Un tumultuoso comizio. Indetto dal “Blocco di sinistra”. Incidenti. Tafferugli. Squilli. Bastonate. Il blocco di sinistra, cioè repubblicani, una parte di democratici, riformisti, ecc., aveva indetto per ieri sera alle ore 21, un pubblico comizio elettorale nel quale avrebbero dovuto parlare il mutilato di guerra Cipriano Facchinetti, l’on. Gasparotto, Federici e Ricchieri. Molto prima dell’ora fissata, l’ampia palestra è rigurgitante di pubblico che canta «Bandiera rossa». Si capisce subito che la stragrande maggioranza degli interventi è composta da socialisti, anarchici, combattenti contrari alla guerra e di vedove di caduti nell’immensa carneficina voluta dalla borghesia. Al tavolo degli oratori sono Facchinetti, Federici ed altri circondati da un gruppo di repubblicani, da qualche riformista e da uno o due indefinibili. È chiaro che la folla non intende lasciar parlare gli oratori interventisti. Il nostro Bastiani è invitato a salire sul tavolo ed a parlare. Egli riconosce legittimo il risentimento dei lavoratori contro coloro che vollero la guerra e chiaramente questa si svolgeva non risparmiando persecuzioni e calunnie contro i socialisti e contro le organizzazioni operaie. Rileva, però, che è necessario che si lascino parlare gli avversari fra i quali v’è il Facchinetti che volle e fece la guerra. Ma la maggioranza della moltitudine non dimostra di condividere il pensiero dell’oratore e fra una confusione di frasi, si afferrano parole di questo genere: «[parole censurate] Gli imboscati che hanno voluto la guerra non c’erano con noi a farla; erano nelle città a perseguitare i nostri compagni, ad assalire le redazioni dei nostri giornali!». Facchinetti inizia il suo discorso fra un clamore indiavolato. Le sue parole si perdono nel vuoto. Non si può continuare. Intanto fra repubblicani e socialisti si succedono vivaci battibecchi e volano anche dei pugni. Il compagno Frigoli invita inutilmente alla calma. I più presi di mira sono gli ex socialisti Dino Roberto, Bonomelli ed altri. Il compagno Livio Agostini, accolto da grandi applausi, sale sul tavolo e dice: «Noi soltanto abbiamo il diritto di protestare contro l’intolleranza della folla. I nostri avversari no. [non si legge]». Noi ci rendiamo conto e giustifichiamo pienamente questo stato d’animo. L’oratore invita, quindi, la moltitudine ad ascoltare gli avversari che saranno poi energicamente ed ampiamente confutati. Facchinetti riprende la parola, ma per brevi istanti. Non può proseguire. Intanto fuori, nel cortile delle stesse scuole, Interlenghi, Frigoli, Palmiotta ed altri parlano ad una folla plaudente. Nella palestra, invece, il subbuglio è generale. Non si capisce più nulla. Qua e là si viene alle mani. Un rinnegato con tanto di barba ha la faccia tosta di non riconoscere i grandi sforzi di Bastiani, di Agostini e di altri compagni e dice che i giovani socialisti sono stati preparati. Non lo si degna nemmeno di una risposta. Interviene la forza pubblica.Si odono gli squilli, carabinieri e guardie, agli ordini di un commissario, irrompono nella sala. L’intervento della forza aumenta la confusione. Un ragioniere (che giova …?)quasi repubblicano estrae la rivoltella. È circondato dai nostri e la rivoltella torna a nascondersi nel fondo alle … del rubicondo… eroe. I repubblicani ed i riformisti abbandonano il locale. Agostini riprende la parola e parla vibratamente affermando che i socialisti non temono la rivoltella e che andranno ovunque vi sarà da sostenere dei contraddittori. Dichiara che avrebbe desiderato che gli avversari avessero potuto parlare. Illustra i capisaldi della lotta, [non si legge], fra continui applausi, … inneggiando alla Russia rivoluzionaria. Interlenghi attacca coloro che oggi ammantano di democrazia e che invocano il diritto alla libertà di parola e di … e che ieri erano i più feroci propagatori di un sistema di violenze e di una aperta azione liberticida contro i socialisti e contro quanti non hanno voluto la guerra. L’oratore afferma poi che i veri combattenti sono nel popolo, nel proletariato e termina fra uno scroscio d’applausi, con un vibrato inno all’avvenire socialista. Parla anche Comelli per i giovani socialisti ed infine può pronunciare qualche parola il repubblicano Magnani. Il comizio indi si è sciolto al canto dei nostri inni. Ciò che avviene era da prevedersi. La folla proletaria reagisce con impeto infrenabile della passione lungamente offesa e tormentata ai suoi oltraggiatori e ai suoi tormentatori. Si ha un bel dire che sarebbe da augurarsi che i dibattiti sugli attuali problemi politici si svolgessero in ambiente di serenità e di tolleranza, ma simile esortazione cade in un ambiente avvelenato, esasperato da quatto anni di intolleranze, di persecuzioni, di rappresaglie, di compressione disciplinare – di censura, di denunzie infami, che costarono a molti la perdita della libertà, ad altri la perdita della vista… il sermone invocante calma, serenità, rispetto delle opinioni, ecc., ecc., viene tardi e viene soprattutto da coloro che ogni libertà di pensiero facilmente e volentieri calpestarono. Perciò rimane inascoltato. Non diciamo che sia bene; diciamo che è inevitabile. La folla non vede dinanzi a sé degli avversari politici; quando gli si presentano gli interventisti delle varie tinte, vede nemici. Vede coloro che hanno voluta, imposta, sfruttata la guerra. Vede i sobillatori di altre folle, che nelle giornate radiose del maggio 1915 violentavano la coscienza e la volontà del Paese, la resistenza onesta del Partito socialista e trascinavano il Paese alla guerra; [CENSURA] vede i procaccianti di onori e promozioni immeritati ed ottenuti solo con gli intrighi orditi e perpetrati con il concorso di giornalisti foraggiati; vede i tristi soggetti che s’imboscavano nel retrofronte esercitando lo spionaggio contro coloro che non credevano alla guerra, che non volevano la guerra, ma che la guerra subivano con tutti i suoi danni e le sue calamità; vede i profittatori che sposarono subito la idealità guerresca al calcolo affaristico, traendo per sé lucri enormi, mentre lo stesso fatto procurava a milioni di famiglie lutti, patimenti, sventure senza nome. E vede giusto. Il solo torto della folla – se pur esiste – è quello di credere che la lotta ingaggiata contro gli autori e i fautori della guerra si esaurisca col tumulto di un comizio, o si attenui con lo svolgimento ordinato di un contraddittorio. Ma noi speriamo che a questo prima periodo di lotta elettorale un altro ne seguirà che consentirà al Partito nostro di formulare tutta intera ed esauriente la propria requisitoria contro la politica di guerra. Noi ce lo auguriamo perché da tale periodo noi ci ripromettiamo nuovi e più vasti successi. («Avanti!», 1° novembre 1919)
Il comizio del Blocco di Sinistra indegnamente sabotato dai socialisti.Nella palestra delle scuole di Corso di Porta Romana, era stato indetto alle 21 di ieri sera, un pubblico comizio, dove avrebbero dovuto parlare alcuni candidati del blocco di sinistra. La convocazione del primo comizio, non pussista e non clericale, aveva messo in subbuglio le file socialiste in mezzo alle quali era stata fatta una larga propaganda, onde organizzare in proporzione più vaste di quelle assunte dalle ormai serali violenze fin qui consumate ai danni dei seguaci del partito cattolico il sabotaggio del comizio blocchista. Secondo un vecchio metodo – che gli organizzatori del comizio hanno avuto il torto di non prevenire e sventare – ai più scalmanati seguaci del «pus» era stato dato convegno nel luogo stesso fissato pel comizio del blocco di sinistra, una buona ora prima dell’ora convenuta. Vecchio ed ingenuo metodo, ma efficace, le cui conseguenze, però, possono essere annullate da provvedimenti consoni alla situazione. Così che quando i primi cittadini giunsero, la palestra era già pressoché gremita di socialisti e di ragazzaglia munita di randelli. Era evidente negli avversari del blocco l’intenzione di mandare a monte il comizio, con la soppressione violenta e bestiale della libera discussione. Ciononostante Cipriano Facchinetti poco dopo le 21, dichiarando aperto il comizio, iniziò il suo discorso facendo appello alla serenità e alla tolleranza della parte avversaria. Invano, la folla condotta là dentro allo scopo deliberato di usare violenza e d’impedire ad ogni costo il libero svolgersi del comizio, non sente ragione; preme contro il tavolo dell’oratore, le cui parole sono coperte da grida, improperi e canti. Qualche oratore di parte pussista tenda pur esso di parlare senza riuscire ad ottenere il silenzio e la calma. Intanto fra i partecipanti al comizio, in maggioranza socialisti, poiché gli aderenti al blocco erano rimasti fuori nel cortile, impossibilitati ad intervenire in difesa dei pochi amici sopraffatti all’interno della palestra, si accendono discussioni vivaci e violente che minacciano di degenerare in zuffa. Volano pugni e bastonate, finché la forza pubblica non interviene a separare i contendenti che si trovano nel cortile. Dentro ogni sforzo degli oratori per parlare è reso vano dalle urla della massa imbestiata che non intende ragioni. Occorre rinunciare al Comizio, così la folla si allontana cantando gli inni patriottici, mentre i pussisti – padroni del campo conquistato prima che gli organizzatori e gli aderenti al comizio giungessero – rimangono a cantare ed a vociare lieti di aver dimostrato la maturità del proletariato alla gestione della cosa pubblica e la taumaturgica infallibilità delle dottrine pussiste. («Il Popolo d’Italia», 1° novembre 1919)