Offriamo una lettura domestica del carme 113 di Catullo; si tratta di un originario video, realizzato all’impronta nel mio studio di casa (e quindi con tutti gli inconvenienti di una registrazione dal vivo, incidenti inclusi), di cui qui viene estrapolata la sola parte audio, perché il video era troppo ‘pesante’ per gli spazi concessi dal server. Pensiamo che il carme, come detto anche nel file, benché discutibile nel contenuto, o forse proprio per questo, possa però essere presentato in una lezione, anche liceale, come esempio di scrittura semplice (da un punto di vista grammaticale, la maggiore complicazione sono due ablativi assoluti che servono di datazione) e tuttavia pur sempre pregnante di una morale e di un atteggiamento oggi auspicabilmente non più condivisi, e di un’idea di poesia intesa come comunicazione fra amici, che solo in un secondo momento si espande verso un pubblico non necessariamente preso in considerazione dal testo. Come diceva un personaggio di Emilio Tadini, proprio in riferimento a un (altro) carmen di Catullo, il 56, “non sapevo che i poeti si occupassero di certe cose – i poeti, più che luna e il canto degli uccellini eccetera, pensavo…”.
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Ecco innanzi tutto il testo del carme, ricavato dal sito Musisque deoque dell’Università Ca’ Foscari di Venezia:
Consule Pompeio primum duo, Cinna, solebant
Maeciliam; facto consule nunc iterum
manserunt duo, sed creuerunt milia in unum
singula. Fecundum semen adulterio!
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Ed ecco ora l’audio promesso:
Segnalo che l’immagine di copertina è derivata dal dipinto di Jules-Arsène Garnier, Le supplice des adultères, datato 1876, oggi in collezione privata. Il dipinto raffigura la punizione di due adulteri sorpresi sul fatto e condannati a lasciare la comunità dopo pubblica flagellazione. In un certo senso, può costituire l’equivalente medievale di quanto Catullo fa con Mecilia, fermo restando che le frustate del poeta sono solo verbali e che il tono con cui si raccontano le imprese della donna non è necessariamente moralistico, di condanna (e non sono anzi escluse l’ammirazione e il darsi di gomito per l’impresa compiuta e l’abilità dispiegatavi).