Il soprano Elisabeth Schwarzkopf, 1915-2006, che fu esimia interprete mozartiana e straussiana negli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta del Novecento (si ritirò dall’attività operistica nel 1971, da quella concertistica nel 1979; per ragioni anagrafiche, io non ho potuto mai vederla dal vivo, ma per fortuna esiste un lascito abbastanza vasto, sia audio che video), in molte interviste si è sempre pronunciata contro le registrazioni dal vivo di eventi musicali, salvate a volte da parte del pubblico, a volte da parte dei diretti interessati, come testimonianza di serate memorabili o perché davvero tali nella realtà dei fatti, o perché tali nella percezione di chi vi aveva partecipato, come artista o come ascoltatore. La Schwarzkopf, va detto, aveva sposato Walter Legge, uno dei producer della casa discografica EMI, e quindi parlava un poco pro domo sua. Senza le registrazioni live noi saremmo esclusi dalla possibilità di conoscere, sia pure sommariamente e con tutti i difetti di un audio improvvisato e di una esecuzione non “corretta” entro la sala di registrazione, decine e decine di cantanti e di altri artisti, di ruoli e di personaggi (o di parti del repertorio) mai fissati sui dischi ufficiali. Per restare alla Schwarzkopf, ignoreremmo la sua Traviata (di cui si conserva invece un ampio lacerto) e altre opere fuori dal suo repertorio usuale, eseguite alla radio berlinese nei primi anni di carriera, come Alzira di Verdi (1938), Abu Hassan di Weber (1951) e il Ratto dal serraglio (Die Entfühurung aus dem Serail) di Mozart (1945).
Questa lunga premessa era necessaria per spiegare l’imbarazzo, ma anche la fiducia nella benevolenza degli ascoltatori, con la quale si presenta qui, dono di un allievo impertinente, una registrazione dal vivo della relazione su Livio tenuta lo scorso 01 febbraio all’Università degli Studi di Milano. A riascoltarla adesso, l’autore stesso del brano (che sta improvvisando, e non leggendo: quindi parla un po’ a ruota libera e senza nemmeno il conforto di uno spartito musicale che gli detti tempi e battute), si chiede, lui per primo, con un certo stupore – e qualche evidente civetteria – chi sia l’idiota che sta parlando in quel modo; ne osserva gli errori frequenti (fra i quali uno pesante: nella parte finale viene citato un erroneo romanzo di S.S. Van Dine. Non di The Green Murder Case si trattava infatti, ma del contemporaneo The Scarab Murder Case, tradotto in italiano come La dea della vendetta: ed è incidente paragonabile a una ben udibile stecca…); nota una serie incredibile di manierismi (“insomma” “in fondo”, ripetuti in continuazione… l’incidente con il congiuntivo, rimarcato al momento stesso del suo accadere… l’annaspo ripetuto alla ricerca di parole corrette ecc. ecc.); percepisce un tono, una voce e delle inflessioni che reputa del tutto lontane da sé…
Il contenuto giustifica almeno l’idea, fortemente narcisistica, di pubblicare lo stesso la registrazione? A chi vorrà ascoltare, il verdetto. Io la propongo così com’è, con tutti i suoi difetti, anche per dimostrare che si può dire qualcosa di (spero) utile, pur con una cattiva esecuzione. Ulteriori annotazioni vanno aggiunte ai fini della comprensione complessiva: alla giornata liviana avevano partecipato Fabio Gasti (Pavia), che interloquisce un paio di volte; Giampiera Arrigoni (Milano); Andrea Balbo (Torino). Alle loro relazioni, già avvenute, si fa più volte riferimento. Non tutto quindi risulterà immediatamente comprensibile a chi non era presente. Anche l’audio è quello che è: nel linguaggio musicale diremmo che è una registrazione in-house, non sorretta da alcun microfono, presa dalla platea, e una platea spesso tossicolosa. Dal vivo non suonava così.
Infine, credo necessario riportare il passo di Livio che viene commentato. La sfida della giornata, impavidamente affrontata da tutti i relatori, era quella di cercare di tirare fuori dalle parole dello storico antico qualcosa di utile da presentare in una ideale classe di liceo. Gli altri brani si riferivano all’apoteosi di Romolo (Gasti, I 16); all’aneddoto di Tarquinio e i papaveri, in relazione alla conquista di Gabi (Arrigoni, I 54); alle concioni contrapposte di Annibale e Scipione prima della battaglia del Ticino (Balbo, XXI 40-44). Ecco invece il passo commentato (III 43), che gli spettatori vedevano proiettato in sala:
Ad clades ab hostibus acceptas duo nefanda facinora decemviri belli domique adiciunt. L. Siccium in Sabinis, per invidiam decemviralem tribunorum creandorum secessionisque mentiones ad volgus militum sermonibus occultis serentem, prospeculatum ad locum castris capiendum mittunt. Datur negotium militibus quos miserant expeditionis eius comites, ut eum opportuno adorti loco interficerent. Haud inultum interfecere; nam circa repugnantem aliquot insidiatores cecidere, cum ipse se praevalidus, pari viribus animo, circumventus tutaretur. Nuntiant in castra ceteri praecipitatum in insidias esse; Siccium egregie pugnantem militesque quosdam cum eo amissos. Primo fides nuntiantibus fuit; profecta deinde cohors ad sepeliendos qui ceciderant decemvirorum permissu, postquam nullum spoliatum ibi corpus Sicciumque in medio iacentem armatum omnibus in eum versis corporibus videre, hostium neque corpus ullum nec vestigia abeuntium, profecto ab suis interfectum memorantes rettulere corpus. Invidiaeque plena castra erant, et Romam ferri protinus Siccium placebat, ni decemviri funus militare ei publica impensa facere maturassent. Sepultus ingenti militum maestitia, pessima decemvirorum in volgus fama est.
Ho appena ascoltato l’audio della relazione, ma – almeno per il momento – non ho intenzione di commentarne il contenuto, bensì solo di rispondere ai dubbi che il prof. Gioseffi espone. A mio avviso, visto che non si tratta di una rappresentazione teatrale o operistica, e nemmeno concertistica, ma di una relazione di cui l’ascoltatore non sa nulla, non sa quali riflessioni voglia fare il relatore né a quali conclusioni voglia arrivare, qualche errore, uno scivolone sul congiuntivo, una o più pause per ricercare la parola giusta rendono l’intervento maggiormente coinvolgente, qualcosa di vivo e di veramente sentito da parte di chi parla. Lo si segue meglio e lo si capisce di più; sicuramente più di una lettura di un testo fredda e priva di emozioni come troppo spesso si sente ai convegni.
Inoltre, la registrazione, per quanto imperfetta, offre la possibilità a molti (me compresa) di ascoltare l’intervento. Per usare un termine musicale meno colto – è più in linea con la musica che ascolto io – a me sembra una specie di “bootleg”! Per il resto la perfezione non è – per fortuna! – di questo mondo.
Mi collego al commento precedente con qualche osservazione. Anch’io non mi soffermo sul povero Livio (che come al solito nessuno si fila e che ha del resto commesso l’errore imperdonabile di morire nel 17), ma sulla scelta di pubblicare integralmente una registrazione in certo senso ‘pirata’. Aggiungo che intervengo pubblicamente dopo uno scambio privato di pareri con Massimo Gioseffi, scambio che mi ha visto partire da una posizione, del tutto personale, che definire critica è un eufemismo, per giungere a una riflessione più pacata, che forse vale la pena condividere.
La questione si articola, penso, su due piani.
Il primo è terra-terra e riguarda l’impatto didattico e comunicativo di questa come di qualsiasi altra registrazione di una lezione o conferenza: se si tratti cioè di una modalità efficace di divulgazione, e, in particolare, di una modalità più efficace rispetto a quella del post ‘scritto’. Personalmente ritengo di no. Il confronto con performance di rango artistico non è a mio parere del tutto centrato (il valore di una lezione sta nelle informazioni che veicola con efficacia e fissa con chiarezza, non nella componente di intrattenimento, che poi come è ovvio se c’è non guasta ma che è pericoloso sopravvalutare), e non lo è nemmeno quello con relatori noiosi che si limitano a leggere in modo monocorde un testo preconfezionato. Il confronto si pone piuttosto con i post tradizionali cui ci ha abituati (viziandoci) latinoamilano, nei quali il senso di una lezione viene concentrato e reso fruibile anche a chi non vi ha assistito: niente problemi di audio, niente riferimenti a un contesto immediato e non più attingibile, meno tempo da investire per la lettura di un testo chiaro e sintetico che per l’ascolto di un intervento a braccio – e non è che gli insegnanti di tempo ne abbiano tanto.
Il secondo è ben più ampio e parte dalla presa d’atto che, per quanto questa modalità trovi me e credo molti della mia generazione non del tutto preparati, e dunque perciò il più delle volte istintivamente contrari, essa esiste, legata a un progresso della rete e dei suoi strumenti col quale è bene iniziare a fare i conti prima possibile. I nostri studenti si cibano di contenuti web e ne pubblicano di loro. Certo la didattica delle lingue classiche non impazza su youtube, ma da una parte non possiamo impedire che contenuti a essa relativi vengano diffusi e condivisi anche al di fuori dei canali ufficiali delle nostre piattaforme, dall’altra dobbiamo chiederci se non sia il caso di intervenire attivamente, mettendo a frutto questa situazione piuttosto che subendola. In questo senso la pubblicazione dell’audio liviano potrà considerarsi come un sasso nello stagno e servire da spunto per sollecitare chi fa didattica a tutti i livelli a una riflessione e a un confronto che non si riducano alla difesa a oltranza di posizioni consuete (quale è stata appunto la mia reazione a caldo).
Una ragazza del secolo scorso