Si segnala la pubblicazione sul numero di "De Musica" 2018 del saggio di Giovanni Piana intitolato "Leggere i poeti. Note in margine a Giovanni Pascoli". Si veda

https://riviste.unimi.it/index.php/demusica/index

https://riviste.unimi.it/index.php/demusica/article/view/11055

DOI: https://doi.org/10.13130/2465-0137/11055

 

Copia interna al presente Archivio


Questo saggio è stato alla base dell'intervento tenuto il 24 aprile 2018 dall'autore in un incontro  con Alessandro Cazzato presso l'Università della Calabria (Unical) su invito del Seminario Permanente di Filosofia della Musica per il ciclo "Maschere sonore" organizzato e diretto da Carlo Serra, Silvia Vizzardelli e Marco Gatto.


 

 

In questa occasione Alessandro Cazzato ha eseguito al violino "Elogio per un'ombra" di Goffredo Petrassi per violino solo  e Giovanni Piana ha proposto all'ascolto due sue composizioni "pascoliane".

 

 

Alessandro Cazzato unisce ad un'attività violinistica di primo piano che lo rende tra i più riconosciuti e apprezzati virtuosi dello strumento del giorno d'oggi  un vivo interesse orientato soprattutto ai rapporti tra musica e letteratura. In particolare è autore del volume La musica delle parole. Giovanni Pascoli, Florestano Edizioni, Bari 2017. Alla seconda edizione di questo volume (2018) è stata premessa una prefazione di Giovanni Piana che viene qui riportata.


 

Nel 2015 ha curato la pubblicazione del volume "Crossing Music. Studi interdisciplinari sui linguaggi della musica contemporanea", Aracne Editrice, Roma 2015, che raccoglie saggi musicologici di apprezzati studiosi italiani ed esteri. Nel 2016 ha pubblicato il volume "La lanterna magica. Percorsi di Musica e Letteratura da Euripide a Stravinskij", Zecchini Editore,Varese 2016

Al brano di Goffredo Petrassi, eseguito in nel corso di questo incontro, Alessandro Cazzato ha dedicato un denso saggio pubblicato nel volume Crossing Music intitolato "Notazione, memoria, ombre. Semiografia e nuova prassi violinistica, con esempio da Petrassi".

 



 


Da sinistra: Marco Gatto, Carlo Serra, Giovanni Piana, Alessandro Cazzato


Giovanni Piana

 
Prefazione al volume di Alessandro Cazzato, La musica delle parole. Giovanni Pascoli


Non in qualità di poeta - ovvero maestro della parola - si racconta nel mito che Omero fosse cieco. Ma in qualità di musico, maestro dunque, ad un tempo, della parola, e del suono: a lui era indispensabile non solo la voce viva, cantante in versi, ma anche la cetra. Il poeta greco è cantore e citaredo. Occorre rammentarlo? La cecità sopprime il mondo esterno, ma anche lo esalta con le sonorità di cui esso trabocca, così come esalta la vita interiore - il sentimento, la memoria, l'immaginazione... Nell'Odissea, del poeta Demodoco, si dice:

La Musa lo amò molto, ma un bene e un male gli diede:
degli occhi lo fece privo e gli donò il dolce canto.
(Odissea VIII, 63-65)

E un dolce canto l'Omero di Giovanni Pascoli, il cieco di Chio, dona a sua volta alla fanciulla di Delo, che

"in mezzo ai pini
sonanti un fresco brulichio di pioggia
presso la salsa musica del mare".
(Poemi conviviali, Il cieco di Chio,vv. 12-14)

gli aveva consentito di toccarne con mano la bellezza:

"E quale il tuo, che non maggior potevi,
tale il mio dono, né potrei maggiore".
(vv. 139-140)

Musica e poesia ci vengono così sensualmente incontro nella loro unità profonda e originaria. Di questa unità Giovanni Pascoli è sicuramente uno dei maggiori testimoni, certamente il maggiore del secolo scorso. Chi ne legge i versi non può che restare colpito dalla loro musicalità, che riguarda non solo il suono della parola viva -  che Pascoli stesso riteneva dovesse risuonare nella lettura, escludendo una lettura tacita e silenziosa -  ma dall'intero mondo che viene evocato dalla parola: un mondo a tal punto ignorato dalle letture scolastiche, che sembra quasi inghiottito dalle tragiche vicende della vita del poeta, e da quelle vicende, oserei dire, impoverito. 

 
Questo mondo si presenta al contrario come un mondo ricchissimo di eventi, paesaggi, piccole e grandi storie, fantasie, ricordi, immmaginazioni, "stormir di frondi, cinguettio d'uccelli, risa di donne, strepito di mare" (Myricae, Romagna, vv. 47- 48). Suoni e rumori che accadono nello spazio infinito di un "cielo sonoro"(Myricae, Alba) che viene detto talora "concavo" (Myricae, X agosto, v. 4, Primi Poemetti, Il soldato di San Piero in campo, vv. 56- 57) perché rappresenta la cassa di risonanza cosmica destinata ad accoglierli ed a significarli nella "musica delle parole" del poeta canoro.
 

Con questo titolo, Alessandro Cazzato, ha scritto un libro che doveva essere scritto. Infatti esso coglie l'autentico centro della poesia pascoliana che altri critici hanno visto solo di sbieco o addirittura completamente ignorato: se non bistrattato.

Mi limito qui a rammentare che nel Giovanni Pascoli di Benedetto Croce, libro sul quale non dirò altro per evitare l'accusa di blasfemia verso un mostro sacro, la parola "musica" compare solo tre volte -  e tutte tre le volte "l'orecchio fine" di Croce non riesce a cogliere alcunché di interessante, ed anzi soltanto aspetti negativi.
 

Ma a parte il libro di Croce, che appartiene alla storia di un passato ormai sepolto, l'idea della musicalità della poesia pascoliana, nel senso ampio a cui ho or ora accennato e che informa l'intero volume di Alessandro Cazzato, ha stentato non poco a imporsi -  sia certamente per l'influenza di Croce e dei critici letterari di formazione crociana,  sia forse anche per un altro motivo più profondo che io azzardo qui, in poche righe, come pura ipotesi.
 

Quando la parola diventa un'arte si fanno avanti istanze di sistematizzazione  teorica -  ed ecco dunque il sorgere di una disciplina, la retorica, che si accinge a fornire regole finalizzate inizialmente soprattutto a realizzare discorsi convincenti e persuasivi, cosa che ha naturalmente la sua utilità nelle dispute e nelle controversie. Ma seguendo questa via è inevitabile che l'arte della parola si orienti anche in direzione del discorso ornato, e dunque del bello stile, del dire attraverso immagini. In questo modo la retorica si avvicina sempre più alla poesia. E dunque anche alla musica, dal momento che in forma più o meno nascosta, le "figure" che la retorica mette in gioco, di cui elabora una complessa tipologia, elencando generi, specie e sottospecie, sono spesso formalmente -  detraendo dunque il riferimento ai significati -  veri e propri schemi strutturali ricorrenti nelle realizzazioni musicali. Si tratta naturalmente di un rapporto agitato e controverso, in cui i cammini talora corrono in parallelo, talaltra si intrecciano variamente; ed ora il percorso letterario prevale su quello musicale, ora inversamente la musica propone una propria ed autonoma "retorica musicale".
 

Occorre tuttavia richiamare l'attenzione sul fatto che per lo più le categorizzazioni retoriche e i loro nomi restano quelli che una  tradizione antica ha sistematizzato anzitutto e soprattutto per gli aspetti letterari.
 

A maggior ragione, nella considerazione dell'opera poetica -  questa la mia ipotesi - gli aspetti musicali non vengono colti, sommersi come sono da elenchi di figure esclusivamente intese come figure linguistico-letterarie accuratamente catalogate come specie botaniche.
 

In realtà il critico letterario si trova di fronte anzitutto ad un difficile compito: quello di un'analisi erudita che dovrà spaziare in territori spesso molto diversi -  e naturalmente tra questi territori l'analisi linguistica avrà un particolare privilegio, e al suo interno la botanica delle figure retoriche; e di questa analisi non potranno non far parte richiami ad impieghi verbali reperibili nello stesso autore o in altri, e di altre epoche -  mettendo in campo tutto ciò che può giovare ad un'approfondita conoscenza del testo esaminato, e dei suoi dintorni, anche quando questi si trovano molto lontani. Questo è un primo livello assolutamente indispensabile dell'analisi letteraria.
 

Tuttavia arrestandosi a questo primo livello si corre il rischio di una dissoluzione dell'integrità dell'opera, di fare di essa una sorta di centone di "figure" avanzando la pretesa che nel loro impiego sapiente si esaurisca la creatività del poeta; dissoluzione aggravata poi dalla molteplicità e vastità dei territori che sono stati tanto attentamente esplorati, della quantità dei richiami, talora ricchi di significato, talora utilmente insignificanti: ed infine anche anche dal dubbio sulla loro pertinenza a causa della troppo profonda differenza dei contesti. Diventa allora indispensabile che a questo primo compito se ne associ un secondo, altrettanto difficile da realizzare: quello di restituire all'opera frantumata la sua unità di senso come unità poetico-immaginativa.
 

In questo libro Alessandro Cazzato presuppone come acquisito il primo livello di analisi, ampiamente dissodato da altri, e in questo presupposto può dedicare tutta la sua attenzione al secondo livello.
 

A questo punto, finalmente, la "musica delle parole" diventa udibile. E lo diventa, nell'esposizione dell'autore, come "nucleo generatore dell'ispirazione poetica" (p.9). Caso non unico, certamente: nella prima parte dell'opera, in particolare, sono presenti riferimenti importanti che forniscono un contesto a questa modalità fondamentale della poesia pascoliana. Compaiono così sezioni dedicate a Foscolo e a Leopardi che riguardano soprattutto il loro modo di intendere il rapporto tra la musica e la poesia, e naturalmente a D'Annunzio e ai simbolisti francesi, né viene trascurata l'influenza pascoliana sulla poesia novecentesca. Ma il tema fondamentale che si annuncia e si sviluppa sin dalle prime pagine è il gioco, tipicamente e inimitabilmente pascoliano, nel quale "non solo il semplice significato concettuale, ma anche il suono della parola  concorrono insieme e reciprocamente nel creare sensi nuovi e sempre possibili. Suono e concetto formano dunque un unicum di straordinaria vivacità artistica, nella forma di una parola poetica poliedrica e multiforme" (p. 43).
 

Questo tema fondamentale è presente in tutte le sue articolazioni nella terza parte intitolata "Verso una tecnica della composizione musicale". Anzitutto viene colta ed elaborata a fondo una differenza generale della massima importanza che a malapena compare nella trattatistica retorica di prevalente impostazione letteraria e che è invece decisiva in rapporto ad una trattazione musicale. Si tratta della distinzione tra metro e ritmo. Tanto per fare un esempio subito chiarificatore, nel Dizionario di retorica e di stilistica di Angelo Marchese (Milano, 1978)  sotto la voce Ritmo si legge che esso è una "cadenza uniforme (si pensi al passo di marcia), l'iterazione di particolari accenti che nella struttura del verso si dicono ictus" (p. 228): cosicché il ritmo viene semplicemente e semplicisticamente ridotto al metro. Alessandro Cazzato sa bene che un conto è la scansione di base di un motivo, ed un altro il "ritmo" che anima il motivo stesso. E sa bene che il primo atto per udire la musica pascoliana delle parole è l'afferramento degli artifici, nel senso letterale del termine, che il poeta, la cui competenza linguistica non può essere contestata da alcuno, mette in opera per dare risalto a questa duplicità che vede giocare insieme il "fluire del fiume" e il "movimento regolare delle onde" (p. 69). Su questa unità metrico-ritmica viene costruita l'intera impalcatura fonica, e l'autore riesce a mostrare quanto sia esplosiva la molteplicità delle fonti di ispirazione del poeta, e dunque anche la ricchezza del suo mondo. A me preme sottolineare l'evidenza con cui in questo libro questa ricchezza viene esibita mostrando come ben poco la poesia pascoliana possa essa ridotta ad una formula o raccolta sotto un epiteto. Giustamente si sottolinea, proprio in rapporto al "gusto pascoliano nel giocare su e con più piani metrico-ritmici", la "doppia natura del poeta: il Pascoli studioso dei classici ed esperto conoscitore della metrica classica si incontra con il poeta dall'ispirazione fanciullesca ed istintiva"(pp. 71-72). E sono tentato di dire che il fanciullino di cui parla Giovanni Pascoli non sia una creazione estetica utile per illustrare una visione del fare poesia, e dunque non sia una finzione: ma un vero fanciullo, che ama le storie narrate dalla nonna, che gioca nei prati, che ride e piange come ridono e piangono tutti i fanciulli, talora presi dalla disperazione più nera, talaltra dalla frenesia saltellante della gioia più schietta. Di questo vero fanciullo nella poesia di Pascoli si avverte di continuo la viva presenza.
 

Ho dichiarato in precedenza che questo è un libro che doveva essere scritto. Ora voglio aggiungere che  non poteva che essere scritto se non da un musicista. Questo è il caso di Alessandro Cazzato, il quale oltre che studioso dei rapporti tra musica e letteratura, è un violinista di assoluto prim'ordine.  
 


Torna a "Note e recensioni"