Interrompiamo per un attimo la serie di post seri o seriosi. Non amo le raccolte di stupidari: tutti ne abbiamo di divertentissimi, naturalmente, ma in fondo non fanno onore a nessuna delle parti in gioco. Per una volta, voglio contraddire la mia affermazione con questo post. Mi si perdoni…
Mercoledì 11 gennaio a Milano si sono tenuti gli esami scritti del corso di laurea magistrale in Lettere. Segnalo che l’esame magistrale di latino serve a raggiungere i 24 CFU che la legge italiana impone a chi voglia insegnare latino in un istituto superiore; non è quindi un esame obbligatorio per nessuno, ma solo per chi aspiri a un certo ruolo e una certa posizione. L’esame consta di una parte scritta e una orale. La parte scritta comporta la traduzione di un brano, facilitata da una serie di esercizi sul modello della certificazione (in particolare: scelta del riassunto appropriato; vero/falso; individuazione dei punti di snodo del racconto). Mentre si svolgeva la prova, nella mia casella di posta è pervenuta una lettera che lamentava l’eccessiva difficoltà delle versioni proposte di norma agli esami e accusava il sottoscritto di scegliere apposta versioni dalle difficoltà stratosferiche, per rendere impossibile agli studenti il superamento della prova, obbligarli ad andare fuori corso e costringere di conseguenza i loro genitori a finanziare l’università con ulteriori tasse di iscrizione ai corsi.
Non entro nel merito delle singole affermazioni. E’ evidente che a chi ha scritto la lettera sfuggono molte cose, ad esempio che una Facoltà oggi è semmai penalizzata, non premiata, se i suoi studenti non si laureano in corso (la ripartizione dei fondi ministeriali tiene conto di questo parametro e anzi gli attribuisce una certa importanza) ecc. ecc. Non si tratta però di ribattere alla lettera, come dicevo. Voglio invece segnalare, poiché di traduzione e stato del Latino qui si è parlato spesso, e poiché a Milano stanno per tenersi due convegni interessati al mondo dell’insegnamento, come nello stesso momento in cui ho ricevuto la lettera gli studenti arrancavano su un testo di Curzio Rufo, che descrive l’assedio posto da Alessandro Magno a Tiro (il brano proposto all’esame, reperibile, oltre che in diversi eserciziari, in molti blog, e in un articolo di “Repubblica” del 13 maggio 2007 ancora recuperabile on-line, ma anche solo su “SplashLatino”, al nr. 10629).
Ora quali sono state le maggiori difficoltà del brano? Curzio, IV 2, dice che Alessandro cerca di entrare in città con l’inganno, chiedendo di poter fare un sacrificio ad Ercole nel tempio del dio che si trova entro le mura cittadine. La speranza, inespressa ma ovvia, è di potere così penetrare in città e, una volta dentro, impossessarsene senza dover ricorrere a un lungo assedio (ci vorranno invece sette mesi). Ecco la frase latina:
[Alexander] Herculi, quem praecipue Tyrii colerent, sacrificare velle se dixit.
Facciamo un gioco: chi indovina la percentuale esatta, su 62 studenti presenti all’esame, di persone che hanno scritto che Alessandro voleva “sacrificarsi/ immolarsi” ad Ercole? Do un aiutino. E’ una percentuale alta…
L’altra maggiore difficoltà è stata questa: i nobili di Tiro che hanno trattato con Alessandro, impressionati dalla conoscenza diretta del re e del suo armamento, una volta tornati in città consigliano ai concittadini di sottostare al Macedone. Ecco le parole di Curzio:
[Legati] suos monere coeperunt, ut regem quem Syria, quem Phoenice recepisset, ipsi quoque urbem intrare paterentur.
Ecco la traduzione ‘vincente’: “Gli ambasciatori iniziarono ad ammonire i loro [compatrioti] affinché lasciassero entrare in città il re che aveva conquistato tutta la Siria, tutta la Fenicia”. Anche qui, si può scommettere sulla percentuale delle risposte ‘esatte’…
Un’ultima cosa. Questo era il riassunto fornito per la versione:
Alessandro intende fare un sacrificio in onore di Ercole; i Tirii gli concedono il permesso ma in un tempio fuori città e così Alessandro minaccia di conquistare e distruggere la città.
Parliamo tanto di didattica, ma siamo sicuri che il problema sia il latino? L’iceberg si avvicina e non so se si potrà scongiurarlo…
Saluti a tutti
© Massimo Gioseffi, 2017
Dopo aver letto il post è facile dire che la colpa è solo degli studenti che non si impegnano e non studiano abbastanza…. e in un certo senso è in questa direzione che è orientata anche la mia riflessione! Ma vorrei nello stesso tempo, come credo faccia il post, segnalare il vero problema. Certo, alcuni studenti tentano l’esame più volte, e così diventa per loro un ostacolo; ma molti lo passano senza troppe difficoltà. A mia esperienza, ad esempio, nella sessione di dicembre più della metà dei candidati ha passato la versione e parecchi hanno fatto una traduzione quasi perfetta. Non credo che sia merito delle venti ore del corso da loro seguito, quanto piuttosto dell’essersi obbligati per più di due mesi a ripassare la grammatica, a fare concretamente delle traduzioni – spesso di testi davvero complessi – a ragionare e a confrontarsi sui procedimenti traduttivi. Inoltre, negli esami orali la maggior parte dei candidati – che, ricordiamolo, quella tremenda traduzione l’hanno passata… – sono molto ben preparati, hanno studiato e compreso i testi con intelligenza, sanno parlare e discutere con competenza e si meritano il loro 30 o 30 e lode. E non tutti vengono dal liceo classico! Anzi, sempre di più sono gli studenti che il latino lo imparano in università, con fatica ma credo anche con passione.
Il problema probabilmente sta nel modo in cui si affronta la versione di latino. Spesso, ci si presenta allo scritto “per provare”, “perché tanto prima o poi si passa”, e non si tiene conto che affrontare una traduzione significa esercitarsi, fare degli errori ed essere capace di correggerli e di correggersi, ragionare sul lessico, sulla struttura sintattica diversa rispetto all’italiano, sul significato che il testo che si sta leggendo e traducendo possiede. Si ritiene che basti il vocabolario, come se una traduzione consistesse esclusivamente nel piano lessicale; ma il vocabolario è un amico di cui sarebbe bene non fidarsi mai troppo. Nella versione di Curzio cui si accenna nel post molti hanno tradotto “decreverant” con “avevano diminuito” e non con il corretto “avevano deciso”: certo, il perfetto “decrevi” rimanda sia a “decresco” sia a “decerno”, compito del traduttore è però proprio saper decidere quale dei due verbi funziona in quello specifico contesto. Forse, sarebbe opportuno cambiare prospettiva quando ci si cimenta in una traduzione: essere consapevoli che non si tratta di un esercizio che consiste nel sostituire una parola latina con una italiana, ma che è necessario ragionare sul testo a vari livelli, logici sintattici lessicali contenutistici…..
Penso sia significativo il fatto che non si tratti di un esame obbligatorio, se non per chi intende insegnare latino. Il punto è che spesso tra noi giovani si riflette poco sulla responsabilità che avremo nel futuro come insegnanti…
L’attenzione, come dimostra la lettera, è rivolta perlopiù all’imminenza dell’esame. Tutto ciò che esula in senso stretto dalle competenze specifiche di quell’esame, e che invece necessita di lavoro a lungo termine per essere acquisito (senso logico incluso) è visto come qualcosa di accessorio e rinviabile…
Do avvio al gioco ipotizzando 21 Alessandri autoimmolaturi e 38 versioni corrette del secondo passo. Un saluto!
Lo ammetto: la mia ansia da attesa mi ha spinto a raggiungere questo post. Senza ancora conoscere l’esito dello scritto affrontato pochi giorni fa, desidero esprimere il mio parere, anche perché mi sembra di capire che si voglia stimolare una riflessione.
Ho conosciuto compagni di corso molto bravi e motivati, sicura che diventeranno ottimi insegnanti. Perciò, lettere angosciate come quelle inviate al professore mi lasciano stupefatta. Assomigliano molto alle rimostranze di alcuni genitori di adolescenti, preoccupati solo di proteggere i propri figli dai terribili marosi della vita. Per rispondere alla domanda, se il problema è il Latino, la risposta è decisamente No.
A mio avviso, non si tratta neanche soltanto di poco impegno o poco studio. Probabilmente è l’angoscia per il futuro che ha spinto a inviare quella lettera. Invito tuttavia chi l’ha scritta a considerare che non può funzionare che così, un esame: deve essere sufficientemente complicato da mettere nelle condizioni di ragionare su ciò che si sta affrontando.
Inoltre, nonostante l’ansia da prestazione, esiste anche il piacere di riuscire a superare da soli una difficoltà, nonché di scoprire cosa mai un autore del passato voglia comunicare. Curzio Rufo è ad esempio una bellissima scoperta, comunque vada.
Mi dispiace molto per chi ha inviato quella mail: lede la sua dignità. E purtroppo ha pure torto! Questo testo non era affatto difficile, finora forse il più semplice e devo dire che in genere non sono eccessivamente complicati.
Tuttavia non ne farei una questione di colpa degli studenti, o di chicchessia, non voglio trovare capri espiatori, ma sicuramente i più sbagliano nell’approccio.
Ma a parte questo, il fatto è che l’acquisizione di una lingua è lenta e nel processo di traduzione si compenetrano anche o forse soprattutto le competenze dell’italiano. Evidentemente chi riesce a superare l’esame fin da subito, vuol dire che ha già un buon retroterra su tutti e due i fronti. Infatti non credo che due mesi siano sufficienti per raggiungere livelli di comprensione del testo latino accettabili. Come è pur vero che un semplice ripasso grammaticale, se fatto senza criterio, è come non averlo fatto.
Inoltre tradurre e correggere autonomamente i propri errori, spesso può essere anche questo inefficace, sia perché la traduzione ufficiale è a volte poco aderente al testo anche laddove potrebbe, sia perché la persona che si autocorregge potrebbe non sviluppare sufficiente consapevolezza dell’errore e tendere poi a ripeterlo in altri contesti. Forse spesso chi traduce si dimentica che il testo non è fatto di cristalli a sé stanti, e perde così la visione d’insieme, sbagliando anche nelle scelte linguistiche in italiano. Detto questo, mi fermo, ho fatto un commento a caldo, e scritto cose tra l’inutile e il banale solo per discolpare gli studenti o dovrei dire, per discolparmi.
Buona serata!