In queste settimane difficili, come docenti ci siamo trovati davanti a una sfida imprevista, piuttosto complicata, a tratti stimolante: “la didattica a distanza”. Avendo provato varie soluzioni, parlato con colleghi e studenti, ricevuto mail dai genitori, vorrei proporre qualche riflessione relativa alla mia esperienza di alcuni metodi impiegati. La speranza è quella di sollecitare i colleghi che frequentano questo sito a intervenire a loro volta, proponendo esperienze, riflessioni, soluzioni e segnalando programmi e idee che hanno trovato utili o interessanti.
- La lezione in diretta
I programmi che consentono a più persone di collegarsi in teleconferenza sono diversi, e funzionano fondamentalmente tutti allo stesso modo. I più gettonati, almeno tra i miei colleghi, sono Skype e Google Hangouts Meet; io li ho provati entrambi, e devo dire che questo è l’unico modo di replicare, a distanza, una lezione che normalmente terremmo in presenza: il docente parla, gli studenti seguono, prendono appunti, fanno domande o chiedono chiarimenti. Confesso, però, che ho scelto di non utilizzare questa modalità didattica soprattutto per un motivo, il cosiddetto “Digital divide”: se ognuno dei miei studenti fosse dotato di un computer personale e di una buona connessione internet, questa modalità di lezione potrebbe funzionare splendidamente. Ma così non è: molti miei studenti possiedono soltanto il cellulare, altri devono contendersi l’uso del computer di casa con fratelli e sorelle, molti hanno connessioni internet poco veloci e poco stabili. Ne risulta che possono effettivamente seguire la lezione solo gli studenti dotati di mezzi tecnologici all’avanguardia, mentre gli altri ne rimangono esclusi, e non per colpa loro. Io, ahimè, continuo a credere fortemente che la scuola debba essere per tutti, e mi rifiuto di “selezionare” i miei studenti su base socio-economica (o tecnologica). Inoltre, i miei studenti mi riferiscono che, spesso, queste lezioni si trasformano in un gran caos, perché, a causa di collegamenti “ballerini” e rumori di fondo, non riescono a seguire il discorso dell’insegnante. Inoltre, alcuni hanno difficoltà a connettersi all’ora stabilita, perché il computer in quel momento è utilizzato da un altro familiare, oppure perché in quel momento sono incaricati di varie incombenze, incluso badare ai fratelli più piccoli…le esigenze delle famiglie sono molte e diverse, e, vista la situazione di emergenza, non vorrei rendere la gestione familiare più difficile di quanto già non sia. Infine, i programmi: sia Skype che Google Hangouts sono facili da utilizzare, ma non per tutti. L’Animatore digitale della mia scuola mi segnalava l’altro giorno come, in questa situazione, sia molto difficile fare capire agli studenti come si usa un programma che non hanno mai sperimentato prima, e soprattutto aiutarli in caso di problemi. Perché c’è un mito da sfatare, sui nativi digitali: è vero che nascono in mezzo alla tecnologia, ma questo non significa che la utilizzino sempre in modo spontaneo e facile. Infatti, i nativi digitali sono bravissimi nell’utilizzare programmi intuitivi e “semplici”, oppure i social network, ma hanno spesso problemi con programmi o software complessi, che richiedano una certa dose di “riflessione”. L’abbiamo verificato anche in università: gli studenti sanno usare molti programmi in modo automatico, ma se gli cambi le cose (o li inviti a capire o a ragionare) crollano, Del resto, è un po’ quello che succede a tutti noi con l’automobile: la sappiamo usare tutti in modo che dopo anni di guida ci viene naturale e spontaneo; ma se quella comincia a dare problemi andiamo giustamente nel panico…
Infine, i genitori e l’opinione pubblica: credo che il messaggio che i media stiano passando, in questi giorni, è che la lezione via Skype sia la cosa migliore, più all’avanguardia, che risolve tutti i problemi. Non è così, come iniziano a capire coloro che hanno i figli (spesso più di uno) che si collegano per ore; gli altri pensano (e scrivono, ahimè), che se i loro figli non hanno conference-call via Skype con i loro docenti è perché questi ultimi sono fannulloni che non hanno voglia di lavorare, oppure vecchie cariatidi che non sanno utilizzare questi potenti mezzi tecnologici. Invece no, non necessariamente: a volte i docenti sono semplicemente delle persone che sanno fare il loro lavoro, che conoscono bene i propri studenti, le loro situazioni socio-economiche, le loro esigenze didattiche, e sulla base di tutto ciò hanno scelto la modalità che giudicavano più utile ed efficace di fare didattica a distanza (che è un’altra cosa, comunque, dal replicare con un mezzo di collegamento la lezione che si è sempre fatto…).
- La video-lezione
Questa, lo confesso, è la mia modalità preferita. Il che non significa affatto che sia perfetta. Sostanzialmente, l’ho sperimentata in due modi: il primo, registrando me stessa che parlo con Quicktime, applicazione preinstallata nel mio Macbook (ma c’è un programma analogo in qualunque portatile dotato di webcam). Questa modalità ha degli innegabili vantaggi: il video, una volta condiviso con gli studenti (e questo è un problema, di cui mi occuperò in un altro post) può essere guardato da loro in ogni momento; può essere fermato, mandato indietro, rivisto; la mancanza del “pubblico” fa sì che l’esposizione scorra in modo fluido, e che il discorso sia lineare e comprensibile. Ci sono però anche delle criticità, tra cui, a mio parere, la più evidente è l’impossibilità, per i ragazzi, di intervenire interloquendo. Ciò non solo rende impossibile a uno studente di chiarire immediatamente un dubbio, ma rende più povera la lezione: le domande dei ragazzi, per quanto talvolta strampalate, sono una delle cose più interessanti in una lezione frontale, e spesso permettono di approfondire il discorso, capire quali siano i nodi problematici, trovare esempi e collegamenti cui inizialmente non si era pensato. Certo, esistono vari altri modi per recuperare questa dimensione: in questi giorni ho chiarito dubbi via mail, Whatsapp e anche per telefono; sul sito del mio laboratorio universitario abbiamo creato un forum, in cui tutti gli studenti possono postare le loro domande. Ma non è la stessa cosa di una lezione in presenza, anche se tutto sommato funziona. Chiaro, le prime volte è abbastanza inquietante mettersi a parlare da soli fissando lo schermo, e ancora peggio riguardarsi e risentirsi dopo: ho veramente quell’accento così marcatamente brianzolo? Quella s sibilante? Gesticolo davvero come mia nonna? Ebbene, la risposta è sì a tutte e tre le domande, il video e l’audio non mentono, ma non è nulla che i miei studenti non abbiano già visto e sentito in presenza. Anche la scelta del “set” è un momento critico: ci vuole una luce naturale, ma anche un luogo privo di imbarazzanti soprammobili o foto di famiglia, che non mancheranno di solleticare la curiosità degli studenti: “Ma c’è un elefante dietro di lei?” Ebbene, anche in questo caso la risposta è sì (era tagliato nell’inquadratura, ma poi a metà del video ho spostato lo schermo: errore da principiante). Per non parlare del fatto che, in un video, si sente il cane in sottofondo che russa o che abbaia sonoramente, e i figli dei vicini che si lanciano in urla di guerra da indiani apache. D’altronde, siamo tutti in casa, e il silenzio totale è impossibile da trovare.
Questa raccolta di aneddoti, oltre a farci sorridere un po’, serve anche per dire una cosa seria: non bisogna avere paura di mostrarsi agli studenti. Perché è imbarazzante, ma utile: per mantenere alta l’attenzione, e perché, come ben sapevano gli antichi, nell’attività oratoria i gesti e gli sguardi hanno una loro importanza.
La seconda modalità che ho sperimentato è quella della registrazione di un video in cui si vedono le slide che fornisco agli studenti, e in sottofondo si sente la mia voce che le commenta. Dopo aver letto vari consigli e fatto diverse prove, ho scelto un programma gratuito, Screencast-o-matic, che è molto facile da utilizzare e funziona bene; tra l’altro, crea dei file che sono abbastanza “leggeri”, il che rende più semplice la condivisione. Unico difetto: nella versione gratuita, si possono registrare video della durata massima di 15 minuti. Forse, però, non è un grosso problema: sempre in vista della condivisione con gli studenti, è meglio che i file non abbiano dimensioni notevoli, e, dal punto di vista didattico, credo che una serie di video tutto sommato brevi possa funzionare meglio di un solo, lunghissimo video. Come quando si assegnano dei libri da leggere: quando sono troppo lunghi, rischiano di demotivare e far paura agli studenti ancora prima di cominciare. Inoltre, sappiamo bene che rimanere concentrati per lunghi periodi di tempo (direi più di venti minuti) è una sfida ardua per i nostri studenti, anche nelle lezioni in presenza. Rispetto alla modalità illustrata precedentemente, i miei studenti mi segnalano che è più difficile da seguire senza distrarsi, forse perché si perde l’actio di cui parlavo supra. Per il docente, invece, è meno imbarazzante. Anche se il principio di base, quello che deve regolare ogni scelta sia sempre, credo, l’efficacia didattica.
Ah sì, per concludere: l’elefante è di cera e viene dall’Eswatini. Così possiamo far ripassare anche un po’ di geografia dell’Africa…
(continua)
© Chiara Formenti, 2020
Grazie Chiara, com’è tutto vero…
Ci si sta ingegnando in tanti, e il tempo passato extra lezioni a condividere info sul collegamanto o ad aiutare i colleghi più impacciati con la tecnologia si spreca.
Sto usando Meet.Google, associato a una piattaforma cloud, e una buona parte dei problemi tecnici per ora mi sembrano risolti; il vero problema è il cosa e il come trasmettere, tragico problema quando le materie in gioco sono latino e greco.
È bello sapere che non si è soli ad affrontare con gli stessi mezzi le difficoltà di questo momento. Anch’io sto utilizzando proprio i medesimi strumenti, di cui condivido le criticità segnalate, soprattutto il fatto di far stare la spiegazione in 15 minuti. Ma forse c’è anche un risvolto positivo in tutto ciò, imparare a concentrare il discorso in un tempo limitato, come segnalato dalla collega, costringe noi a rendere chiari i concetti/contenuti cardine e aiuta gli studenti sia a fissare subito le basi di un argomento sia a non disperdere l’attenzione data la breve durata dell’intervento.
E poi tutti gli altri aspetti e vantaggi già evidenziati.
Grazie, quindi, per questa condivisione