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7 AGOSTO 1920 – PIAZZA DELLA SCALA

Attentato anarchico al Cova

Dove? Cova, Via Manzoni/Via Verdi

Soggetti coinvolti: anarchici

Arresti: 

  • Tarciso Robbiati, 23 anni, impiegato disoccupato residente in corso Ticinese 6-8, condannato a 2 anni di carcere per associazione a delinquere.
  • Siro Mascherpa, 28 anni, meccaninco residente in via Tortona 12, condannato a 3 anni di carcere per associazione a delinquere
  • Angelo Legnani detto «Scughizzo», 23 anni, meccanico residente in via S. Orsola 2, assolto.
  • Achille Checchi, 23 anni, verniciatore residente in piazza S. Eustorgio 8, assolto.
  • Alfredo Broccheri, 23 anni, meccanico residente in via Montevideo 6, assolto.
  • Umberto Galbiati detto «Peppino», 21 anni, meccanico residente in via Vepra 44, assolto.
  • Pietrino Sini detto «Terra di pipa», 21 anni, meccanico sardo residente in via Tortona 12, assolto. 
  • Ottorino Marchetti di anni 19, meccanico residente in via S. Vito 10, condannato a 1 anni di carcere per associazione a delinquere.
  • Pietro Marelli, 20 anni, elettricista residente in viale Magenta, 33, assolto.
  • Giuseppe Pederneschi, 22 anni, giornalaio residente in Largo Carrobbio 1, assolto.
  • Mario Cazzaniga, 20 anni, piazzista residente in via Pioppetti 15, assolto. 
  • Maria Pellegrini, 17 anni, dattilografa residente in via dei Transiti 19, assolta. 
  • Olga Bianchi, 19 anni, commessa del Bar Roma al Carrobbio, assolta.
  • Giuseppe Marianni, 23 anni, meccanico disoccupato, condannato a 24 anni di carcere per l’attentato al Cova.
  • Ettore Aguggini, 19 anni, meccanico, condannato a 20 anni di carcere per l’attentato al Cova.

Feriti: Nessuno

Vittime: Nessuna

Due uomini si aggirano per via Verdi. Uno con una paglietta e una bomba nascosta sotto la giacca, l’altro con le mani in tasca che impugnano due rivoltelle. 

Giuseppe Mariani e Ettore Aguggini si trovano ancora una volta intenti a preparare una rivoluzione. Con la morte di Bruno Filippi a settembre il nucleo terroristico anarchico aveva subìto un duro contraccolpo per via degli arresti a tappeto. Dopo i fatti del 22 giugno, però – dopo le barricate in via Dante per difendersi dall’attacco dei carabinieri e delle guardie regie, dopo gli undici morti proletari il cui sangue è ancora visibile sul selciato – il gruppetto decide di ricorrere di nuovo ai vecchi metodi.

Concordano di colpire il Cova in Piazza della Scala, un ristorante dove i fascisti si riuniscono spesso per pianificare le loro azioni. La scelta non è casuale: vogliono provocare un’immediata reazione, sia da parte fascista che da parte della polizia. L’alleanza tra le due parti si è consolidata nelle ultime settimane, e ha reso la vita molto difficile alla Milano proletaria: perquisizioni, fermi, arresti, trattamento brutale in cella. È ora di reagire alla repressione, e lo si farà alla loro maniera. 

I sette membri del gruppetto si trovano nei pressi del ristorante – tutti ben armati e decisi a compiere l’attentato – a tarda sera per non fare vittime innocenti. Sono quasi le 23, e nel ristorante c’è solo qualcuno del personale e tre clienti svizzeri che si attardano al tavolo. Fuori, una coppia di carabinieri fa la ronda davanti all’ingresso. Dopo l’attentato di fine giugno, il questore Gasti ha concesso questa protezione al direttore del ristorante. È chiaro che nel clima di tensione in cui è immersa Milano, si potrebbero verificare altri incidenti.

Gli anarchici aspettano il dietro front delle guardie, poi si avvicinano in fretta al vestibolo secondario. A Mariani è affidato il compito più gravoso: piazzare la bomba. Mentre l’Aguggini gli guarda le spalle, con un gesto lesto fa rotolare all’interno l’ordigno acceso. Il piccolo involto arriva vicino alla stanza dove il ragioniere cerca di far tornare i conti del ristorante. Il signor Natale Ammoni, dopo un primo sguardo distratto, immediatamente comprende di cosa si tratta. 

Una bomba! Una bomba! Mettetevi in salvo!

Corre in cucina allertando tutti, ma ormai è troppo tardi. La detonazione fa tremare la strada. Il pavimento è sfondato, un pezzo di soffitto crolla, una pioggia di vetri invade lo sfarzoso salone del ristorante. Il botto è talmente potente da mandare in frantumi alcune vetrate del Teatro alla Scala. 

Il piccolo gruppo anarchico riunito osserva in silenzio l’opera compiuta. È un istante, poi sparano colpi di rivoltella in aria per attirare l’attenzione. L’obiettivo è colpire le forze dell’ordine e i fascisti sopraggiunti, ma nella baraonda della paura tutto è vano. Ognuno va per la sua strada dileguandosi nella notte, tentando di schivare i passanti che se la danno a gambe per la paura. 

La Questura, fiutata la pista anarchica dopo l’attentato al Palazzo degli Esercenti di due giorni più tardi, in men che non si dica scatena un giro di vite. Sette individui, da poco aggregati al nucleo capeggiato da Mariani, vengono arrestati e rinviati a giudizio con l’accusa di aver commesso gli attentati, insieme ad altri sette del tutto estranei alla vicenda. Sono tutti residenti nella zona di Porta Genova. I veri autori dell’esplosione al Cova, per precauzione, il giorno dopo partono per la Svizzera per evitare il carcere.

La loro latitanza tuttavia non dura molto: a settembre sono di nuovo in Italia. Dopo l’attentato al Kursaal Diana del 23 marzo 1921, anche Mariani e Aguggini saranno incarcerati. Insieme ai ragazzi di Porta Genova, saranno protagonisti di un processo molto movimentato che si terrà a ridosso del Natale nel 1921. Durante l’interrogatorio, saranno gli unici a battersi per il proprio credo anarchico, scagliandosi violentemente contro la società borghese e contro gli usurpatori il cui unico obiettivo è schiavizzare gli operai. I due, notoriamente inseparabili, negheranno di avere rapporti con il resto della banda, e si faranno carico della colpevolezza dell’attentato al Cova. 

Io non voglio attenuanti. Di ciò che ho fatto assumo la responsabilità. Ho agito contro la società borghese e del mio operato non giudicheranno questi giudici.

Come durante il processo per la bomba al Biffi, così gli anarchici ancora una volta mettono in chiaro di non riconoscere l’autorità della legge borghese.

Ciò che emerge chiaramente è il tentativo di collegare le bombe estive a una presunta associazione a delinquere, nata attorno al giornale degli anarchici Umanità Nova, fondato da Errico Malatesta nel 1920. Tre dei tredici imputati saranno condannati proprio per questo motivo a qualche anno di carcere. L’unica certezza rimane però la colpevolezza di Mariani e Aguggini, rei confessi, e per questo condannati a 24 e 20 anni di galera. 

Vincenzo Mantovani, Mazurka blu. La strage del Diana, Rusconi, Milano 1979, pp. 257-259

Giuseppe Mariani, Memorie di un ex-terrorista, Arti Grafiche F.lli Garino, Torino 1953, pp. 31-32

Francesco Lisati, Storia degli anarchici milanesi (1892-1925), La vita felice, Milano 2016, pp. 242-243

Cronaca giudiziaria. Corte d’Assise di Milano. Il processo per lo scoppio al Cova, «Avanti!», 17 dicembre 1921

Cronaca giudiziaria. Corte d’Assise di Milano. Il processo per lo scoppio al Cova, «Avanti!», 18 dicembre 1921

Cronaca giudiziaria. Corte d’Assise di Milano. Il processo per la bomba al Cova. La fine degli interrogatori, «Avanti!», 20 dicembre 1921

Cronaca giudiziaria. Corte d’Assise di Milano. Il processo per la bomba al Cova. La fine degli interrogatori, «Avanti!», 21 dicembre 1921

Cronaca giudiziaria. Corte d’Assise di Milano. Il processo per la bomba al Cova. La fine degli interrogatori, «Avanti!», 22 dicembre 1921

Il processo per la bomba al Cova, «Avanti!», 23 dicembre 1921

Il processo per la bomba al Cova. Cinque condannati, undici assolti, «Avanti!», 24 dicembre 1921

Un’altra bomba al Cova! Tre feriti – Rilevanti danni, «Il Popolo d’Italia», 8 agosto 1920

Dopo l’attentato al Cova, «Il Popolo d’Italia», 10 agosto 1920

I lanciatori delle bombe scoperti? Arresti fra anarchici, «Il Popolo d’Italia», 13 agosto 1920

Cronaca giudiziaria. Al processo degli anarchici. La cinica confessione di due belve umane, «Il Popolo d’Italia», 18 dicembre 1921

Cronaca giudiziaria. 44 anni di galera ai due dinamitardi del “Cova”, «Il Popolo d’Italia», 24 dicembre 1921

Un’altra bomba al Cova! Tre feriti – Rilevanti danni. Ieri sera verso le 20.30, un pauroso fragore, proveniente da piazza della Scala, mise in allarme la folla che in quell’ora popola la Galleria e le adiacenze. Passato il primo momento di sospensione …, fu un accorrere di curiosi verso il caffè Ristorante Cova, ove una bomba era scoppiata mentre dalla … Questura, il vicecommissario Saline accorreva con numerose guardie e carabinieri e provvedeva a fare sgomberare la via G. Verdi già completamente affollata. Il Cova presentava un aspetto desolante, tutti i vetri frantumati, le sedie e i tavoli del salone prospicente sulla via, rovesciati e nella stessa sala, l’orologio … scaraventato nel mezzo fra un ammasso di rottami. […]Nell’interno, fortunatamente, pochi erano gli avventori, quelli più vicini al luogo dello scoppio furono scaraventati a terra, ma se la cavarono con alquanto panico. […]Anche i vetri delle finestre della Scala dalla parte di via G. Verdi, sono tutti frantumati. Il danno si fa ascendere a 100.000 lire. («Il Popolo d’Italia», 8 agosto 1920)

Dopo l’attentato al Cova. Gran folla di curiosi durante tutta la giornata di ieri, stazionò dinanzi al Cova per osservare gli effetti prodotti dallo scoppio della bomba lanciata la sera di sabato. Procedendo meglio ad un inventario dei vetri e degli specchi infranti dall’esplosione, dopo lo sgombero dei rottami e dei calcinacci è stato constatato non scendere i danni al valore che in un primo momento appariva. Le indagini per la scoperta degli autori dell’attentato sono dirette dal vicequestore Torsello, ma ancora nulla di positivo può dirsi sul loro risultato. Sono stati fatti alcuni arresti che vengono mantenuti. («Il Popolo d’Italia», 10 agosto 1920)

I lanciatori delle bombe scoperti? Arresti fra anarchici. Per quanto la polizia mantenga uno spiegabile silenzio – che del resto noi comprendiamo assai bene e che avremmo rispettato se altri non avessero voluto anticipare la divulgazione di notizie di … interesse politico – si sa che le indagini dirette a scoprire gli autori degli attentati avvenuti al «Cova» e al palazzo degli Esercenti, hanno portato all’arresto di alcuni individui sui quali pesano gravi sospetti e fra i quali probabilmente si trova l’autore o gli autori dei due ultimi ed anche di altri attentati con bombe avvenuti nei mesi scorsi e che hanno fatto di Milano una città veterana per i bombardamenti, di pace ai quali è stata quatta segno. La polizia si è valsa, nelle sue ricerche delle testimonianze di persone che avevano veduti gli individui recatisi a deporre le bombe al «Cova» ed in Piazza San Sepolcro ed anche delle indagini fatte a suo tempo nell’ambiente anarchico fra amici e intimi del Filippi, autore sfortunato di altri attentati. Maggiormente indiziato – tra i quattro sospetti arrestati – sarebbe l’anarchico Roberto Robiati, abitante in corso Ticinese 6. Egli sarebbe il nuovo capo di una banda di terroristi nell’immediato programma di azione dei quali, erano altri attentati simili a quello del «Cova», da consumarsi contro la Questura, contro il palazzo del Municipio – anche il Filippi aveva in animo di far saltare palazzo marino con relativi Ferri proletarissimi – contro il Biffi e le sedi di altri istituti e associazioni invise agli anarchici. Il Robiati ha presentato un alibi che sembra non abbia retto alla prova del confronto e che anzi ha condotto all’arresto di una donna, certa Righetti, proprietaria del Bar Roma, al Carrobbio e che sarebbe l’amante del Robbiati. Appunto nel Bar Roma l’arrestato nel suo alibi asseriva di avere trascorsa l’ora nella quale al «Cova» avveniva lo scoppio. Un altro degli arrestati è certo Marchetti, pur esso gravemente indiziato. («Il Popolo d’Italia», 13 agosto 1920)

Cronaca giudiziaria. Corte d’Assise di Milano. Il processo per lo scoppio al Cova. La sera del 7 agosto 1920 una bomba scoppiava nei locali del Cova e feriva leggermente due camerieri danneggiando il mobilio. Il 9 dello stesso mese un’altra bomba, lanciata contro l’Associazione degli esercenti in piazza S. Sepolcro causava lievi danni. Le indagini della questura portarono all’arresto di numerosi anarchici che vengono in questi giorni giudicati alle Assise. Ieri è infatti incominciato il processo contro i tredici giovani e le due donne imputati, secondo l’autorità giudiziaria che ha imbastito il processo, di «associazione a delinquere» e di essersi in Milano in epoca anteriore al 10 agosto dell’anno scorso associati per commettere delitti contro le persone e la proprietà, far scoppiare esplosivi anche al solo scopo di incutere pubblico timore, pubblico disordine, distruggere in tutto o in parte edifici e costruzioni di qualsiasi natura. Gli imputati tutti detenuti sono: Tarcisio Robbiati, di 23 anni; Siro Marscherpa, di anni 19; Umberto Gabbiati, ventenne; Alfredo Broccheri, di anni 27; Angelo Legnani, di 23 anni; Pietro Sini, di anni 21; Achille Checchi, di 23 anni; Vittorino Marchetti, ventenne; Pietro Morelli, di anni 19; Mario Cazzaniga, ventenne; Giovanni Pederneschi, di 34 anni; Giuseppe Mariani, di anni 23; Ettore Aguggini, di anni 19; le due donne si chiamano Maria Pellegrini, di anni 17, e Olga Bianchi, ventenne. L’interrogatorio. Nella giornata di ieri sono incominciati gli interrogatori degli imputati. L’accesso al Tribunale è rigorosamente sorvegliato dai carabinieri. Il presidente invita per primo l’imputato Tarcisio Robbiati, a rispondere alle imputazioni poco prima lette dal presidente. – È vero che sono anarchico-comunista – dice il Robbiati – ma sono contrario e non posso ammettere atti terroristici contro la persona e la proprietà. È anche vero che la sera del 6 agosto dell’anno scorso io mi recai al comizio socialista in piazzale Umanitaria, al solo scopo di tenere un contraddittorio. Portavo con me quattro bombe Sipe, che ero stato incaricato di consegnare al Mascherpa, il quale le avrebbe adoperate per la pesca; le quattro bombe le avevo avute dal Cazzaniga, ma non trovando il Mascherpa in piazza dell’Umanitaria, le diedi al Marelli. Escludo assolutamente di aver voluto far del male al segretario della Camera del Lavoro, Giovanni Bensi, al quale io serbavo della gratitudine. Il giorno successivo rimasi fino a tarda sera al «Bar Roma» perché temevo una scenata di gelosia dalla mia compagna. Solo verso la mezzanotte di quella sera fui dal Marchetti avvertito che una bomba era scoppiata al Cova, e mi avviai con l’amico al centro per curiosare. L’imputato Siro Mascherpa, ci tiene a dichiarare che non ha mai complottato, con nessuno, per commettere atti di terrore. Udienza pomeridiana. Vittorino Marchetti, tra le vive proteste dei suoi compagni di gabbia per le sue affermazioni poco sincere, dice di non aver mai frequentato ambienti anarchici. Pietro Marelli – dice di non appartenere a nessun Partito politico. Narra che la sera del 7 agosto entrò con la Pellegrini al «Bar Roma» dove vide per caso il Robbiati, il quale lo invitò ad uscire con lui; egli si sarebbe rifiutato. Maria Pellegrini, sale alla pedana tra la più viva curiosità. Era impiegata presso la Unione Sindacale Italiana dove fece la conoscenza di Marchetti. Conobbe inoltre numerosi altri giovani che frequentavano l’Unione Sindacale Italiana. La sera del 29 luglio 1920, narra la Pellegrini con voce chiara, mi recai col Marchetti e il Robbiati al Conservatorio dove vi era una rappresentazione patriottica. Non vidi bombe o altre armi; solo durante il tragitto il Robbiati mi pregò di tenergli una piccola rivoltella, perché aveva paura di essere fermato dalle guardie. Io mi rifiutai recisamente. Non ricorda bene quello che avvenne poi. Dopo la Pellegrini sale alla pedana la Bianchi Olga, una biondina esile e timida; dice che a 15 anni incominciò a frequentare i Fasci giovanili socialisti, ma poi s’intrufolò negli ambienti anarchici, dove conobbe il Morelli, il Mascherpa ed il Robbiati. La sera del 29 luglio, mentre si recava col Morelli al Cinema Modernissimo in via Torino, s’incontrarono con la Pellegrini che era la compagna del Marchetti, e udito che si recavano al Conservatorio, s’accompagnarono a loro. Durante il percorso s’incontrarono col Robbiati e con un certo «Matt» non meglio identificato, il quale teneva tra le mani una «sipe». L’imputata lamenta d’essere stata maltrattata in questura e con questa dichiarazione hanno termine le interrogazioni degli imputati. La seduta è rimandata a stamane. Gli avvocati difensori sono: Franco Clerici, Nardelli, Amici, Sanzo, Viviani, Bertetti, Sarno, Pizzo, Valente, Gibelli, Marni, Piccolini, Ponzoni, Rebora, Nulli e Cecchi. («Avanti!», 17 dicembre 1921)

Cronaca giudiziaria. Corte d’Assise di Milano. Il processo per lo scoppio al Cova. È continuato, nella mattinata di ieri, l’interrogatorio degli imputati. Pederneschi Giovanni, dopo aver negato d’appartenere ad alcun partito politico, dichiara di aver conosciuto il Robbiati perché cliente dello spaccio di giornali di sua madre. Il Pederneschi, appassionato sportmann, s’incontrò spesso col Robbiati in un campo sportivo. In luglio fu pregato dall’amico di conservare in solaio due bombe, che il Robbiati doveva portare via di casa, per volere della sua amante. Il Pederneschi acconsentì di tenere gli ordigni esplosivi, me se ne disfece appena sua madre, saputa della cosa, lo rimproverò acerbamente. L’imputato Pietro Sini, sardo, detto «Terra de pipa», dichiara d’aver frequentato l’Unione sindacale «non per fare complotti» e attacca vibratamente il funzionario di polizia e il giudice istruttore per i sistemi adottati durante l’istruttoria, nel suo interrogatorio; metodi purtroppo sempre gli stessi e a tutti ben noti. Il Sini nega altresì risolutamente di aver concertato difese, con gli altri arrestati, nelle guardine della Questura. La difesa pronuncia parole di protesta contro il perito dott. Crisafalli, che non ha potuto essere sostituito da altro, avendo egli rinunziato all’incarico solo pochi giorni orsono. L’imputato Mario Cazzaniga, ex ardito, interventista, volontario di guerra, dichiara di aver portato seco dalla zona di guerra nove bombe, volendo conservarsele per ricordo; ma le consegnò al Robbiati, che se ne sarebbe servito per la pesca. Il Galbiati Umberto protesta per essere stato imputato – come gli altri – di fare parte di una associazione a delinquere, quando, dice, noi altri, cinque o sei amici, ci radunavamo qualche volta solo per divertirci. Pari proteste muovono gli imputati Alfredo Broccheri, Angelo Legnani, detto «lo scugnizzo», ed Achille Checchi. Dopo la lettura d’un biglietto diretto dal detenuto Mascherpa al Checchi, e che venne intercettato e sequestrato da una guardia carceraria, l’udienza è sospesa e rimandata alle 14.30. Un dibattito che dura qualche tempo fra la difesa ed il P.M. apre la seduta pomeridiana. Si tratta di stabilire la posizione del perito prof. Medea, che deve riferire su una perizia da lui eseguita estendendola anche nei riguardi dell’imputato Checchi. Il prof. Medea dichiara di non aver dati sufficienti a pronunciare un giudizio preciso e si riserva perciò di riferire martedì, servendosi della perizia già compiuta dal prof. Rellazi di Cremona. È, ora, interrogato Giuseppe Mariani. Egli protesta la sua fede anarchica e si scaglia veementemente contro la società borghese e contro i mali, le iniquità e le ingiustizie, armi che la società moderna usa per conservare i suoi privilegi di casta, di classe usurpatrice e per avvilire, sfruttare e rendere schiavo il proletariato. Benché richiamato severamente dal presidente, Mariani prosegue imperturbabile la sua requisitoria contro la borghesia e dice di ricordare che, dopo il luttuoso conflitto in via Dante, tre comizianti che tornavano dall’Arena per protestare contro l’aumento del costo del pane e la forza pubblica, la borghesia applaudì «i fucilatori», esaltando le guardi e i carabinieri che avevano sparato sulla folla. Per ciò nacque nel suo animo un tristo pensiero di violenta vendetta. Nei pressi del Villaggio dei giornalisti, un giorno Mariani avrebbe rinvenuta in un fossato una cassetta di esplosivi. Mariani dice quindi di aver preparato degli esplosivi con l’Aguggini e narra dello scoppio al Cova, al quale avrebbe partecipato anche l’Aguggini, restando però pochi metri lontano dal Cova per difendere, con la rivoltella in pugno, la «ritirata» del Mariani. Dopo entrambi fuggirono all’estero. «Alla notizia di un nuovo eccidio consumato in Italia nelle solite circostanze, rimpatriammo». Parla poi dello scoppio al Cavour e, ad una domanda del presidente che chiede perché aveva tardato a confessare, il Mariani risponde: «Ho confessato appena me ne chiesero». Assicura che non conosceva nessuno degli anarchici attualmente imputati e d’essersi confidato solamente con l’Aguggini. Dopo la lettura degli interrogatori scritti, il Mariani è ricondotto in gabbia. Ne viene fatto uscire l’Aguggini Ettore per essere interrogato. Anche Aguggini ha fiere parole di protesta contro la società borghese. Rifatta la storia del suo incontro col Mariani, ripete i particolari riferiti dal precedente imputato, relativi alla confezione della bomba pel Cova, all’episodio dello scoppio, alla fuga, ecc. ecc. Rientrato in gabbia l’Aguggini, vengono lette le perizie di causa, indi l’udienza è tolta. Domani comincerà l’escussione dei testimoni. («Avanti», 18 dicembre 1921)

Cronaca giudiziaria. Corte d’Assise di Milano. Il processo per la bomba al Cova. La fine degli interrogatori. Il processo per lo scoppio della bomba al Cova a Milano il 7 agosto dell’anno scorso continua. I 15 imputati d’associazione a delinquere si difendono con energia, con foga, spesso richiamati dal presidente per le loro affermazioni. Hanno denunziato i sistemi dell’istruttoria; hanno avuto parole forti, vivaci, contro l’attuale regime. L’imputato Robbiati è stato breve, secco: «Sono anarchico-comunista; ma contro gli atti terroristici; avevo, sì, delle bombe, ma per l’altro accusato, il Mascherpa, al quale avrebbero dovuto servire per la pesca». Anche gli altri imputati hanno negato il complotto. Mariani non nega d’aver gettato la bomba al Cova, irritato per l’atteggiamento della borghesia, in quei giorni, di fronte a freddi fucilatori di operai, in via Sante. L’Aguggini ammette d’essere stato d’accordo con il Mariani. La pellegrini non sa né di bombe né di complotti: racconta come conobbe il Marchetti, un altro degli imputati. La Bianchi dichiara di nulla sapere: s’accompagnò una sera, con la Pellegrini e il Marchetti al Conservatorio. Per via incontrarono il Robbiati ed un certo «Matt», rimasto al processo sconosciuto. In quell’incontro non si parlò di bombe. Siamo finalmente all’escussione dei testi. Udienza Antimeridiana. La sfilata dei testi. Nella giornata di ieri ebbe inizio il testimoniale. Dopo l’interrogatorio degli imputati, è la volta dei testi che raggiungono la cinquantina. Presiede, come al solito, il cav. De Andreis e l’udienza della mattinata ha inizio alle 9.20 davanti al solito pubblico numeroso dei giorni scorsi. Il primo a salire la pedana è il segretario del Consiglio d’amministrazione del ristorante Cova. Egli è parte lesa avendo i locali del Cova subito un danno di 50 mila lire per lo scoppio della bomba. Egli dice: – Circostanze di fatto precise non posso portare qui perché non ho assistito allo scoppio. Soltanto qualche minuto dopo sono stato informato del fatto. I danni però sono stati notevoli: tutto era sconvolto e sconquassato ed alle prime ebbimo (sic) l’impressione che tutto fosse rovinato. Dopo qualche tempo eseguì un’inchiesta fra il personale del bar e del ristorante per stabilire bene le circostanze del fatto e potei raccogliere molti particolari. Qui il comm. Vago si dilunga a narrare i risultati della sua inchiesta; ricorda l’attentato avvenuto qualche tempo prima allo stesso angolo del Cova ed accenna a varie lettere di minaccia che gli sono pervenute dopo quel fatto. L’autorità di P.S. pensò ad uno speciale servizio di vigilanza, ma la parte lesa non sa dire se la sera dello scoppio la guardia fosse in funzione. Come avvenne lo scoppio. Esaurita la deposizione della parte lesa, è chiamato a deporre il primo teste, Annoni Natale, economo del Cova. Egli fu presente allo scoppio e racconto con vivaci particolari la scena. «Mi trovavo dietro il mio banco, verso le 10 e un quarto alla sera del 7 agosto, quando vidi un involto ruzzolare sul pavimento. Ebbi subito la percezione che fosse una bomba e mi slanciai fuori dalla mia poltrona gridando: «Una bomba! Una bomba! Mettetevi in salvo!». Il personale si ritrasse infatti precipitosamente ed anch’io mi riparai in modo da evitare, come fortunatamente avvenne, gravi danni alle persone. Qualche istante dopo la bomba scoppiava, infrangendo vetri e rovinando mobili e soffitti». Un altro teste che si trovò vicino al luogo dello scoppio è la portinaia della casa accanto al Cova, in via Giuseppe Verdi, 4. Zaffira Zeboratti era in portineria quando udì il rombo dell’esplosione. Uscita sulla via, intravide due individui che cercavano di ripararsi rifugiandosi nel suo portone. Presidente – Ricordate che statura avessero? Riconoscete qualcuno degli imputati? – Non posso ricordarmene perché in quel momento ero così spaventata… In via Giuseppe Verdi, e precisamente dinnanzi al portone del n. 10, si trovava al momento dello scoppio la signora Gemma Botti. La sua deposizione è assai breve, perché si limita a diredi aver visto fuggire due individui per via Andegari, ma di non ricordare né la fisionomia, né la foggia del vestire. Un’altra teste che passeggiava per via Verdi, quella sera, è la signorina Gobbi Rita. «A quell’ora – dice – mi trovavo precisamente di fronte al Cova, quando scorsi due individui dall’aria sospetta e qualche momento dopo li vidi fuggire. Mi sembra che fossero vestiti di scuro. Lo scoppio seguì a breve distanza». Presidente – Riconoscete qualcuno fra i presenti nella gabbia degli imputati? – Era notte e nell’oscurità non ho potuto intravedere il volto dei due individui. Gli imputati non sono riconosciuti. L’… Gino Rizzi, che deve aver provato un grande spavento davvero, narra di essersi subito ficcato entro un portone, ma ricorda che tra gli individui che ha visto fuggire v’era una grande differenza di statura. Per precisare questa circostanza, il presidente De Andreis invita gli imputati Marelli, Mariani, Aguggini, Mascherpa e Legnani ad uscire dalla gabbia. Il teste esamina gli accusati che gli sono fatti sfilare dinnanzi, ma non riconosce nessuno. Una circostanza affermata dal Rizzi suscita la protesta dell’avvocato Gibelli. Il teste avrebbe visto i due individui fuggire diritti ed a testa alta. Avv. Gibelli: – Ciò è improbabile, inverosimile. Teste: – Ma io li ho visti e me ne ricordo. Mongini Carlo ha visto anch’egli i due individui in fuga ed assicura che l’uno era assai più alto dell’altro. A queste parole l’imputato Aguggini interrompe: – E non poteva esserci di mezzo il dislivello del marciapiede? L’ultimo teste della mattinata è Antonio Mottini. Egli fu già imputato durante l’istruttoria del processo, ma venne prosciolto pienamente dalla Sezione d’accusa. Un po’ di cronistoria. Egli inizia la sua interessante deposizione facendo la cronistoria dei fatti che precedettero l’avvenimento del 7 agosto. Il Mottini conobbe il Robbiati, il Marchetti e il Marelli al solito e ormai famoso «Bar Roma». Pur riconoscendo che i suoi amici non espressero mai opinioni né estreme né dinamitarde, ammette che fra loro venissero scambiati involti che sospettava contenere delle bombe, le piccole bombe «Sipe». Ricordandosi dell’intervento di alcuni importanti alla cerimonia patriottica che ebbe luogo al Conservatorio e diede agio a tanti sospetti, il teste dice: – Anch’io mi recai quel giorno in compagnia degli amici al Conservatorio, ma ero convintissimo ch’essi volessero fare un contraddittorio con i nazionalisti. Una prova, di questo me la diedero infatti fermandosi qualche minuto al Circolo di Verziere, dove distribuivano alcuni biglietti d’ingresso alla sala del Conservatorio. Io però ebbi la precauzione di portare con me la bicicletta. Con questa scusa non potevo evidentemente entrare nella sala e sono infatti rimasto fuori. Quando il Marchetti uscì, udii una sua conversazione col Robbiati. Egli si lamentava che la progettata impresa fosse andata a monte e ne dava la colpa ad un tale che dovrebbe chiamarsi Galimberti. Nell’altra occasio del comizio in piazzale Umanitaria, ho assistito ad un altro scambio di bombe e mi pare che queste fossero affidate al Robbiati dal Cazzaniga. Io mi mostrai meravigliato di questo e ne rimproverai gli amici. Un terzo episodio che si ricollega alle sue relazioni con gli amici del «Bar Roma» è la gira a Binasco ed il Mottini assicura che venne combinata per fare un contraddittorio ai popolari che colà si raccoglievano. Quanto al principale avvenimento, il teste racconta di essersi trovato la sera dello scoppio della bomba al Cova, nel «Bar Roma» e di averne avuto la notizia dal Marchetti. Un giurato a questo punto domanda – Quali idee avevano i frequentatori del «Bar Roma» che il teste ha conosciuto? – Idee sovversive. Ma non ricordo abbiano mai espresso propositi e principi anarchici. Il Robbiati interloquisce vivamente dalla gabbia ed il pubblico ministero lo rimbecca imponendogli di tacere. L’avv. Cavallotti domanda di mettere in chiaro alcuni punti dell’ultima deposizione. – Bisogna stabilire – egli dice – che il Marelli non andato a Binasco, è rimasto fuori dal salone del Conservatorio, è stato lungo tempo col Mottini in quel giorno e sentì il Robbiati discutere delle bombe. Dopo questi rilievi e … è suonato il mezzogiorno, si rimette la continuazione dell’udienza alle 14.30. Udienza pomeridiana. L’interesse del testimone che si svolge e prosegue rapidamente presenta sempre maggiore interesse. I fratelli Antonio e Luigi Mozzi dovrebbero deporre sopra una circostanza importante. L asera del sabato gli altri imputati sarebbero stati tutti insieme a mangiare cocomeri in via Solari nel negozio del Mozzi. Questi però non sono d’accordo nelle date e l’alibi avanzato dagli imputati viene un po’ scosso. Vediamo questa volta fra i testi che salgono la pedana un compagno: Giovanni Bensi, segretario della Camera del Lavoro. Egli conosce il Robbiati e lo ha sempre creduto un buon figliolo, procurandogli persino un’occupazione. Ricorda però un episodio che suscita l’ilarità dei presenti. – In seguito ad un incidente col Robbiati due giovani vennero da me per… liquidare la questione con un giury d’onore. Io liquidai i due messaggeri con quattro cazzotti… Presidente – Conosce i rapporti che correvano tra il Robbiati e suo padre? – Ho saputo infatti che l’attuale imputato non trattava bene il genitore e cercai di riprenderlo. Dopo Bensi è invitato a parlare il teste Carlo Canoresi. Egli si trovava presso il porticato della Scala al momento dello scoppio. Vide alcuni individui che gli sembravano dei sospetti farsi dei cenni tra loro. L’imputato Mariani dice: – Fu l’Aguggini a farmi cenno, gli altri erano cittadini qualsiasi. Un testimonio interessante è il proprietario del «Bar Roma». Descrive un po’ i suoi avventori, ne racconta le abitudini e dice di aver rifiutato qualche povero dall’aria sospetta. Il Pederneschi, asserisce, si teneva appartato dalla compagnia. Il Robbiati, mentre avveniva lo scoppio, si trovava nel bar. Il cameriere Nicolai Innocente e l’… pongono termine al testimoniale d’accusa raccontando la loro impressione sullo scoppio della bomba. I primi testimoni a difesa. In difesa del Marelli depongono: Monteverde Edgardo, letterato, Sussi Maria, Cierici Adele, Giarini Giovanni e Muttini Nino. Tutti sono d’accordo nell’avvalorare l’alibi del Marelli. Mentre avvenivano i fatti di Binasco, egli si trovava con loro ad una festa nuziale. Seguono quindi rapidamente i testi a difesa dell’imputato Mascherpa. Quest’ultimo si trovava la sera dell’attentato in via Solari. Lo afferma il teste Angelo Marchesi. Il commissario Sedelmayer conosce il Robbiati perché una volta evase rocambolescamente dal carcere. Dopo altre testimonianze di minore importanza, la Corte prosegue l’udienza a porte chiuse per mettere in chiaro le delicate rivelazioni della Pellegrini. Ad oggi la continuazione testimoniale. («Avanti!», 20 dicembre 1921)

Cronaca giudiziaria. Corte d’Assise di Milano. Il processo per la bomba al Cova. Le ultime testimonianze. L’importante processo, che ha già occupato varie udienze, volge ormai alle sue conclusioni. La giornata di ieri ha visto eseguirsi rapidamente il testimoniale e si può dire che con ciò la parte più importante sia compiuta. Sulle indagini eseguite per mettere in linea i precedenti e scoprire i responsabili della esplosione della bomba, depone per primo il vicequestore cav. Ernesto Torsello. Egli ha fatto lunghe investigazioni ed ha seguito nelle loro svariate attività il gruppo degli attuali imputati. Non ha però speciali elementi da rivelare e si passa rapidamente agli altri testi. Roberto Caggiola ci descrive le abitudini dell’imputato Cazzaniga, che non si interessava gran che alla politica, ma piuttosto preferiva lo sport ed il gioco del calcio. Per il Pederneschi parla la sarta Adele Ferrari e narra le rampogne che la madre di lui ebbe a fare più di una volta al Robbiati per il noto traffico delle bombe. «Il Pederneschi – dice – che io conosco bene, non militava nelle file anarchiche e poi so che da bambino ebbe una minaccia di meningite in seguito a tifo». Gar… Francesco dice: «Consta anche a me che il Paderneschi non partecipava a movimenti politici ed ho saputo dalla sua malattia da ragazzo». Paolina Nosora dice press’a poco le medesime cose e Ferraresi Alberto insiste, concordemente con gli altri, sulle abitudini pacifiche del Padernaschi, che non voleva saperne di custodire bombe in casa. Deposizioni e perizie. Il teste Magistretti Archimede depone sullo squilibrio mentale manifestato fin dalla fanciullezza dell’imputato Marchetti. Tognazzi Gino conferma il fatto, che viene messo in sempre maggiore evidenza da un certificato del prof. Tovo di Torfino, che lo descrive squilibrato e suggestionabile di natura. Il prof. Medea, perito in neurologia, rifacendosi alla perizia del prof. Relizzi di Cremona, descrive le caratteristiche psichiche del Robbiati. Questi è malato di mente e anormale nelle funzioni celebrali. Dopo la lucida esposizione del prof. Medea, il difensore del Checchi, avv. Valente, chiede che anche per il suo raccomandato venga ammessa la semi-infermità di mente da un parere favorevole del perito. Dopo di ciò l’avv. Ciccolini discute lungamente le risultanze periziali sul conto del Mariani, che è definito delinquente pericoloso. La difesa sostiene che in altre condizioni di vita sociale, l’imputato avrebbe potuto essere un buon lavoratore. Ancora sulle indagini della P.S. depone il commissario cav. Rizzo, che ha vagliato sui due gruppi attualmente riuniti nella gabbia delle Assisi. Il primo ad essere arrestato fu Robbiati. Il Mottini ricostruì i fatti avvenuti e parziali ammissioni fecero alcuni altri. Le dichiarazioni del cav. Rizzo sono contestate vivacemente da alcuni avvocati della difesa, che sollevano incidenti perché non furono invitati a testimoniare la proprietaria del «Bar Roma» ed un certo Dino Riboldi. Il commissario però riconferma i verbali da lui compilati e ormai conosciuti. Dichiarazioni degli imputati. Un nuovo testimonio citato dal potere discrezionali del presidente è Pamparini Paolo, che depone in difesa del Marelli. Al noto comizio in piazza Umanitaria, egli vide il Marelli, ma esclude assolutamente che questi gli abbia detto in quella circostanza di attendere persona alcuna a cui consegnare un involto. Un giurato a questo punto chiede: «Vorrei sentire i fratelli Muzzi, che dichiararono ieri d’aver inteso fino in via Solari l’esplosione della bomba». Il presidente dispone che i testi vengano invitati nuovamente a deporre. Intanto si leggono i quesiti che verranno sottoposti ai giurati per il verdetto. Per il Mariani, l’avv. Ciccolini chiede che venga formulato il quesito sulla infermità di mente, ma il suo raccomandato protesta vivamente: «Io non voglio attenuanti. Di ciò che ho fatto assumo la responsabilità. Ho agito contro la società borghese e del mio operato non giudicheranno questi giudici». Le stesse proteste fa l’Aguggini, che rivendica anch’egli la piena responsabilità. Prima che la seduta abbia termine, l’avvocato Amici rileva una contraddizione nelle sentenze di rinvio della Sezione d’accusa. La prima addossa la responsabilità a tredici imputati. La seconda ammette la correità del Mariani e dell’Aguggini, confessi entrambi, e non fa parola della responsabilità degli altri. Come dunque possono formularsi egualmente i questiti? Il P.M. è di parere contrario ed il presidente respinge l’incidente sollevato dalla difesa. Perché l’ora è ormai tarda ed il P.M. non potrebbe esaurire in seduta la sua requisitoria, quest’ultima viene rimandata a stamane. («Avanti», 21 dicembre 1921)

Cronaca giudiziaria. Corte d’Assise di Milano. Il processo per la bomba al Cova. Udienza antimeridiana. Una dichiarazione del Mariani. Siamo dunque alle ultime udienze. La giornata di ieri ha esaurito buona parte della riserva oratoria, sovrabbondante come al solito in questi processi di lunga data. Dovrebbe parlare per primo il P.M., cav. Omodei Zorini, ma l’imputato Mariani domanda di fare una dichiarazione: «Io confermo le mie precedenti dichiarazioni. Ho confessato d’essere l’autore dell’attentato al Diana. Confesso d’aver gettato la bomba anche al Cova. Non voglio perciò che si usi clemenza per me. Ho agito contro il regime borghese, contro la classe ingiustamente dominante e non sono i suoi giudici che possono giudicarmi. La mia protesta contro la società può essere tutt’al più giudicata dai parenti delle vittime. Ad essi io posso spiegare il significato del mio gesto. Ciò che ho compiuto fu in nome d’un mio ideale che non rinnego». Le parole del Mariani suscitano in tutti i presenti una certa impressione, che non neghiamo esser di varia natura. La requisitoria dei P.M. Il resto dell’udienza antimeridiana viene impiegato dal procuratore generale per la sua requisitoria. Il pubblico si prepara ad ascoltare il in silenzio le parole dell’accusa, che l’oratore annuncia brevi e serene. Incomincia col dire quanto sia grave e doloroso il compito dell’accusa, soprattutto quando s’abbiano da giudicare dei giovani condotti lontano dalle vie diritte della probità da malsani propositi. «Gli imputati di questo processo hanno voluto essere dei giudici di una società, che non può consentire loro questo diritto. Io nego ch’essi abbiano agito per un ideale». Il P.M. si dilunga qui a dimostrare che i giovani autori degli attentanti agirono soltanto per spirito di cieca malvagità. Fa la storia dei vari episodi che si ricollegano al fatto del Cova. I tentativi all’Umanitaria, al Conservatorio ed a Binasco concorderebbero nel dimostrare l’associazione delittuosa. Quando alla bomba esplosa il 7 agosto non si può dire che sufficienti elementi ci siano contro tutti gli imputati. Il Mariani e l’Aguggini hanno confessato, ma degli altri non è chiara la posizione e la responsabilità. Per la Pellegrini si deve riconoscere che nulla grava su di lei, oltre alla gran somma di dolore che la vita le ha disgraziatamente riservato. Un altro che non è reo di associazione a delinquere ma soltanto di aver custodito le bombe è il Paderneschi. La Bianchi Olga è parimenti al di fuori di ogni responsabilità. Ma per il Marelli, il Marchetti, il Robbiati e il Cazzaniga, il procuratore generale sostiene l’accusa in pieno. Quanto al Robbiati esclude che esso fosse deole di mente, come in perizia del prof. Rebizzi lo deduce. Il Mascherpa, il Legnani e il Galbiati non danno elementi assoluti di accusa, ma il P.M. li ritiene responsabili di associazione a delinquere. Il Sini, il Brocchieri e il Checchi hanno la posizione più dubbia. Alla coscienza dei giudici l’equanime giudizio. Per il Mariani e l’Aguggini non c’è dubbio: sono confessi – dice il P.M. – e perciò colpevoli. La perizia eseguita dal professor Medea sul conto del Mariani lo definisce un delinquente pericoloso ed a questa bisogna credere. Il procuratore generale conclude respingendo per tutti gli imputati la tesi dell’infermità mentale e chiedendo ai giurati di compiere la solita giustizia. Udienza pomeridiana. Le prime arringhe. Incominciamo le arringhe a difesa. Il presidente da per primo la parola all’avv. Valente, che difende l’imputato Checchi. L’oratore descrive la figura morale del suo raccomandato, il quale, oltre ad essere un apolitico, è anche un timido. Non può quindi rispondere di nessun reato, anche per il fatto di non aver partecipato a nessun complotto di presunti bombardieri. Fu solo la Questura che ha voluto creare un complotto, che non è mai esistito, per procedere poi ad arresti in massa di giovani; che per simpatia frequentavano – come il Checchi – l’Unione sindacale Italiana. L’avv. Valente termina la sua calorosa arringa invitando i giurati ad assolvere il suo raccomandato, che è da molti mesi atteso da una vecchia e malata madre. L’avv. Nulli, per l’imputato Cazzaniga, dice che sarà brevissimo, anche perché il suo raccomandato è stato assolto dal P.M. che non ha creduto insistere su di un reato che non è mai esistito. Il giovane avvocato narra della vita militare trascorsa dal Cazzaniga quando questi si trovava al fronte e che vi andò volontario entrando poi in un reparto di arditi. «Per questo suo passato brillante – dice l’avvocato – non può il Cazzaniga essere un anarchico e nemmeno un sovversivo qualunque. Avrà conosciuto qualcuno tra quelli che siedono con lui in quella gabbia, ma non può egli aver parlato di bombe o di attentati terroristici». Infine l’avv. Nulli termina invocando una completa assoluzione per il Cazzaniga, non sapendo l’imputato la ragione vera per cui si trova davanti ai giudici. L’avv. Ponzone in difesa dell’Aguggini, esordisce con alcune considerazioni di indole storica e sociale, come spiegazione – non giustificazione – del fenomeno delittuoso; e nei confronti dell’Aguggini sostiene con molto calore la tesi dell’applicabilità dell’articolo 16 del C.P. (infermità mentale) e in subordine dell’art. 47 (seminfermità mentale). Un clamoroso incidente. Appena l’avv. Ponzone termina la sua arringa, dai posti riservati ai testimoni e agli invitati una voce grida: «Era tempo di finirla col difendere gli assassini!» Allora il presidente invita il pubblico ad astenersi da qualsiasi considerazione, perché «è veramente vergognoso che in un momento così solenne per questo processo vi sia qualcuno che rumoreggia o procura in qualunque modo di sabotare il buon andamento del processo». Si chiudono cinque minuti di sosta. Mentre gli imputati vengono fatti uscire dalla gabbia, l’Aguggini, rosso in viso, si volge dalla parte del pubblico e pronuncia un’invettiva ad alta voce. Il pubblico dei testimoni rumoreggia. Gli avvocati della difesa protestano energicamente per il modo in cui qualche invitato interviene con frasi che possono offendere. Succede un pandemonio. Il maresciallo dei carabinieri, in servizio permanente al Tribunale, corre da tutte le parti per mettere pace. Ad un certo punto egli si volge verso il banco degli avvocati difensori e lancia verso di loro parole poco rispettose. Non contento di ciò egli tenta di far sgomberare il banco della difesa. Interviene il P.M. cav. Omodei Zorini, che richiama all’ordine il poco educato maresciallo. Intanto si accende un violento battibecco tra il vicecommissario Torsello ed un avvocato difensore; allora qualche rappresentante della difesa corre dal presidente per protestare. Il clamoroso incidente ha termine solo quando entra il presidente, il quale dichiara che farà sgomberare l’aula se si ripeteranno inconvenienti. Viene ora data la parola all’avv. Amici, che difende l’imputato Robbiati. Egli comincia col dire che l’attuale processo è quasi totalmente caduto miserevolmente. La polizia politica, con a capo il vice-commissario Risso, ha voluto imbastire un processo inutile, senza preoccuparsi di arrestare i veri autori dell’attentato al Cova, che poi hanno perpetrato l’altro, più mostruoso: quello del Diana. «Erano indubbiamente gli stessi individui che agivano, e la polizia invece ha proceduto ad arresti in massa di giovani sovversivi, incapaci di fare del male. Ecco quindi tredici presunti anarchici da giudicare: costoro sono anche imputati di associazione a delinquere. Così dicono i verbali del vice-commissario Rizzo. Ma la polizia invece ha proceduto ad arresti niente dei delinquenti, o se delinquenti non sono invece quei quattro agenti provocatori, che, agli ordini della Questura, facevano arrestare tutti quelli che entravano al «Bar Roma». Dopo aver passato in rivista diversi imputati, l’avv. Amici si dilunga intorno alla posizione del Robbiati, per il quale chiede clemenza e pietà, non avendo il suo raccomandato commesso alcun reato. Oggi parleranno gli altri avvocati difensori e domani si avrà il verdetto. («Avanti», 22 dicembre 1921)

Il processo per la bomba al Cova. Le ultime difese. Udienza antimeridiana. Ieri, nel riportare l’incidente verificatosi dopo l’arringa dell’avv. Ponzone, furono attribuite al maresciallo dei carabinieri Delana alcune frasi irriverenti pronunciate invece dal vice-commissario Torsello, che tenne altresì un contegno poco deferente verso i difensori. Il Torsello, infatti, fu anche richiamato, per ciò, dal P.M. L’udienza antimeridiana di ieri venne aperta alle 9.30 precise. Il presidente da senz’altro la parola all’avv. Sanzo, difensore di Mascherpa. Egli nota che malgrado l’abbinamento, la seconda sentenza della Sezione d’accusa, rinviato Mariani e l’Aguggini al giudizio dei giurati per l’attentato al Cova, esclude la responsabilità dei primi tredici rinviati allo stesso giudizio sotto due diversi titoli: tutti per associazione a delinquere, il Mascherpa e altri cinque per l’attentato al Cova. L’imputazione di «associazione a delinquere» è stata inventata dalla P.S. per rendere verosimile l’addebito del reato più grave, il lancio della bomba. Ma il Mascherpa non ha importanti legami col gruppo Robbiati; dunque se cade nei di lui confronti l’addebito del Cova, cade anche l’associazione a delinquere. Le due accuse traggono alimento soltanto dal fatto che il Mascherpa, unitamente al suo gruppo d’amici, fu visto passare la sera del 7 agosto 1920 alle ore 21 e un quarto per il largo Carrobbio, in atteggiamento sospetto. L’oratore esamina quindi la infondatezza di tutte le altre pretese rivelazioni che sarebbero sgorgate dall’istruttoria, e conchiude chiedendo un verdetto sereno, che non può essere se non d’assoluzione. In quanto poi alla imputazione di detenzione di esplosivi, in base all’articolo 1 della legge Crispi 1894, chiede che i giurati vogliano mostrarsi miti, e applicare l’art. 8. L’udienza termina alle 11.00. Udienza pomeridiana. Il compagno avvocato Franco Clerici, difensore di Maria Pellegrini e di Olga Bianchi, dice di parlare anche a nome dell’avv. Nardelli. Esordisce col dire che sarà breve anche perché le sue raccomandate sono state già assolte dal P.M. che ha ritirato ogni trave accusa a loro riguardo. Esse sono due disgraziate, due derelitte abbandonate dai loro genitori, per miseria, sin dalla loro tenerissima età; non hanno nulla da rispondere e la loro unica colpa è di essere fidanzate a giovani pieni di vita. L’avv. Mirri, difensore del Pedernaschi, fa notare che non tutti gli anarchici possono essere giudicati alla stessa stregua, ma bisogna distinguere gli anarchici del pensiero, idealisti e sognatori, dagli anarchici dell’azione. Dimostra come il Pedernaschi non appartiene a nessuna di queste categorie, anzi non ha partito politico. Quindi confuta le due accusa che si addebitano al suo raccomandato: associazione a delinquere e detenzione di bombe. Pedernaschi ricevette alcune bombe dal Robbiati solo perché costui gli aveva dichiarato che erano innocue e che non voleva portare a casa perché sua moglie, malata, si sarebbe certamente spaventata. L’oratore illustra poi la figura buona e onesta del Pedernaschi ed il contegno serio e coerente tenuto in istruttoria. Dopo l’avv. Mirri, parla l’avv. Cavallotti che difende il Marelli; incomincia col far rilevare come manchino basi serie per affermare l’esistenza d’una associazione a delinquere, e ciò in relazione ad incertezze, equivoci, esitazioni da parte di pretesi associati che effettivamente non si possono ritenere tali; nei rapporti del Marelli ne tratteggia il carattere mite, affettuoso. «Assolvetelo perché il Marelli vada dal curato ad unirsi con la Bianchi Olga», invoca l’oratore concludendo tra la più viva ilarità. L’avv. Sarno prende la parola in difesta di Galbiati, Legnani, Sini e Brocchieri: per questi due ultimi egli non parlerà perché furono già pienamente assolti dal P.M., e sottilmente dimostra l’inconsistenza da ogni fondamento per ritenere l’associazione a delinquere; con perorazione commossa termina con la certezza che i giurati saranno animati da sensi di umanità anche nei confronti dei principali imputati. L’avv. Pizzo, che parla in difesa del Marchetti, dice che il suo raccomandato è un anormale, che in diverse occasioni ha compiuto atti pazzoidi. Cita una perizia del prof. Tovo di Torino. Chiude la sua arringa domandando l’assoluzione dei tredici imputati, esclusi il Mariani e l’Aguggini. Anche l’avv. Gibelli, brevemente, dice che anche il suo raccomandato, il Checci, fu pienamente mandato assolto dal P.M. e che quindi anche i giurati lo assolveranno all’unanimità. Oggi parleranno gli avvocati Checchi, Rebora e Ciccolini e a tarda ora avremo il verdetto. («Avanti!», 23 dicembre 1921)

Il processo per la bomba al Cova. Cinque condannati, undici assolti. Le ultime arringhe. Alle 9.30, l’udienza è aperta. Vi è il solto numeroso pubblico nelle tribune. Chiede per primo la parola il Procuratore Generale cav. Omodei-Zorini, il quale dichiara brevemente che non replicherà alle arringhe defensionali perché le risultanze della causa sono così chiare e precise da esimere da ogni ulteriore dichiarazione. Si riprendono quindi le arringhe. L’avvocato Rebora parla in difesa del Cazzaniga imputato d’aver fornito bombe alla compagnia. La figura del giovane viene messa in luce dal difensore che illustra ai giurati i procedimenti di sacrificio che ha compiuti il suo raccomandato durante il servizio militare. La sua educazione è del tutto lontana dalla politica ed il Cazzaniga era soprattutto appassionato di sport. Il carattere dominante della sua intelligenza è l’infantilità per cui i giurati devono vedere in lui, più che una colpa per malvagità, della soverchia ingenuità. L’associazione a delinquere va poi esclusa in linea assoluta. Quanto agli altri imputati, che l’avvocato comprende tutti insieme nella perorazione, che chiude la sua orazione, bisogna ritenere i loro atti come l’effetto fatale d’una educazione sociale mal diretta alla correzione della quale la società deve provvedere. L’avvocato Ciccolini si è assunto la difesa dell’imputato Mariani. Esordisce dimostrando con ricchezza di particolari che ogni delitto va considerato nella sua propria atmosfera sociale. Alle volte avviene che gli uomini, anziché compiere il bene per il bene, compiono il male per il bene, per un loro ideale di bene che non si deve vilipendere. Il giovane avvocato fa una lunga disquisizione sui concetti di forza e di violenza, rilevando che sovente è più rovinosa la violenza ipocrita e silenziosa del tradimento nascosto di quella clamorosa dell’attentato. Per il Mariani invoca dai giurati un verdetto sereno che lasci nella coscienza di tutti quella pace che l’ora nostra agitata sembra averci sottratto per sempre. Conclude facendo l’esaltazione delle classi medie e invocando nella coscienza giudicante della giuria la luce… di Dio. Con l’arringa dell’avv. Ciccolini l’udienza antimeridiana, ch’è ormai giunta del resto fin presso al mezzogiorno, ha termine. Udienza pomeridiana. Le ore del pomeriggio sono designate a por termine al lungo e farraginoso processo. L’aspettativa delle conclusioni è in tutti per quanto si abbia già l’accusazione di quello che sarà a grandi linee il giudizio definitivo. L’apparato di forze disposto nel cortile del palazzo di giustizia è aumentato e vengono impartiti ordini di non dare accesso ad estranei alla sala delle Assise. Il pubblico è pigiato negli stretti banchi della tribuna; il collegio della difesa è al completo. Qualche carabiniere di più è stato per fino messo attorno alla gabbia degli imputati. Verso le 14.30 l’udienza è aperta. Parla per primo – ed è anche l’ultimo oratore della difesa – l’avv. O. Cecchi. Egli difende il Marchetti discutendo i quesiti dei principali impuntati e in ispecial modo quelli dal di lui raccomandato, ponendo in rilievo l’inconsistenza della prova di accusa per ciascuno di essi. Manca (egli dice) la prova ferma e incrollabile (doverosa per l’accusa) della sussistenza dell’associazione a delinquere quale è definita dai nostri migliori criminalisti nonché della partecipazione ad essa dei principali imputati. Per il Marchetti l’avv. Cecchi sostiene la tesi della semi-infermità di mente. Svela per ciascun punto gli artifici dell’accusa e chiude con commossa perorazione ammichendo che è un inganno il voler dare ad intendere che basti un convincimento non corretto da prova o da ragione per emanare un verdetto di condanna. Colle sentenze feroci e inique nelle quali la giustizia deve essere asservita ai fini della politica non si reprime il delitto ma lo si commette. La giustizia dovrebbe essere uguale per tutti così per i sedicenti anarchici come per i cosiddetti fascisti e dovrebbe sapersi elevare al di sopra delle passioni e dei livori di parte. Il verdetto. Le arringhe degli avvocati difensori sono finite. Il compito è ora interamente affidato ai giurati che stanno per riunirsi a deliberare. Dopo una breve dichiarazione dell’avv. Amici, il Presidente domanda se gli imputanti abbiano nulla da dire. Il Robbiati, solo, esclama con voce concitata: «Giurati. Sono innocente! Vi dico che sono innocente!». Sono da poco passate le 16 ed il pubblico è invitato a sgombrare la sala. Lunga sarà infatti la discussione dei quesiti – circa 200 – sottoposti ai giurati. Tre ore di raccoglimento, dopo le quali, e precisamente alle 19, il pubblico può riprendere il suo posto. Gli imputati rientrano, scortati, nella gabbia. Tutti appaiono calmi almeno all’apparenza. Si stabilisce intanto il silenzio e mentre già circola la notizia sulla portata del verdetto tutti sono rivolti al cancelliere che legge le risposte dei giurati ai numerosi quesiti. Essi hanno stabilito anzitutto le responsabilità del Mariani e dell’Aguggini per l’attentato al Cova, del quale sono confessi, con l’aggravante dell’intenzione di recar danno alle persone. Il Robbiati, il Mascherpa ed il Marchetti sono ritenuti colpevoli del resto di associazione a delinquere e del mancato attentato al Conservatorio. Per il Robbiati ed il Mascherpa viene ammessa la semi infermità di mente ed a tutti e tre vengono concesse le attenuanti. Per il Robbiati e per gli altri viene concluso che abbiano portato le bombe al comizio in piazza dell’Umanitaria. Per tutti gli altri imputati la giuria ha pronunciato verdetto negativo. Il Procuratore generale formula in base al verdetto le sue richieste che serviranno di base alla sentenza. Prima che il Presidente avv. Andreis si ritiri, l’avvocato Amici chiede per il Robbiati, il suo raccomandato, che venga applicato il minimo della pena. Ciò soprattutto considerando che i giurati hanno voluto essere elementi col Cazzaniga che pur ha fornito le famose bombe. La stessa richiesta fanno i difensori del Mascherpa e del Marchetti. Per il Mariani e l’Aguggini la difesa si rimette alla clemenza del Presidente. Quest’ultimo, ritiratosi per qualche minuto, legge poi la sentenza che assolve tutti gli imputati eccettuato il Mariani, condannato a 24 anni di reclusione; l’Aguggini, ad anni 20; il Robbiati, ad anni 2, mesi 1, e a 184 lire di multa; il Mascherpa ad anni 3, mesi 3, e 883 lire di multa ed il Marchetti ad anni 1 e mesi 6, più la vigilanza speciale della P.S. per tutti. Tant gli assolti quanto gli imputati non hanno nulla da aggiungere e non pronunciano parola. La sala si vuota lentamente ed all’uscita sono numerosi i parenti che attendono gli assoliti che vengono scarcerati ipso facto. («Avanti!», 24 dicembre 1921)

Cronaca giudiziaria. Al processo degli anarchici. La cinica confessione di due belve umane. L’udienza di ieri del processo degli anarchici accusati di avere partecipato all’attentato contro i locali del «Cova» è stata particolarmente interessante per gli interrogatori e le confessioni dei due principali accusati – implicanti anche nell’attentato terroristico del Diana – Mariani e Aguggini. L’interrogatorio di questi due criminali ha seguito quello degli altri minori accusati i quali male hanno saputo difendersi dall’accusa di aver detenuto armi ed ordigni esplosivi a scopi delittuosi. I due anarchici terroristi hanno creduto di darsi un’aria spavalda – e nel gesto e nelle affermazioni – poiché ormai già sanno di certo che assai difficilmente potranno tornar più a respirare l’aria libera. Il Mariani ha principiato con il dichiarare che è anarchico e che sente profondamente necessario l’uso della violenza per sanare i mali e le ingiustizie della presente società. Richiamato dal Presidente alla realtà dei fatti per i quali si trova dinanzi ai giurati, questo triste figuro continua affermando che l’idea del delitto gli venne da quando dopo una dimostrazione al Parco per la questione dell’aumento del pane, in via Dante vi fu un conflitto con la forza pubblica, nel quale vi furono morti e feriti. Egli allora ideò la manifestazione terroristica contro il Cova. un giorno in un fossato laterale alla ferrovia nei pressi del villaggio dei giornalisti trovò una cassetta abbandonata contenente materiale esplosivo. La nascose per farne suo pro in avvenire. Quando successe l’eccidio del 22 giugno ed egli pensò alla protesta individuale violenta, si accordò con Aguggini, il suo unico amico che condivideva perfettamente le sue idee, e gli diede incarico di preparargli l’involucro. Al 19 di luglio la bomba era pronta ma pensando che questa data era particolarmente ricordata dalla polizia politica, non se ne fece nulla. Un altro tentativo per il 31 abortì; fu effettuato il 7 agosto. Egli caricò la bomba, poi con Aguggini andò al Cova. il suo compagno rimase fuori; egli si avvicinò alla porta del caffè dov’è l’economato, con la bomba ravvolta nella carta sotto il braccio. L’economo se ne accorse e lo guardò stupito; egli calmo approfittò del momento, si tolse la sigaretta di bocca; con quella accese la miccia che sporgeva appena di fuori e serviva esattamente 16 secondi, entrò, buttò a terra la bomba accompagnandola col braccio più che poteva, perché rotolasse innanzi a fare maggior danno e poi fuggì.  – Con l’Aguggini che stazionava di fuori – continua cinico e sorridente il destinato alla galera perpetua – sparammo alcuni colpi di rivoltella in aria per creare un po’ di confusione onde ne venisse protetta la fuga, e raggiungemmo per le vie Verdi e Oriani il Parco. Dopo qualche giorno io e l’Aguggini riuscimmo a riparare all’estero. Ma dopo un po’ di tempo la notizia di un nuovo eccidio in Italia rimpatriammo per compiere qualche atto che era tutto il nostro dovere. Ed infatti, la notte del 23 marzo – questo non l’ha detto, l’umanitario senatore dei mali che affliggono la … – i corpi di può di venti infelici innocenti venivano straziati e ridotti a brandelli. Anche l’Aguggini dice che il suo ruolo era quello di salvatore del mondo; e per questo mi dedicava alla organizzazione e alla consumazione di stragi. Rifà la storia del suo incontro col Mariani del quale divenne intimo per affinità perfetta di pensiero nell’adottare la propaganda dell’azione che vale più di mille opuscoli eccitatori. La confezione della bomba, l’esecuzione dell’attentato, la fuga, l’arresto, la confessione della consapevolezza vengono ripetute esattamente come ha detto testé il Mariani. La deposizione di questi due figuri ha suscitato in tutti un senso penoso di nausea e di rivolta. Auguriamoci che il verdetto sia tale da liberarci da questo incubo. («Il Popolo d’Italia», 18 dicembre 1921)

Cronaca giudiziaria. 44 anni di galera ai due dinamitardi del “Cova”. Il processo degli anarchici, autori e complici dell’attentato terroristico contro il locale del Cova è terminato ieri sera ad ora tardissima. I giurati, per l’attentato al Cova, venne affermato la responsabilità di Mariani ed Aguggini, che erano confessi, con l’aggravante di avere coluto arrecare danno alle persone. L’associazione a delinquere venne affermata nei riguardi di Robbiati, Mascherpa e Marchetti a senso però dell’articolo 248 del C.P. e non della legge Crispi. Per il Marchetti ed il Robbiati, i giurati ritennero pure la detenzione ed li porto di bombe per l’episodio del Conservatorio. Marchetti e Robbiati sono beneficiati della infermità mentale, ed a tutti e tre gli imputati vennero concesse le circostanze attenuanti. Per gli altri imputati il verdetto è stato negativo. Di conseguenza gli anni di galera sono stati distribuiti nel modo seguente: All’Aguggini (minorenne) 20 anni; al Mariani 24 anni; al Robbiati 3; al Mascherpa 2 e al Marchetti un anno e sei mesi, più per questi tre ultimi, due anni di vigilanza speciale. Tutti gli altri sono stati assolti. Il Mariani – il cinico assassino – ha accolto la sentenza che lo escludeva per sempre dal consorzio umano, con un sogghigno spavaldo e sprezzante di provocazione. Questo mostruoso individuo ha … fino all’ultima scena. Naturalmente tanto il Mariani e l’Aguggini devono essere ancora giudicati per l’orribile strage del Diana. («Il Popolo d’Italia», 24 dicembre 1921)

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