Dopo un silenzio di circa un anno, dovuto a una serie massiccia di attacchi virali al sito, avendo trovato (si spera) un’adeguata protezione, proviamo a riprendere le pubblicazioni di “Latinoamilano”. Lo facciamo con l’omaggio a un compositore francese noto anche in Italia, ma per non più di un paio di titoli, che poco rappresentano la sua vasta produzione musicale. Il compositore è Camille Saint-Saëns, 1835-1921. Bambino prodigio, noto pianista ed organista (la sua sinfonia numero 3, del 1886, uno dei pochi brani rimasti in repertorio, ha come sottotitolo “sinfonia con organo”), Saint-Saëns iniziò a comporre intorno ai sedici anni. Nel 1863, a ventotto anni, scrisse una ouverture intitolata Spartacus, che è il brano che ci interessa. Per completezza, ricordo che Saint-Saëns è l’autore di un oratorio trattato però comunemente come opera lirica, Samson et Dalila, 1877; di una famosa fantasia per pianoforte e orchestra, Le carnaval des animaux, 1886; della Danse macabre, 1874, un breve poema sinfonico, affine in questo al testo in esame. Ouverture, a metà Ottocento, non significa infatti brano di apertura di uno spettacolo più ampio (di solito, un’opera lirica), ma è una composizione a sé stante, di breve durata, da usare appunto come “scaldavoce” nei concerti sinfonici che in Francia, come in tutta l’Europa centrale, stanno diventando di moda (l’Italia è in leggero ritardo, ancora dominata quasi integralmente dal teatro operistico). A fare da modello furono i poemi sinfonici di Franz Liszt, 1811-1886, composizioni a tema, di varia lunghezza, che non rispettano la struttura classica di una sinfonia e non sono divisi in movimenti nettamente separati fra loro, pur avendo naturalmente, al loro interno, variazioni tematiche, ritmiche e tonali. Liszt fu amico di Saint-Saëns, e suo mentore negli anni della formazione come pianista e compositore (due attività nelle quali anche Liszt eccelleva).
La nostra ouverture nasce da ragioni contingenti: Saint-Saëns partecipa a un concorso bandito da una società musicale di Bordeaux, che vince; in precedenza, aveva già vinto un altro concorso bandito dalla medesima società, con una ouverture intitolata Urbs Roma. Dopo gli anni Sessanta dell’Ottocento, non sembra che la nostra composizione abbia più riscosso molto interesse, fino ai giorni nostri. Scrivendo al suo editore, che voleva realizzare nel 1904 un’edizione di tutte le opere di Saint-Saëns, il musicista citò questo brano, indicandolo però come ormai defunto, legato a circostanze specifiche e indegno di essere ripreso in considerazione. Il legame con Spartaco è molto incerto: Saint-Saëns non scrive musica a programma, e non ha lasciato una descrizione di come vada letto il testo, che propone più suggestioni che vere descrizioni. Quello che si percepisce è la presenza di un primo tema piuttosto roboante, a fanfara, nel quale prevalgono gli ottoni e le trombe, forse a rappresentare le lotte del personaggio antico. C’è poi un secondo tema, introdotto dagli archi, più mite e dolce, pensieroso e sospeso, meditativo – verrebbe da dire, come se Saint-Saëns volesse dare corpo all’animo protoromantico e sognatore del gladiatore ribelle, che pensa alla patria, alla possibilità di una vita normale, agli affetti che gli sono stati negati. Nella struttura complessiva dell’opera entrambi i temi tornano più volte, ma è il primo che alla fine prevale, travolgendo il secondo. La coda finale, assai movimentata, potrebbe essere una raffigurazione della battaglia di Petelia, 71 a.C., nella quale Spartaco trovò (probabilmente) la morte. Saint-Saëns la presenta come impetuosa, ma, grazie allo spazio concesso alle trombe, anche come trionfale, indipendentemente, verrebbe da pensare, dal suo esito storico.
La figura di Spartaco piacque molto a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, quando la sua rivolta divenne simbolo di empiti romantici, appunto, o post-romantici, e di una prima coscienza delle diseguaglianze sociali. Il garibaldino Raffaello Giovagnoli, nel 1874, pubblicò un romanzo ispirato al ribelle antico, cui lo stesso Garibaldi si degnò di scrivere una prefazione; sia Alessandro Manzoni, 1785-1873, che Ippolito Nievo, 1831-1861, scrissero delle tragedie (o degli abbozzi di tragedia) ispirate al personaggio, quella di Manzoni rimasta allo stato di progetto intorno agli anni 1821-1825, quella di Nievo inedita fino a oltre cinquant’anni dalla morte dell’autore (fu pubblicata solo nel 1919). The Gladiators, 1939, è il romanzo d’esordio dell’ungherese Arthur Koestler, più noto per il successivo Darkness at Noon, “Buio a mezzogiorno”, 1940, testimonianza delle purghe staliniste scritta a Guerra Mondiale già iniziata. In musica, l’omaggio più importante a Spartaco è costituito dal balletto di Aram Khachaturyan, del 1954, di forte impronta bolscevica (Stalin era morto l’anno prima), che si dichiara ispirato al romanzo di Giovagnoli. Anche il cinema, naturalmente, ha dato spazio più volte alla figura del gladiatore ribelle, da un film muto di Giovanni Vidali, del 1913, al celebre film di Stanley Kubrick del 1960, in cui Spartaco è presentato come una sorta di Cristo proletario e protocomunista, da contrapporre al Cristo dei Vangeli (si ricordi la scena della morte in croce, fatto tutt’altro che documentato dalle fonti antiche, ma ricorrente anche in altre raffigurazioni moderne, con la moglie e il figlio ai piedi del legno, la crux commissa che ricorda l’iconografia cristiana, la promessa di un futuro diverso e migliore, che rende nobile il sacrificio di Spartaco). La televisione ha dedicato al personaggio una miniserie americana di successo, 2010-2013, nella quale gli ingredienti sesso-sangue-arena sono presentati come tipici dell’Antichità. Il fumetto ha celebrato Spartaco nella serie di Alix, il personaggio creato da Jacques Martin sulla rivista Tintin (album numero 12, Le Fils de Spartacus, del 1974). Gli Spartachisti di Rosa Luxembourg e Karl Liebknecht (1916) presero naturalmente a loro volta nome dallo schiavo ribelle. Del resto, già Karl Marx, lettore di Appiano, in una lettera a Engels del 1861 aveva definito Spartaco un grande generale, un carattere nobile e un autentico rappresentante del proletariato antico.
A Saint-Saëns va dunque riconosciuto un ruolo di precursore nell’interesse per il personaggio. La sua lettura sarà, forse, più romantica che storicamente informata o socialmente determinata; e il tema delle lotte e delle battaglie è, nella ouverture, abbastanza superficialmente delineato, come s’è detto, legato a una propulsione ritmica che permea tutto il testo e alle fanfare degli ottoni che aprono e chiudono la composizione. Resta però che alla data del 1863 Spartaco non era una figura rappresentativa, come si può pensare che sia oggi. Sul piano operistico, l’unico titolo a me noto è un’opera del Settecento, lo Spartacus di Giuseppe Persile (o Porsile), andato in scena a Vienna nel 1726, e poi ripreso solamente al festival di Schwetzingen, nel 2009 (non ne sono riuscito a recuperare la registrazione). Persile, compositore molto noto ai suoi tempi – e l’opera ebbe in effetti un certo successo, forse anche grazie alla principale interprete femminile, la celebre Faustina Bordoni; ma dovette colpire gli spettatori la scena di pazzia poco prima del finale – è oggi totalmente sconosciuto, come lo era del resto già nell’Ottocento, ed è significativo che uno strumento come “wikipedia” abbia una voce a lui dedicata solo nella sua versione tedesca (https://de.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Porsile). Altro segno di quanto veniamo suggerendo, il celebre Dizionario Bompiani delle Opere e dei Personaggi, la cui prima edizione risale al 1946, cita il romanzo di Giovagnoli, ma nel volume dedicato ai personaggi ignora la voce “Spartaco”. Si riconferma così l’originalità di Saint-Saëns e un interesse, dunque, non solo musicale, ma anche storico per la sua composizione.
© Massimo Gioseffi, 2021