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7 SETTEMBRE 1919 – CAFFÈ BIFFI/NEW CLUB

Attentato anarchico

Dove? Piano ammezzato tra il New Club e il Caffè Biffi in Galleria Vittorio Emanuele

Soggetti coinvolti: anarchici

Arresti:

  • Aldo Perego, nato a Milano il 5 febbraio 1900, meccanico, condannato a 12 anni di reclusione e 3 anni di vigilanza speciale per complicità con Bruno Filippi nell’attentato al Tribunale di Milano con danno allo stabile e con pericolo di vita delle persone e al caffè Biffi il 7 settembre 1919.
  • Guido Villa, nato a Milano il 23 maggio 1897, fattorino, condannato a 10 anni di reclusione e 2 anni di vigilanza per complicità con Bruno Filippi nell’attentato al Tribunale di Milano con danno allo stabile e con pericolo di vita delle persone e al caffè Biffi il 7 settembre 1919.
  • Elena Melli, nata a Piaggione (Lucca) il 4 luglio 1898; operaia metallurgica accusata di correità con Filippi, Perego e Villa nell’attentato al Tribunale con danno allo stabile e con pericolo di vita delle persone e al caffè Biffi il 7 settembre 1919, assolta dopo aver scontato quasi un anno di carcere preventivo.
  • Maria Zibardi, nata a Milano il 19 dicembre 1901, guantaia, accusata di correità con Filippi, Perego e Villa nell’attentato al Tribunale con danno allo stabile e con pericolo di vita delle persone e al caffè Biffi il 7 settembre 1919, assolta dopo aver scontato quasi un anno di carcere preventivo.
  • Giuseppe Mariani, nato a Castellucchio (Mantova) il 30 marzo 1919, meccanico disoccupato arrestato per associazione a delinquere e con l’accusa di aver fornito gli esplosivi adoperati per costruire la bomba, scarcerato il 18 novembre 1919 e assolto in istruttoria.
  • Guglielmo Penati, 19 anni, operaio tipografo, arrestato per associazione a delinquere, scarcerato il 18 novembre 1919 e assolto in istruttoria.
  • Giuseppe Quattrini, 43 anni, falegname, arrestato per associazione a delinquere, scarcerato il 18 novembre 1919 e assolto in istruttoria.
  • Antonio De Cortes, 20 anni, calzolaio, arrestato per associazione a delinquere, scarcerato il 18 novembre 1919 e assolto in istruttoria.
  • Antonio Scottu, 33 anni, meccanico, arrestato per associazione a delinquere, scarcerato il 18 novembre 1919 e assolto in istruttoria.
  • Carlo Coletti, 19 anni, fotografo, arrestato per associazione a delinquere, scarcerato il 18 novembre 1919 e assolto in istruttoria.

Feriti:

  • Augusto Finzi, residente in via Cesare Correnti, 4, ferita da taglio alla regione frontale
  • Ezio Sanguinetti, residente in via Santa Maria, 12, ferito in varie parti del corpo
  • Decio Beniamino, residente a Gallarate
  • Bruno Valentini, tenente di artiglieria a cavallo, contuso alla testa

Vittime: Bruno Filippi, nato a Livorno il 30 marzo 1900, operaio tipografo e residente a Milano in via Amerigo Vespucci, 11.

Hanno ritrovato un piede, con una rozza calzetta rossa e una misera scarpa risuolata. A qualche metro di distanza un brandello di carne attaccato ai resti di una giacca di rigatino marrone, insieme al cilindro deformato di una Browning.

Le ricerche devono interrompersi subito, per permettere ai pompieri di estinguere l’incendio che va crescendo. Si teme una fuga di gas, ma ben presto gli investigatori si rendono conto che è il lavoro di una bomba. La Galleria si è svuotata immediatamente dopo il boato che ha squarciato l’aria della sera. La pioggia di vetri delle finestre del Biffi ha travolto tutti, la folla è caduta, si è rialzata per fuggire e ha inciampato ferendosi le mani con i cristalli.

Gasti, il questore reggente di Milano, ipotizza subito che si tratti di un attentato. A giudicare dagli indumenti, il morto è povero e di certo non può essere un frequentatore abituale del Club dei Nobili, al piano ammezzato del caffè Biffi, ritrovo degli aristocratici milanesi. Si naviga dunque a vista, finché il giorno dopo un tale Annunzio Filippi, meccanico scioperante di 17 anni, va a denunciare con la madre Anna la scomparsa del fratello Bruno in Questura. I due pensano che il ragazzo possa essere tra gli arrestati durante il comizio socialista del giorno prima. Indirizzati alla camera mortuaria del Cimitero Monumentale, si trovano davanti i pochi resti raccolti sulla scena dell’attentato. Con estremo dolore, riconoscono immediatamente la scarpa, risuolata due giorni prima proprio da Nunzio.

Bruno Filippi, operaio tipografico di appena 19 anni e noto nell’ambiente come anarchico individualista «devoto alle proprie rivoluzioni», è sempre presente alle manifestazioni politiche della città. Autodidatta coltissimo, insieme a Guido Villa, Aldo Perego e Giuseppe Mariani ha dato vita qualche mese prima a un nucleo terroristico anarchico, con l’obiettivo di protestare contro gli industriali metallurgici e intimorire la borghesia, in difesa della classe proletaria.

Il giovane livornese è dietro a tutti gli attentati dinamitardi che hanno agitato la calda estate milanese: quello al Tribunale, il vetrioleggiamento e l’esplosione della facciata della palazzina dell’ingegner Breda, la bomba contro la casa del senatore Ponti. Il tentativo di sovvertire l’ordine di Milano è diligentemente preparato nella soffitta in cui vive Villa, il fattorino gobbuto profondamente dedito ai principi dell’anarchia. Seguono meticolosi sopralluoghi in cui si decide di colpire il caffè Biffi, da dove strepita ogni sera Marinetti invocando guerra e violenza. Ma l’ordigno deve esplodere al piano ammezzato, dove ci sono uffici vuoti, perché non vogliono vittime, ma solo un roboante spavento. In realtà i ragazzi non sapevano nemmeno che da via Ugo Foscolo ci fosse l’accesso del Clubinoaristocratico.

Mentre i signori pescicani se la spassano al Cova e al Biffi, il povero scioperante ingozza poco riso e stringe la cintola. […] Reazione? Ben venga. Gli anarchici non la temono, troppo l’hanno affrontata. Ormai la borghesia si è fatta il deserto intorno a sé. E ne subirà la pura legge.

Scrive Filippi il 1° settembre sull’Iconoclasta! di Pistoia, quasi come una firma in calce all’attentato.

Il materiale per fabbricare la bomba è reperito per 25 lire da Mariani vicino Como: balistite, gelatina e cartucce di revolver in una latta di benzina, con una pericolosa miccia in vetro, contenente acido solforico e feltro. A piazzare la bomba – messa a punto da Villa – ci pensa Filippi, con l’obiettivo di ricongiungersi subito dopo agli altri al Bar Roma in Corso Buenos Aires.

Perego e Villa sono ancora in Piazza della Scala quando sentono la potentissima detonazione. Qualcosa non è andato per il verso giusto: secondo i calcoli il manufatto doveva esplodere dopo circa tre quarti d’ora. Al Bar Roma, dove si radunano di solito gli anarchici, c’è un fuggi fuggi generale. Nei giorni successivi, la questura effettua decine di arresti, tra cui anche Villa, Perego, Maria Zibardi, fidanzata di Filippi, e Mariani e Elena Melli, amante livornese di quest’ultimo.

I funerali di Filippi si tengono l’11 settembre. La questura li sposta alle 8 del mattino, per evitare ulteriori incidenti in un momento già estremamente delicato. Nonostante ciò, molte persone seguono in silenzio il feretro, su cui la famiglia ha posto una ghirlanda di garofani rossi. L’unica macchia di colore del mattino. Rimangono solo le parole di questo giovanissimo rivoluzionario, ricordato da tutti per il suo sorriso contagioso:

Forse in questo immane incendio noi pure saremo combusti […] Non importa, meglio gittare gli atomi della propria vita nella ridda urlante della fiamma, in un bel maggio di riscossa, che adimarsi lentamente nel pantano sociale (Iconoclasta!,15 settembre 1919)

Il processo per l’attentato si tiene nel luglio del 1920. Durante le deposizioni, sia Perego sia Villa cercano di prendersi la colpa dell’accaduto, non negando la partecipazione agli attentati e spiegando anzi le proprie ragioni.

«Devo dichiarare che sono anarchico e che non riconosco alcun diritto a questa corte di giudicarmi, perché la giustizia borghese rappresenta la reazione, che si oppone a ogni progresso umano. Non intendo perciò difendermi dai delitti che mi imputate, perché non vi riconosco miei giudici. Assumo completa responsabilità dei miei atti, dei quali non mi dolgo». .

afferma Villa. Durante il processo, le vicende personali degli imputati si intrecciano alla causa anarchica. Le emozionanti parole degli incriminati però non sono sufficienti a salvarli dalla galera: i due intimi amici di Filippi saranno infatti condannati a scontare 10 e 12 anni di reclusione, mentre le donne verranno entrambe assolte dopo aver scontato quasi un anno di carcere preventivo.

Bruno Filippi (Biblioteca Franco Serantini, archivio fotografico dizionario biografico degli anarchici italiani ed. online)

Giuseppe Mariani (Biblioteca Franco Serantini, archivio fotografico dizionario biografico degli anarchici italiani ed. online)

Elena Melli in una foto da adulta (Biblioteca Franco Serantini, archivio fotografico dizionario biografico degli anarchici italiani ed. online)

Bruno Filippi, Scritti postumi, Tipografia Latini, Firenze 1950, pp. 66-68

Francesco Lisati, Storia degli anarchici milanesi (1892-1925), La vita felice, Milano 2016, pp. 214-215

Vincenzo Mantovani, Mazurka blu. La strage del Diana, Rusconi, Milano 1979, pp. 107-122

Giuseppe Mariani, Memorie di un ex-terrorista, Arti Grafiche F.lli Garino, Torino 1953, pp. 25-26

Francesco Pellegrino, Libertà estrema: le ultime ore dell’anarchico Bruno Filippi, Derive Approdi Editore, Roma 2004

Una bomba al Caffè Biffi?, «Avanti!», 8 settembre 1919

L’affare della bomba. Frutta di stagione, «Avanti!»

9 settembre 1919, «Avanti!», Una smentita, 11 settembre 1919

È ora di finirla!, «Avanti!», 12 settembre 1919

Anarchici perseguitati, «Avanti!», 25 settembre 1919

Un pallone che si sgonfia, «Avanti!», 20 novembre 1919

Corte d’Assise. Il processo per le bombe scoppiate al Tribunale e in Galleria, «Avanti!», 13 luglio 1920

La fine del processo per le bombe, «Avanti!»,14 luglio 1920

L’esplosione di una bomba in Galleria. Un morto e diversi feriti. La prima notizia, «Il Popolo d’Italia», 8 settembre 1919

Lo scoppio della bomba in Galleria. Altri particolari – Il riconoscimento del cadavere – La madre del morto impazzita, «Il Popolo d’Italia», 9 settembre 1919

Le indagini per lo scoppio della bomba, «Il Popolo d’Italia», 10 settembre 1919

Cronaca giudiziaria. Il processo degli anarchici in Corte d’Assise, «Il Popolo d’Italia», 13 luglio 1920

Cronaca giudiziaria. La fine del processo degli anarchici, «Il Popolo d’Italia», 14 luglio 1920

«Umanità Nova», 14 luglio 1920.

Una bomba al Caffè Biffi? Mentre nella Galleria V.E. e nelle vie adiacenti ferveva il passaggio della consueta folla domenicale, alle ore 21 e 9 minuti si è udita una detonazione formidabile che ha scosso i vetri dei negozi e degli stabili e che ha riempito di spavento, provocando un «fuggi fuggi generale» delle persone che si trovavano sedute al Biffi e che passeggiavano in Galleria. La forte detonazione proveniva dall’interno del palazzo sito in via Foscolo N.S. e precisamente dal sottosuolo della scala n. 8 nel cortile a destra entrando dal detto palazzo. Una vetrata è andata in frantumi; una parte della ringhiera delle scale è stata contorta; alcuni scalini sono stati staccati dalla base della scala. Si sono recati subito sul posto i pompieri ai comandi degli Ingegneri Villa e Adorni, i quali hanno subito iniziato l’opera di sgombro. Fra i rottami si sono rinvenuti resti umani, che non è stato subito possibile identificare a quale sesso appartengano. La Questura è subito accorsa sul luogo con numerosi agenti ed essa, nelle prime constatazioni, ha ritenuto trattarsi di uno scoppio di gas; mentre altri, come i pompieri, hanno avuto l’impressione trattarsi di una bomba. I feriti. Con autolettiga sono stati trasportati all’Ospedale i feriti più gravi. Essi sono: Dario Beniamino, di Gallarate, con ferita lacero-contusa alla testa; Finzi Augusto, abitante in via Cesare Correnti 4, ferita da taglio alla regione frontale; Sanguinetti Ezio, abitante in via S. Maria 12, ferito in varie parti del corpo; Valentin Bruno, tenente di artiglieria a cavallo, contuso alla testa. Vi sono poi altri feriti leggermente. I ferimenti sono dovuti alla caduta del vetro di grossissimo spesso re che si trovava sopra la porta del Biffi che fa angolo con la Galleria. Nei locali superiori del Biffi ha la propria sede il «Club dei nobili». Gli ultimi particolari. I pompieri e gli agenti, proseguendo nelle ricerche dei resti umani trovati fra i rottami di vetri, calcinacci, ecc., hanno rinvenuta una mano avvolta in un panno turchino e una gamba che calzava una calza rossa. Ciò fa ritenere che si tratti di un operaio, forse della stessa persona che avrebbe depositata la bomba nello stabilimento di via Ugo Foscolo. Poiché sembra ormai assodato trattarsi di una bomba. («Avanti!», 8 settembre 1919.)

 

L’esplosione di una bomba in Galleria. Un morto e diversi feriti. La prima notizia.Ieri sera, appena dopo le ore 9, uno scoppio abbastanza forte ha turbato il consueto passeggio in Galleria. L’esplosione è avvenuta nei locali sovrastanti il caffè Biffi, e precisamente allo svolto dell’ottagono verso il negozio Guffanti. I vetri delle due ultime finestre del Biffi, e quelli del negozio Maglia, frantumati dall’interno piovvero come pietre aguzze sulla testa di pacifici cittadini che stavano sorbendo il gelato. Qualche ferito alla cute, ma in non grave modo. Sono stati portati subito alla Guardia Medica di via Cappellari, in numero di quattro: Decio Benamino da Gallarate, Finzi Augusto, abitante in via Cesare Correnti 4; Sanguinetti Eugenio, via Santa Marta 12 e il sottotenente Valentini Bruno. Particolare degno di essere rilevato: mentre il Biffi doveva forzatamente chiudere i battenti, il Savini che gli sta di fronte si gremiva di sempre maggior pubblico. Non ostante i feriti e la voce che vi fosse anche un morto, i cittadini dimostravano di non temere altri attentati; occupavano tutti i tavoli del Savini, chiedendo notizie. Dove è stata lanciata la bomba.Un sommario esame indica che la bomba, si tratta di una bomba al pirato di potassio, non è stata lanciata dalla Galleria. Seguendo le volute di fumo, i pompieri tosto sopraggiunti, e che salgono nei quartierini sovrastanti la ditta Maglia, giungono a stabilire che la località dell’attentato avvenuto è quella della scala n. 8 della casa in via Ugo Foscolo, 3, via parallela alla Galleria. Passiamo in un primo tempo, dentro il casamento dove è stato compiuto il reato. Entrati, dopo la portineria ci si trova in un cortiletto, dal quale si passa in un secondo molto più ampio, dal quale salgono ai piani d’abitazione diverse scale. La scala n. 8 ci reca a una porticina di servizio, al terzo pianerottolo, del Caffè Biffi e poco più sopra, dopo tre gradini ad altra porticina, pure di servizio, del Clubino(Club dei nobili), nel quale, secondo la comune opinione, pranzerebbe di frequente il conte di Torino con altri noti signori milanesi. È stato appunto fra il terzo pianerottolo e i tre gradini superiori che è avvenuto il lancio della bomba. Un muro è stato sfondato; qualche gradino frantumato, un piano di scala è pericolante, e poi una parete di un solo mattone rovesciata fino ad arrivare, con la violenza dello scoppio, nei locali ampi e vuoti del Maglia e delle ultime sale superiori del Biffi, spezzettando, come si è detto, le vetrate che precipitarono poi sulle teste degli avventori del caffè che erano in Galleria. La macabra scoperta. Appena il fumo si è un po’ diradato, i pompieri seguiti dall’ispettore generale Gasti, reggente la questura di Milano, dal colonnello Carubo, dal giudice istruttore Carbone, hanno ispezionato il punto dove è avvenuta l’esplosione, e cioè sulla scala n. 8 della casa in via U. Foscolo, 3. Prima è stata trovata una mano stroncata; poi una scarpa molto druscita, una calza grossa; brandelli di carne, un pezzo di calotta cranica…; uno scempio insomma. Il portinaio della casa dichiara di non avere visto entrare nessuna persona sospetta, ma avrebbe pure dichiarato che la scarpa e la calza non potrebbero essere, perché troppo modeste, di inquilini del palazzo. Siamo bensì dinanzi a un cadavere. Questo è incontrovertibile. Di chi si tratta, se non è un inquilino del casamento? Si tratta dell’autore dell’attentato? È sorto un dubbio nell’autorità di polizia, che i sanguinosi resti umani siano quelli dell’autore dell’attentato. Si ricostruisce così l’avvenuto: il lanciatore della bomba, sapendo che dalla casata in via Ugo Foscolo 3 si può entrare nei locali prospicenti la Galleria, ha infilato la porta, salendo dalla scala n. 8, che, ripetiamo, serve di sfogato al Biffi e al Clubino. Voleva, l’ignoto lanciatore di bombe, penetrare dalla porta di servizio, nelle sale superiori del Biffi e di lassù lanciare sulla folla della Galleria l’ordigno mortale? Oppure ha tentato di raggiungere la porticina di servizio del Club dei nobili, per compiere colà la strage? Quello che per ora sembra sicuro, è che lo scoppio è avvenuto fra il Clubino e il Biffi, quasi a metà del giro di scala che li divide. La relativa fondatezza dell’opinione dell’autorità che l’ucciso sia appunto l’autore dell’attentato, sta in quanto i maggiori resti del cadavere sono stati rinvenuti nel raggio d’azione della bomba. Potrebbe darsi che lo sciagurato attentatore, poco pratico dell’ordigno, o temendo d’essere disturbato nel criminoso disegno, o per difetto della miccia della bomba, sia stato improvvisamente colpito in pieno proprio nell’atto che voleva la morte altrui. Frattanto non si sa di più. risulta che il giudice istruttore Carbone ha rinviato a questa mattina la continuazione del sopraluogo, e che finora non siano stati repertati documenti per l’identificazione del morto. («Il Popolo d’Italia», 8 settembre 1919)

 

L’affare della bomba.Frutta di stagione. È dunque accertato che l’esplosivo che scoppiò sul pianerottolo della scala che conduce ugualmente al New Club ed al Caffè Biffi era una bomba. Ed è anche accertato che il portatore di quella bomba era il giovane anarchico Bruno Filippi, che rimase orribilmente sfracellato dall’esplosione. Il Filippi è stato riconosciuto dalla madre infelicissima e dal fratello minore, pur nei miseri frammenti del suo corpo orrendamente fatto a brandelli. Il Filippi era ben conosciuto negli ambienti politici sovversivi come un idealista devoto alle proprie rivoluzioni e capace per esse di qualsiasi sacrificio. Nel periodo della neutralità, quando il Partito socialista lottava disperatamente per contrastare il prevalere dell’interventismo. Il Filippi militò con noi e in più di una contingenza lo vedemmo affrontare – in dimostrazioni non veramente pacifiche – le intolleranze irose dei nemici comuni. Fu negli ultimi giorni della neutralità – maggio 1915 – che il Filippi venne arrestato e accusato d’aver sparato in Piazzale Venezia dove rimase ucciso il compianto Adriano Gadda, figlio del compagno nostro Luigi. In quella tragica circostanza, a sparare furono anche molti poliziotti, ma la magistratura milanese, che durante questo nefasto periodo non ha fatto altro che rendere servizi al feticcio del patriottismo, in nome del quale tanti delitti sono stati compiuti, la magistratura e la giuria associate, pur in mancanza di prove, vollero condannato il giovane Filippi a due anni di reclusione, che il Filippi in parte scontò. Lo ricordiamo ancora il giorno seguente alla sua liberazione, quando venne personalmente a ringraziarci d’averlo difeso sul giornale e a pregarci di rendere pubbliche grazie agli avvocati che l’avevano difeso in Corte d’Assise. Ci parò con commozione di sua madre, del suo desiderio di dominare i suoi impulsi per non arrecarle dolori, ed espressioni di protesta contro coloro che lo avevano inutilmente condannato. Poi lo perdemmo di vista. La piccola frazione anarchica militante era stata dalla guerra, dagli internamenti, dalle persecuzioni interamente sbandata. Che avvenne del Filippi? Dove e come visse? Di lui le cronache non si sarebbero praticamente più occupate, se il tragico fatto di domenica sera e la identificazione del suo cadavere avvenuta ieri, non avesse conferito al suo nome un attimo di non invidiabile notorietà. Quali motivi hanno spinto il Filippi a pensare a tentare l’orrenda impresa? Le congetture che si fanno sono molteplici, ma quella che presenta maggiore fondamento è che il Filippi abbia voluto colpire i frequentatori del Club, che appartengono tutti gli alti ranghi del capitalismo milanese, alla nobiltà, al militarismo. Una protesta violenta sino al fanatismo, che avrebbe voluto fiaccare con un solo gesto tremendo, la caparbia volontà di lotta e di resistenza fino all’estremo che spinge i capitalisti milanesi contro quelle maestranze industriali dal cui lavoro, durante la guerra, hanno tratto vistose e immeritate ricchezze. Gli elementi psicologici della preparazione alla folle decisione sussistono, purtroppo, in una realtà così eloquente e suggestiva, che l’ipotesi potrebbe non essere infondata. Resterebbe invero un abisso di sproporzione tra fine e mezzo, che difficilmente si può colmare, anche ponendosi da un punto di vista di grandissima indulgenza. Anche accettando per un momento le idee che individuano le responsabilità delle lotte economiche, facendone dipendere la lunghezza e l’asprezza della cattiveria di determinati uomini anziché dal prevalere di certe situazioni politiche e sociali, non si può non vedere l’enorme squilibrio che presenta simile ?. Per colpire, poniamo, uno o due uomini, è concepibile se ne debbano uccidere dieci, venti, cento? Come spiegare questa mancanza di valutazione? Per conto nostro spieghiamo l’atto folle tentato dal Filippi, e compiutosi solo contro di lui, con l’atmosfera satura di violenza nel quale lo spirito inquieto e non inquadrato in chiari sistemi di idee e di sentimenti, vive da tanti anni. La violenza, l’audacia, il disprezzo della vita umana sono stati portati in questi anni di carneficina a tali altezze dai loro apologisti vecchi e nuovi, che si comprende esattamente come sia stato possibile che l’idea di simile attentato abbia potuto crescere e ingigantire nell’animo del giovane libertario. L’atto del Filippi è anch’esso un frutto di stagione. Chi volle le cause, non ha diritto di inorridire degli effetti. Chi ha cantato la bomba e il pugnale, glorificando la prodigiosa bellezza fascinatrice del sangue, della violenza, della strage, non deve salire in cattedra a tenere pulpito di ? gentilezza di costumi e di politica e di prudente saggezza. Questa violenza che procede per impulsi individuali, non ha scuole né dottrine, e neppure può considerarsi come l’affermazione sperimentale di una tattica che del resto è vecchia come l’umanità. L’abbattimento di un uomo non significa la distruzione dei sistemi. […] («Avanti!», 9 settembre 1919.)

 

Lo scoppio della bomba in Galleria. Altri particolari – Il riconoscimento del cadavere – La madre del morto impazzita. Le indagini. Nella mattinata di ieri sono continuate febbrilmente le indagini dell’autorità intorno allo scoppio della bomba in Galleria. Il cav. Pastore e il delegato Dimizio hanno interrogato lungamente tutto il personale del Biffi, il portiere dello stabile di via Ugo Foscolo n. 3 e gli inquilini, senza riuscire a scovare la minima traccia del bombardiere. Degli inquilini nessuno mancava: dunque il morto era certamente un estraneo alla casa. Anche il giudice istruttore cav. Vitali ha fatto un sopraluogo nello stabile che è durato tutta la mattinata. I pompieri, che l’altra sera non avevano potuto continuare nelle ricerche fra le macerie per il timore che la fiamma dell’acetilene desse fuoco ad una probabile fuga di gas – giacché il tubo del gas era rotto in due parti – ieri mattina si sono dati a scavare fra le macerie ed hanno rinvenuto altri pezzetti di carne e di stoffa verdognola. Un caricatore di rivoltella con sette proiettili, di cui uno esploso e due contorti ed una rivoltella marca Beretta, calibro 7, in una posizione di sparo, col proiettile nella canna. Un indizio. Nelle prime ore del pomeriggio, i pompieri, dopo avere rimosse tutte le macerie hanno demolito un ramo di scale che pericolava, quello, cioè, che è fra la porta del Biffi e la porta del Clubino, giacché la bomba non è scoppiata davanti a nessuna porta ma proprio a metà distanza fra le porte dei due locali. Intanto l’autorità giudiziaria proseguiva negli interrogatori. Un giovane inserviente del Clubino, Ballenzani Artemiro, interrogato dal giudice Vitali, ha ricordato che la sera antecedente, scendendo alle 21 dalla scala, che dà alla porta del club aveva incontrato un giovanotto con berretto a visiera il quale saliva il primo ramo di scale ed aveva un cestino sotto il braccio. Il Ballenzani non ha fatto molta attenzione al giovanotto, è uscito in istrada per fare una commissione di cui era stato incaricato e, dopo pochissimo tempo, è avvenuto lo scoppio. Le indagini dell’autorità erano a questo punto quando, verso le 15, una donnetta sulla sessantina si è presentata in Questura chiedendo se fra gli arrestati in seguito ai tafferugli avvenuti ieri dopo il comizio dei giovani socialisti vi fosse anche il proprio figlio Bruno Filippi. Le venne risposto di no, e siccome la madre insisteva dicendo che suo figlio mancava da casa fino dalla sera antecedente, le venne consigliato di recarsi alla camera mortuaria al cimitero. Il riconoscimento. La povera donna, allora, accompagnata da un altro figlio chiamato Annunzio, si è recata alla Morgue. Non vi erano cadaveri. Le si disse che vi erano solo i pezzi di carne di colui che era stato ucciso dalla bomba ed essa allora insisté per vederli. Gli agenti non ebbero il coraggio di farla entrare e le mostrarono la scarpa e la calza trovata, col piede, fra le macerie. La donna impallidì, vacillò, aveva riconosciuto le scarpe e le calze del figlio che andava cercando. Anche il giovane che l’accompagnava riconobbe benissimo nella scarpa presentata quella del proprio fratello perché egli stesso, due giorni prima, vi aveva infisso il tacco di gomma. Passato il primo momento di atrocissimo dolore, la donna dichiarò di chiamarsi Anna Spagnoli e aggiunse che l’ucciso era il suo figlio Filippo Bruni (sic), di Aberardo, tipografo, nato a Livorno nel 1900, abitante in via Amerigo Vespucci 11. Informata immediatamente la questura centrale, il comm. Gasti inviò al domicilio di Bruni (sic) il commissario Pastore ed il delegato dimizio, con l’ordine di fare una perquisizione. Furono sequestrati una grande quantità di libri sovversivi, giornali, corrispondenza e le fotografie di Lenin, Rosa Luxembourg e Liebnecht (sic). In seguito alle risultanze della perquisizione, fu subito accompagnato in questura il padre del Bruni che lavora nell’impresa riscaldamento Campieri e il fratello del morto Libero Bruni (sic). Durante la perquisizione si è avuta la prova che il morto nelle scale del Biffi era proprio il Bruni perché nella di lui camera è stato trovato un gilet la cui stoffa è identica ai pezzi trovati dai pompieri fra le macerie. Nella casa del morto.Ci siamo recati in via Amerigo Vespucci 11, dove abitava il Filippi. La famiglia di questi abita al quarto piano di un modestissimo appartamento. È la casa di operai, cogli squallidi lettini, i mobili poveri ed usati. Alcune cartoline attaccate al muro. Prima che entriamo, una vicina ci avvisa: – Vanno da Filippi? – Sì! – La povera donna è impazzita. La povera madre, da due anni ammalata, che ha già subita una grave operazione, non ha retto allo schianto del dolore. La carne frantumata della sua creatura – visione terribile per un cuore di donna – che la madre ha potuto vedere, palpare alla Camera mortuaria, ha fatto vacillare la ragione della povera donna. Ora non soffre più lo strazio tremendo, essa non è più in questo mondo: suo figlio è morto, il bel figlio serio, attivo, docile, che essa adora! Entriamo. Seduta sopra un lettino la donna ci sorride. – Ah!… Lei è l’amico di mio figlio, l’amico del mio Bruno. Viene per trovarlo? Non c’è, è fuori. – E ci guarda cogli occhi lucidi di febbre, mentre le mani le tremano leggermente. È cadaverica. – Quando tornerà?… – azzardiamo. – Non lo so, adesso dev’essere andato al rogo. Lo bruciano. La scena è dolorosa, triste, impressionante. Il figlio può essere un dinamitardo, ma la madre fa ugualmente pietà. Sul pianerottolo ci raggiunge il fratello di Bruno, Nunzio, diciassettenne. È piangente, avvilito, ma difende il fratello con coraggio. Ci investe, quasi. Ci dice che suo fratello ha fatto un anno di soldato a Ciriè – classe del ‘900 – poi è passato caporale dei mitraglieri. In casa non parlava mai di politica né di partiti. Era di carattere serio, un po’ taciturno; solo talvola si esaltava, quando vedeva qualche ingiustizia. Leggeva molto, libri di economia politica e sociale e giornali. – Ieri cosa ha fatto? – Dopo cena, circa le 20,30, è uscito, come faceva quasi tutte le sere, dicendoci: buona sera… – Portava nulla in mano? – Niente assolutamente: aveva le mani libere come le ho io in questo momento. – E non avete osservato nel suo contegno niente di anormale? – Macché, era tranquillissimo come sempre. Poi stanotte l’abbiamo aspettato invano, la mamma è stata alzata buona parte della notte. Essa ci vuole tanto bene a tutti; eravamo cinque fratelli e una sorella. Stamattina i vicini commentavano il fatto successo ieri sera in galleria ed anche la mamma ha preso parte ai discorsi delle altre donne. È venuto mezzogiorno, poi l’una, e Bruno non si vedeva ancora. Allora la mamma ha avuto un’idea: e se fosse morto? Alle tre siamo andati alla Morgue: non c’erano cadaveri, ma in una camera piantonata da guardie ci hanno fatto vedere tre pezzi di carne ch’era sua. La mamma ha riconosciuto le sue calze, le sue scarpe, i suoi capelli. Ha pianto, ha lanciato quella carne, poi è rimasta muta, guardando fisso. I precedenti del morto. La famiglia del Filippi è oriunda di Livorno e venne a stabilirsi a Milano nel 1914. Appena arrivato nella nostra città Bruno si occupò come tipografo presso la Unione Cooperativa tipografica e presto si fece conoscere negli ambienti anarchici, tanto che la questura lo dipinge con queste due parole: «temibile sovversivo». Nel maggio del ‘915 fu implicato nell’omicidio di Gadda Adriano, avvenuto a porta Venezia in seguito ad uno scontro fra neutralisti ed interventisti. Venne condannato ad un anno ed 8 mesi per violenza e resistenza alle guardie. Scontò la pena nella casa di reclusione di Forlì, da dove uscì nel gennaio 1917. Poi fece il servizio militare nei mitraglieri. Tornato a Milano riprese la sua vita di propagandista. Durante l’ultimo sciopero dei barbieri è stato arrestato per attentato alla libertà del lavoro e condannato ad un mese e 20 giorni. Più tardi è stato arrestato perché trovato in possesso di manifesti sovversivi. La questura lo aveva proposto per il ricovero in una casa di correzione come discolo incorreggibile. Ha tre fratelli e una sorella, un altro suo fratello è morto altro fronte. La questura dice che anche il padre e i fratelli sono anarchici, iscritti alla Camera del lavoro ed ardenti propagandisti delle loro idee. Le ipotesi.Da tutto quello che abbiamo narrato un fatto risulta sicuro: colui che voleva fare scoppiare la bomba è rimasto unica vittima del suo proposito: il Filippi. Le ipotesi che si fanno su quanto questi avrebbe voluto fare sono svariate: vi è chi pensa che avesse idea di entrare a mano armata nel «clubino» – ed effettivamente aveva la rivoltella in posizione di sparo – per gettare la bomba fra coloro che vi si trovavano adunati, industriali e signori; vi è chi crede che volesse montare sul tetto per gettare l’ordigno nell’ottagono della Galleria per dare una mostruosa lezione alla borghesia; vi è l’ultima ipotesi che ammette volesse gettarlo nel Biffi. Pare però che il Filippi non abbia potuto effettuare il suo disegno per un accidente impreveduto: o perché la bomba gli sia caduta di mano producendo così lo scoppio, o perché, carica ad orologeria, sia scoppiata innanzi tempo. La domanda che viene naturale è di sapere se vi sono complici, se cioè l’atto insano fu ideato dal cervello malato del Filippi o se è frutto di un complotto ordito da un gruppo di anarchici. Non si può rispondere ancora a questa domanda; l’autorità di pubblica sicurezza lavora febbrilmente. Anche mentre scriviamo – e sono le ore piccole del mattino – il commissario Pastore ed il delegato Dimizio sono in cerca di… non sappiamo chi. («Il Popolo d’Italia», 9 settembre 1919)

 

Dalle indagini dei pompieri che hanno rovistato fra le macerie è risultato che la bomba era piena di pallottole di fucile e di rivoltella, di pezzetti di ferro e vi era perfino un fischietto. Ora nella perquisizione in casa del Filippi sono stati ritrovati i bossoli da cui erano stati staccati i proiettili del fucile modello 91, che avevano servito alla confezione della bomba. («Il Popolo d’Italia», 9 settembre 1919)

 

Le indagini per lo scoppio della bomba. Proseguono le indagini dell’autorità sullo scoppio della bomba in Galleria per sapere se il Filippi avesse complici o se ha agito da solo. La P.S., tentando di ricostruire come e dove il morto passò la domenica, è riuscita a sapere che il Filippi dalle 17 alle 20 di quel giorno si trattenne in un caffè di corso Buenos Ayres, poi si è recato a casa, ha mangiato un uovo ed è tornato subito ad uscire. Sono stati fatti molti arresti, la maggior parte dei quali non mantenuti. Vennero messi in libertà anche il padre ed i fratelli del Filippi che, del resto, tutti i vicini di casa dipingono come gente buona e laboriosa. Fra gli arrestati vi è un anarchico, amico intimo del morto, sul quale la questura mantiene il massimo riserbo. La povera madre del Filippi, che seguita a dare segni di alienazione mentale, verrà probabilmente in giornata ricoverata in una casa di salute. Riceviamo: Caro Mussolini, Permetti a noi, rivoluzionari interventisti amici del Filippi, il diritto di sfatare certe leggende che corrono sul suo conto. Innanzitutto ci teniamo a dichiarare ch’egli non può avere agito dietro le influenze di un presunto complotto. È il «Popolo d’Italia», che ingenuamente ha raccolta la voce del complotto, deve rettificare. Ci spiace anche che il tuo giornale abbia qualificato il Filippi come un adoratore di Lenin e compagni. Filippi era un fervido ammiratore del movimento rivoluzionario russo, ma non fu mai un propagandista bolscevico, o un partigiano per un partito o l’altro. E ce lo dimostra la lettera contro i metodi reazionari del bolscevismo d’Italia, inviata dal Filippi al «Popolo d’Italia». Ed è appunto per la propaganda fatta contro i pussisti e per la «fifa» che i signori dell’«Avanti!» fingono di dire che dopo l’armistizio non l’hanno più visto. Ed è appunto per questo che il «terribile rivoluzionario» Storchi (redattore dell’«Avanti!») appena ha saputo da un altro redattore dello stesso giornale che il morto era Filippi, con un segno di sollievo, stropicciandosi quasi le mani, disse: – È un anarchico?… meglio…. Ti ringraziamo della pubblicazione. Giuseppe Colombi. Alessandro Pozzi. («Il Popolo d’Italia», 10 settembre 1919)

 

Una smentita. La famiglia del povero Bruno Filippi, smentisce categoricamente che le tre o quattro cartucce trovate vuote dalla polizia nella casa del Filippi fossero state vuotate dal Bruno; ma dallo stesso portato invece vuoto dal fronte per farvi degli «accendisigari». I funerali. Oggi, alle ore 16, partendo dal Cimitero Monumentale, avranno luogo i funerali del Filippi. («Avanti!», 11 settembre 1919)

 

È ora di finirla! La polizia milanese ha in questi giorni rimesso in uso tutti i suoi vecchi arnesi di mestiere, le requisizioni improvvise, la … di tranquilli compagni, di anarchici e perfino di gente che vive appartata da ogni movimento politico e che meriterebbe per diverse ragioni tutto il riguardo dalla sbirraglia. La polizia entra in casa da padrona e … da padrona senza nessuna educazione. Rovista dappertutto: vuol saper tutto. Trova un fazzoletto sporco con due cifre non corrispondenti di nome e cognome della persona la cui abitazione si perquisisce, ed aprii cielo! Qui c’è il complotto! E giù una serie di domande inquisitoriali ed idiotissime. «Qui la sera si riuniscono anarchici. Infatti queste iniziative corrispondono al nome di F… e di S… . Sì, corrispondono al nome di S…alami quali siete vuoi o insopportabili buffoni. «In questa cartolina ci sono «saluti nostalgici» e viene dalla Svizzera, è chiaro dunque che voi complottate coi sovversivi svizzeri. – Io non complotto con nessuno – risponde il compagno nostro che ha la disavventura di dover ospitare per qualche ora la polizia sotto il tetto della propria casa – è un mio compagno confinato per colpa vostra e che, come milanese, sente la nostalgia della città nativa. I birri non sono persuasi e portano con loro in questura l’innocente cartolina come la chiave misteriosa di chi sa quale terribile associazione rivoluzionaria italo-elvetica. E così le nostre buone massaie debbono di quando in quanto avere l’ingrata sorpresa di vedersi tra i piedi una decina di facce da galera che entrano in casa altrui con strafottente aria di padronanza che rovistano ovunque: dalla latrina, alla «cavagna» della spesa, dal letto matrimoniale alla culla del fanciullo. Tutto mettendo a soqquadro e tutto contaminando con il loro imparo contatto. È ora di finirla! Le perquisizioni non devono essere fatte per ogni «stormir» di foglia o tanto meno per dar pretesto ai birri di violare il domicilio di onesti cittadini. Continuano le perquisizioni e gli arresti. Il sequestro di una bomba in casa di un anarchico. La P. S. continua nelle indagini sui fatti della bomba. In questi giorni sono stati fatti molti arresti di anarchici e di presunti tali e furono operate varie perquisizioni. Gli arrestati furono e sono sottoposti a lunghi interrogatori. I risultati di tagli pratiche dei funzionari della questura, come è naturale, sono stati segretissimi. Ieri il capo della polizia giudiziaria e tre delegati, sicuri del fatto loro, operarono una perquisizione nella casa di un anarchico, del quale si tiene celato il nome, ove sapevano dovesse esservi la fabbrica degli ordigni esplosivi, e infatti rinvenne tra l’altro anche una grossa bomba, perfetta nella sua fattura, di forma cilindrica, alta circa venti centimetri avanti, 12 centimetri di diametro, capace di contenere tre o quattro chili di esplosivo. La bomba fu raccolta e portata con tutte le precauzioni nella Direzione d’artiglieria, ma qui si constatò che era scarica. L’anarchico in questione non è stato arrestato, ma la P. S. ritiene che la sua cattura non tarderà molto. In tanto gli arresti e le perquisizioni continuano. I funerali di Bruno Filippi. Ieri mattina, alle ore 8, hanno avuto luogo i funerali di Bruno Filippi. Da prima essi erano stati fissati per le ore 10, ma poi l’orario fu cambiato all’insaputa di tutti. Ciononostante all’accompagnamento funebre del giovane anarchico, morto così tragicamente, presero parte molte persone. La madre, in condizioni veramente pietose, volle seguire la carrozza con la salma del suo Bruno fino all’ultima dimora. Una corona di garofani rossi e di altri fiori vermigli spiccava sopra l’umile terra. Le Autorità avevano mandato un gran numero di guardie o carabinieri ed impedirono a coloro che vegliavano il feretro di entrare entro il cimitero. («Avanti!», 12 settembre 1919.)

 

Anarchici perseguitati. La polizia politica milanese, non ancora soddisfatta dei numerosi arresti d’anarchici operati in questo ultimo periodo di tempo sta tendendo altre insidie per nuove retate. Ha fatto circolare la voce di una riunione da tenersi in un dato luogo, giorno ed ora nella quale si dovrebbero dar relazione di un convegno avvenuto in questi giorni e deliberare in proposito. Siccome nessun convegno ebbe luogo e nessuna deliberazione vi è da prendere, si diffidano gli anarchici a rispondere al troppo premuroso invito. A mezzo della stampa libertaria verrà dato a tempo opportuno, ampio resoconto dell’andamento dell’istruttoria in corso per la faccenda delle bombe e del denaro raccolto per aiutare gli arrestati e le loro famiglie. Il Comitato anarchico pro … politiche. La polizia milanese ha intrapreso una vera e propria caccia contro gli anarchici servendosi di tutti i mezzi compreso quello di far gonfiare dalla stampa complotti e congiure che non esistono che nella fantasia poliziesca. Intanto mentre i questurini corrono dietro gli anarchici, i ladri, i bombaroli compiono la loro agenda indisturbati in pieno centro a Milano ed a tutte le ore. («Avanti!», 25 settembre 1919.)

 

Un pallone che si sgonfia. Martedì sera sono stati scarcerati otto anarchici detenuti da settanta giorni per il noto «complotto» anarchico della bomba scoppiata al Biffi, che costò la vita a Bruno Filippi. I rilasciati, che erano tutti imputati di associazione a delinquere, sono. Pennati Guglielmo, Paglieri Dante, Scotta Antonio, De Cortes Giuseppe, Coletti Carlo, Quattrina Antonio, Trombe Aurelio e Mariani Giuseppe. Essi ci pregano di ringraziare il compagno avv. Nino Levi per l’interessamento dimostrato a loro riguardo, nonché gli altri avvocati socialisti che avevano offerto il loro disinteressato patrocinio. («Avanti!», 20 novembre 1919)

 

Corte d’Assise. Il processo per le bombe scoppiate al Tribunale e in Galleria. Udienza antimeridiana. Ieri, il palazzo del Tribunale presentava un aspetto insolito; anzi, per dir meglio, l’aspetto del quartiere generale delle forze di San Fedele! Lucerne, grigioverdi, guardi in uniforme ed in borghese ovunque, a gruppi, a frotte, a stormi, nell’intorno dell’atrio e della piazza, gli sbocchi delle vie adiacenti, nei più prossimi dintorni, ovunque. […] Dopo le formalità di rito, il presidente comm. Raimondi, inizia l’interrogatorio degli accusati. Si comincia con Villa Guido che, per contare 28 anni, è il più anziano tra gli accusati. Il Villa, fattorino dello studio del comm. Ortali in Milano, di ottimi precedenti penali e morali, mai condannato, esordisce con parola facile e franca, col dichiarare: «Prima di entrare in merito alla esposizione dei fatti dichiaro di essere anarchico e di non riconoscere in questa Corte il diritto di giudicarmi, perché i giurati rappresentano la reazione al progresso delle libere società umane!». E prosegue: «Non mi difendo: la difesa è assurda dal momento che affermo la mia fede anarchica». […] E con Filippi, suo amico intimo e compagno di fede, progettarono di far scoppiare una sommossa, che avesse potuto portare un valido aiuto alla rivoluzione, che marcia inevitabilmente e che, come fenomeno naturale, come fenomeno diremo quasi etico, fatale, non può arrestarsi. E per ciò si prepararono, specie perché correva una buona occasione: lo sciopero – che doveva essere internazionale – del 22-23 luglio. Progettarono di far attentati su alcune linee ferroviarie, cioè quello che potevano portar forza armata in Milano, e precisamente: la Torino-Milano, la Bologna-Genova-Milano, la Venezia-Milano; di far saltare la Centrale elettrica di Paderno d’Adda, e di prendere degli ostaggi come il cav.  Uff. Pignatari, allora capo gabinetto del questore, del maggiore dei carabinieri Tomasi, ecc. Tale piano, spiattellato dal Filippi a Villa – di ritorno da un suo viaggio a Torino – per la vastità dell’impresa non comune, e che richiudeva mezzi superiori alle loro forze, scoraggiò il Villa, impressionato anche dal grande spiegamento di forza che in quei giorni si aveva. Era il 18 luglio. Il Villa dichiarò di non volerne più sapere, e tutto andò a monte. Si rividero, però, e pensarono di attuare un atto di audacia, che fosse stato di ammonimento per la borghesia: una bomba in Tribunale. Capitava l’anniversario dell’attentato di Gaetano Bresci: lo commemorarono. Il Filippi portò a casa del Villa il materiale occorrente e il Villa – ha dichiarato e sostenuto, rivendicandosi tale azione – confezionò la bomba il giorno avanti l’attentato. A mezzogiorno del 27 Filippi andò a prenderla dal Villa, e pare – dice l’interrogato – che con lui fosse anche il Perego. Dopo la prima esplosione, prepararono la bomba per la Galleria – Non abbiamo avuto l’intenzione di far vittime – proclama l’accusato – Non volevamo far vittime! Venuta la sera di domenica, 7, il Perego, in bicicletta, si recò dal Villa per far consegnare la bomba al Filippi; ma il Villa glie la volle portare personalmente in via Settembrini. In tram i due anarchici si recarono in piazza del Duomo. Bruno Filippi s’allontanò col terribile ordigno e il compagno volle seguirlo da lontano. D’un tratto intese lo scoppio e, nel tempo breve che era trascorso, dato che si calcolava lo scoppio dovesse avvenire fra qualche ora, egli presagì la disgrazia. E corse dal Perego a dar notizia. La Corte insiste per sapere da chi provenivano gl’ingredienti per fabbricare la bomba, dato che nella dichiarazione raccolta dal commiss. Dimizio risultava che il Villa avrebbe dichiarato che il Filippi aveva detto di aver ricevuto il tutto dalla Melli. L’accusato insiste che la Melli non c’entra niente e esclude assolutamente che la si possa sospettare. Risulta pure che il 6 settembre il Villa, incontrandosi con tal Virginio Campana, che frequentava la ditta presso la quale il Villa lavorava, gli abbia raccomandato di non frequentare il centro la sera di domenica e quella di lunedì, 7 e 8 settembre. Durante tutto l’interrogatorio il Villa appare calmissimo, preciso, sereno. […]il compagno Costa, della difesa, vuol contestare le dichiarazioni del Villa e gli chiede come mai, lavorando da anni come fattorino, avesse saputo confezionare bombe. L’interrogato che vuole a tutti i costi avere parte partecipe nell’accaduto, dichiara che glie lo insegnò il Filippi e che questo lo fece per le debite precauzioni per celare alla polizia i preparativi. E all’insistenza del Costa, che ritiene come la bomba sia stata invece confezionata dal Perego in casa del Villa, questo insiste, deciso, schietto […] di aver confezionato la bomba con le sue mani stesse. Si passa quindi all’interrogatorio del Perego. Aldo Perego esordisce con dichiarazioni conformi al Villa. È anarchico e approva il metodo rivoluzionario. Conferma il Villa circa quanto costui ha asserito per il movimento rivoluzionario da condurre insieme. […] Conferma il progetto di commemorare Bresci. Dichiara di aver promesso al Filippi di preparare gli ordini esplosivi e li preparò in casa del Villa. È eccezionale, sintomatica, l’ostinazione del Villa e del Perego nell’attribuirsi ognuno il vanto di aver confezionato le bombe. […] Ognuno sostiene, per proprio conto, di essere stato il preparatore degli esplodenti. Villa insiste, il Perego grida di più di lui. La bomba al Tribunale fu portata dal Filippi e l’accompagnò Aldo Perego. Parlando dello scoppio in Galleria, Perego rievoca che in quei tempi c’era lo sciopero dei metallurgici per questioni economiche. I tre anarchici intesero di ammonire la borghesia capitalista, industriale, speculatrice, che si dava bel tempo, che sperperava denaro, mentre negava di migliorare le condizioni degli operai. Essi volevano produrre solo un «effetto morale». Non volevano vittime. – Quelli che vogliono e fanno vittime in gran numero sono i carabinieri, assetati di sangue! – grida il Perego e mostra i … che sono nella gabbia a vigilare gli accusati. Ne nasce un putiferio, e il presidente richiama severamente l’imputato, che protesta contro le sopraffazioni continue, sanguinarie della benemerita. Ristabilitasi la calma, è interrogata Elena Melli, che dichiara di essere venuta a Milano nel gennaio 1919 per trovare lavoro, e di essere votata alla causa della anarchia. – Diventaste anarchica a Milano – chiede il presidente. – Anarchica si nasce, non lo si diventa! – sentenzia la donna, con tono reciso. Dice che a Milano, frequentando alcuni comizi, conobbe numerosi compagni, ma non seppe niente della preparazione delle bombe. Col Bruno andavano dopo d’accordo, specie perché si bisticciavano in seguito a discussioni antifemministe, nelle quali il Filippi rivelava il suo temperamento impulsivo e autoritario. Apprese i fatti dai giornali, e si recò il giorno dopo in via Ugo Foscolo per osservare da vicino il disastro. Vide un brandello di stoffa, che aveva appartenuto al povero Filippi, e volle conservarlo per ricordo. Circa la voluminosa corrispondenza avuta col metallurgico Giuseppe Mariani di Mantova, ella sostiene che tutti gli inviti a venire a Milano a fare il «suo dovere» esistevano solo perché il Mariani era suo amante, … in Melli da nove anni è divisa dal … marito. La difesa interloquisce per fare rilevare che certe cartoline della donna scritte all’amante riproducono figure di donne nude, ecc., più specialmente adatte a corrispondenza di amore che… politica. Del biglietto inviatale in carcere dalla Zibardi – che fu intercettato e sequestrato – e che diceva: «Carissima Elena, non ti posso dire quello che so perché tu ti metta al corrente. Aldo dice bella una dichiarazione che le munizioni venivano da Bruno che le prendeva da … Nega, nega, come io nego. Ecc.» – La Melli dichiara di non sapere nulla del tutto e di meravigliarsi di apprendere ciò che a lei riesce nuovo o strano. La Zibardi, interrogata, dichiara di avere conosciuto Filippi nel 1917 (invero poco più di 16 anni -???) e che non ha saputo né delle bombe né di quanto aveva in mente il suo amante. Dice però che qualche notte, verso la fine d’agosto, avendo dormito in casa del villa (perché i genitori la scacciavano da casa) aveva visto tre latte, due chiuse e una scoperchiata, latte che servirono poi per la bomba di via Ugo Foscolo. Udienza pomeridiana. Si sentono vari testimoni d’accusa. […] Tutti per provare che… lo scoppio ci fu! («Avanti!», 13 luglio 1920)

 

Cronaca giudiziaria. Il processo degli anarchici in Corte d’Assise. È … ieri alla Corte d’Assise il processo contro alcuni anarchici imputati di complicità nello scoppio della bomba, avvenuto la sera dell’8 settembre scorso in Galleria. Dalla terribile esplosione, come i lettori ben ricorderanno, rimase unica vittima l’autore stesso dell’attentato, il giovane anarchico Bruno Filippi. Alla sbarra sono: Aldo Perego di Luigi e di Silvia Stella, nato a Milano il 5 febbraio 1900, meccanico; Guido Villa fu Felice e di Tancona Maria, nato a Milano il 23 maggio 1897, fattorino; Elena Melli fu Adolfo e fu Anna Cristina, da Piaggione (Lucca), nata il 4 luglio 1898; operaia metallurgica e Maria Zibardi di Francesco nata a Milano il 19 dicembre 1901, guantaia. Essi sono imputati di correità del delitto commesso il 27 luglio 1919 nel palazzo del Tribunale nel fare scoppiare una bomba in tempo e luogo di pubblico concorso con danno allo stabile e con pericolo di vita delle persone; di quello per l’attentato in Galleria e di associazione a delinquere al fine di incutere pubblico timore e di suscitare disordini. Il Villa che è gobbo, ammette esplicitamente di aver preso parte alle macchinazioni terroristiche del Filippi, fu proprio lui che confezionò la bomba esplosa in Galleria e uccise il Filippi. Lo scoppio in Tribunale, secondo gli autori dell’attentato, doveva ricordare l’anniversario dell’uccisione di re Umberto. Il Villa rivendica la sua fede anarchica e sostiene la necessità di trasformare l’organismo sociale con attentati terroristici. Egli è esplicito: con le esplosioni isolate si voleva intanto incutere un po’ di timore. Del resto il Villa non mostrò di preoccuparsi eccessivamente delle conseguenze alle quali va incontro, poiché come ha dichiarato all’inizio del suo interrogatorio, essendo anarchico non riconosce alcun diritto alla Corte che gli sta dinanzi per giudicarlo, poiché essa rappresenta non la società ma la reazione contro tutte le società. Il Villa è orfano di padre da sette anni, la madre è a Mombello da undici anni, affetta da pazzia. La gobbosità dell’accusato non è da attribuirsi alla nascita. Aldo Perego, rigidamente vestito in nero, premette anch’esso di essere anarchico e quindi di approvare i metodi rivoluzionari non avendo fiducia nei metodi evoluzionisti che non permettono, lasciando un regime reazionario di inculcare alle masse quell’educazione che basti perché si governino da sole. Come il Villa, l’accusato ammette di avere partecipato alla preparazione degli attentati e allo studio dei mezzi atti a provocare la sommossa. Alle varie contestazioni il Perego risponde semplicemente: – Siccome sono anarchico non riconosco a questa legge un’autorità e non ho nessuna intenzione di difendermi. La Melli – divisa dal marito da sette anni e amante di tal Variant, anarchico – dice che anarchici si nasce. Conosceva il Filippi  ma afferma di non essere mai stata edotta dei preparativi rivoluzionari. Maria Zibardi, fidanzata del Filippi, piange. Si dichiara di fede socialista e di famiglia cattolica; ma è dissenziente dalle idee del Filippi e dei suoi compagni. L’udienza pomeridiana è stata occupata dalla lettura degli interrogatori e delle perizie delle esplosioni e dalle deposizioni di testimoni senza importanza. Il contegno dei principali accusati semplifica e alleggerisce il lavoro della giustizia. Si suppone che per stasera si possa avere il verdetto dei giurati. Preside il comm. Raimondi. P.M. il cav. De Santis. («Il Popolo d’Italia», 13 luglio 1919)

 

Cronaca giudiziaria. La fine del processo degli anarchici. Ieri è continuato e terminato il processo contro i complici dell’anarchico Bruno Filippi, organizzatori ed esecutori di attentati dinamitardi. Nella udienza pomeridiana prese parte il rappresentante di …, sostituto procuratore del cav. De Sanctis. Le argomentazioni del procuratore del re non dispiacquero ai due principali accusati che han tenuto a rivendicare fino all’ultimo la santità del gesto compiuto. Così il P.M. … i giurati che … chiamati a giudicare non delle … qualunque stato, non sono incriminabili … ma dei tristi e … fatti compiuti. Riferendosi all’esame degli elementi probatori raccolti alle deposizioni e alle ammissioni … ed esplicite del Villa e del Perego ne dedusse la necessità per i giudici di riconoscere la loro piena colpabilità ammessa dagli accusati stessi come manifestazione eseguente e volontà della loro fede. Ammette la piena facoltà mentale dei due accusati e ricorda come il Villa, pure fisicamente tarato, abbia mantenuto un contegno fermo e … a nome della purezza della sua fede e per il trionfo di quella idealità che …. Solo si commosse al ricordo dei suoi genitori – sentimenti che vibrano e si espandono negli uomini normali – e questa è una nuova prova della consapevolezza … e sola che ha guidato la sua mente nel concepire e nel cooperare alle criminose operazioni. Poi due … quindi egli … energicamente l’accusa. Per le due donne il cav. De Sanctis disse che sebbene il suo convincimento possa suggerirgli lo sforzo di una qualsiasi dimostrazione, assolve … al suo compito abbandonando alla giustizia dei giurati, i quali esaminano prove ed indizi sapranno dare loro un giusto valore, … il loro verdetto … della coscienza e della giustizia. Terminata la requisitoria del P.M. avrebbe voluto prendere la parola il Villa, ma il presidente lo avvertì che ora toccava ai difensori parlare. Ed infatti principiarono subito le arringhe degli avvocati. […] L’avv. Costa [difensore di Villa] parà lungamente sulla tara ereditaria del Villa. A questo punto il Villa diede segni di commozione e di inquietudine, tanto che il presidente gli permise di allontanarsi dall’aula. La difesa dell’avv. Costa si basò tutta nel sostenere la semi infermità mentale del suo cliente che definisce un disperato, un debole e un vinto suggestionato dalla volontà superiore e più forte del Filippi. Chiese ai giurati una pena tale da non caratterizzare il verdetto di ferocia e di vendetta. Non avendo gli accusati nulla da dire, i giurati si ritiravano in camera di deliberazione e vi passarono oltre due ore. Verso le 19 l’udienza fu ripresa. Il verdetto dei giurati risultò negativo per la Melli e per la Zibardi, mentre per il Villa e per il Perego venne riconosciuta la complicità nella … della bomba in Tribunale e di quella al Biffi, ed … la partecipazione all’associazione a delinquere. La condanna.Ai due imputati furono accettate le attenuanti della minorità e fu tenuto conto del loro anormale stato d’animo e di mente nel momento in cui furono compiuti gli attentati. Perciò il presidente dichiara assolte la Melli e la Zibardi; condanna a 12 anni di reclusione di Perego ed a 10 anni il Villa. Entrambi poi sono condannati a due anni di vigilanza speciale dalla P.S., alla interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e alla rifusione dei danni. La sentenza è accolta con evidente sollievo dagli accusati che si attendevano una pena più forte. Il loro contegno e quello del pubblico e sereno e correttissimo solo la Zibardi, all’a… della sua assoluzione ha una smorfia della bocca come per significare che se ne impipa e che nessuna gioia l’ha presa per il riacquisto della libertà. («Il Popolo d’Italia», 14 luglio 1920)

 

La fine del processo per le bombe. Aldo Perego condannato a 12 anni, Guido Villa a 10 anni, Elena Melli e Maria Zibardi assolte. […] [non si legge quasi nulla] La sentenza. Alle 17, terminate le arringhe … il presidente comm. Raimondi invita il pubblico a sgomberare l’aula, dovendo la giuria esaminare i … e domande e votare quindi …. […] Alle 18.45 il presidente comm. Raimondi […] legge il verdetto della Giuria. Il P. M. chiede per il Perego la condanna di 15 anni di reclusione e per il Villa 11 anni. L’avv. Costa si alza e insiste perché la pena del Villa debba essere diminuita della metà […]. Alle 1905 il presidente si ritira e alle 19.8 rientra per leggere la sentenza, con la quale: Aldo Perego è condannato a 12 anni di reclusione e 3 anni di vigilanza speciale; Guido Villa a 10 anni della stessa pena e 2 anni di vigilanza (tutti e due per complicità e non correità) e Maria Zibardi ed Elena Melli sono assolte e messe subito in libertà. («Avanti!», 14 luglio 1920)

 

[Al processo celebratosi il 13 luglio 1920, parlando con franchezza, sorridente e disinvolto, Guido Villa dirà:] «Prima di entrare nel merito della causa devo dichiarare che sono anarchico e che non riconosco alcun diritto a questa corte di giudicarmi, perché la giustizia borghese rappresenta la reazione, che si oppone a ogni progresso umano. Non intendo perciò difendermi dai delitti che mi imputate, perché non vi riconosco miei giudici. Assumo completa responsabilità dei miei atti, dei quali non mi dolgo. Vi esporrò brevemente le ragioni morali che mi hanno convinto e indotto a fare quel che ho fatto. Eccole: la guerra capitalistica è stata indubbiamente dannosissima per il proletariato. I segni sono evidenti e nessuno, neppure voi, li può negare o nascondere. Io credo che solamente la rivoluzione potrà cangiare il regime sociale, ed è per essa che nel luglio 1919 mi associai al compagno Bruno Filippi per tentare, a mezzo d’esplosioni di bombe, di far scoppiare una sommossa popolare che – estendendosi – distruggesse l’odierno regime borghese. […] Sono anarchico e ho la sicurezza di aver agito con coscienza: non temo e non temerò affatto le conseguenze penali dei miei atti» («Umanità Nova», 14 luglio 1920)

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