Carlo Serra

Ritmo e ciclicità nella cultura sciamanica


Per
TIM HODGKINSON


§§ IV-VII


IV

Il momento immaginativo e la dimensione ritmica determinano un campo fenomenologico, da cui comincia ad emergere la centralità della categoria dell’ascoltare, la sua bivalenza. D’altra parte, verrebbe da chiedersi che cosa significa ascoltare una sfasatura ritmica, se non accedere a due o più dimensioni di articolazione possibile dell’esperienza. La sfasatura ritmica ci propone infatti molteplici continuità ritmiche, caratterizzate da metri diversi, che alludono a possibili direzioni della nostra attenzione musicale. Non sappiamo, in questi casi, come orientarci fra diverse possibili articolazioni temporali suggerite dallo stesso articolarsi della continuità ritmica.

Questo problema va chiarito. Una struttura poliritmica è costituita da unità discrete, che si differenziano quanto ad articolazione interna, che vengono connesse fra di loro attraverso una articolazione di tipo iterativo. Questa iteratività, che permette la periodicità ritmica, può avere scansioni diverse, non necessariamente legate al metro. La dimensione poliritmica ci permette così di osservare diverse articolazioni possibili di momenti di costituzione dell' esperienza della temporalità. In questo modo, la dimensione discreta dei singoli componenti la sequenza ritmica si costituisce in continuità per il tramite della ripetizione. È inevitabile che, per mantenere il suo carattere di pulsazione ritmica, questa sequenza debba essere costruita attraverso varietà che permettano un possibile riconoscimento, almeno a livello di scansione. Questa possibilità di articolazione del discorso musicale ha una immediata valorizzazione nella scansione ritmica degli sciamani. La poliritmia durante il rituale mette così in gioco varie forme di articolazione temporale, che debbono comunque venire almeno riconosciute. L'instabilità ritmica che ne consegue assume, a livello rituale, la funzione simbolica di indicare le varie fasi identificatorie dello sciamano, e scuote al tempo stesso la dimensione di attesa temporale degli astanti. In questo modo l’elemento di continuità, garantito dall'iterazione, viene a raccogliere gli elementi ritmici che non si disgregano, ma lo proiettano verso la dimensione della varietà. Il ritmo e la ciclicità ci conducono verso la dimensione metaforica del sacro. La messa in crisi dei parametri grammaticali dell’esperienza parte così dalla dimensione dell’ascolto, per connettersi alle forme immaginative, che stanno sullo sfondo del dato percettivo.

Questo disegno vuole suggerire l'idea di sfasatura ritmica.
Nella linea superiore è rappresentato un andamento ternario,
mentre nella linea inferiore un tipico andamento binario.
Per avere un’idea di quello che è una sfasatura, si cerchi di congiungere la linea blu e quella rossa. A partire da una struttura continua, otterremo una struttura che si articola per salti, attraverso lacune. Agli intervalli della prima non possono corrispondere gli intervalli della seconda.

La ripugnanza di Hodgkinson ad interpretare concetti provenienti da culture diverse dalla nostra con strumenti consolidati in pratiche occidentali è assolutamente encomiabile, ma comporta un eccessivo appiattimento di alcuni problemi. In precedenza ci eravamo richiamati al fatto che la formazione dello sciamano è piuttosto complessa, e si lega, fin dall’inizio, alla sua capacità di avere visioni, capacità che viene affinata da un consistente insieme di pratiche. Che questa capacità ponga tutta una serie di problemi di appartenenza alla dimensione sociale degli sciamani, che la classe degli sciamani abbia una sua riproducibilità legata alla casta e si presenti, in alcune culture siberiane, con i crismi di una sorta di specializzazione su pratiche specifiche, sono tutti fattori che dovrebbero in qualche modo suggerire che lo Sciamanismo ha certamente al suo interno una serie di regole, per quanto non rigide esse possano essere.

Si tratta in qualche misura di ambiti con cui si deve confrontare l’analisi musicale, tenendo conto delle specificità immaginative che stanno dietro ad una pratica magica, quindi con un taglio metodologico che sia disposto a fare i conti con le ambivalenze che comporta la dimensione del magico; ma questo non significa rinunciare alla possibilità di aprirsi alla comprensione di problemi connessi, in primo luogo, alla dimensione immaginativa dell’esperienza, che ci riguarda tutti. Se non fosse possibile muovere analisi volte a chiarire il contesto di questi problemi, non si capirebbe perché la dimensione della ritualità sciamanica ha interessato così tanto un compositore come Hodgkinson stesso, né si potrebbe parlare di irregolarità ritmiche né, tanto meno, di relazioni causali che in quella esperienza connettono la funzione di rottura con il ritmo della pratica quotidiana. Relazione che gli stessi sciamani vedono come essenziale nella loro pratica magica. Da questo punto di vista, allora, un approccio che parta dalla dimensione improvvisatoria ci può fortemente interessare, e le osservazioni di Hodgkinson sono lì a dimostrarlo. In questo senso, occuparsi della musica sciamanica è un altro modo, per occuparsi della musica in generale. Questa angolazione del problema, può avvicinarci alla musica sciamanica, in quanto essa ha un interesse strutturale non solo etnologico, proprio per questa sua specifica valorizzazione dell’idea di irregolarità ritmica, che si inserisce all’interno di una interpretazione ciclica della natura. E questa idea di ciclicità si lega in modo molto stretto alle forme di rappresentazione rituale, che cominciano dalla distribuzione dei disegni metamorfici sul tamburo dello sciamano, "luogo geometrico di tutti i simboli sciamanici"[7].

Qui bisogna soffermarsi brevemente. La scelta dello strumento non è casuale: il tamburo rimanda infatti da una idea di ciclicità non solo per l’ovvia osservazione che ha una forma circolare. I disegni che lo decorano, e che raccontano il viaggio dello sciamano, ed il ciclo delle sue identificazioni, sono caratterizzati da una forte ciclicità di tipo modulare, attraverso la ripetizione di alcuni oggetti, o la serializzazione grafica del modo in cui vengono presentati gli elementi o gli animali rituali. L’idea di ripetizione, caratterizzata dal ritornare di alcuni elementi fissi come il cavallo o gli spiriti, lavora alla costituzione della dimensione del senso dell’oggetto.

In questo senso la decorazione ha un significato legato alla valorizzazione metaforica dell’idea di ritmo, e le sue irregolarità ne danno un' ulteriore conferma. Il problema che si apre in questo modo è ancora legato all’idea di rappresentazione della ciclicità, ed il fatto che lo strumento musicale venga decorato in questo modo ci mostra come il problema della variabilità ritmica si ripercuota sull’intero cerimoniale. Si tratta, in fondo, del modo in cui lavora l’idea di scansione a livello rappresentativo, di come agisce nell’ordine ritmico della decorazione. Anche la scelta dei materiali va problematizzata in questa direzione: i legni e le pelli degli animali scelti si collocano all’interno di una interpretazione magica delle ciclicità naturali (a questo proposito, si leggano i cerimoniali del tamburo raccolti da Marazzi.) .

In questo senso sarebbe interessante approfondire se esista una relazione fra dimensione metrica, che ha una sua regolarità e la possibilità di fluttuazione ritmica a partire da una regolarità di distribuzione dell’accento: questa suggestione interpretativa indica come questo problema si possa connettere ad una riflessione sul musicale, che possa avvalersi degli strumenti offerti dall’etnologia come sfondo problematico. Del resto, è lecito porsi delle domande sul fatto che una cultura come quella sciamanica, che ha al suo interno un forte interesse per l’idea di ciclicità ed in cui tutta la concezione della natura comporta un intrecciarsi continuo fra elementi naturali e loro valorizzazione semantica, intesa come conferimento di senso, veda nella caratterizzazione del rituale una rottura delle ciclicità ritmiche.

Questa attenzione nei confronti della ciclicità permea di sé perfino le rappresentazioni magiche sul tamburo dello sciamano, e quindi sull’oggetto musicale con cui lo sciamano si pone al centro del ciclo delle reincarnazioni: già la scansione della raffigurazione degli elementi magici e dei simboli ad essi legati segue l’ordine di una ciclicità, in cui gli elementi si raggruppano fra di loro in modo evidente, attraverso la ripetizione di alcuni moduli nella rappresentazione degli oggetti, come abbiamo già detto. Ed è possibile condurre un’analisi di questo tipo senza dover ricorrere a nozioni come l’associazione di idee, o altre ipotesi troppo psicologicamente orientate, ma rimanendo all’interno di una dimensione descrittiva.

La dimensione estemporanea legata all' improvvisazione riattraversa queste ciclicità, e su questo Hodgkinson insiste con acume, ma pone dei problemi di senso connessi al modo in cui l’irrompere dell’elemento estemporaneo si connette alla cerimonia, ed al suo significato.

Una domanda da porre potrebbe essere: perché proprio il tamburo? Perché non interrogarsi sul fatto che uno strumento che tradizionalmente scandisce il fluire del tempo in modo regolare, venga utilizzato per indicare la fluttuazione irregolare del tempo all’interno della cerimonia? Questo simbolismo può davvero essere ridotto al fatto che lo sciamano subisce una stimolazione sensoriale che gli facilita l’accesso ad una diversa dimensione spirituale, cosa piuttosto comune nel mondo terapeutico delle pratiche magiche di questa cultura, o ha anche il significato espressivo di raccontare una diversa apertura dell'esperienza del magico, ed ha quindi anche una valenza espressiva per chi assiste? Questa domanda potrebbe permettere di salvare il carattere rappresentativo della cerimonia, senza chiuderla all’interno di una rappresentazione artistica. Va inoltre notato che, nella rappresentazione del fenomeno naturale, la cultura musicale degli sciamani ricorre frequentemente ad alterazioni delle ciclicità regolari per immettersi in direzione della poliritmia o dello sfasamento ritmico (cerimonia della pioggia); in questi casi l’irregolarità ritmica sembra assumere una prospettiva metaforica rispetto alle irregolarità del fenomeno naturale, aprendo così la dimensione della mimesi; questo permette di guardare con un altro occhio all’irregolarità ritmica, e di distinguere fra un momento di trasformazione della ciclicità nella mimesi del fenomeno naturale ed una periodizzazione decisamente irregolare nel momento culminante della visione dello sciamano nella cerimonia del tamburo. Qui vorremmo che si aprisse un'analisi più approfondita. In fondo, questo è proprio quello che Hodgkinson potrebbe fare, se riuscisse ad avere un maggior distacco dalla particolare impostazione metodologica a cui sente di doversi richiamare e che, a sua volta, ha di mira alcuni obbiettivi polemici, fra cui il recupero in termini estetizzanti della musica etnica.

D’altro canto, a partire dalla scarsa documentazione raccolta, verrebbe spontaneo proporre una ricostruzione della cerimonia, a partire dalla stessa nozione di ritmo. Lo sciamano, che passando da una pulsazione regolare ad una irregolare permette una riorganizzazione del tessuto musicale tale da indicare la costituzione di momenti poliritmici, ci pone di fronte alla costituzione dell’idea stessa di ritmicità. Perché una sintesi abbia luogo, a partire da accenti più o meno regolari, dobbiamo ipotizzare che l’articolazione della scansione sia almeno riconoscibile come pulsazione ritmica. Ci troviamo di fronte ad un graduale trapassare da forma di scansione ad un'autentica pulsazione ritmica riconoscibile, che gode delle proprietà che abbiamo visto sopra. Se il riconoscimento della dimensione ritmica ha luogo, allora avrà anche luogo una sintesi passiva, che prende consistenza in quel momento costitutivo. La cerimonia sciamanica conduce così ad una dimensione epifanica, che è quella del momento della articolazione ritmica muovendo dalla scansione più o meno libera degli accenti. Questa capacità dello sciamano di ricondurre una metafora ad un'esemplificazione di tipo musicale, e di porsi come mediatore nel trapassare fra due dimensioni diverse dell'articolazione della temporalità, a partire dalla costituzione del ritmo, è quello che connette la sua pratica musicale alla ricerca degli improvvisatori, nella prospettiva di cui parlavamo all’inizio dell’articolo. Si tratta di problematizzare il momento di costituzione e di riconoscimento dei fenomeni legati alla musica, di indagare il momento di passaggio dalla datità del fenomeno fino alla sua articolazione, senza passare attraverso teorizzazioni troppo robuste, ma esibendo fenomeni caratteristici. Improvvisazione e sciamanismo si incontrano così, nel problematizzare gli elementi fondamentali del discorso musicale.

V

È possibile ora ricorrere ad un’altra interpretazione della relazione fra ritmo e ciclicità nella cultura sciamanica, che è quella che ci viene presentata nel saggio di Gilbert Rouget, Musica e Trance, in cui viene svolta un' imponente ricostruzione delle relazioni che legano questi due elementi, in una prospettiva etnomusicologica di notevole respiro. Sarà necessaria una presentazione di questo notevole studio, per poter articolare un confronto e cercare di concludere questo livello di discussione.

Bisogna subito rilevare che l’approccio da cui muove questa ricchissima ricerca ha di mira una ricostruzione della funzione svolta dalla musica all’interno della dinamica dei processi di trance. In questa ricerca viene così messo in rilievo un aspetto pragmatico e comunicativo della musica, in una dimensione di tipo funzionale, che guarda con un certo interesse anche alla dimensione semantica. Questa particolare impostazione ha quindi di mira una ricostruzione delle tematiche immaginative legate alla musica, a partire dalla ricorrenza dei fenomeni di trance all’interno della ritualità. In questo modo, le tematiche immaginative legate alla costituzione dell’oggetto musicale vengono analizzate all'interno del quadro offerto dalla ritualità, con una trasformazione della prospettiva rispetto ad Hodgkinson, che si occupa del problema della qualità specifica del musicale all’interno del cerimoniale, tenendo sempre la musica in primo piano. L’analisi sarà così significativamente diversa, perché l’approccio del musicista coglie problematiche inerenti la costituzione dell’oggetto musicale, mentre Rouget ha di mira gli atteggiamenti legati ai fenomeni della trance, all'interno dei quali la musica è solo una delle componenti attraverso cui la trance si manifesta.

Il testo di Rouget parte dalla distinzione fra atteggiamenti passivi di fronte alla musica, cui fa capo il fenomeno della possessione, ed atteggiamenti attivi, a cui si connette la trance. Tanto lo sciamanismo quanto la possessione sono caratterizzati dalla trance, ma cambia in modo caratteristico la modalità di reazione rispetto alla dimensione rituale. Nello sciamanismo il soggetto cade in una sorta di trance volontaria, che si connette in modo pregnante al modello del viaggio iniziatico, in cui lo sciamano è attivo, prende possesso, a livello rituale, degli spiriti animali che lo accompagnano e suona durante la cerimonia, sottolineando le varie tappe del suo percorso, confermando continuamente la propria individualità. A questa dimensione attiva della trance, Rouget ne contrappone una passiva, che è quella della possessione, in cui il soggetto perde la sua individualità, viene abitato da uno spirito, cade in trance in modo involontario, e questo carattere si riverbera nel rapporto che egli ha con la musica: da uno stato di iniziale passività, caratteristica del neofita, verso una interazione sempre più attiva nel ruolo dell’officiante. A queste diverse dimensioni della trance corrispondono differenti utilizzi della musica durante la cerimonia. Si potrebbe dire che le funzioni espressive della musica cambino a seconda del tipo di rappresentazione dello stato di trance a cui debbono riferirsi, all’interno degli specifici sistemi religiosi in cui si muovono. In particolare, trance identificatoria e trance non identificatoria usano differenti tipologie musicali. Si tratterà allora di vedere quale ruolo gioca la musica nei rituali, in che modo essa interagisce con la dimensione della trance, e che funzione essa svolge nell'articolazione temporale del rituale, rispetto alle varie fasi di trance che lo attraversano. Questa analisi dovrà tenere conto di un aspetto paradossale: anche se la musica entra nella dimensione rituale, ed ha un carattere funzionale, essa ha una propria organizzazione sistematica, e quindi impone, a sua volta, che il rituale debba in qualche modo conformarsi a quella che è la sua struttura formale. La dinamica del rituale dovrà così confrontarsi con la oggettualità della musica, con la dimensione della pratica esecutiva e dell’ascolto. A sua volta, si dovrà parlare di una pratica della musica all’interno della dinamica ritualistica della trance

A questo problema se ne intreccia un secondo non meno significativo, dal punto di vista metodologico: ha senso parlare di una possibile ricostruzione della tipologia della musica all’interno della dimensione rituale, limitandosi all’analisi delle strutture musicali, se sappiamo già che vi è una enorme varietà di musiche diverse le quali, al variare delle ritualità, producono i medesimi effetti per quanto riguarda l’entrata in trance dei partecipanti? In realtà, dietro questa equivoca impostazione metodologica, si nasconde una feroce polemica contro tutte quelle interpretazioni fisiologistiche che, definendo una volta per tutte le caratteristiche strutturali dell’ascolto su presupposto psicologici, tendono a ridurre la morfologia della musica rituale alle sue caratteristiche ritmiche. Dal fatto che non si possa attribuire ad una formalizzazione della sostanza sonora la funzione che la musica svolge nei rituali di possessione, Rouget conclude che è un preconcetto attribuire alla scelta di certe scansioni ritmiche (per lo più passaggi da ritmi regolari a ritmi irregolari o da valori dispari a valori pari) la funzione di condurre alla trance nella dimensione rituale.

Questo è un buon esempio di capovolgimento di un problema teorico. Se è infatti possibile condividere la polemica che Rouget svolge nei confronti di una impostazione fisiologista che non sa addentrarsi nelle specificità dell’intero complesso di una cerimonia, non è possibile annullare una istanza espressiva in nome delle sue mancate ricorrenze. Tanto più se si è poi disposti ad ammettere che gli accelerando ed i crescendo svolgono un ruolo importantissimo nello scatenamento della trance, ma che non si tratta di una regola assoluta. In una prospettiva di analisi semantica di un rituale il richiamo a regole risulta comunque faticoso, ma non si risolve certo limitandosi ad osservare che il ritmo e la trance si connettono attraverso le matrici culturali che fanno da sfondo a questo rapporto. Il problema da sollevare riguarda in fondo la costituzione del significato, ed in questo senso il fatto che vi sia una relazione diretta fra strutture ritmiche e trance o che varie culture la vengano a tematizzare secondo prospettive proprie, imporrebbe una disanima analitica, che cerchi di guardare alla dimensione della ritualità a partire dalla constatazione dell'esistenza di un modo diverso di dare la relazione nelle varie occorrenze.

Si tratta di un problema che Rouget avverte in modo discontinuo: lo suggerisce l’osservazione che Rouget fa a proposito del Bolero di Ravel, quando nota che il suo ascolto non provoca fenomeni di trance tra il pubblico di una sala di concerti. A questa osservazione, si potrebbe rispondere che il carattere di ipnoticità del brano nasce dalla iteratività attraverso cui un medesimo oggetto viene presentato attraverso dimensioni timbriche diverse, secondo un preciso processo espressivo che non ha di mira una ritualità. Tuttavia, il carattere ipnotico di quella musica, mette in evidenza la costituzione di identità oggettuale, rispetto al quale il carattere iterativo e quello dinamico vengono a svolgere una funzione di variazione strutturale, a partire da un oggetto dato. In questo senso, il carattere di ipnoticità del brano è comunque avvertibile, ed è possibile mettere in evidenza questo carattere espressivo guardando alle regole della sua forma costruttiva. Questo potrebbe essere un criterio per riavviare la discussione sulla funzione del crescendo, lasciando cadere atteggiamenti che vanno verso forme di relativismo culturale, che Rouget critica a fondo.

Vorremmo approfondire questa discussione, perché inerente al problema della ritmicità. Abbiamo detto che il carattere di ripetizione del Bolero, si lega al carattere di costituzione oggettuale, di conferma dell’oggetto che si presenta nella sua mutevolezza timbrica, autentico tramite del suo incrementarsi dinamico. Questo carattere è fondamentale anche nel ripresentarsi ossessivo delle scansioni ritmiche, tipico di alcune musiche di possessione. Questo andamento ipnotico, dal punto di vista ritmico, può essere ripetuto o può essere accelerato progressivamente senza perdere il carattere di iteratività, che riconfermandone l’identità determina una situazione espressiva di tipo incantatorio: il carattere d’incantamento è legato alla contemplazione di un oggetto che, presentandosi attraverso incrementi legati alla dinamica, suggerisce a livello percettivo l’idea di un approssimarsi, di un avvicinamento della fonte sonora alla soggettività che percepisce. Qui potremmo comunque segnalare una differenza significativa rispetto alle irregolarità della fluttuazione ritmica nella musica prodotta dallo sciamano.

Ad una struttura iterativa, che si sviluppa lentamente attraverso una accelerazione e l’incremento dinamico, riconducibile ad un andamento di tipo circolare, corrisponde nella musica sciamanica una pulsazione che si fa riconoscere parzialmente, attraverso una continua mutevolezza della scansione. Questa differente scansione della ritmica differenzia in modo pregnante la funzione svolta dalle categorie espressive che prendono forma attraverso diverse modalità di costituzione dell’oggetto musicale; queste diverse forme costitutive giocano un ruolo all’interno della dimensione rituale, anche all’interno della polarizzazione attivo-passivo proposta da Rouget. D’altra parte, questa discussione relativa al metodo nasce dal bisogno di ricostruire un approccio tutto teso ad effettuare delle distinzioni che vengono mantenute a discapito dell’andamento complessivo della trattazione. Un esempio evidente di questa impostazione è l’analisi del ritmo nella possessione, dove Rouget distingue fra un aspetto della ritmica in sé, in quanto messaggio ricevuto dall’individuo in trance, ed una modalità della sua percezione nella danza, in cui di nuovo emerge la distinzione fra un momento passivo ed un momento attivo. Ma, a questo livello di analisi, risulta difficile distinguere nettamente i due momenti, che si pongono in una struttura continua, perché, nel momento del rapporto percettivo, ci deve essere un ulteriore investimento di senso che spinga il posseduto a danzare. Un'analisi del rapporto fra danza e musica richiede una ulteriore analisi sulle varie strutture interne,che determinano le funzioni espressive del momento ritmico. Per fare questo è necessario addentrarsi nell'analisi della musica, e delle sue dinamiche, prima di porsi nell'analisi della sua relazione funzionale con il resto del cerimoniale. Rouget è molto preoccupato dal problema delle occorrenze della trance, e la polemica summenzionata contro le interpretazioni fisiologistiche della scansione ritmica ha molti aspetti condivisibili.

Un simile atteggiamento nell'ambito della ricerca non dovrebbe però far trascurare evidenti caratteri generali che si legano alla dimensione della ritmica nel suo relazionarsi alla danza. Bisognerebbe essere disposti ad accettare l'idea che certe figurazioni ritmiche hanno un valore costitutuivo rispetto all'esperienza del tempo e del movimento, anche se essi si rivelassero non decisivi per l'effettiva caduta in trance dei partecipanti alle cerimonie. La dimensione della motivazione, nella ricostruzione di Rouget, sembra sacrificarsi a quella pragmatico-comunicativa, attraverso una sorta di astrazione dai momenti costitutivi della grammatica della cerimonia. In questo, la posizione di Rouget si avvicina molto a quella di Hodgkinson.

Nella sua accurata ricostruzione dei cerimoniali, Rouget effettua una distinzione molto importante per comprendere meglio la peculiarità della ritualizzazione sciamanica rispetto agli altri cerimoniali. La domanda è intorno a chi esegue la musica, ed in quale stato, nell’ambito delle cerimonie di possessione. Di norma, osserva Rouget, i musicisti non entrano in trance: si tratta di non adepti, che ricevono una retribuzione, che sono i pilastri della cerimonia, ma debbono rimanere esterni al culto. Essi possono essere ispirati durante la cerimonia, ma non devono cadere in trance: per il posseduto, è la musica eseguita da altri a provocare la trance. Vi è una sorta di incompatibilità fra stato di possessione e musica, inteso come comportamento attivo: vi è una sottomissione del posseduto al musicista, nel senso di un dialogo. Il posseduto danza ciò che il musicista gli dice con la musica, e lo strumento musicale diventa la voce della divinità, con una ricaduta di questa relazione sulla simbologia degli strumenti musicali.

E’ evidente che questa situazione è l’opposto della cerimonia sciamanica, dove il particolare stato di trance volontaria dello sciamano permette una sintesi fra momento della trance e momento della ispirazione. Anche qui la comunicazione viene in qualche modo a sorreggere nodi teorici che non le competono. Una delle caratteristiche salienti del saggio di Rouget, per altro ricco di spunti analitici, sta proprio nel suo guardare al momento comunicativo, senza prendere posizione rispetto agli aspetti che debbono sostenerlo: tutta l’analisi del fenomeno musicale tende a scavalcare il problema della costituzione oggettuale, e molti problemi vengono accostati fra di loro tramite considerazioni di tipo pragmatico. In questo modo, sembra che l'argomentazione tenda ad assumere un andamento circolare, senza troppo confrontarsi con il momento di passaggio, che viene presunto, fra ricezione della musica intesa come messaggio e la trasposizione dei caratteri ritmici in momenti di articolazione dello spazio, da parte del corpo. Sorge infatti spontaneo chiedersi se questa nozione di dialogo non vada chiarita a partire dalle regolarità interne all’oggetto, alterando questa nozione di passività che rallenta non poco il ritmo delle analisi: come spiegare, infatti, il passaggio da momento estatico a danza del posseduto, se non attraverso una reazione espressiva da parte del soggetto al presentarsi della struttura ritmica della musica? In un'opzione analitica di questo tipo non è necessario rivolgersi ad una prospettiva che sia solo psicologica, ma si rivendica la possibilità di una analisi dello statuto oggettuale della musica, statuto oggettuale che Rouget esplicita continuamente attraverso la categoria del movimento che accomuna musica e danza.Questa categoria viene analizzata per tipi, legandola al problema della trance, ma spesso non viene sufficentemente scandagliata, per evitare un atteggiamento troppo formalista, che non dia ragione del mondo espressivo che l'unione delle due pratiche determina. Ma in questo modo, l'analisi non si fa carico di aspetti strutturali che chiarirebbero meglio quella dimensione espressiva che nasce da due diversi modi di porre la tematica della spazialità.

In questa chiusa della prima parte del suo saggio, Rouget cerca di portare in evidenza alcuni dei presupposti impliciti della distinzione fra atteggiamento attivo e passivo rispetto alla musica, cui corrispondono le diverse articolazioni immaginative attraverso cui vengono ricostruite le relazioni fra possessione e trance rispetto alla musica. La lettura di queste pagine, ci pone di fronte ad un continuo scarto fra la ricostruzione della dimensione di senso che si connette all’esperienza dell’ascolto della musica ed i presupposti teorici della ricerca svolta dallo stesso Rouget: assistiamo ad una continua apertura di problemi complessi, che vanno in una direzione costitutiva molto ricca, raramente esplicitata in un senso esaustivo. Questo modo di procedere tende ad usare strutture concettuali che vengono riportate all’interno di metafore, solo in parte sostenibili dal discorso teorico, sacrificando la componente simbolica a tutto vantaggio di quella funzionale.

La conclusione della prima parte del saggio è dedicato alla ricostruzione del modo di vivere la musica, nel suo rapporto con gli Dei e con la malattia, nella dimensione rituale della possessione. Qui vengono esplicitati i presupposti teorici di Rouget, in modo molto limpido. L’analisi dei campi del sentire che tocca la musica si articola su quattro piani: fisiologico, psicologico, affettivo, estetico. Sul piano fisiologico, l’udito è la principale funzione sensoriale, ma non l’unica. La musica, essendo costituita di vibrazioni, esercita sul corpo umano un’azione materiale e concreta, e così esiste una sorta di palpabilità della vibrazione musicale.Attraverso questo spostamento del piano del discorso, Rouget può parlare a livello percettivo della palpitazione dei suoni del violino per il tramite della cassa armonica, della percezione delle vibrazioni di un tamburo con il ventre. La musica può invadere il corpo intero, sommergerlo, come accade con la musica per organo, e farlo, materialmente, risuonare.

Qui si palesa in modo evidente come l’autore, nel parlare della ricezione della musica, non riesca a sottrarsi alla suggestione del flusso sonoro inteso come onda che si diffonde nello spazio: si tratta delcarattere avvolgente che caratterizza la diffusione del suono. Ma se questo carattere d’onda è così predominante, diventa difficile sostenere che noi facciamo esperienza dei quattro livelli sopra citati: dove potrei, infatti, indicare un dato fisiologico, senza ricorrere al momento immaginativo, almeno all’interno di questa ricostruzione? Nella presentazione di questi esempi si assiste ad una tipica bivalenza: una valorizzazione immaginativa di un vissuto fenomenologico (atto percettivo o, meglio, annunciarsi di un fenomeno sonoro, con la sue correlazioni cinestesiche) viene curiosamente scomposta in due momenti. Già a livello linguistico, vediamo agire componenti immaginative, che tendono a costituire un tutto unitario. Non mancherà, a questo punto, il richiamo ad un apparato sensoriale interno: nel cantare, si sente palpitare la laringe, ci si percepisce come cavità risonante[8]. La musica anima gli oggetti ed insieme il corpo. Si potrà allora distinguere, anche su questo piano, fra un agire la musica rispetto ad un subire la musica. È fuori discussione che esista un impatto fisico della musica rispetto al corpo, ma questa definizione rimane generica: è necessario poter distinguere tra il dato sensoriale e l’oggetto intenzionale, tra percezione fisiologica e senso di quel contenuto[9].

Se nel percepire il pulsare del tamburo diventa così importante la vibrazione del ventre, a questo fenomeno fisiologico dovrà necessariamente corrispondere una valorizzazione immaginativa che tematizza in modo significativo quella sensazione legata alla elasticità dell’onda e la fa riconoscere come significativa in connessione alla dimensione sonora. Siamo già un passo oltre la dimensione della fisiologia, e da questo momento è essenziale partire per una analisi del contesto percettivo, come mostra già l’utilizzo linguistico di vocaboli che hanno una forte componente immaginativa, che tende a portare il senso del discorso più in là di quanto ci si potrebbe attendere.

La musica è per essenza movimento. Traendo la propria origine da movimenti corporali, essa si svolge per definizione nel tempo, incita al movimento. Ma svolgendosi nel tempo per definizione, i rapporti del suono con se stesso mutano continuamente, e tali cambiamenti hanno luogo a vari livelli nello spessore temporale. Esiste uno stratificarsi delle durate, a partire da una sorta di omogeneità del tempo, che fa capo alle trasformazioni della coscienza legate alla musica. Nel suo aspetto più immateriale (il suono totalmente isolato dalla sua fonte), la musica viene sentita come movimento che si realizza nello spazio.

La cosa si fa più sensibile nella danza: danzare vuol dire iscrivere la musica nello spazio, attraverso le incessanti modificazioni dei rapporti tra le diverse parti del corpo. Ma non si capisce come si riesca a percepire un suono totalmente isolato dalla sua fonte, e questa riconduzione della danza alla pura dimensione del movimento non permette una esplicita tematizzazione dei rapporti fra corpo e luogo, in quanto questa nozione è insufficiente ad una determinazione della spazialità, al di fuori della coscienza del corpo. Manca cioè una caratterizzazione più precisa di quali siano le caratteristiche di questo movimento, che viene a costituirsi a partire dalla musica. Si tratta di mettere capo a degli elementi descrittivi che possano fungere da ponte, per l’interpretazione di questi elementi di dinamismo inerenti l’oggetto musicale. Il richiamo alla danza chiarisce ulteriormente queste mancate problematizzazioni: inscrivere la musica nello spazio significa, in primo luogo, trasporre l’oggetto musicale, con le sue caratteristiche ritmiche interne, che originano degli specifici dinamismi, in una articolazione dello spazio fisico, attraverso il movimento. Ma si tratta di due nozioni di ritmo diverse: la partizione dello spazio che prende corpo nella danza, la drammatizzazione attraverso il movimento dei dinamismi interni alla scansione ritmica della musica, è un processo che si muove a partire da una componente metaforica, che muove da precisi movimenti ritmici di tipo musicale. Si tratta di due dimensioni della spazialità completamente diverse, perché fanno capo a processi costitutivi differenti a livello oggettuale. L’articolazione dello spazio musicale non è riconducibile ad una semplice partizione dello spazio attraverso il mutamento dei rapporti fra le parti del corpo, dato che il ritmo fa parte del carattere temporale della costituzione dell’oggetto musicale, ne è una caratterizzazione fenomenologica. La stessa danza non si riduce a questa dimensione dinamica, dato che i movimenti hanno un senso ed una dimensione espressiva che ne caratterizzano la partizione dello spazio.

Vi è poi un rapporto fra l'interpretazione dello spazio che offre il corpo quando danza e la relazione che esso intesse con la nozione di estensione. In questo modo vengono svuotate le dimensioni di senso della danza e della musica, attraverso una mancata valorizzazione della funzione costitutiva del ritmo, e delle sue ricadute sul piano temporale. Il carattere comunicativo parte invece dalle possibili analogie strutturali, determinantesi in relazione alla valorizzazione del tema del movimento, che in questa situazione svolge una funzione di drammatizzazione della componente spaziale del momento rituale.

Se la musica porta ad una modificazione della coscienza, e modifica la percezione del proprio essere, bisognerebbe spiegare più a fondo la nozione di corpo che sta alla base di questo approccio teorico. È vero che il suono musicale definisce lo spazio in cui mi trovo come uno spazio abitato da uomini, ma in questa prospettiva è difficile chiarire quale sia la via d’accesso al tema della intersoggettività, se non per un richiamo generico all’aspetto della comunicazione. Bisognerebbe poter chiarire il senso di questo passaggio, così come sarebbe giusto spiegare come posso saltare dalla percezione così intesa alla nozione stessa di fonte sonora.

La bella costruzione teorica di Rouget, ricca di riferimenti alla dimensione letteraria ed immaginativa, tende a modificare l’asse concettuale del discorso. Al tempo stesso, queste metafore colgono una serie di elementi descrittivi in relazione al rapporto della spazializzazione della musica, il cui interesse ci porta molto oltre le limitazioni concettuali di questa impostazione che non ci permette di passare attraverso i livelli che essa stessa costruisce. La dimensione della musica apre alla costituzione della nozione di spazialità: il silenzio è inteso come il segno della immobilità dello spazio, della sua vuotezza, mentre il suono si lega alla rappresentazione del movimento che riempie lo spazio. Stabilendo una relazione fra musica e movimento e fissandone gli estremi attraverso una dialettica tra suono e silenzio, si perde completamente il senso della staticità dei suoni, e le nostre capacità descrittive vanno implicitamente oltre i limiti posti dalla stessa teoria.

In questa prospettiva, Rouget cerca di assimilare fra di loro contesti d’esperienza psicologica che sono di fatto irrelati: l’attesa per l’azione che si sta compiendo, esemplificata dal rullo di tamburo che risuona prima del salto mortale del trapezista e la costruzione della durata di un cerimoniale, determinata dalla cristallizzazione del tempo che si costituisce attraverso il battere incessante di un tamburo durante un cerimoniale di varie ore. Qui si confondono nozioni diverse di temporalità, e si assimilano fra di loro contesti d’esperienza caratterizzati da archi temporali che determinano morfologie diverse. È evidente che cambia completamente il senso della scansione temporale in due esperienze così diverse: qui non vi è opposizione, ma due strutture che si distinguono per la qualità della componenti d’attesa che vengono messe in gioco.

In effetti Rouget afferma che la cristallizzazione del tempo in queste due esemplificazioni varia, perché soggetta ad intensificazione e a rilassamento. Ma sono mutate anche tutte le dinamiche dell’attesa, perché si tratta proprio di due contesti in cui la differenziazione quantitativa implica una variazione qualitativa. D’altra parte, in questa ricostruzione, colpisce molto l’idea che si possa ricostruire in modo efficace il carattere evenemenziale del suono: da un silenzio emerge qualcosa, quel qualcosa è una scansione ritmica, questa scansione ritmica muta completamente il contesto temporale che la precede, e dà il via alla articolazione di una nuova scansione temporale. Questa descrizione coglie in modo molto efficace l’idea di irruzione del ritmo, e delle componenti temporali che ad essa si connettono. In questo modo viene anche implicitamente tracciata una distinzione fra omogeneità della scansione temporale, a cui corrisponde un livello minimo di organizzazione strutturale, rappresentata dal battere incessante del tamburo, e articolazione strutturale attraverso elementi che attirano su di se l'attenzione, che potremmo vedere come dei conglomerati che indicano un livello elementare di strutturazione del piano dell'esperienza del tempo.

Sappiamo che la scansione ritmica della musica sciamanica, caratterizzata da molte rotture e riorganizzazioni interne, si connette a questo secondo modello. Ma il problema è che questa descrizione va oltre i caratteri di ricostruzione dell’esperienza della musica che lo stesso Rouget viene a porsi. Se ci soffermiamo su queste analisi è proprio perché queste equivocità sono considerate da Rouget indicative di un livello assai elementare della temporalità, mentre esse tendono a nascondere una serie di problemi che implicano concettualizzazioni molto più complesse. La musica si dovrebbe poi sovrapporre a queste forme temporali, determinando una diversa organizzazione dell’architettura dei vissuti. In riferimento alle tematiche inerenti l’organizzazione temporale dei vissuti nelle cerimonie di possessione, Rouget polemizza con la nozione troppo generica secondo cui le musiche di possessione sarebbero tutte riconducibili a modelli in cui sono dominanti la ripetizione degli elementi melodici e ritmici, attraverso un semplice incremento della dinamica, e una intensificazione ritmica, questa caratterizzazione si rivela insufficiente, perché perde di vista la tendenza all’omogeneità, intesa anche in senso temporale, che si nasconde dietro a queste costruzioni musicali.

Rouget nota giustamente che se gli elementi melodici e dinamici dei cerimoniali di possessione creano le sequenze interne che strutturano dall’interno il cerimoniale, garantendone una continuità temporale, questo può accadere proprio perché i vari brani che si concatenano fra di loro appartengono tutti allo stesso genere, dando quindi una sensazione di sviluppo e di rinnovamento del tempo musicale, attraverso l’unità della cerimonia stessa, che è poi l’unità del genere musicale. Si tratta insomma di un modo per rendere omogenea la dimensione temporale della cerimonia attraverso l’alternarsi di strutture di tipo modulare, tutte omogenee tra di loro. Si comprende allora come una descrizione che si limitasse ad indicare nella dinamica dei crescendo e degli accelerando l’autentica componente descrittiva della cerimonia si rivelerebbe inadeguata, perché perderebbe di vista queste processualità, che sono davvero fondanti.

In questo quadro, la musica trasforma il nostro modo di essere nel mondo attraverso la modificazione esplicita del nostro modo di intendere la dimensione spazio-temporale. In questa ricostruzione il momento emotivo legato alla musica è naturalmente di tipo associativo, mentre il momento estetico fa capo alla dimensione della affettività. Questa ricostruzione della dimensione esistenziale delle società in cui si attuano i miti di possessione è molto efficace, ma tende a chiudersi troppo presto: partendo da una ricostruzione sul modello di una storia naturale, Rouget tende a procedere attraverso salti concettuali che, se in parte tradiscono l’impianto di partenza, dall’altro proiettano le problematiche del discorso in una direzione ricca di potenzialità teoriche. Ma, al tempo stesso, tutta la dimensione animistica della natura e il continuo trapassare dell’elemento naturalistico in quello magico vengono semplificati dal punto di vista concettuale, nel senso che questa ricostruzione potrebbe avere sviluppi diversi proprio a partire dalla nozione di significato.

In questo modo, la dimensione della malattia viene assimilata a quella della rivolta di parti del corpo contro il soggetto, e quella delle alterazioni dell’anima all' impossessamento spirituale demoniaco. Il senso di queste ricostruzioni, che ha molti riferimenti alla ricostruzione delle nozioni di senso connesse alla musica, permettono di essere riprese secondo prospettive concettuali che possono ampliarne il contesto. Da questo punto di vista, le acute analisi di Rouget, così attente alle distinzioni analitiche, sembrano poggiare su equivocità che un approccio meramente musicale come quello di Hodgkinson riesce ad evitare, sia per il rifiuto di utilizzare criteri analitici estranei agli oggetti trattati, sia per il fatto di affrontare la discussione teorica a partire da una pratica specifica.

D’altra parte, la grandezza del testo di Rouget consiste proprio nel suo porsi il problema del musicale in prospettive che ne arricchiscono continuamente la ricaduta sul piano del significato dell’esperienza. Il problema è quale significato possa assumere il momento della costituzione di senso connessa al problema della ritualità, in quanto tale. Si potrebbe sostenere, infatti, che non vi è bisogno di riferirsi ai rituali di possessione per vedere nella concezione della malattia una rivolta delle parti del corpo contro il soggetto: andrebbe specificato cosa si intende qui per parti del corpo, perchè espresso in questi termini il concetto ha una ricaduta di senso molto vicino all'esperienza comune. E se le cose stessero davvero così, potremmo chiederci se non stiamo parlando di strutture di senso che hanno una portata troppo ampia, almeno a questo livello di analisi. Se , invece, Rouget vuole indicare una continuità tra la dimensione dell'esperienza del soggetto in crisi di possessione e la nostra, allora bisognerebbe scendere su di un terreno più complesso, spiegando come si diano delle forme di continuità che in questo modo sono ancora solo presupposte. Forse potremmo parlare del modo in cui vediamo emergere, a livelli diversi, delle tematiche d'esperienza comune.

Era doveroso cercare di ricostruire l’andamento della discussione prima di entrare nella parte dedicata allo sciamanismo. Nello sciamanismo l’attività musicale è prodotta da un tirocinio strumentale, una sorta di apprendimento che ha una lunga durata, in quanto il tamburo non è solo uno strumento musicale, ma un oggetto che permette un’azione magica sulla natura. La pratica musicale accompagna anche l’entrata in estasi dello sciamano, che in questo rapporto si muove nella dimensione magica dello sciamanizzare facendo musica: si tratta della medesima attività. Da questo punto di vista, allora, il posseduto è un musicato, mentre lo sciamano è un musicante, più esattamente un musicante del proprio ingresso in trance.

All’interno di questa relazione fra musica e trance, il ruolo del tamburo è quello di sostenere il canto o di drammatizzare l’azione narrata dallo sciamano o di accompagnarne la danza, attraverso la sottolineatura del ritmo. In questo senso, la funzione del tamburo è quella di svolgere un’azione simile a quello che svolge la musica nel teatro. La funzione del canto è incantatoria, è la via d’accesso narrativa al mondo di spiriti che viene così evocato e comunicato al pubblico ,indispensabile perché la cerimonia abbia luogo. E nella cerimonia, la funzione del tamburo è quella di accompagnare chiamate e responsori, il cui incrementarsi facilita l’avvento della trance. In questa sua ricostruzione, Rouget sottolinea che la stessa danza dello sciamano produce un esercizio estenuante che ne provoca la crisi e la caduta in trance. L’insieme di tutte queste pratiche corporee indica nello sciamano colui che fa un più ampio uso della musica nell’ambito dei cerimoniali legati alla trance. In questa prospettiva, è difficile non notare come tutta questa descrizione si basi su delle valorizzazioni del tema del ritmo, lo stesso da cui Hodgkinson si sentiva di partire per definire le caratteristiche peculiari della musica degli sciamani. Il partire dalle tematiche legate alla trance mette implicitamente in rilievo l’elemento ritmico del cerimoniale, anche se Rouget tende a diffidare delle interpretazioni che riducono la dimensione della trance a quella ritmica.

VI

Ma conviene entrare più nel dettaglio. L’attività di musicante dello sciamano inizia fin dalla sua iniziazione. Seguono periodi più o meno lunghi dello studio della tecnica del tamburo, non disgiunta dalla pratiche magiche: si tratta di un processo graduale, perché dimensione della musica e dimensione della pratica magica si muovono in parallelo. Del resto, nella radice dello stesso termine sciamano è presente un richiamo alla danza, al salto ed, insieme, al turbamento, all’agitazione. Questa tensione che caratterizza l’attività dello sciamano a partire dal nome è già una tensione fra due istanze diverse: una dimensione articolatoria dell’esperienza spaziale, di riordinamento attraverso la danza, ed un richiamo a una concezione magmatica del movimento. E questi sono i caratteri che avevamo visto articolare il rapporto con il ritmo della cultura sciamanica, nella ricostruzione di Hyder ed Hodgkinson.

Rouget, secondo un procedimento caratteristico che segue per tutta l’opera, parla invece di una forma pregiudiziale da parte degli studiosi legata all’utilizzo dei suoni del tamburo, osservando, al solito, la mancata ricorrenza del momento ritmico in alcune cerimonie sciamaniche, notando che lo scatenamento della trance non sembra connesso con l’uso del tamburo in particolare. Si tratta di una osservazione che non sposta comunque in modo significativo l’asse dei problemi che si connettono all'analisi delle dimensioni del senso della questione nel rapporto fra trance ed attività ritmica. Domandarsi se lo sciamano ricorra o meno ad allucinogeni, o se si avvalga di altri strumenti per entrare in estasi significa sollevare dubbi che non alterano il senso complessivo della cerimonia sacra: il carattere di rappresentazione, le sue forme espressive non dipendono da una caratterizzazione psicologica dell'entrata in estasi ma si connettono alla forma di narrazione che lo stato estatico premette.

Più significativo ci sembra il suo mettere in luce i due caratteri della scansione ritmica dello sciamano e delle sue tipiche bivalenze costruttive, anche in relazione alla trance. Citando Shirokogoroff, egli ci parla della funzione estatica dei crescendo e degli accelerando attraverso cui lo sciamano articola la dimensione ritmica della sua caduta in trance, fenomeni che sono stati discussi e commentati nella parte dedicata alla possessione, e che abbiamo cercato di ricostruire in senso molto generale, discutendo dell’impostazione di Rouget. A questa prima via costruttiva che segue l’improvvisazione ritmica della cerimonia, egli ne affianca un’altra, che è quella di cui aveva parlato Hodgkinson: un tambureggiare "con continue variazioni di tempo, attraverso l’alternarsi di accelerazione e decellerazione continua", che ha lo scopo di evocare gli spiriti.

A questa rievocazione della via di costruzione del ritmo, di cui abbiamo parlato in precedenza, si affianca anche l’attività del pubblico, secondo una tipologia che abbiamo già visto: lo sciamano deve comunicare le proprie visioni, ma la funzione del pubblico è anche quella di cantare e mantenere il ritmo durante la seduta, intensificando così la sua trance, che si esprime tramite la narrazione delle visioni. La teatralizzazione della seduta sciamanica viene ulteriormente confermata dalla descrizione della Lot-Falck (citata da Rouget, ma reperibile sul testo curato da Marazzi) dove i momenti di trance drammatica nella narrazione del mondo degli spiriti viene ricondotta ad un vero e proprio spettacolo teatrale, in cui il ritmo del tamburo funge da elemento di coesione e differenziazione dei vari cicli narrativi. Ora accompagna il canto, ora si muove in direzioni onomatopeiche, commentando la narrazione incantatoria dello sciamano.

Il carattere incantatorio del cerimoniale investe così anche la musica: la musica dello sciamano aspira a trasformare il mondo, e questo si riverbera sulla sua struttura formale, in particolare sul modello del canto: si tratta di un canto affine alla lingua parlata, ricco di elementi onomatopeici; è un linguaggio della natura nel suo manifestarsi immediato, e aggiungeremmo, che si articola più in senso ritmico che non melodico. Questa osservazione ci interessa, perché la dimensione del canto si trasforma in forma declamatoria, una sorta di recitazione, tutta articolata dalla elasticità del ritmo: avremo così momenti di monotonia che si alternano a strappi irregolari, secondo una caratteristica alternanza di continuità e discretezza. La funzione di continuità ritmica, che allude alla continuità del viaggio, riassorbe lo stesso modello melodico all’interno della scansione ritmica: canto e ciclicità si connettono attraverso un ridimensionamento del momento melodico a favore della sua periodizzazione ritmica, in un processo di stilizzazione della linea del canto ed un incremento dell'espressività legata al ritmo.

Ma tutte queste osservazioni acquistano un altra consistenza non appena ripensiamo all'espressione usata nel commento, una musica che aspira a cambiare il mondo. L'analisi della dimensione rituale esaminata nel saggio di Rouget sembra suggerire una ricaduta di senso che riprende le considerazioni che abbiamo svolto riguardi allo smarrimento del principium individuationis: la riarticolazione ritmica della musica dello sciamano allude alla riarticolazione dei cicli naturali. Il modello costruttivo che conduce alla poliritmia ha una componente simbolica che allude al riordinarsi delle ciclicità naturali, a quella dimensione magica che caratterizza le bivalenze del concetto di natura all'interno dello sciamanismo.

La prospettiva offerta dal saggio di Rouget offre così un'ulteriore accesso alla dimensione semantica che la pratica percussiva delle irregolarità ritmiche sembrava tematizzare: la musica racconta un evento magico che cambia le regolarità della natura. La dimensione magica del rituale viene a ricevere una ulteriore valorizzazione immaginativa nel momento in cui la ritmica irregolare assorbe le componenti cicliche regolari aprendo alla dimensione del mondo rituale: le ciclicità regolari della natura si spezzano ed emerge la totale predominanza del magico, che è sottesa al ciclo naturale. Torna così in primo piano la continuità tra dimensione naturale e dimensione magica che la figura dello sciamano esplicita attraverso la musica.

Abbiamo così un articolarsi di tre livelli intorno alla cerimonia del tamburo: un livello musicale, che costruisce oggetti polivalenti dal punto di vista ritmico in una dimensione improvvisatoria, che si lega all'emergere delle irregolarità del trapassare dal momento naturale a quello del magico, cui corrisponde il senso dello spaesamento ritmico che caratterizza la cerimonia. Comprendiamo così in modo più chiaro il motivo per cui il tamburo viene considerato il luogo geometrico dei poteri dello sciamano: alla ciclicità iconografica delle rappresentazioni che lo ornano ed alla ciclicità simbolica a cui si riferisce la scelta dei materiali che lo costituiscono, corrisponde il suo esser tramite per la rappresentazione delle irregolarità ritmiche che accompagnano "la messa in scena della narrazione sciamanica", il sostrato magico che sta sullo sfondo della visione rituale della natura. Con questa considerazione possiamo abbandonare il saggio di Rouget. Il carattere incantatorio del cerimoniale si lega alla dimensione simbolica della ciclicità naturali, e al loro trapassare nella dimensione della magia: il ritmo e le sue fluttuazioni, ci riportano alle possibilità simboliche connesse alla scansione.

Le considerazioni finali dell’articolo di Hodgkinson tendono ad avviare una discussione sulla relazione fra musica e misticismo all’interno della nostra cultura: in questa dimensione Hodgkinson tende a contrapporre una prospettiva di tipo semantico, esemplificata da Messiaen, rispetto ad una prospettiva esplicitamente legata al momento del "far musica", che egli esemplifica nella figura di Albert Ayler.

A prima vista, questa distinzione non appare troppo fondata, ma ci interessa perché mette in discussione due diverse forme di approccio al problema della semantica in musica. La musica di Messiaen assume nella propria sintassi musicale elementi che hanno una esplicita valenza mistica: si tratta di strutture accordali, temi, materiali musicali di vario genere che vengono utilizzati in una prospettiva di tipo simbolico e, in questo senso, comportano un riferimento alla dimensione della contemplazione del sacro; il sacro si rivela all’interno dell’utilizzo di alcune strutture musicali, usate in relazione alla componente simbolica che ricade all’interno della articolazione sintattica della musica. Assumendo questa posizione, il momento musicale risulta predominante rispetto alle valenze mistiche che assumono gli aspetti legati al simbolico all’interno della sintassi. Il discorso musicale tende cioè a racchiudere dentro di sé gli elementi simbolici, orientando la sua sintassi verso una valorizzazione degli elementi stessi.

La sintassi musicale li intreccia fra di loro, nelle maglie del proprio discorso: il pensiero musicale di Messiaen rimanda così ad una predominanza della dimensione formale ed organizzativa rispetto a quella estemporanea. La musica di Ayler invece, avendo un carattere estemporaneo e basandosi su di una forte caratterizzazione in senso estatico, rappresenterebbe il momento della irruzione del sacro, dell’emergere di una dimensione della spiritualità che non deve fare i conti con problemi di ordine sintattico. Essa emerge ed attira su di sé l’attenzione di chi ascolta (e di chi esegue), e la musica assumerebbe un carattere funzionale rispetto ad essa. Questa distinzione è chiara ma ha il difetto di non considerare le valenze immaginative che il materiale simbolico acquisisce in una prospettiva semantica quale è quella di un compositore che deve selezionare e mettere in forma materiali musicali, che hanno funzioni specifiche. L’inserimento di una certa struttura musicale, che si lega ad una dimensione semantica afferente al sacro, tende ad assumere una rilevanza notevole, se attira su di sé l’attenzione di un compositore, o dell’ascoltatore.

La dimensione semantica della musica sacra ha, in questo senso, una irriducibile componente simbolica. Se non fosse così, non sarebbe possibile neppure individuare l’emergere del sacro, che orienta su di sé il peso della valenza immaginativa della composizione. Ma anche se guardiamo alla musica di Ayler, potremmo dire che la dimensione estemporanea ha una sua dimensione formale, legata ad elementi di dinamica, di intonazione, di durata del canto estatico, i quali, presi nel loro insieme, non sarebbero meno caratterizzanti. Esiste naturalmente una profonda differenza tra pratica improvvisatoria e teoria compositiva, ma non si coglie nel segno se in esse ci limitiamo a riscontrare differenti atteggiamenti contrapposti, anche nel caso del sacro.

Questo non è un problema riconducibile alla tematica della distinzione dei contesti. Sembra più rilevante condurre la distinzione a partire dalle due diverse tematizzazioni della temporalità e del procedimento costruttivo a cui le due forme di emergenza del sacro fanno riferimento, che poi sono due diverse vie d’approccio alla musica. Sarebbe possibile contrapporre lo schema improvvisatorio della performance alla dimensione formale della messa in atto di una scelta di tipo compositivo. Si tratta di diverse prospettive procedurali, che mettono capo a diversi criteri costruttivi, ma la differenza non passa solo attraverso la relazione funzionale nella simbolizzazione. Si tratta di linguaggi che si articolano attraverso due nozioni di forma molto diverse tra di loro: il linguaggio improvvisatorio muove da procedure complesse, ma riconducibili a schemi, a procedimenti che tendono ad esibire nel modo più semplice possibile le proprie regole di costruzione, che devono essere al massimo grado condivisibili da altri musicisti nel momento della performance.

Questa semplicità rende conto della difficoltà che emerge all'interno della dimensione improvvisatoria, perchè le strutture improvvisatorie tendono immediatamente a complicarsi attraverso l'inserimento di numerose regole interne, che nascono da una dimensione di pratica musicale e che continuamente la trasformano. Raramente in musica semplicità implica facilità. Lo stesso problema tende a cambiare di senso nel lavoro di un compositore, che si confronta con dimensioni progettuali diverse. Rimane comunque interessante l’idea di ricostruire una distinzione di grado rispetto all’articolazione della dimensione mistica, a partire da una distinzione interna al mondo della musica.

VII

Non possiamo concludere la discussione, senza tornare al problema dell’improvvisazione e della sua ricezione presso questa cultura.

Per fare questo, utilizzeremo oltre a delle annotazioni di Hodgkinson, dei contributi del suo compagno di tournée, Ken Hyder, che ha pubblicato due brevissimi resoconti su questa esperienza. [10]

Entrambi i musicisti concentrano la propria attenzione sulla nozione di ascolto. Hodgkinson nota che la cultura sciamanica stabilisce una strettissima relazione fra influssi dell’ambiente naturale e trasformazioni di stato nella coscienza individuale, e di questa relazione abbiamo già parlato nell’analisi delle trasformazioni dello sciamano. L’esperienza dell’ascolto è completamente assorbita dalle bivalenze del concetto di natura, in una oscillazione che va dalla dimensione quotidiana della vita nella Tundra, fino al trapasso dell’elemento naturalistico alla dimensione magica. L’atteggiamento legato al dover afferrare "ogni dettaglio dei suoni naturali per poter sopravvivere", si fonde con l’atteggiamento estatico dello sciamano. Il continuo trapassare dalla dimensione magica a quella naturale, o meglio la coesistenza di questi due elementi nella quotidianità dell’esperienza che si tinge di elementi immaginativi non meno della nostra, fa sì che la cultura musicale sciamanica si sviluppi guardando soprattutto alla "organizzazione del suono naturale", in modo da vedere una continuità fra suono musicale e rumore.

Questa continuità caratterizza in modo diverso la loro cultura musicale rispetto alla nostra, che tende a distinguere i due elementi: "...è un assioma dell’estetica musicale occidentale distinguere il suono dal rumore, non solo mediante la regolarità della vibrazione delle note musicali ma, più significativamente, mediante la regolarità delle relazioni fra le note musicali." La ricaduta sulla pratica musicale dell’intrecciarsi di rumore e suoni musicali non può lasciare indifferente l’improvvisatore abituato ad intervenire sulle fonti sonore in vista di una loro alterazione, e che così tende, a sua volta, ad alterare continuamente i due termini della distinzione.

Così Hodgkinson nota che i musicisti della Iacuzia con cui si è trovato a suonare applicano con facilità alla propria musica le "irregolarità della natura". Qui è in primo piano una componente estetica in senso molto stretto, ossia la capacità di recepire rumori con un atteggiamento musicalmente teso al loro uso all’interno della performance. Ma questa situazione di pratica musicale ha un referente nella dimensione magico-naturalistica, cioè trova la sua ragion d’essere in una forma di pensiero che sta dentro la musica stessa.

Non è solo una conflittualità fra due culture, come Hodgkinson dà ad intendere: se è vero che una parte consistente della nostra tradizione musicale ha differenziato in modo netto suono e rumore, questa processualità non ha implicato la perdita di un rapporto immaginativo con il rumore o con la natura, ma ha determinato un differente utilizzo della grammatica musicale e dei suoni musicali. Lo stesso richiamo all’ascolto dei suoni della natura ed alla loro irriproducibilità, in termini mimetici, a quella cioè che è una perdita per la nostra cultura musicale, è emblematica di come la valorizzazione musicale dei nessi immaginativi legati alla natura trapassi, fra culture diverse, nel modo di guardare ai materiali di costruzione della musica stessa; lo stesso lavoro sulla risonanza dell'improvvisatore, il suo passeggiare fra i suoni della sala buia, allude alla dimensione di questo problema, non meno del tentativo di Messiaen di ricostruire il canto degli uccelli esotici a partire da un diverso modo di intendere il temperamento.

Se questo è uno sfondo problematico accettabile, allora non è più possibile parlare, come fa Hodgkinson, di mappe più o meno ristrette di una musica rispetto ad un’altra, ma di diversi modi di guardare, da parte del pensiero musicale, allo stesso oggetto: ecco perché ci interessa una musica che esprime pensieri diversi dai nostri. L’immaginaria camminata nella natura che propone Hodgkinson a fine articolo, come la pratica dell’esplorazione della sala a partire dalla sua dimensione sonora da parte dell'improvvisatore, ci riportano ad una dimensione dell’esperienza che è vicina a quella dello sciamano, rispetto a cui facciamo valere opzioni metodologiche diverse. Ma l’elaborazione mitica della natura ha presa sul medesimo oggetto d’esperienza della camminata nel suono dell’improvvisatore, mutano i modi di guardare alla stessa esperienza. Questo si desume, tra l’altro, dal fatto che Hodgkinson sente il bisogno di caratterizzare la componente ritmica dei fenomeni naturali, con la stessa naturalezza con cui l’ascoltatore siberiano, di fronte alle improvvisazioni del musicista inglese, è portato a riportarle sul piano metaforico della visione, e pone domande sugli spiriti che ne animano la musica, o ancora, dal fatto che ci viene naturale assimilare il lavoro ritmico dello sciamano a quello di un batterista free. La dimensione dell’ascolto mostra così l’inscindibile nesso fra percezione ed immaginazione, quel nesso che fa definire le sfasature ritmiche "cadere delle gocce di pioggia" dal maestro sciamano[11]
 


Bibliografia essenziale per ricostruire la discussione:

  • Tim Hodgkinson, Musica improvvisata e sciamanismo siberiano (Da "Musicworks" n.66, autunno1996) trad. it. di Cristiana Borrella reperibile in "Musiche", n. 18, primavera 1997 e in "De Musica", I, 1997.

  • Testi dello Sciamanismo siberiano e centroasiatico (a cura di Ugo Marazzi), Torino, UTET, 1984 (da questo testo è stata tratta l'immagine del tamburo).

  • Mircea Eliade, Da Zalmoxis a Gengis - Khan, Roma, 1975.

  • Paulson, Zur Phänomenologie des Schamanismus, in "Zeitschrift fur Religions- und Geistesgeschichte", 16 (1964), 121-141.

  • Id., Le religioni dei popoli artici, in H. C. Puech, Storia delle religioni, 18, Bari, 1978.

  • A. Czaplicka, Aborigenal Siberia. A study in Social Antropology, Oxford, 1914.

  • M. Shirokogoroff, Psycomental complex of the Tungus, Kegan Paul, London, 1935.

  • Eveline Lot-Falck, L’animation du tambour, in "Journal Asiatique", 1961

  • Vainshtein, "The Tuvan Shaman’s Drum and the ceremony of its ‘Enlivening’", in V. Dioszegi (a cura di), Popular Beliefs and Folklore in Siberia, Bloomington; Indiana University, 1968.

  • Georges Lapassade, Saggio sulla Trance, Feltrinelli, 1980.

  • Giovanni Piana, Elementi di una dottrina dell’esperienza, il Saggiatore, Milano, 1979.

  • E: Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, Firenze, La Nuova Italia, 1987.

  • Desjaques, La dimension orphique de la musique mongole, in "Ateliers d’Ethnomusicologie", Geneve, 1990).

  • Gilbert Rouget, La musique et la trance, 1980 Paris, Gallimard. (trad. it. Di Giuseppe Mongelli, Einaudi, Torino, 1986). Si raccomanda anche la recensione apparsa su "Ethnomusicology", pag.133 e seg. 1985.

  • Tuva, Republic of Tuva (Rivista), n.1, 93\94.

Fra i testi citati da Hodgkinson:

  • Jochelson, W., Religion and Myths of the Koryaks, pag.49.

  • Julian Jaynes, Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, trad. it.. di Libero Sosio, Milano, Adelphi, 1984.
     


Non avrei potuto scrivere questo articolo, senza l’aiuto di Alessandro Achilli e Massimo Miglietti, che vorrei qui ringraziare.


Vorrei aggiungere una piccola discografia, per chi desiderasse approfondire questi problemi.

  1. The Goose: Ponomareva, Hyder, Hodgkinson, CD Megaphone OO4.
  2. John Coltrane, Ascension, CD Impulse 254618-2. (Ristampa)
  3. Charles Mingus, Blues and Roots, LP Atlantic. 650232.
  4. Albert Ayler: Lorrach - Paris 1966 , CD Hat - Hut Art 6039.
  5. Tuva. Echoes from the spirit world, CD Pan 2013.
  6. Tuva: Voices from the center of Asia, CD SF 400197.
  7. Musique de la Toundra et de la Taiga, LP H.M.
  8. Pesni i Instrumental Melodii Tuvi, LP Melodya D030773.
  9. Iz Jatkutskogo muzykal’nogo fol’klora, LP Melodya D030639-40.
  10. Chants chamaniques et quotidiens du bassin de l'Amour, CD Musique du mond 92671-2.
  11. Olivier Messiaen, Vingt Regards sur l’Enfant Jesus, CD. (2) Erato 4509-91705-2.
 


Si segnala il documentario video realizzato dalla West Deutsche Rundfunk
Shamanen im blinden Land, di Michael Oppitz, Prod. WDR 1980


Note

7] Rouget, 1986, pag.174 (vedi bibliografia). ritorno

[8] Per una discussione di questa prospettiva, cfr. Giovanni Piana, Filosofia della musica, Milano, Guerini e Associati,1991, in particolare cap. I , Materia, pag.65-116. ritorno

[9] Cfr. Edmund Husserl, Ricerche logiche, V, pag.. 163. In: E. Husserl, Ricerche logiche, a cura di Giovanni Piana, Milano, Il Saggiatore, 1968. Per un primo approfondimento: A. Civita, La filosofia del vissuto, Milano, Unicopli, 1981. ritorno

[10] Cfr. Ken Hyder, Alla ricerca dello spirito in "Musiche", n. 10 (estate 1991) e " Spirit Music" in "Musiche" n.15 (primavera\estate 1994) . ritorno

[11] Il ritmo della pioggia viene spesso assimilato ad un ritmo regolare, mentre la cultura sciamanica ne coglie immediatamente le irregolarità: due culture diverse assumono lo stesso fenomeno naturale, dandone due interpretazioni differenti, e questo distingue anche gli approci musicali a questo tema. Anche le strutture poliritmiche utilizzate da due compositori appartenenti a tradizioni musicali diverse, come C. Debussy e T. Takemitsu, hanno un andamento che si differenzia nella valorizzazione delle irregolarità ritmiche nella rappresentazione del cadere della pioggia. Questo potrebbe già mostrare la complessità dei rimandi culturali che ricadono sulla costruzione dell’oggetto musicale, a partire dalla dimensione dell’ascolto. Ma questa osservazione dovrebbe correlarsi a delle analisi di come sono costruite le strutture poliritmiche all'interno del brano, a partire dalla sintassi della musica, più che da dati culturali: una scelta compositiva non è una questione riconducibile a semplici mappature di tipo culturale e questo lo prova il fatto che la poliritmia in Debussy si connota attraverso suggestioni legate al gamelan, mentre quella di Takemitzu si proietta verso una struttura sommatoria, più vicina a moduli di tipo occidentale. ritorno

 


Ritorna alla Premessa
Tim Hodgkinson, Improvised Music and Siberian Shamanism
Traduzione italiana dell'articolo precedente

 

indietro