La certificazione torna a far parlare di sé. Mercoledì 20 gennaio, a Milano, si è svolto un incontro alla presenza di Paolo de Paolis, professore all’università di Cassino, ma, soprattutto, attuale presidente della CUSL, la Consulta Universitaria di Studi Latini, ovvero l’associazione che riunisce tutti i docenti universitari di materia e che svolge, attualmente, la funzione di istituto certificatore. Con lui erano presenti Massimo Gioseffi, padrone di casa, Guido Milanese, che della certificazione è stato uno dei padri nobili, e Francesca Papaleo, in rappresentanza della provincia di Ferrara dove, negli ultimi due anni si sono tenute delle prove esattamente parallele (per tempi di svolgimento e per tipologia di esercizi) a quelle svoltesi in Lombardia. La discussione ha avuto come tema principale la possibilità – e oggi forse anche la necessità – di trovare un modello nazionale di certificazione. Ricordo che le prove finora si sono svolte in via sperimentale, e secondo tipologie parzialmente diverse e indipendenti le une dalle altre, in Liguria (dal 2012), in Lombardia e a Ferrara (dal 2014), in Sicilia (dal 2015). Oltre a queste regioni, ora anche il Piemonte e la provincia autonoma di Trento hanno stretto protocolli d’intesa con la CUSL per attuare, nei prossimi mesi, una loro certificazione (si veda il post “A proposito di certificazione”, dedicato all’incontro di ottobre al liceo Rosmini di Rovereto). Il coinvolgimento nella discussione di numerosi docenti di liceo ha dato impulso al dibattito, testimoniando l’interesse della scuola nei confronti di questa opportunità.
Nel suo intervento introduttivo Guido Milanese ha sottolineato che l’apprendimento della lingua latina deve essere valutato per mezzo di certificazioni rilasciate da un ente autonomo e riconosciuto a livello internazionale, come è prassi per qualsiasi altra lingua europea. Su questo obiettivo, ha detto De Paolis, si sta muovendo appunto la CUSL, adoperandosi per dar forma a una prova di certificazione unica a livello nazionale. Nella medesima prospettiva di equiparazione della certificazione latina a quella delle altre lingue, è stato affrontato il tema della sua ‘spendibilità’. Gioseffi ha suggerito che l’attestato potrebbe integrare i punteggi dei test di valutazione preliminare degli studenti immatricolati a Lettere o essere impiegato in sostituzione delle prove scritte per gli esami di Letteratura Latina nelle sedi universitarie che un simile esame prevedano (ad esempio, la stessa Milano). La certificazione però non deve essere vista soltanto come un passaporto per le facoltà umanistiche. Secondo Gioseffi dovrebbe essere resa accessibile a tutti coloro che desiderino conseguirla, indipendentemente dal percorso universitario che decideranno di intraprendere, e anche dalla loro attuale posizione scolastica. Come per le lingue moderne, si deve trattare di un riconoscimento cui aspirare anche solo per interesse personale, o per spenderlo in quegli ambiti professionali (archivi, biblioteche di conservazione ecc.) dove il certificato possa avere valore. Francesca Papaleo ha sottolineato infine il successo della certificazione nella provincia di Ferrara, il che conferma la tendenza delineatasi in Lombardia, dove, per il 2015, sono state 300 le domande di ammissione accolte, a fronte di quasi 700 richieste.
Il dibattito si è poi concentrato sulla tipologia di prova da somministrare in sede di certificazione. Gioseffi e Milanese hanno insistito sul fatto che la traduzione e la composizione latina si rivelano inadatte allo scopo, poiché chiamano in causa ulteriori abilità da parte dello studente e non permettono di adottare parametri oggettivi e matematici di valutazione. Per la stessa ragione non convincono altre forme di esercizio che sono state recentemente proposte, e che prevedono o di riassumere in italiano un testo latino (anche attraverso la scelta di un titolo adatto), o di scegliere fra traduzioni contrastive – esercizi interessanti gli uni e gli altri, ma che di nuovo mettono in campo capacità indipendenti dal possesso della lingua latina. Per arrivare a una proposta condivisa, sono state presentate le prove somministrate in Lombardia negli ultimi due anni, discutendone i possibili miglioramenti. Nel 2014 il test concepiva due livelli di riferimento, base e avanzato. Per il primo, la prova consisteva in un esercizio di comprensione del testo con domande a risposta chiusa, di carattere prevalentemente grammaticale e solo in parte contenutistico; per il secondo, nella traduzione con brevi domande di comprensione di un brano latino (un passo del De civitate dei di Agostino). Nella fase di valutazione dei test erano però emersi i limiti di una prova così strutturata: la soggettività del correttore nell’attribuire un punteggio alle diverse traduzioni e la disparità di livello tra studenti che pure avevano ottenuto la certificazione per la medesima soglia. Per il secondo anno di sperimentazione si è perciò deciso di introdurre un’ulteriore differenziazione interna al livello base (A1 e A2) e avanzato (B1 e B2), allineandosi al Common European Framework of Reference for Languages (CEFR). Anche la tipologia della prova avanzata è stata modificata: al testo latino sono stati associati cinque esercizi, tre finalizzati a valutare la competenza lessicale e la comprensione del testo, con domande di riconoscimento dei vocaboli interni al testo, o di risposta “vero/falso” ad affermazioni pertinenti al testo; a ciò, si aggiungevano la richiesta di individuare i punti di snodo del passo proposto (un brano di Galileo) e una parafrasi del testo latino con un esercizio di filling the gaps. La traduzione è stata invece mantenuta come prova aggiuntiva e distintiva solo per il livello B2, proponendo agli studenti il seguito immediato del passo utilizzato nel livello B1; alla traduzione si accompagnavano tre brevi domande di comprensione del brano tradotto, cui rispondere in latino, utilizzando le espressioni del brano stesso.
Dal dibattito è emersa come prioritaria la necessità, per tutte le componenti in gioco, di strutturare un modello di prova unico a livello nazionale, che permetta una valutazione oggettiva delle competenze linguistiche raggiunte dagli studenti, e possa fornire così dei parametri di riferimento alla didattica. La certificazione, in questo modo, si avvicinerà alla certificazione delle lingue moderne, e come quelle potrà essere valida anche al di fuori dei confini nazionali. Per quanto riguarda la struttura della prova, i docenti di scuola intervenuti al dibattito sono stati concordi sull’idea di escludere dal test quegli esercizi che non attengono alla verifica della competenza linguistica e che chiamano in causa altre abilità in possesso (o meno) dei candidati: dunque, niente traduzioni (o almeno, non un loro impiego in via esclusiva), né riassunti, né scelte fra traduzioni contrastive, né quesiti di cultura classica – esercizi oggi invece ancora presenti in altre certificazioni attuate in Italia.
© Giacomo Ranzani, 2016