuni equivoci, su cui mi vorrei soffermare alla fine, in merito alla nozione di esperienza.

In questo testo, Hodgkinson analizza il tema dell’improvvisazione all’interno del mondo musicale degli sciamani, un mondo con cui è entrato in contatto diretto durante una tournée in Siberia, attraverso l’incontro con un gruppo di musicisti locali. Il fatto che preme sottolineare è che questa ricostruzione parte proprio da un problema di pratica musicale, ovvero cerca di individuare con chiarezza la funzione del ritmo nella pratica improvvisatoria degli sciamani. In effetti, su questo problema sono state proposte varie posizioni interpretative, che vorremmo ricondurre ad una generica contrapposizione fra un'impostazione antropologica, che vede nelle oscillazioni ritmiche della musica dello sciamano solo un momento di pura estasi religiosa, rispetto al quale non ha molto senso porsi domande di tipo musicale, ed una prospettiva etno-musicale tutta tesa a cogliere regolarità di tipo ciclico nella scansione del ritmo dello sciamano. È chiaro che entrambe le posizioni hanno numerosi motivi a cui appigliarsi per spiegare i fenomeni musicali secondo la propria prospettiva, e che anzi si possono trovare motivi di interesse teorico in entrambe, e non sono mancati tentativi per trovare spiegazioni del fenomeno che, dall’esterno, hanno cercato di congiungere in una prospettiva unitaria le due possibili vie interpretative.

A sua volta, lo stesso Hodgkinson ha una competenza antropologica che traspare in molti aspetti del suo linguaggio descrittivo, e quindi la situazione dell' osservatore si presenta subito come particolarmente complessa: non è un ricercatore di antropologia in senso stretto, non è nemmeno un etnomusicologo che lavori sul campo ma, un musicista che, spinto da una propria istanza di ricerca, vuole porsi in contatto con una materia estranea, e far valere delle competenze estremamente specifiche a partire dalla pratica improvvisatoria, un campo completamente diverso. Vi è un’altra componente che viene a complicare, e, naturalmente, arricchire il quadro: Hodgkinson non cerca di lavorare su forme di sincretismo linguistico di tipo musicale, il che implica che egli non cerchi equivoci punti di contrasto fra diverse tradizioni musicali, ma cerchi luoghi di vicinanza a partire da pratiche improvvisatorie che hanno un sottofondo comune in una prospettiva di tipo problematico legata alla costituzione di un linguaggio musicale.

La prima nozione che viene rivisitata è quella di ritualità: infatti il contributo di Hodgkinson parte da una discussione sul significato del concetto di trance in musica. Il lettore non si attenda qui una riflessione sul problema in termini generali, in quanto il nostro musicista cerca di spiegare attraverso quali pratiche gli improvvisatori cercano di ritrovare una dimensione di concentrazione e di spiazzamento, rispetto al rituale del concerto. Il parallelismo con le pratiche sciamaniche viene giocato su due piani : quello della crisi e quello della improvvisazione. La tematica della crisi si lega al fatto che lo sciamano giunge alla cerimonia, dopo una lunga fase preparatoria, in cui matura una vera e propria crisi psicologica, che gli permette di entrare in contatto con il mondo degli spiriti. Per poter accedere a questa dimensione, di cui la cerimonia rappresenta il momento narrativo, lo sciamano si trova a rinunciare alla sua personalità comune attraverso una crisi o una malattia. Il carattere improvvisatorio si connette proprio alla dimensione individuale della crisi e della narrazione. Vi è così, una sorta di messa tra parentesi di quelle che sono le strutture consolidate del suo comportamento, allo scopo di poter entrare in una dimensione del sacro che viene teatralizzata.

Muovendo da questa analogia, Hodgkinson racconta il tipo di rituale elaborato dai musicisti: assistiamo, in primo luogo, ad una drammatizzazione della dimensione spaziale del luogo della performance: sin da quando si trovano nei camerini, i musicisti si muovono al buio, cercando di ostacolarsi a vicenda attraverso l’interposizione di oggetti, oppure osservano dei lunghi momenti di silenzio, allo scopo di facilitare la concentrazione, in una sorta di attesa di un momento di inizio del concerto in cui vengano allentati i legami abitudinari di tipo percettivo. Sarebbe facile far notare che questi atteggiamenti ritualistici hanno un significato meramente psicologico, e che questo richiamo alla ritualità nulla aggiungerebbe alla sostanza musicale del discorso, riducendosi ad una propedeutica che non ha attinenza al discorso specificamente musicale. Queste osservazioni, per qualche verso giustificate, ci farebbero però perdere la sostanza del problema, perché il racchiudere questo tipo di ritualità all’interno di uno schema meramente psicologico significherebbe perdere di vista il fatto che il rituale, abbinandosi ad una specifica valorizzazione immaginativa della dimensione del concerto, diventa un momento pregnante della specificità del discorso musicale, specificità che parte da una progettualità in cui la prima nozione che viene rivisitata è la stessa idea di pratica musicale, cui spesso si abbina una drammatizzazione delle potenzialità acustiche della sala del concerto.

Il fatto che una pratica improvvisatoria passi attraverso questi rituali indica come il momento musicale attinga ad una immediata metaforizzazione di tipo simbolico del concetto di pratica strumentale e di luogo. Il lavoro preparatorio nel camerino, in una dimensione di allentamento delle strutture di tipo percettivo, è una sorta di momento preliminare di tipo psicologico all'avvio di quelle pratiche sonore.L'idea che una prefigurazione dello spazio circostante in un camerino divenga una propedeutica preparatoria al concerto porta in primo piano la nozione di luogo come metafora di uno spazio ricostruito sul piano sonoro: più esattamente, si cerca di ricostruire le cooordinate spaziali attraverso dei riferimanti di tipo uditivo.Sembra così che tutta una pratica musicale attinga a delle funzioni immaginative che comprendono, in modo evidente, anche il luogo del concerto, non meno delle pratiche musicali stesse. Una alternativa di tipo sociologico, che portasse a vedere in queste pratiche una forma di teatralizzazione estrinseca, non potrebbe cogliere la ricaduta molto specifica che queste pratiche hanno sul terreno puramente musicale. L'analisi dello spazio sonoro, o la pratica di manipolare i volumi a partire dalle potenzialità acustiche di una sala non sono, evidentemente l’estrinsecazione di procedimenti meramente fisico-acustici: dietro a questo aspetto ineliminabile nella costruzione dei suoni, se ne cela uno non meno importante: la possibilità di manipolare e di accedere direttamente alle possibilità acustiche di un luogo, cioè di manipolare il rumore, rimodellandolo a partire dalla forma di una parete, senza porsi, necessariamente, alla ricerca di un suono che sia semplicemente funzionale a livello ricettivo, oppure studiando la possibilità di costituire durate specifiche nella manipolazione dell’onda, oppure cercare una prospettiva da cui far emergere progressivamente i caratteri di profondità di un suono, o di appiattirl: si tratta di un insieme di pratiche in cui la componente fisico-acustica legata all'equalizzazione di un ambiente entra in un rapporto di tipo dialettico con le potenzialità immaginative legate all'alterazione artificiale del suono, a partire da una radicale discussione del rapporto fra suono e rumore.

In qualche modo, la dimensione ricettiva legata all'ascolto, il concentrarsi sul luogo del concerto come cavità risonante, riporta un dato empirico verso una interpretazione fenomenologica[1]. Il momento preparatorio del concerto in camerino, si scinde così in due momenti, in cui una riflessione sul musicale, si connette ad una riflessione sulle possibili condizioni di ricettività della musica, di valorizzazione preliminare del momento della ricezione. La riflessione preliminare al concerto, in questa dimensione rituale, è una sorta di rassegna delle possibili configurazioni problematiche che si connettono, in primo luogo, alla dimensione dell'ascolto. All'interno di questa riflessione, diventa pregnante una messa in discussione di quella che la stessa pratica strumentale, dal lavoro sulle accordature a quello sulle tecniche. Il momento improvvisatorio parte con una radicale messa in discussione del mondo delle pratiche strumentali in senso lato: si progetta una performance in camerino, avviandosi ad una sorta di rassegna di strategie strumentali, spesso non ortodosse, per introdurre elementi di varietà nella dimensione improvvisatoria.

La dimensione di ricerca timbrica diviene una ricerca sul rapporto fra suono e rumore, indebolendo, per quanto possibile, questa fondamentale distinzione, in una direzione di tipo espressivo, in cui il momento del rumore viene valorizzato come metafora del recupero di una dimensione materica.

L’idea del concerto improvvisato come percorso immaginativo viene ulteriormente suggerita dalla metafora della mosca cieca, che qui viene a subire una caratterizzazione potente: si propone di immaginare la preparazione al concerto come uno smarrirsi in un luogo sconosciuto ad occhi bendati. Anche qui il senso complessivo dell’esperienza non va appiattito in una prospettiva banalmente psicologica, vale a dire che il percorso non viene effettuato grazie ad un generico richiamo ad altre facoltà, ma che il senso di un percorso di tipo visivo permane, naturalmente, anche con gli occhi bendati. Questa immagine, che fa sempre capo alla dimensione rituale, ci proietta verso l’uso, spesso non ortodosso, delle diverse tecniche strumentali nella musica improvvisata, un uso che spesso si cerca di distinguere dalle pratiche strumentali più ortodosse, proprio per la estrema duttilità della ricerca sui materiali[2]. Il parallelo, giocato con grande incisività, non impedisce ad Hodgkinson di utilizzare espressioni ingenue, a volte fuorvianti, ma ci prepara significativamente a quello che sarà il suo approccio alla musica degli sciamani, fermo restando il salto fra una prospettiva di tipo estetico ed una dimensione di tipo religioso. Anche su questa distinzione, fatta in relazione ad una pratica musicale, non sarà possibile non spendere qualche osservazione critica, perché risulta fin da ora come la stessa impostazione dell’autore non permetta una distinzione meramente d’uso fra due tipologie musicali, a pena di notevoli contraddizioni.

La domanda da cui muove la ricerca di Hodgkinson sembra essere quella di focalizzare una possibile correlazione fra l’attività della sciamano e quella del musicista. A partire dall’esperienza del free jazz, infatti, la caratterizzazione di tipo ritualistico è divenuta oggetto di numerosi tentativi di rivisitazione poetica del momento improvvisatorio. Si tratta di una esperienza con cui si è confrontata una notevole parte di quella che è stata l’avanguardia culturale degli anni sessanta: nell'esperienza teatrale come in quella pittorica, il richiamo alle pratiche improvvisatorie si è fatto sentire con particolare evidenza, ed il recupero, spesso in tono sottoculturale, di studi di origine antropologica o psicoanalitica, ha in qualche modo determinato un'atmosfera che nasceva all’insegna di una serie di interessanti esperimenti, in cui la tematica del corpo e della trance, venivano, spesso in modo equivoco, ricondotti alla nozione di improvvisazione. In questo contesto, alcuni musicisti, fra cui Albert Ayler, hanno cercato di ricostruire una nozione di performance musicale, in cui la dimensione ritualistica della musica doveva passare attraverso una rievocazione del carattere stregonesco della cerimonia iniziatica: questo tipo di ricerca comportava la valorizzazione di alcuni elementi della sintassi musicale, e la ricerca di elementi musicali comuni a culture diverse: in questa prospettiva, il recupero e la problematizzazione di forme culturali marginali diventavano un momento importante nella riacquisizione della identità culturale da parte di musicisti che si trovavano a lavorare con materiali relativamente poco valorizzati dal mondo musicale che li circondava. Questo tipo di scelte implicava , da parte dei musicisti, una sorta di lavoro di rievocazione di pratiche musicali del passato, in una prospettiva fortemente idealizzata e metamorfica. In questo senso, vanno rilette quelle operazioni di rivisitazione, spesso problematica, di forme tradizionali, come il gospel o il Rythm and Blues.

Un progetto di recupero di questa portata non poteva che mettere in primo piano forme di sincretismo linguistico, che si legavano ad una tendenza, tipica delle forme improvvisatorie, alla stilizzazione della sintassi musicale. Anche in questo caso, i danni di un approccio sociologico a queste costruzioni musicali si sono fatti sentire in modo pregnante: non aveva senso, infatti, analizzare queste aggregazioni di forme linguistiche diverse attraverso un appiattimento sui criteri di uso, o, peggio ancora, su di un modello di comportamento antropologicamente orientato, senza capire che quelle forme traevano giovamento proprio dal gioco del mettere insieme elementi provenienti da diversi contesti musicali, a partire dalle possibilità grammaticali inscritte negli elementi scelti. L’utilizzo della modalità in Coltrane o l’apertura alla frammentazione ritmico-armonica in Charles Mingus nascevano proprio dal bisogno di appropriarsi, nel modo più spregiudicato possibile, di elementi provenienti da tradizioni musicali diverse, in forza di una progettualità compositiva che le riportava all’interno di un sistema musicale teso a trasformarle dall’interno. In questo modo nasceva una dimensione improvvisatoria al cui interno le regole di costruzione del discorso oscillavano liberamente, scegliendo elementi diversi che ne modificavano la grammatica. L’uso di tecniche diverse, allora, andava in una direzione, che comprendeva un progetto complessivo di assimilazione di elementi stilistici provenienti da grammatiche diverse, in un’ottica di costruzione stratificata dell’oggetto musicale, secondo una procedura di riappropriazione e fusione di stilemi diversi, che connota lo sviluppo del jazz fin dalle sue origini.

In questo quadro, il momento della performance e la dimensione ritualistica tendevano a confondersi. Non è poi fuor di luogo notare come il riappropriarsi della dimensione della Trance, riconnettesse il musicista a pratiche che si erano conservate all’interno della migrazione dei gruppi etnici di cui questi musicisti facevano parte; del resto, un forte richiamo alla dimensione del magico si avverte con evidenza nei racconti di "Jelly Roll" Morton, che ricostruiscono, in prima persona, l’ambiente in cui l’idioma jazzistico si andava sviluppando. Del resto, l’interesse che guidava i musicisti jazz verso il recupero di queste componenti rituali all’interno della loro ricerca improvvisatoria non era ovviamente slegato all’interesse per la costruzione di strutture di tipo formale, che permettessero di dare un ordine di scansione temporale alle loro ricerche: l’utilizzo di una tipica struttura ad arco, con un momento di climax ascendente in cui si potessero raccogliere tutte le tensioni ritmiche o armoniche che accompagnavano la performance, permetteva un andamento in qualche modo prestabilito a tutta quella che era l’organizzazione drammatica della performance stessa. Inoltre, il lavorare sull’ispessimento ritmico, o sul condensarsi degli eventi verso un momento apicale nell'esecuzione, poteva permettere un'applicazione di quel modello anche alla pratica degli assolo, e aprire il discorso verso sfasature dinamiche, che si integravano assai bene nello sviluppo drammatico teso ad un momento catartico, raggiunto il quale la linea discendente della tensione costitutiva del brano permetteva il coordinarsi delle linee sviluppate dai singoli improvvisatori. Da questo punto di vista, il richiamo alla ritualità tende a scivolare sulla possibilità di una costruzione musicale che a livello elementare tende già a muoversi in direzione di una sommatoria degli elementi di possibile sviluppo, attraverso le regole di una struttura architettonica di tipo elementare: non è solo una questione linguistica, ma la scelta di uno schema elementare che permetta una possibile forma di organizzazione degli eventi.

La debole forma di articolazione che abbiamo presentato può non essere l’unico modello improvvisatorio legato alla valorizzazione immaginativa del momento rituale, ma si riscontra con una certa frequenza alla base di moltissime pratiche artistiche di quel periodo, e non sarebbe giusto lamentarsi della sua genericità, che anzi ne garantiva una notevole flessibilità nelle applicazioni e profonde variazioni legate alla possibilità di portare elementi di diversificazione, spostando il focus sulla possibilità di utilizzare una diversa gerarchizzazione degli elementi su cui lavorare: ritmo, intensità, timbro, eccetera.

Hodgkinson, correttamente, tende a diffidare dalla poetica che pone la nozione di ritualità come determinata unilateralmente da questa prospettiva, e cerca di non cadere nella trappola che l’assunzione generica di questi modelli comporta; tuttavia avvertiamo come lo sfondo di problemi tratteggiato fin qui in modo molto generico possa essere alla base di alcune impennate polemiche, da cui lo scritto è percorso: la ricerca improvvisatoria non può appiattirsi su di un parametro, per quanto duttile esso possa essere, e le notevoli ricerche che l’improvvisazione ha svolto a ridosso delle tecniche legate alla musica contemporanea ne sono una prova eloquente. Nello stesso tempo, quel modello ad arco ha continuato ad esercitare una attrazione irresistibile sui musicisti, e verrebbe da chiedersi se poi questa forma elementare debba necessariamente connettersi alla dimensione ritualistica, o se questa dimensione non sia in realtà una potente suggestione immaginativa. Un testo che potrebbe essere consigliato per entrare nello spirito della discussione sullo studio delle pratiche rituali , è il diseguale saggio di Georges Lapassade "Saggio sulla trance", dove una nitida esposizione delle tematiche di una ricerca antropologica sulla ritualità legata alla trance trova un significativo ostacolo nella ridondanza linguistica dell’autore, peraltro molto interessante per delineare il tipo di ricezione che queste analisi del rapporto fra rappresentazione del rito e configurazione della socialità, legate a delle posizioni antropologiche, avevano in quel periodo.I risultati di queste ricerche entravano poi con molta vivacità nel dibattito culturale sulle pratiche artistiche.

Rimane comunque il sospetto che il rifarsi a questo modello non sia tanto legata al fatto che la progressione verso il momento catartico sia un procedimento tipizzante dal punto di vista culturale, ma che questo procedere abbia strettamente a che vedere con la grammatica della possibilità rappresentativa della costruzione drammatica e che, in questo senso, non sia tanto un modello da riconoscere quanto una sorta di regola di costruzione, rintracciabile nelle modalità specifiche della apprensione immaginativa che le varie forme culturali analizzate da Lapassade realizzano all’interno del cerimoniale; questo tuttavia imporrebbe alla ricerca un tentativo di comparazione non tassonomica, ma tesa ad individuare le specificità grammaticali, oltre che le regole generali di differenziazione per modelli culturali. Rintracciare un modello generale è molto importante, ma lo studio delle sue variabili non può ridursi ad un'analisi di tipo contestuale.

II

Una volta richiamati questi elementi, che costituiscono lo sfondo in qualche misura non dichiarato di questa discussione, sarà il caso di delineare il piano su cui Hodgkinson cerca di proporre il suo parallelismo fra dimensione musicale e prospettiva sciamanica. Innanzi tutto, egli tende a costruire un parallelismo tra l’atteggiamento del musicista e quello dello sciamano, nel senso che entrambi ricorrono ad una sorta di capacità di attingere a componenti diverse, a livello di pratiche possibili, nella costruzione dell' esperienza artistica: in questo senso egli parla di "meta-abilità" (meta-skill), intendendo con questo termine una sorta di capacità di orientarsi fra tecniche diverse nel momento della performance.

Già a questo primo livello, ci sembra che Hodgkinson incorra in un equivoco piuttosto pesante: infatti, se la tecnica musicale è un fatto eminentemente linguistico, come sembra ipotizzare il termine usato da Hodgkinson, non si comprende come sia possibile entrare in una dimensione metalinguistica, nel momento in cui si cerca di passare da una tecnica ad un’altra, in quanto si rimane all’interno dello stesso insieme di pratiche linguistiche; in altri termini, sembra che più che ad un corpo di pratiche, a cui la ricerca musicale fa esplicitamente riferimento, Hodgkinson veda il passaggio da una pratica ad un’altra come un problema di competenze di tipo informativo, ed in questo modo rimane aggrovigliato all’interno di una equivoca assimilazione del processo di riflessione musicale sui materiali ad un mero processo di appropriazione linguistica.

La musica non è analizzabile solo attraverso dei riferimenti di tipo linguistico, ponendo sullo sfondo tutto quell'insieme di pratiche che partono da una problematizzazione fenomenologica del materiale musicale stesso, come dimostrano le pratiche improvvisatorie viste all'inizio dell'articolo.Potremmo parlare di un atteggiamento esemplaristico da parte dell'improvvisatore, rispetto alla sua pratica.

L 'improvvisazione, quando elabora dei modelli formali, per inglobarli all'interno delle proprie ricerche, tende ad una sorta di raffinamento del materiale di partenza e delle regole di costruzione attraverso cui riordinarlo. Per questo motivo, nella dimensione improvvisatoria gli schemi costruttivi tendono a presentarsi in modo particolarmente trasparente: si parte da materiali caratterizzati da relazioni immediatamente riconoscibili, la regola si muove a partire da articolazioni che vogliono essere semplici, per poter essere applicate.Ma questa ricerca stilistica, non è una ricerca volta esclusivamente a dei procedimenti di tipo schematizzante, secondo un modello convenzionalistico: si tratta di procedure di tipo costruttivo, in cui la prospettiva grammaticale attraverso cui si guarda alla relazione tra elementi del linguaggio musicale (relazioni armoniche, timbriche, cadenzali o anche rumoristiche) effettua delle scelte a partire da dati fenomenologici, che fanno capo ad un ascolto che cerca le relazioni interne ai materiali, più che a dei criteri classificatori di tipo convenzionale.

Questo vale anche per quella particolare pratica che è la lettura delle partiture.Lo stesso dato informativo si modella a partire da una ricognizione di tipo percettivo. Le competenze informative che costituiscono la pratica musicale, partono da dei dati percettivi che non si riducono ad elementi di tipo segnico, che, al massimo, hanno una funzione trascrittoria, di procedure che si articolano su di un livello diverso: in una prospettiva si confonde una procedura esplicativa con l'oggeto su cui essa si appoggia.La stessa metafora della mosca cieca non si riduce ad una forma di estraniamento linguistico.La cosa colpisce anche perché Hodgkinson ha in mente un parallelo con le pratiche dello sciamano, parallelo che egli in qualche modo vede pericolosamente equivoco, dal momento che non è disposto ad appiattire la pratica magica dello sciamano in una prospettiva di tipo linguistico. Insomma, mentre la competenza musicale dell’improvvisatore potrebbe essere analizzata in termini di semplice competenza linguistica, e questa è una posizione che ha in sé numerose equivocità, quella religiosa dello sciamano se ne sottrae: il problema quindi ha già preso una direzione equivoca, perché se teniamo ferma questa distinzione potremmo, in ultima analisi, incorrere in un pericoloso abbaglio ideologico, relegando la dimensione sacrale della pratica sciamanica in una prospettiva che pone la soggettività all’interno di una visione del Sacro, escludendo qualunque possibilità di riconoscimento di un terreno comune con quella del musicista. Ma, in una impostazione di questo tipo, diventa difficile mettere in parallelo qualunque pratica in generale, in quanto la specificità linguistica chiude ogni ambito di esperienza possibile all’interno di un tessuto che è, in ultima analisi, di tipo convenzionale e tende ad includere ed organizzare ogni tipo d’esperienza all’interno di schemi esclusivamente linguistici. Schemi linguistici che avrebbero un peso eccessivo anche all'interno di una ricerca su una specificità culturale.

Detto questo, dobbiamo ora ricostruire i criteri attraverso cui Hodgkinson cerca di ricostruire l’identità dello sciamano. Il punto di partenza, sembrano essere i fondamentali studi sullo Sciamanismo siberiano svolti da Czaplicka, in cui si cerca di connotare l'identità dello sciamano come una figura intermedia tra mondo naturale e mondo soprannaturale, una sorta di mediatore fra due mondi che sono strettamente connessi fra di loro, in qualche misura fusi uno dentro l’altro. Uno sciamano è colui che, in possesso di alcune pratiche che lasciano spazio, nella loro ritualizzazione a momenti di tipo improvvisatorio, media fra le due dimensioni, più precisamente, le connette esplicitamente. Non è possibile qui addentrarsi nei dettagli della funzione dello sciamano e di quello che è il suo complesso tragitto di formazione, ma bisogna pur dare qualche elemento per comprendere meglio le peculiarità di questa figura.

Innanzi tutto, va subito chiarito che la ritualità sciamanica, ed il conseguente raggiungimento della trance, si muove all’interno di una prospettiva non metafisica, ma fondamentalmente umana. Nella dimensione religiosa del mondo dello sciamanismo siberiano non si distingue fra un livello puramente materiale ed una dimensione spirituale: tutto è percorso da una medesima vita, e così tutto il mondo è percorso da elementi animistici, che si differenziano fra di loro quanto al grado ed alla posizione specifica che occupano nella dimensione magica. In questa dimensione simbolica, il mondo umano e quello animale sono attraversati, e a tutti i livelli, da una dimensione spirituale che si manifesta soprattutto attraverso la pratica magica In questa pratica, gli oggetti stessi vengono ad assumere valenze magiche. Lo sciamano agisce in vista del conseguimento di benefici per l’uomo. La sua funzione è quindi quella di mediare fra dimensione naturale e sovrannaturale, in vista di qualche beneficio per la comunità umana di cui fa parte. Si tratta quindi di un'attività caratterizzata da una forte ambivalenza, in quanto lo sciamano opera all’interno di una comunità che, in qualche modo, lo delega ad una forma di costante mediazione fra elemento magico e momento pratico. In questo senso, la soggettività dello sciamano è, per così dire, sempre in primo piano, perché non si connette solo ad un corpo dottrinale ben organizzato, ma ad un tessuto di pratiche che, in qualche modo, vanno organizzate autonomamente.

È anche per questo motivo che, nei rituali sciamanici, gli studiosi tendono a riconoscere una scansione degli eventi piuttosto libera, con transizioni poco prevedibili da un momento ad un altro. Si tratta, insomma, di una ritualità in cui la scansione degli eventi viene, in primo luogo, a dipendere dalla personalità dello sciamano, dalla qualità delle sue visioni, e dal rapporto che egli ha con le proprie capacità di mediazione con il mondo degli spiriti. Il fatto che siamo all’interno di una pratica magica non esclude così la dimensione improvvisatoria, ma il momento improvvisatorio è già tutto dentro la grammatica di questa esperienza.

Potremmo forse dire che di fronte a questa particolare accezione del Sacro, la componente rituale implica un ausilio immaginativo legato alla dimensione improvvisatoria, e che, in questa direzione, la centralità della posizione soggettiva dello sciamano si trova ad attingere ad un insieme di pratiche e conoscenze la cui articolazione, nella messa in atto del cerimoniale, si avvale di una certa libertà, legata all’emergere della componente magica all’interno del percorso rituale. Il problema con cui Hodgkinson intende confrontarsi è proprio quello della funzione della musica all’interno di questa dimensione del Sacro. La domanda di partenza è così scomponibile in due momenti: in primo luogo se sia possibile individuare una funzione specifica della musica all’interno della ritualità sciamanica, in secondo luogo quale possa essere la forma specifica che la caratterizza (defining quality); in un primo momento la risposta a queste domande viene individuata nella particolare forma di scansione ritmica che caratterizza l’uso del tamburo nel rituale, in quanto nella musica dello sciamano il ritmo sembra cambiare in modo costante ed imprevedibile. Vi è infatti una distinzione fra l’andamento ritmico nelle musiche legate alla dimensione rituale della trance, che sono caratterizzate da un costante intensificarsi del ritmo accompagnato da un continuo incremento del volume (sembra un modo diverso per riferirsi alla struttura ad arco di cui parlavamo prima), ed il libero articolarsi degli accenti nella pulsazione ritmica dello sciamano siberiano; sembra anzi che non si possa parlare in senso stretto di pulsazione ritmica, piuttosto di un procedimento a fasi irregolari, in cui è difficile riconoscere un andamento ritmico legato a regole determinabili.

L’assenza di schemi ritmici, nota Hodgkinson, non può neppure essere spiegata ricorrendo all’idea di una trasformazione costante della metrica per sommatoria, in quanto la distribuzione degli accenti sembra cadere liberamente, generando una sensazione di imprevedibilità.

III

Questo tema ha sempre incuriosito gli studiosi dello sciamanismo siberiano, e vorrei quindi soffermarmici molto brevemente, a partire dal tamburo, che è caratterizzato da un simbolismo piuttosto complesso.

È interessante che, fin dalla sua costituzione materiale, il tamburo si ricolleghi alla funzione di mediazione dello sciamano. Infatti, gli studi etnologici hanno rilevato che il legno della cassa del tamburo, nella credenza sciamanica, è costruito simbolicamente con lo stesso legno dell’albero cosmico, ossia quell’albero che rappresenta il centro del cosmo. La costruzione del tamburo, la selezione dei materiale e, soprattutto, la pratica strumentale richiedono un processo di formazione complesso, legato alla valorizzazione delle capacità spirituali dello sciamano; d’altra parte il tamburo accompagna lo sciamano nell’evocazione degli spiriti, quindi il battimento del tamburo è il fulcro rituale della cerimonia; l'incostanza ritmica va vista all’interno di questa specifica valenza simbolica, che si connota come pratica specifica. In questo senso, nota anche M. Eliade[3] il gesto di battere il tamburo ha la funzione di portare lo sciamano al centro del cosmo. Il tamburo, con il suo ritmo, conduce lo sciamano in un viaggio che viene rappresentato come un percorso di avvicinamento alle radici dell’essere. A livello simbolico, il ritmo del tamburo sottolinea le varie fasi del percorso dello sciamano, e quindi si trova a dover raccontare un’avventura spirituale che non può essere determinata in una configurazione ritmica di tipo rigido, in quanto è in gioco la soggettività dello sciamano, che si misura, diremmo in prima persona, con la dimensione della ascesa al centro del cosmo. Questo aspetto è così importante da permeare anche la ritualizzazione dei legni del tamburo e delle pelli, dato che si tratta di un percorso magico.

In questo senso Hodgkinson spiega di aver ritenuto che la funzione della libera fluttuazione ritmica fosse quella di disorientare gli spettatori per facilitare il momento di identificazione del pubblico con gli spiriti che lo sciamano incontra durante il suo avvicinamento al centro del cosmo. A partire dalla stretta connessione che unisce l’organizzazione del campo nozionale all’esperienza dell' articolazione temporale (questo sarebbe il motivo per cui viene citato lo studio di R. Ornstein )[4], il venire meno della regolarità del flusso ritmico, e quindi della possibilità di riconoscere un’unità di raggruppamento stabile, svolgerebbe la funzione di indebolire i nessi di senso ordinario e di permettere una identificazione con lo sciamano. In questa interpretazione del cerimoniale, ricorda Hodgkinson, avrebbe avuto un forte peso un'equivoca riduzione del problema legata all’analisi del mondo sciamanico secondo prospettive di tipo psicologico. Al tempo stesso, Hodgkinson trova equivoca l'assimilazione delle ritualità sciamaniche al mondo dell'arte.In altre parole, non sarebbe possibile assimilare le pratiche rituali dello sciamano a delle tecniche artistiche, in questo gioca un pregiudizio che tenderebbe a confondere elementi di psicologia dell’arte con una dimensione rituale legata al sacro. Ma già a questo livello, viene spontaneo chiedersi se non sia ancora più equivoco voler mettere da parte un problema legato al senso dell’esperienza della sfasatura ritmica per mantenere una corretta separazione fra momento estetico ed apertura della dimensione del sacro. Risulta infatti difficile dimenticare, anche uscendo da un' interpretazione troppo riduttiva dal punto di vista psicologico come quella suggerita da Hodgkinson a partire dal testo di Ornstein, che in realtà il senso della sfasatura temporale comporta, di per se, un allentamento dei nessi di senso dell’esperienza di un vissuto, in qualunque prospettiva ci si decida di porre. Non è privo di senso che l’alterazione del nesso temporale possa suggerire un disorientamento, uno scompaginamento dell’ordine di relazione degli eventi, al di fuori della componente meramente psicologica dell’esperienza. Su questo lo stesso Hodgkinson sarebbe d'accordo.

Potremmo dire che già questo momento è comune alla performance come alla dimensione rituale, senza perdere nulla della loro differenza specifica. In altre parole, forse il problema non sta nel fatto che la sfasatura ritmica nasca dal bisogno di produrre sul pubblico un "effetto calcolato", ma nella ineliminabilità di questo correlato al momento di quella specifica ritualità, come una sorta di caratterizzazione dell'esperienza della processualità di tipo temporale, che ha luogo nelle soggettività dei partecipanti. Insomma, perché si possa creare un ritmo irregolare, si deve pur avere una esperienza di una scansione ritmica regolare, anche per chi la recepisce, indipendentemente dalle competenze specifiche di chi suona o di chi ascolta A questo proposito, Hodgkinson cita la musica non sciamanica dei popoli sciamanisti. Riconoscere una scansione come scansione irregolare, significa partire dal riconoscimento, più o meno marcato, di una struttura che svolge una funzione ritmica: si tratterà di trovare una metodologia atta a determinarla meglio, ma si parte comunque da qualcosa che è stato riconosciuto.

SCHEMA

 
Propongo questa immagine, non potendo avvalermi di esemplificazioni sonore, per evidenziare come la nozione di ritmo giochi all’interno della nozione di spazio, una funzione d’articolazione del contesto dell’esperienza, che rimane irriducibile alla dimensione linguistica. L’articolazione spaziale del medesimo intervallo, scandita in modo diverso, determina percorsi d’esperienza completamente diversi.

Questa prima obiezione sembra comunque non intaccare l’interesse che suscita la seconda osservazione che Hodgkinson compie quando, dopo aver sostenuto che la fluttuazione ritmica non vuol produrre effetti sul pubblico, osserva che comunque viene implicata una relazione diretta fra lo stimolo sensoriale prodotto dall’attività percussiva ed una "sequenza di stati psicologici" che si coordinano nella mente dello sciamano. In questo senso, gli stati d’animo dello sciamano vengono in qualche modo condotti e regolati dai cambiamenti di tempo e di intensità del ritmo. Qui si aprono diversi problemi, che meritano di essere evidenziati, poiché il coordinarsi degli stati d’animo rispetto alle mutazioni ritmiche, anche se non va ricondotto ad una dimensione puramente estetica, sottintende un'irriducibilità del momento fenomenologico, all’interno della possibilità rituale dello sciamano. Infatti se è possibile comprendere l’atteggiamento di Hodgkinson. nel non voler assimilare questa dimensione della fruizione della musica a quella del concerto collettivo improvvisato, rimane aperta la possibilità che ci si trovi di fronte ad una pratica musicale che se, in qualche modo, viene totalmente riassorbita dall’emergere del magico, a sua volta ne condiziona i modi del manifestarsi.

All’interno di questa dimensione rituale, abbiamo una caratterizzazione immaginativa che all’ascolto di un suono (momento fenomenologico) fa corrispondere un livello di consapevolezza di una trasformazione dell’interiorità in senso magico. Se gli strumenti musicali non si rivelano sufficienti alla comprensione della complessità del fenomeno rituale, tuttavia questa eccedenza di senso si lega concretamente ad una pratica musicale, anche se viene connotata con molta forza verso una dimensione semantica che trova il suo senso compiuto solo all’interno del rito stesso. In questo senso non si tratta di chiudere la dimensione del rituale sciamanico all’interno di categorie analitiche totalmente estranee, ma di rendere conto di un concreto aspetto di un'esperienza che, in qualche modo, è già aperta nella sua dimensione di senso. È possibile allora provare a spingerci oltre, riguardo alla funzione del ritmo. Se la scansione ritmica facilita le identificazioni dello sciamano, tutto ciò mostra che la scansione irregolare viene valorizzata proprio per il suo potere di far accedere alla dimensione di una discontinuità in cui i nessi di senso vengono interrotti, proprio a partire dalla discontinuità temporale che ad essa si correla.

Non è una questione di psicologia del vissuto, ma una pratica rituale che valorizza, a livello immaginativo, la dimensione della discontinuità. In altri termini, non sembra indispensabile appiattire il problema della libera fluttuazione del tempo dal punto di vista ritmico esclusivamente sulla dimensione psicologica della percezione alterata del tempo da parte del pubblico. Il fatto che il ritmo scandisca l’andamento di un brano musicale, ne determini il periodare, ne stabilisca l’articolazione non significa ancora che esso possa essere determinato da una dimensione esclusivamente psicologica, pena la perdita delle sue funzioni specifiche all’interno della sintassi del brano. Non è necessario invischiarsi in opzioni così pesanti di tipo psicologico, vista la dimensione metaforica che gioca a questo livello di analisi.Si dovrebbe invece parlare di una componente espressiva legata all' irregolarità ritmica, e questa componenente espressiva ricade comunque su coloro che partecipano alla cerimonia. E' corretto notare che qui non si parla certamente di pubblico, ma non si può comunque negare che la forte espressività di questa musica crei dei coinvolgimenti collettivi.

Se lo sciamano, battendo sul tamburo, si ritrova al centro di un universo metamorfico, la discontinuità ritmica ne accompagna la possibilità di identificazione con le diverse figure di un mondo in costante trasformazione ciclica. Potremmo definire questa relazione come una relazione simbolica, che parte da un dato fenomenologico di tipo strutturale, in una forma rituale. Lo stesso Hodgkinson non riesce a sottrarsi al fascino di questa prospettiva, quando fa intervenire una serie di categorie esplicative che cercano di ricondurre la dimensione magica dello sciamano alla categoria del vedere, intesa come capacità di avere visioni.Ancora, ad un momento fenomenologico, corrisponde una interpretazione metaforica: avere visioni, a partire dall'atto del vedere, è un emergere di una struttura ermeneutica che solo indirettamente può essere ricondotta all'atto del vedere. Ma questa metaforizzazione, che si stacca dalla dimensione percettiva, fa emergere ulteriormente i legami fra momento percettivo e dimensione metaforica: non possiamo dire che il dato fenomenologico viene ripreso su di un altro livello, ma che si apre una dimensione del Sacro dove la metafora ed il simbolo tendono a muoversi autonomamente rispetto al dato percettivo. Al tempo stesso, alla dimensione della visione, si affianca il momento fenomenologico dell'organizzazione della cerimonia attraverso la dimensione del ritmo.A partire da una serie di colloqui con vari officianti, Hodgkinson. rileva che tutta l’attività dello sciamano si lega alla sua capacità di poter seguire le proprie emozioni, che vengono ricondotte alla descrizione visiva di fasi psicologiche. Anche qui, si cerca di evidenziare come l’attività percussiva sia utilizzata come strumento "psicologico", per intensificare l’evocazione delle immagini da parte dello sciamano, sottolineandone la "valenza emotiva e/o semantica", ed insistendo sul rischio di assimilare questa funzione della musica a livello immaginativo ad una tecnica di tipo occidentale, caratterizzata da un livello di ricostruibilità, passo dopo passo. E Hodgkinson insiste in questa corretta difesa della dimensione magica dello sciamanismo, conducendo un parallelo fra l’attore che recita la parte dello sciamano, ma che è privo di una capacità di evocare visioni interiori, e lo sciamano vero e proprio, che non è nemmeno assimilabile al musicista. Ma questa mancata assimilazione dello sciamano al musicista pone dei problemi, perché se la cerimonia del tamburo fa parte delle pratiche dello sciamano, che ne adotta altre, questa caratterizzazione attraverso il musicale ha un significato specifico, proprio perché si lega ad una interpretazione magica del concetto di ritmo., che richiede l’adozione di tecniche particolari, a loro volta legate alla capacità di alternare misure ritmiche differenziate.

Vi sono alcune descrizioni del modo in cui lo sciamano suona i tamburi, ed una delle più interessanti è quella di Ken Hyder, il batterista con cui Hodgkinson ha effettuato il suo giro di concerti per la Siberia. Egli nota che gli Sciamani fanno un uso estensivo dell'improvvisazione, allo scopo di disorientare il senso del ritmo di chi ascolta, partendo spesso da una scansione di quattro per battuta, tipica degli Indiani d’America. Nello sviluppo dell' improvvisazione, questa base passa sullo sfondo ed il tempo comincia a fluttuare liberamente, attraverso continui accelerando e decelerando; a quel punto del rituale, lo sciamano comincia a far cadere liberamente gli accenti, e questo accentua il senso di sospensione temporale. Mentre suona il tamburo, egli fa oscillare il proprio corpo, ornato di campanelli e pezzi di metallo, che interagiscono così con la libera fluttuazione del ritmo. Se consideriamo che il tamburo, a livello immaginativo, assume il valore del cavallo, comprendiamo meglio come l’oscillazione ritmica e quella del corpo alludano esplicitamente alla migrazione dell’anima dello sciamano. In questo senso, la ritualizzazione attraverso il ritmo indica una specifica via d’accesso al sacro, e si differenzia da tutte la altre cerimonie rituali siberiane. È difficile sfuggire alla suggestione che l’irrompere del ritmo coincida con l’irrompere del sacro, ed abbia una sua gradualità che si rovescia sugli ascoltatori, i quali vengono continuamente sollecitati a riconoscere figure ritmiche, presentate in modo tale da non poter essere individuate in modo stabile.

Nella narrazione di Hyder, si crede di aver individuato una pulsazione e quella cambia, si riconosce un metro e questo metro si trasforma. La capacità dello sciamano di far entrare in collasso la dimensione spazio-temporale del momento della costituzione percettiva è legata ad una tecnica musicale che fa emergere elementi riconoscibili dal flusso ritmico, una tecnica che pratica una grammatica del primo piano e dello sfondo, dell’emergenza e dell’occultamento nel riconoscimento delle figure ritmiche. Questa direzione musicale, che mira all’indebolimento del principium individuationis [5],viene paragonata alla tecnica di Sunny Murray, il batterista di origine pellerossa che aveva lavorato proprio sulla tecnica di scomposizione ritmica già ai tempi delle sue collaborazioni con Ayler [6]. La pulsazione ritmica libera si lega così ad una ciclicità nascosta, ma operante, nella riflessione rituale: così non è esagerato dire che la variazione ritmica diviene la condizione di possibilità per l’identificazione di cui narra il rito. Ne deriva che un problema musicale prepara l’accesso ad una dimensione mistica, in cui la tematica ritmica viene ripresa a livello metafisico nelle varie identificazioni dello sciamano, che scandiscono il rituale imprevedibile della cerimonia. Ma questo aspetto coglie solo una parte del problema. Dobbiamo interrogarci sul significato di una musica, che presenta tanti riferimenti al ritmo, ma al suo interno si esprime in modo tale da non farsi riconoscere in un ritmo specifico.

Viene immediato pensare che faccia parte della regola di costruzione di una musica che parla il linguaggio della ciclicità il fatto che essa non possa coincidere mai con un ritmo dato una volta per tutte, pena la perdita del suo oggetto. Se una musica diventa una riflessione sulla funzione del ritmo, nelle sue condizioni di possibilità c’è quella di non coincidere con un ritmo dato. Si tratta di una forma di esemplarismo, che guarda alle condizioni dell’esperienza, e propone caratteristiche figure incomplete, che alludono, nel loro insieme, alla possibilità del ritmo in generale. Questo aspetto esemplaristico, che fa tutt’uno con la dimensione della estemporaneità, è quello che connette l’esperienza del sacro a quella dell’improvvisazione, ma è anche la caratteristica specifica dei percorsi improvvisatorii. Verrebbe voglia di dire che la musica guarda sempre alle condizioni di possibilità, interrogandole, in tutte le dimensioni improvvisative. Questo spiega anche il peculiare aspetto sperimentale del gioco improvvisatorio, e la complessa rete di connessioni a cui l’ascolto, durante la performance, deve fare capo. L’improvvisazione, o la musica in generale, vuole pensare in grande, ed esibisce pensieri specifici che, grazie alla loro incompletezza, possono alludere alla dimensione della costituzione di senso dell’esperienza. È chiaro che solo in questo senso la specificità coincide con l’incompletezza.


Note

[1] In generale, nelle pratiche improvvisatorie, assume un significato centrale il lavoro sulla amplificazione della sala. La preparazione acustica dell'ambiente deve confrontarsi con problemi tecnici e dimensioni espressive.L’idea che sta dietro alla drammatizzazione delle potenzialità acustiche della sala è proprio quella della massima enfatizzazione del concetto di risonanza. L’intera sala assume le caratteristiche di un ambiente risonante, e il percorso all’interno della sala diventa una esplorazione nella risonanza. Ho verificato personalmente questa suggestione interpretativa all'interno di alcuni lavori recenti di Hodgkinson con il gruppo di improvvisatori italiani "Ossatura". ritorno

[2] È interessante notare che una delle pratiche da Hodgkinson sia quella di avvalersi di modulatori ad anelli con cui interviene direttamente sui propri strumenti, proprio nel tentativo di rimodellare il suono complessivo della performance. Capita anche che intervenga sulla voce della cantante deformandola a scopo espressivo, anche in ambiti non improvvisatori.In altre situazioni si tende a riaccordare il proprio strumento, lavorando così, in modo più esplicito, sulla dimensione intervallare: una procedura di questo tipo, che tematizza il problema della costituzione del suono si lega così alla possibilità dell’esplorazione del materiale sonoro, a livello di costituzione fenomenologica. ritorno

[3] M. Eliade, Le chamanisme et les techniques archaïques de l’éxtase, Paris, 1951; trad. it., Lo Sciamanismo e le tecniche dell’estasi, Roma,1992, 192-201. ritorno

[4] Cfr. R E. Ornstein, On the experience of Time, Baltimore, Penguin Books, 1970. ritorno

[5] Questa espressione è impegnativa, ma potrebbe essere usato per una serie di problemi fenomenologici, che la sfasatura ritmica porta con sé. Abbiamo una ritenzione di una scansione, che si accavalla all’articolazione della successiva, diversa dalla prima. La sintesi passiva che ci spinge a riconoscere una prima scansione, viene a perdere di presa nel momento in cui se ne presenta una seconda, ed abbiamo così un carattere di instabilità che accompagna l’organizzazione temporale dell’ascolto. Il vero problema sta nel momento analitico del confronta fra le due scansioni, perché viene sempre a scivolare in avanti. Lo scivolamento ritmico sottintende che ci si possa aggrappare a qualcosa che ci viene costantemente sottratto dalla ciclicità irregolare dell’articolazione degli accenti. ritorno

[6] A proposito di questa analogia, bisogna ricordare che l’articolazione ritmica nella musica del quartetto di Ayler aveva varie configurazioni, in relazione alle scelte improvvisatorie del leader. Spesso accadeva che il materiale su cui veniva effettuata l’improvvisazione, fosse costituito da motivi popolari o da marcette, che erano già ampiamente caratterizzati dal punto di vista ritmico. In questi casi, Murray tendeva ad ignorare la linea ritmica del brano, che era già sostenuta dagli altri strumenti, ed a costruire una vera e propria improvvisazione ritmica autonoma, spesso sovrapponendosi alle linee ritmiche portate avanti dagli altri strumentisti. Ne conseguiva un generale allentamento della periodicità ritmica, che non giungeva alla disgregazione totale per motivi metrici. La tensione ritmica così veniva a trasformarsi progressivamente, permettendo agli improvvisatori di non smarrirsi, oppure di ricorrere ai sottoritmi che Murray veniva costruendo. Joachim Ernst Berendt ha così cercato di descrivere questa particolare pulsazione ritmica: "<...>la musica di Murray<...>ha swing senza beat e senza battuta, senza metro e senza simmetria e senza tutto quello che in passato era stato considerato indispensabile per avere swing; essa ha swing semplicemente grazie al vigore e alla elasticità dei suoi archi tensionali" (Joachim Ernst Berendt, Il libro del Jazz, Milano,Garzanti, 1979). Il concetto di arco tensionale rimane in questi termini piuttosto ambiguo. L’arco tensionale va inteso come un criterio di tipo costruttivo, che permette ai musicisti di orientarsi all’interno delle strutture ritmiche irregolari. La pulsazione ha dei momenti topici, in cui il ritmo viene meno dal punto di vista della metrica della scansione, indebolendosi e giungendo quasi alla frammentazione. A questa fase, in cui la funzione di sostegno ritmico della batteria passa in secondo piano rispetto alla dimensione dell’assolo, vengono in soccorso gli archi tensionali, che garantiscono comunque una ciclicità ritmica, riconoscibile attraverso la possibilità della frammentazione. La frammentazione organizza il discorso musicale secondo dei conglomerati che permattono una strutturazione interna della articolazione delle diverse fasi ritmiche del brano, come in una divisione a pannelli di un disegno.Anche in questo caso, gli improvvisatori sono costretti a riorientarsi ritmicamente, senza smarrirsi all’interno del periodare irregolare della batteria, muovendosi su di un ritmo che corrisponde a ciclicità non sempre perfettamente riconoscibili, ma che devono garantire una continuità all’improvvisazione. Su questo piano, è evidente la continuità fra la dimensione ritmica della musica ayleriana e quella sciamanica, come una tematizzazione dell’idea di ritmo inteso come irregolarità ciclica.Ma limitarsi a questa specificazione, significherebbe non cogliere il problema che questa dimensione della scansione ritmica comporta rispetto al modello ad arco che ancora agisce dietro all’analisi del critico tedesco; è infatti evidente che la tensione fra le varie fasi del ciclo è implicitamente legata al fatto che si percepisce uno smarrimento delle regolarità della pulsazione ritmica, che ha un forte valore espressivo. La tensione passa proprio attraverso lo schema di una scansione regolare, attesa che viene a risolversi attraverso la esibizione delle irregolarità ritmiche e dei momenti di assolo del batterista, nell' affrancarsi dalla dimensione della scansione, avviandosi verso una ricostruzione non più ciclica cattraverso l’irregolarità dell’assolo, che cade liberamente all’interno del brano. È allora evidente che non si tratta più solo di una scansione ritmica, ma di una sottolineatura espressiva della mancanza di quella scansione. Siamo allora di fronte ad una dimensione narrativa in cui si passa da una ciclicità ad una perdita di quella ciclicità, ad una riorganizzazione strutturale dell'ordine della scansione ritmica, che ci permette di vedere come quella musica abbia swing, senza passare attraverso il beat. In realtà, esso riorganizza il beat, rompendo il tessuto di ciclicità regolari in cui è inscritto. Qui emerge la nozione di ritmo che la pratica improvvisatoria ha in comune, in senso più pregnante, con quella sciamanica: la possibilità espressiva offerta dal trapassare fra queste due diverse dimensioni della ritmicità ritorno

 


Continua
 
§§ IV-VII

 

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