Dalla

Conversazione con Roberto Casati
di Valeria Giardino

pubblicata nel Portale italiano di filosofia analitica

VG. Vorrei iniziare facendole una domanda sulla sua formazione. Lei si è laureato in filosofia del linguaggio presso l‟Università degli Studi di Milano, e ha poi conseguito due Dottorati di Ricerca, il primo sempre all‟Università di Milano, il secondo all‟Università di Ginevra. Nel 1993 è poi entrato a far parte del CNRS. Il suo percorso di studi è stato molto vario. Quale esperienza pensa di poter dire abbia contribuito maggiormente a determinare l‟indirizzo delle sue ricerche e le sue scelte tematiche?
RC. Ho studiato a Milano negli anni che vanno dal 1980 al 1985 circa. Era un periodo in cui i riferimenti per lo studente che si avvicinava alla filosofia erano la psicanalisi, Nietzsche, e il marxismo – che stava tramontando. C’era poi un settore di logica e un altro molto consistente di fenomenologia, legato al lavoro di Enzo Paci. Il panorama era dunque costituito dal gruppo che si occupava di una strana sintesi tra Nietzsche, Marx e Freud, diciamo liberazione post-sessantotto, un settore di filosofia della scienza molto importante legato ovviamente a Geymonat, e un settore invece fenomenologico con gli allievi di Paci. Tralascio poi tutto il filone di storia della filosofia, ma va detto che qualsiasi filosofo si fosse formato in quel periodo doveva fare comunque un robusto apprendistato di storia della filosofia, che è qualcosa che non rimpiango affatto.
Il gruppo dei fenomenologi in realtà non si poteva dire che fosse proprio ortodosso. Uno dei suoi membri, Andrea Bonomi, che aveva iniziato lavorando su Merlau-Ponty, si era poi spostato su temi più tradizionali di filosofia del linguaggio. Anche Giovanni Piana faceva parte del gruppo, e potrei dire che era un fenomenologo ‘non esegetico’. Infatti, seppure si fosse occupato della traduzione delle Ricerche Logiche di Husserl, non faceva fenomenologia nel senso di ‘filologia fenomenologica’, ma cercava piuttosto di ‘praticare’ la fenomenologia. Si interessava a cose come i colori, i suoni, gli oggetti, temi sui quali continuo anche adesso a riflettere. Fra l’altro, Piana aveva anche lavorato su Wittgenstein e aveva proposto un’interpretazione del Tractatus molto interessante.
    Questo per dire che il mio percorso è stato vario fin dall’inizio, durante i miei studi a Milano. Inoltre, avevo un interesse parallelo legato al design. Nei primi due anni di università ho infatti frequentato anche una scuola di design, sempre a Milano, in cui ho avuto la fortuna di avere come docenti studiosi del calibro di Gaetano Kanizsa, psicologo gestaltista. Grazie ai miei studi di design, sono riuscito a creare una strana unione tra approccio sperimentale e filosofia. Ho impiegato del tempo a capirlo, ma è diventato molto più chiaro col senno di poi. Infatti, scoprivo come alcuni problemi di tipo sperimentale erano in realtà molto vicini a problemi di tipo fenomenologico. Mi riferisco per esempio a questioni relative alla natura degli oggetti della percezione, alle qualità secondarie e terziarie, cioè alle qualità espressive degli oggetti. Mi sembra di poter dire che in fondo è stato il percorso fatto sul design a determinare i miei interessi filosofici.
Ultimo elemento in questa ricostruzione sono i seminari che teneva Roberta De Monticelli, seminari di ricerca completamente anomali nel panorama universitario di allora. Negli ultimi due o tre anni del mio corso di studi, De Monticelli era infatti ricercatrice con Bonomi e organizzava seminari su Leibniz, Dummett, ma anche su Oliver Sacks, ovvero su temi che spaziavano dalla fenomenologia alla psicopatologia. C’era anche una parte importante di formazione su come scrivere filosofia. Il seminario era infatti molto orientato alla scrittura, bisognava fare delle presentazioni anche scritte, cosa che allora non era abitudine comune in Italia. "