Riceviamo e volentieri pubblichiamo, sperando di dare così vita a un dibattito tanto acceso quanto costruttivo
Sto seguendo un corso di aggiornamento, uno dei tanti proposti ai professori liceali. Questo, incentrato sull’insegnamento per competenze, è anche interessante ed è tenuto da formatrici che, per una volta, la scuola la conoscono, e bene, dal di dentro. Tutto a posto, allora? Per nulla. La competenza è materia complessa, difficilmente definibile, difficilmente valutabile, ancor più difficilmente riducibile a “numero”. E ormai, nelle scuole secondarie di secondo grado, la “Bibbia”, il testo-sacro cui rifarsi sempre e in ogni caso, sono le “Competenze per la vita” individuate nella famosa “Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio” del 18 dicembre 2006 (ne ricordo qualcuna: comunicazione nella madrelingua; comunicazione nelle lingue straniere; imparare a imparare; consapevolezza ed espressione culturale…). Diciamo “bene”, anzi dovremmo dirlo: da latinista sono fermamente convinta che poche materie abbiano una valenza formativa più alta del latino; e che pochi esercizi siano più formativi della versione di latino. Ma, è ovvio, parlo pro domo mea. Tuttavia, mi sembra che ci sia una grossa discrasia, difficilmente conciliabile, di cui fanno le spese gli studenti (tutti gli studenti: quelli seri e quelli più distratti e fragili), tra l’astrazione onnicompresiva degli obiettivi e la necessità, molto pratica e cogente, con tempistiche spesso serrate, di valutare e assegnare un voto che riassuma, nell’obbligata sinteticità di un numero, tutta la complicata attività e i molteplici aspetti che entrano in gioco nel giudicare, nel nostro caso, una versione. Questa riflessione vuole essere dedicata, quindi, a tutti i colleghi che “provando e riprovando” si sono cimentati e si cimenteranno, con fatica e onestà intellettuale, al compito forse più gravoso per un docente: valutare.
Quando devo valutare una versione e poi assegnare un voto, devo dare allo studente la percezione netta e precisa del fatto che il suo elaborato sia stato esaminato e analizzato in tutte le componenti, e che io abbia ben chiaro, e possa chiarire a lui, in che cosa si distingue dagli altri e perché. Certo, è una gran fatica, che non sempre si svolge secondo la medesima ratio: non è raro trovare colleghi, anche colti e preparatissimi, che studiano, si tengono aggiornati, ma che, quando si tratta di valutare uno scritto di latino, all’improvviso subiscono una brusca trasformazione, un’inquietante regressione. Allora Mr. Hyde subentra al Dr. Jekyll, mostruoso l’uno, pieno di buone intenzioni l’altro: ecco ad esempio che alcuni correggono “contando le parole” e assegnando a ogni parola un valore. Ma quindi tutti i grandi discorsi che si fanno, o si dovrebbero fare, sull’analisi sintagmatica, sulle unità di senso, sul gruppo del nome e il gruppo del verbo ecc. vengono letteralmente buttati a mare proprio quando si dovrebbero invece rafforzare nella valutazione di un esercizio di traduzione da una lingua classica? Di fatto, una contraddizione grave! Il messaggio che passa è infatti scorretto e deleterio per il latino, perché equivale a dire: le acquisizioni della linguistica rendono più interessante, più articolato, più approfondito lo studio della lingua italiana e delle altre lingue moderne, e ce ne chiariscono i meccanismi; ma….tutto questo non vale per il latino, che viene ancora micragnosamente valutato “parola per parola”. Una discrasia che sfiora la dissennatezza.
In altri casi ho visto che per valutare le versioni “si scala” di un punto (o di mezzo punto, o un quarto di punto) per ogni errore, a partire dal 10, con griglie minuziosissime e costruite magari con grande acribia. Tuttavia, serpeggia sempre un interrogativo di fondo: non si dovrebbe “costruire” una valutazione in positivo, valorizzando il lavoro fatto e gli elementi presenti nel concreto di un elaborato, piuttosto che cercare di stabilire quanto questo si discosti da una presunta perfezione iperurania?
Ecco allora che nel tempo ho raccolto e confrontato tra loro oltre duecento griglie di valutazione dello scritto di latino (versione), di ogni tipo e provenienza, anche per cercare di capire quale possa essere una corretta “pesatura” dell’errore, cioè una corretta individuazione di ogni errore, nelle sue diverse tipologie e nella sua incidenza sulla comprensione globale e sulla resa del testo latino nella lingua di arrivo. In alcuni casi, l’equivalenza un errore = un voto (o mezzo voto, o un quarto di voto), da sottrarre a 10, rischia di risultare non solo penalizzante, ma anche meccanica. La questione non è affatto “essere buoni” o di manica larga, magari per incrementare la popolarità del latino che, nell’ambito di un’offerta formativa sempre più diversificata, sembra aver perso il suo status di materia caratterizzante il corso di studi liceale. Anche perché, pur adottando una griglia “in positivo”, che cioè, come detto sopra, costruisca il voto valutando e sommando quanto di buono si riscontra in una versione, si può spesso ottenere comunque un voto molto basso…
E tuttavia, quella che potremmo definire una pesatura calibrata delle diverse tipologie di errore, morfosintattico e non solo, e la loro diversa incidenza sulla prova, è pur sempre necessaria là dove la verifica sia costituita dall’esercizio di traduzione, ossia dalla versione. Essa è determinante sia per le griglie in positivo, che devono sommare il numero di pericoli schivati, sia per le griglie “in negativo”: in altre parole, si valutino pure gli errori come si è sempre fatto, ma li si valutino attribuendo ad essi, suddivisi per tipologia, un diverso peso a seconda della loro incidenza sulla correttezza della traduzione. Poi, a partire dai “punti-errore”, si determinerà per sottrazione dal punteggio massimo ottenibile il voto da assegnare all’elaborato. Indispensabile per utilizzare tali griglie è allora avere una buona guida alla “Tipologia di errore”, che assegni a ciascuno di essi un valore diverso, a seconda che si tratti di un errore morfologico, sintattico o lessicale grave o isolato, che può pregiudicare o non pregiudicare la comprensione della proposizione. E in una seria griglia di valutazione va naturalmente contemplato anche l’errore ortografico italiano: esso non dovrebbe, in linea teorica, nemmeno più presentarsi nel liceo e in generale nella secondaria di secondo grado, ma la prassi e l’esperienza della didattica liceale e, talora, purtroppo anche di quella universitaria, hanno dimostrato e dimostrano in continuazione che le cose non stanno esattamente così. Una buona classificazione potrebbe allora essere elaborata, a mio parere, secondo la seguente gerarchia, realizzata nell’a.a. 2014/2015 presso il Dipartimento di Latino e Greco del Liceo “Giuseppe Peano” di Cuneo (i cui docenti me l’hanno fornita, cosa di cui li ringrazio):
- errore molto grave: errore morfologico, sintattico o lessicale che, combinato con altro o altri errori di diversa natura, pregiudica la comprensione del testo latino;
- errore grave: errore morfologico, sintattico o lessicale che non rispetta la forma del testo latino o greco, ma che non pregiudica in modo netto la comprensione del testo latino.
- errore di media gravità: errore morfologico, sintattico o lessicale che costituisce sì una mancanza di carattere “tecnico” nell’esercizio della traduzione, ma non pregiudica il sostanziale rispetto del senso del testo latino.
- errore di scarsa gravità: errore morfologico, sintattico o lessicale che costituisce una semplice imperfezione nella resa italiana del testo latino.
Ma forse è meglio una griglia “in positivo”, che scorpori cioè i diversi ambiti da valutare in una versione, individuando dei descrittori, articolati per più livelli, a ciascuno dei quali assegnare un punteggio, la cui somma vada a costituire il voto finale. Solitamente griglie di questo tipo sono articolate in tre ambiti, con denominazioni variabili, il primo dei quali riguarda le competenze morfosintattiche, il secondo la correttezza lessicale, il terzo l’organicità e la fluidità della resa italiana. Ecco ad esempio la griglia costruita secondo questa logica, ma articolata secondo quattro descrittori, dal Collegio Vescovile Sant’Alessandro di Bergamo per il biennio ginnasiale dell’a. s. 2012-2013:
- comprensione del testo punti 2,5
- competenze morfologiche punti 2,5
- competenze sintattiche punti 3,0
- interpretazione e resa in italiano punti 2,0
La distinzione fra le competenze morfologiche e quelle sintattiche è motivata, con tutta probabilità, dalla consapevolezza che la difficoltà stessa insita nell’esercizio della traduzione potrebbe avere come esito, nel caso di studenti particolarmente fragili, un punteggio insufficiente anche nel caso di una sufficiente capacità di riconoscere i singoli elementi morfologici; invece le competenze sintattiche, maggiormente valorizzate in quanto più complesse, a quel livello di studio potrebbero essere non ancora adeguatamente sviluppate. Molto significativa è la scelta di parlare di “competenza” e non solo di “conoscenza”; interessante è poi la scelta di distinguere il descrittore relativo alla “Comprensione del testo” da quello relativo alla “Interpretazione e resa in italiano”. In allegato fornisco la griglia, e poi anche la sua revisione, operata a partire dall’a.s. 2017/2018, che si articola addirittura su cinque descrittori, introducendo quello denominato “Completezza del testo”. Di entrambi i testi vado debitrice al prof. Domenico Gualandris, Dirigente Scolastico del Liceo Sant’Alessandro.
Griglia Collegio Arcivescovile Sant’Alessandro 2012/13
Griglia Collegio Arcivescovile Sant’Alessandro 2017/18
Anch’io mi sono cimentata nel tentativo di strutturare una griglia di valutazione che può essere utilizzata sia per una versione liceale in corso d’anno, sia per la seconda prova dell’Esame di Stato, in quindicesimi, ma che si presta anche a una valutazione in trentesimi: naturalmente tale griglia, che può essere facilmente realizzata con uno strumento informatico che agevoli il calcolo del punteggio e il voto finale, deve essere però seguita da un’accurata classificazione dell’errore, attribuendo a ciascuno di essi un valore, come ho detto sopra, conteggiato in “punti-errore”. Una delle obiezioni che potrebbero essere mosse alla mia griglia è che un simile strumento rischia di essere fin troppo minuzioso: essa risulta infatti particolarmente utile nel triennio, quando le versioni diventano più articolate e complesse. Tale griglia è poi solo una proposta, ma presenta a mio avviso un vantaggio: fissa con chiarezza la soglia della sufficienza e definisce il numero di errori di morfosintassi e lessicali che consentono di ottenere una valutazione comunque positiva. Inoltre, ecco un’idea che, ne sono consapevole, solleverà una bella discussione: al di là del “punteggio” totalizzabile con la griglia di valutazione, che, lo ripeto, non è il voto finale, è auspicabile che i voti corrispondano a numeri interi. Il mezzo voto, e ancora più i quarti di voto, o voti come dal cinque al sei, sette meno meno, otto più più ecc. servono, oltre che a complicare una prassi già tanto complessa come la valutazione, in primis a rassicurare il docente nei rapporti con lo studente. In fondo, però, nello scrutinio i voti sono interi; nei sistemi di valutazione basati su lettere, si utilizzano A, B, C, D, e così via (anche se ormai qualcuno inizia a usare A+, B- e così via). Ma, se il processo di valutazione è chiaro e trasparente, nessuno studente contesterà mai un voto intero, che è la cosa più semplice e chiara!
Vorrei ancora ricordare, prima di concludere, una cosa che non è oziosa: spesso la valutazione e la costruzione di strumenti valutativi rappresentano un ambito su cui non ci si sofferma molto nella formazione dei docenti. Capita così che il professore di fresca nomina, o che si trasferisca da altro ordine di scuole, o da liceo a liceo, necessiti di strumenti di cui avvalersi con sicurezza, per districarsi fra i molti dubbi e le incertezze che la pratica didattica propone ogni giorno; e sarà quindi utile, almeno a livello teorico, poter fare riferimento a uno strumento valutativo che stabilisca dei parametri definiti e, per quanto possibile, numericamente stabiliti, pur nella consapevolezza che su di esso sia possibile intervenire con flessibilità a seconda delle esigenze che si manifesteranno di volta in volta.
© Silvia Stucchi, 2017
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