Abbiamo chiesto a Rossella Sannino, docente in un liceo classico milanese e docente a contratto di Didattica del Latino presso l’Università degli Studi di Milano, di valutare la simulazione della seconda prova di maturità per i licei classici, somministrata lo scorso 28 febbraio 2019. Auspichiamo che la discussione possa essere ampia, e servire alle tre parti in gioco nell’operazione – gli studenti che dovranno affrontare la nuova prova; i docenti che devono prepararli alla prova stessa; quanti devono predisporre le prossime simulazioni e la prova definitiva.
Lo scorso 28 febbraio si è svolta la prima simulazione nazionale del secondo scritto di maturità.
Non inatteso il modello, perché il Ministero aveva provveduto a pubblicare un facsimile della nuova prova il 22 dicembre 2018; incertezze e ansie riguardavano il contenuto: traduzione dal greco o dal latino?
I rappresentanti del Ministero, interpellati in proposito in una riunione indetta dall’Ufficio Scolastico Regionale con l’intenzione di chiarire i dubbi sulla nuova maturità, non avevano sciolto il quesito, motivando tale reticenza con la volontà di lasciare , così facendo, un alone di difficoltà coerente con la prova d’esame.
Il testo d’esame è stato trasmesso via web, con piccolo ritardo, forse dovuto all’elevato numero di richieste d’accesso al sito del ministero. Finalmente, alle 8,45 il testo: traduzione dal latino, Tacito (Annales VI, 8), e confronto con il greco, Cassio Dione (58, 11, 1-2 e 12, 3-4).
Come previsto, un’ampia introduzione permetteva di contestualizzare il passo anche agli studenti che ancora non avessero intrapreso lo studio dell’autore latino, il cui passo era corredato da ante-testo e post-testo, nella traduzione di Ezio Cetrangolo, e senza confronto con l’originale.
Dello storico greco si davano due passi, ciascuno con traduzione d’autore accanto al testo originale.
Le richieste: tradurre il testo latino e rispondere a tre quesiti in cui si invitava ad operare confronti fra il testo di Tacito e quello di Cassio Dione. Tempo concesso 6 ore, consentito l’uso dei dizionari latino, greco, italiano.
Le interviste fatte all’indomani della prova – fatta decantare la fatica immediata – consentono di registrare, da parte degli studenti, un giudiziο globalmente positivo su questa tipologia d’esame, perché il confronto fra testi diversi finalizza lo scopo della traduzione, e la “versione” acquista una dimensione pragmatica e non fine a se stessa, in quanto si traduce per comprendere e per svolgere un’indagine interpretativa. È una prova che ingaggia al cimento, che costringe a riflettere e che può dare soddisfazione e senso a tanto studio di lingua e cultura nel percorso liceale.
Prendiamo in esame le tre parti in cui è strutturata la prova.
Prima parte, la traduzione: la comprensione del passo di Tacito era orientata da numerosi indizi seminati nell’introduzione; saperli cogliere richiedeva una capacità di attenta lettura anche del testo in lingua italiana. Nella correzione delle prove si è talora constatato un mancato riconoscimento di questi indizi: ci si interroga se si tratti di una fragilità di attenzione o forse anche di mancanza di fiducia nella significatività del testo.
Il passo latino da tradurre, supportato dunque dagli aiuti su detti, non si presentava molto difficile o astruso. Poco influente è stata la confusione tra Livilla e Drusilla, evitabile invece la mancata segnalazione grafica della conclusione del discorso di Terenzio.
Seconda parte, il confronto con il testo greco: Cassio Dione non è autore frequentato dagli studenti dell’ultimo anno, ma comunque i due passi proposti per il confronto erano corredati dalla elegante traduzione di Alessandro Stroppa. Il confronto reale con questo testo è però oggetto dei quesiti dell’ultima e terza parte.
Terza parte, tre quesiti cui rispondere in forma aperta. Qui è sorta qualche perplessità, anzitutto per la loro non chiarissima formulazione. Di seguito li riporto.
1) Comprensione /interpretazione
Sintetizza brevemente le argomentazioni portate a propria difesa da Marco Terenzio e quella degli anonimi amici di Seiano citati da Cassio Dione, e verifica la corrispondenza (o le differenze) fra l’una e l’altra voce.
Le “voci” in questione sono quelle dei due autori? Perché nel testo greco l’unica voce narrante è quella dello storico, che riporta fatti e valutazioni personali sul dopo Seiano, mentre in Tacito leggiamo la dichiarazione stessa del testimone Terenzio.
2) Analisi linguistica e/o stilistica ai fini dell’interpretazione
Tanto Tacito quanto Cassio Dione utilizzano la caduta di Seiano per trarne delle considerazioni morali e moralistiche, più esplicite nel testo greco, più implicite in quello latino, forse per non appesantire troppo la narrazione. Ne sapresti individuare, nell’uno e nell’altro testo, alcuni termini-spia?
“ Considerazioni morali e moralistiche”: la formulazione del quesito è stata percepita come ridondante, in assenza di miglior distinzione tra ciò che è morale e ciò che è moralistico. I destinatari del quesito sono pur sempre liceali della contemporaneità, con limitata confidenza con la differenza che intercorre tra i due termini. La ricerca di “termini spia” ha generato perplessità: si trattava di individuare parole singole oppure espressioni che fossero rivelatrici del giudizio implicito del narratore? Il chiarimento a voce del docente di turno o l’intuizione dello studente hanno fornito gli adeguati strumenti per dare risposta al quesito.
3) Approfondimento e riflessioni personali
Un termine centrale dell’argomentazione di Terenzio è obsequium. Per Cicerone (Laelius 88-89) obsequium è il rispetto reciproco che lega superiore e inferiore in una scala gerarchica o due amici di pari grado in un rapporto privato. L’obsequium non deve degenerare e diventare eccessivo, perché l’eccesso impedisce di agire positivamente l’uno sull’altro, segnalando limiti e difetti di ciascuno. Proprio la degenerazione dell’obsequium in adulatio (all’origine, le manifestazioni d’affetto dei cani e degli altri animali da compagnia) è invece, per Tacito, fra le cause della decadenza morale del principato, e quindi anche di quella politica. Ricordi altri passi di quest’autore che vadano in questa direzione, oppure di autori di età imperiale in qualche misura accostabili all’idea?
Termine centrale dell’argomentazione di Terenzio disponibile nel testo in latino non è obsequium. È già stato segnalato da Franca Gusmini, sulle pagine del Corriere, l’ errore nella formulazione del quesito: di obsequium si parla nella porzione di testo fornita in traduzione, difficile quindi da riconoscere senza testo latino a fronte; il suo significato poi, in questo contesto, è quello di obbedienza, ovvero dell’unica forma di gloria possibile per chi voleva mantenere fede al proprio dovere nell’amministrazione dello Stato. Molto apprezzata invece la possibilità di un excursus presso altri autori.
La valutazione: assegnata in 20esimi, solo 4 punti su 20 sono destinati alla valutazione dei quesiti. Sembrava fosse questo uno svilimento dell’impegno profuso per risolverli, ma dopo le prime correzioni gli insegnanti pensano che siano equi: tra incertezza dei quesiti e approssimazione delle risposte, non è ancora arrivato il momento per rendere questo aspetto troppo rilevante nella valutazione globale.
In conclusione:
Promossa la tipologia d’esame, ma si chiede una maggior attenzione nella formulazione dei quesiti. Rispetto alle indicazioni fornite nel documento di dicembre, ci si aspettava una certa attenzione al codice letterario e alle sue finalità espressive.
Resta unanime oggetto di critica la scelta di proporre la nuova formula d’esame ad anno scolastico iniziato e avanzato: manca il tempo di una preparazione mirata, i propositi didattici di inizio anno ne vengono sconvolti, ci si deve affidare all’inventiva dei docenti, nonché alla loro capacità di improvvisare e di metter a disposizione tempo non retribuito per sanare l’assenza di indicazioni mirate da parte del Miur.
Ben vengano le indicazioni ministeriali per i criteri di valutazione, peccato che siano generiche e formulate in un linguaggio assai criptico (si veda alla voce “obiettivi della prova” nel “Quadro di riferimento per la redazione e lo svolgimento della seconda prova dell’esame di Stato”). Per far fronte a questa nuova incombenza le scuole si sono organizzate in consulte urbane, territoriali, regionali … ritagliando il tempo per gli incontri in spazi non previsti e, a quanto pare, non retribuiti.
Molte le questioni aperte che sono messe in moto da questa prova di esame, in primis lo svecchiamento della didattica delle lingue classiche ; ma vi è anche un aspetto organizzativo, che non potrà ignorare il coordinamento mirato degli insegnamenti di latino e greco.
© Rossella Sannino, 2019
Dissento in realtà da quello che si dice di “obsequium”. Forse per suggestione di un corso in larga parte dedicato alla parola e a Tacito, ma “obsequium” negli “Annales” assume una miriade di significati, e non si può ridurre alla semplice obbedienza, né al mantenere fede al proprio dovere nell’amministrazione dello Stato (specie perché a parlare è Terenzio, non Tacito). Concordo invece senz’altro sulla lamentela circa l’assenza del testo latino: immagino che la domanda lo presupponesse.
Qualche dubbio anche sulle obiezioni al secondo quesito: la formulazione riportata parla di “analisi linguistica e/o stilistica”, dunque mi sembra legittimo puntare sulla prima rispetto alla seconda. L’esperienza che mi viene dalle Olimpiadi della Classicità, dove ho fatto per vari anni da correttore, è che le analisi stilistiche sono spesso assai deludenti, risolte nella riproposizione di formule generiche apprese dalle voci dei manuali sui singoli autori, oppure limitate a trovare presunte allitterazioni (che poi spesso allitterazioni non sono) e presunti iperbati, che poi spesso iperbati non sono (ma tentativi di cercare una struttura italiana in una frase latina). Un’analisi linguistica, secondo me, obbliga di più a cercare nel testo.
Mi sembra però che Sannino tocchi un tasto importante laddove mette in evidenza che la formulazione di domande comuni per tutti implica un lessico comune per tutti, che invece non è stato (evidentemente) costruito, e questo spiega forse alcune delle perplessità segnalate.
Saluti a tutti!
Torno sul concetto di obsequium, visto che nessuno ancora è intervenuto, avendo nel frattempo letto anche un intervento apparso il giorno stesso della prova sul “Corriere della Sera” (l’intervento mi era sfuggito, ma si può recuperare qui:
http://linux.liceoclassicocarducci.gov.it/2019/03/01/maturita-2019-drusilla-non-e-livilla-e-lobsequium-non-e-ladulatio-quanti-errori-nella-traccia-di-latino/).
Dico subito: conosco l’Autrice da anni, e la stimo. Ma l’articolo, forse scritto di fretta, forse compresso dalla testata giornalistica (succede), è discutibile proprio in quello che dice di “obsequium”, ossia che nulla abbia a che vedere la parola con il fenomeno di degenerazione verso l’adulatio messo in rilievo dalla domanda ministeriale, e che “obsequium” sia la pura e semplice “obbedienza”. Basta controllare il Thesaurus Linguae latinae, dove, ad apertura di lemma, si riporta la voce di Nonio che ricorda come “obsequia non solum minorem maioribus exhibere, sed et maiorem minoribus per vicem, veterum auctoritas voluit” (maiorem è in realtà un’integrazione di Mueller; il concetto è comunque quanto esprime nel cappello la domanda ministeriale). I glossari, fonte sempre interessante per capire la sinonimica dei termini, glossano “obsequium” con “observantia, officium”, non con “oboedientia”. Effettivamente il Thesaurus prevede una voce del lungo lemma che si riferisce alla situazione per cui sia “praevalente vi oboediendi, serviendi et similia”, voce che però viene in massima parte sviluppata nei rapporti familiari (l’obsequium è in quel caso l’obbedienza di “liberi, uxores, servi” e si danno pochissimi altri “exempla varia”). Viceversa, l'”obsequium” viene ampiamente declinato come termine da usare “honorando, salutando, assistendo, curando etc.”. Esiste poi un uso comune “in vita publica”, che però si specifica subito “cum vario colore honorandi, observandi et similia”.
Insomma, l’obbedienza come si vede o non c’è o è riconoscibile solo in un ambito molto ristretto, che non coincide con il caso proposto. Il passo in questione nel Thesaurus non è registrato, ma è registrato come Tacito ami il vocabolo, e lo usi spesso “in malam partem respectu adulandi, humiliter serviendi” (ecco che viene fuori l’adulatio, sia pure legata a un “humiliter serviendi” che non è però semplice “obbedienza”: ed è discutibile quale dei due valori far prevalere qui).
Come nasce allora l’osservazione del “Corriere? Semplice, dalla traduzione di Cetrangolo, molto elegante, ma che tuttavia segue, come sempre, criteri suoi. In classe, avrei quindi fatto osservare come il procedimento contrastivo metta in evidenza i limiti della traduzione italiana, e l’importanza di andare sempre a vedere l’originale; e di vedere l’originale con occhi non prevenuti, verificando le sfumature dei termini sugli strumenti del mestiere (per un’indagine lessicografica, il Thesaurus), e su quella base discutere poi le argomentazioni offerte dal testo. Il che, in fondo, sembra coincidere abbastanza con il meccanismo proposto dalla domanda ministeriale, più esatta delle critiche che le sono state mosse, direi (tanto più che non avrei nemmeno pensato che la domanda si riferisse in modo specifico a questo passo, ma a un generico procedere tacitiano per il quale, e si veda sopra, l’obsequium “in malam partem saepe accipitur”, e tende a divenire “adulatio”, altra parola che, come dice il Thesaurus, “a Tacito adamatur”; e mi sembra incontrovertibile). Ma immagino che su tutto questo, come dicevo, la fretta di dover stampare l’articolo abbia avuto il suo peso di cattiva consigliera…
Ringrazio la collega Sannino per la puntuale analisi che condivido pienamente.
Quanto all’interpretazione di obsequium, mi chiedo se realisticamente gli studenti abbiano gli strumenti per affrontare una questione su cui anche noi specialisti,vedo, non siamo concordi, considerando anche che Tacito non è autore che, nella normale programmazione didattica, si riesca ad affrontare alla fine di febbraio.
Però adesso non vorrei essere io ad avere deviato la discussione, nel qual caso faccio mea culpa. La domanda ministeriale non chiedeva di disquisire sull’uso di obsequium; osservava che obsequium, in età repubblicana glossabile (e glossato) con “rispetto reciproco” – abbiamo visto che Cicerone e Nonio sarebbero stati d’accordo – in età imperiale è diventato altro, qualcosa che non era esplicitamente glossato, ma che attraverso l’immagine utilizzata per l’adulatio si potrebbe leggere come “fedeltà canina”. La domanda invitava poi a disquisire su questa degenerazione dei rapporti gerarchici e sociali, lasciando liberi di declinare la cosa in Tacito o in altri autori (Sannino scrive che questa libertà è stata molto apprezzata). Già che ci sono, segnalo che anche su “adulatio” Nonio sarebbe stato d’accordo, perché dice che “adulatio est blandimentum proprie canum, quod et ad homines tractum consuetudine est”. Il Thesaurus, se vedo bene, nell’uso metaforico riporta un passo del Laelius, “nullam in amicitiis pestem esse maiorem quam adulationem, blanditiam, adsentationem”, poi uno di Cesare, e infine segnala che il termine diviene comune da Livio in avanti, come sinonimo o alternativa di “assentatio” e “nimia assentatio”, consenso eccessivo. In fondo, traducendo “obbedienza” Cetrangolo (e chi lo ha seguito fedelmente) dà ragione di questo processo, solo è sbrigativo nell’evidenziarne unicamente il punto di arrivo, e la risoluzione finale adottata dal traduttore non può quindi essere, a mio giudizio, usata per condannare chi ha messo in evidenza, bene o male, il processo di mutamento dei valori della parola, né deve essere assunta a metro esclusivo di valutazione della parola. Questo era quello che tenevo a mettere in chiaro con il mio precedente intervento, che non toccava il contenuto della domanda (l’unica persona che conosco ad aver affrontato la simulazione, mi ha detto di aver risposto parlando di Lucano, e – senza aver visto la sua prova! – direi che in fondo ci potrebbe stare. Sarebbe interessare il parere o la testimonianza di qualche studente).
Siamo studenti di una classe di quinta liceo classico e abbiamo svolto la simulazione di seconda prova. Siamo d’accordo sul fatto che la nuova tipologia della seconda prova sia più conforme al percorso di analisi sul testo che abbiamo svolto in questi cinque anni. Per quanto riguarda la traduzione e la domanda di letteratura sarebbe stato più semplice rispondervi se avessimo già trattato l’autore. Nonostante la presenza del pre-testo e del post-testo, non abbiamo colto alcuni elementi che avrebbero potuto aiutarci nella traduzione, avendo avuto ancora poche volte la possibilità di farne uso. Inoltre sarebbe stato più ragionevole se nella domanda di contestualizzazione (quella sull’obsequium) avessimo avuto il passo in latino nel quale era presente il “termine-spia”. Per quanto riguarda il confronto con il testo greco ci siamo trovati in difficoltà in quanto la traduzione proposta era un po’ troppo libera rispetto al testo greco e per la ricerca dei termini-chiave il testo tradotto era quasi inutile. In conclusione, è una prova stimolante per la quale le sei ore risultano necessarie, e che ribadisce, anche in termini di valutazione, la centralità della traduzione.
Sono senz’altro d’accordo su molti aspetti già sottolineati e ringrazio tutti per gli spunti e le analisi. Anche io, infatti, sono contenta di una prova che richiede, finalmente, oltre alla traduzione una riflessione sul testo o “col testo”, come recita il Quadro di riferimento, anche attraverso il confronto con un autore greco, e direi che ne sono contenti anche gli studenti; trovo anche che la scelta di declinare su una ricerca lessicale la domanda sullo stile la renda interessante e praticabile. Condivido d’altra parte la sottolineatura di alcuni difetti (alcuni di facile correzione): prima di tutto la scelta di Tacito, autore difficilmente già trattato adeguatamente a febbraio, e francamente anche di Cassio Dione, non certo tra i più frequentati e rappresentativi autori greci, anche se di fatto questo aspetto non era rilevante per lo svolgimento della prova; sottolineo anche io che la presenza di pre e post testo in lingua originale sarebbe auspicabile e, nello specifico, avrebbe evitato l’affannosa e inutile ricerca del termine obsequium, presente solo in traduzione; infine, oltre a rilevare i tempi (a dir poco intempestivi) del cambiamento di prova, rilevo anche io che la formulazione di alcune domande non era così chiara ed univoca.
Proverò ad aggiungere alle considerazioni che mi hanno preceduto qualche riflessione nata dall’osservazione degli studenti durante e dopo lo svolgimento e, ahimè, dalle correzioni. Cominciamo dalla traduzione. Il brano di Tacito è stimolante e apparentemente lineare e chiaro, ma non privo di insidie per i nostri giovani latinisti. Qualche esempio, nel concreto. Partiamo dal fatto che Tacito è sempre una prova significativa e che anche in questo brano l’apparenza inganna: c’erano aspetti morfologici e sintattici, per esempio l’alternanza di indicativi e congiuntivi, l’uso del gerundivo, cambi di soggetto, c’erano espressioni non semplici da rendere, come meo unius discrimine e, forse soprattutto, c’erano insidie lessicali: dal più banale expers confuso con expertus, a munia letto come moenia, dal novissimum consilium (seppur spiegato nel pre-testo) ad officium e al lessico politico in generale, che gli studenti non sempre padroneggiano. Mi sono poi accorta anche che l’espressione utcumque casura res est, anche laddove riconosciuta dal punto di vista tecnico, non è sempre stata valorizzata nella traduzione dagli studenti: la perifrastica, come spesso anche in Seneca, ha un valore di destinazione: l’esito della questione, ovvero del processo, viene presentato da Terenzio come già predeterminato. Questa aspettativa contrasta poi con la reale conclusione del processo, successivamente spiegata da Tacito, ma mette in risalto la forza e la franchezza del successivo fatebor, e rende l’altrimenti ignoto eques, una sorta di nuovo Agricola, exemplum del fatto che si può essere “boni cives”, anche “sub malis principibus”. Non è forse un ragionamento intuitivo e non è di certo facile cogliere questa sfumatura per un giovane studente alle prese con ansia, vocabolario, scelte lessicali e strutture morfosintattiche.
Passando alle domande, sulla prima e sulla seconda è già stato detto, ma aggiungerei un quesito che ritengo sostanziale: facendo domande di comprensione sulla parte di testo che lo studente doveva tradurre, non c’è il rischio che si generi una moltiplicazione dell’errore, perché chi non ha compreso né correttamente tradotto il testo si troverà a sbagliare anche la domanda di comprensione dello stesso? Se chiaro e condivisibile appare il presupposto, in sostanza “vediamo se ha capito”, o meglio, “aiutiamolo a capire”, il risultato rischia di essere una tragica conferma del fatto che chi non ha saputo tradurre correttamente, non possa correttamente aver compreso. O no?
Per quanto riguarda la terza domanda, posso testimoniare che è stata affrontata con lodevole creatività dagli studenti, che hanno saputo, anche in assenza di uno studio specifico su Tacito, mettere bene a frutto le proprie conoscenze ed argomentare in modo circostanziato le proprie riflessioni, ricorrendo a Seneca, oppure alla storiografia della prima età imperiale o alle varie riflessioni sul tema della decadenza dell’eloquenza, a Petronio, a Giovenale … insomma, hanno dimostrato una certa capacità di adattamento e di rielaborazione.
Gioie e dolori alla “prima” della nuova prova di latino-greco, il 28 febbraio 2019.
Laura Bartolini – docente Liceo Casiraghi
Il testo della seconda simulazione della seconda prova di maturità, tratto dal “De Ira” di Seneca, III 10, si è presentato più facile rispetto al Tacito della prima simulazione (la sintassi, sopratutto nella seconda parte del brano, si ripeteva continuamente per via delle numerose contrapposizioni “hic…hic”, “hic…ille”, “ille…hic” ecc.), sebbene fosse comunque di complicata interpretazione. Il lessico rimaneva stabilmente nell’ambito “medico” (“remediis”, “medicina” ecc.), ma i vari exempla bloccavano la scorrevolezza del testo (da “comitiali vitio” a “Ille servos non putat dignos quibus irascatur”). Per quanto riguarda invece la terza parte della simulazione, il brano di Plutarco era, sì, interessante da commentare per il diverso approccio all’argomento (direi molto meno “a protocollo” del primo testo, quello in latino), ma le domande proposte erano a dir poco scontate. Oltre a un riassunto, un’analisi sul lessico e un riferimento extra-testuale a piacere, non è stato chiesto null’altro. Ciò ha comportato troppo spazio per lo studente, e quindi tante possibilità di cadere nel banale.
condivido quanto osservato qui sopra da Alessandro: i quesiti sono generici e offrono spazio alla genericità delle risposte.
Sarebbe stato meglio articolare i quesiti in modo da orientare l’attenzione del candidato, p.es. Quale spazio occupano le metafore nei due testi? Con quale effetto? Che ruolo svolge la citazione di Callimaco? Quale connotazione di lessico prevale in ciascuno dei due testi? Con che conseguenza?
Una simile modalità, a mio avviso, consentirebbe di guidare alla riflessione sul testo e al far emergere le competenze da mettere in atto nella traduzione. Chi è bravo ne avrà sicura soddisfazione; chi lo è meno, avrà un’opportunità per dedicare maggior attenzione a quanto ha sotto gli occhi
Aggiungo, facendomi portavoce di varii colleghi e studenti, una richiesta: che ante e post testo siano completati dall’originale in lingua. La traduzione fornita per Seneca era di difficile fruizione, a voler veramente ‘interpretare’ il testo, aspetto già osservato da Paolo di Stefano sul Corriere della Sera https://www.corriere.it/scuola/secondaria/19_aprile_02/maturita-2019-simulazione-seconda-prova-traduzione-miur-arcaizzante-po-kitsch-ce3e10ec-555b-11e9-ac1d-631b8415241b.shtml
Abbiamo svolto la seconda simulazione di seconda prova che prevedeva la traduzione di un passo di Seneca, autore che abbiamo studiato approfonditamente e che quindi abbiamo affrontato con più sicurezza. Tuttavia non sono mancate alcune difficoltà sintattiche (es. rogari), lessicali (es. protegas, ceciderunt) e di grammatica, ma abbiamo apprezzato il periodare prevalentemente paratattico. La prima e la seconda domanda, di comprensione ed analisi del testo, erano più pertinenti alla tipologia di percorso che noi abbiamo svolto in questi tre anni. In particolare, la domanda sullo stile ha permesso ad ognuno di presentare la propria interpretazione del testo, lasciandoci più libertà rispetto alla domanda propostaci nella scorsa simulazione. Le opinioni sulla terza domanda sono invece diverse: per alcuni l’argomento era fin troppo libero tanto da comportare il rischio di rispondere in modo banale, per altri la possibilità di spaziare in altre aree artistiche è stato un pregio. Ci permettiamo di nuovo di suggerire la presenza del latino nel pre-testo e post-testo, comunque utili per inquadrare il passo. Anche questa volta sottolineiamo il nostro apprezzamento per una prova che non ci chiede ”solo” di tradurre ma anche di ragionare sul testo. Infine abbiamo trovato vantaggiosa la possibilità di esercitarci con delle simulazioni ufficiali perché ci rendiamo conto che ogni volta impariamo qualcosa e perché questo in parte compensa la mancanza di exempla di questa tipologia di prova per esercitarsi.