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10 NOVEMBRE 1919 – PIAZZA BELGIOIOSO

Comizio fascista

Dove? Piazza Belgioioso

Soggetti coinvolti: fascisti

Arresti: Nessuno

Feriti: Nessuno

Vittime: Nessuna

Come in trincea, un razzo sparato da una pistola Vary illumina il cielo della sera sopra Piazza Belgioioso e apre il primo comizio elettorale fascista, a ridosso delle elezioni politiche del 16 novembre. 

Un comizio di trinceristi si apre in un modo trincerista.

Dalle ore 20 sostenitori e curiosi affluiscono nella piazza antistante la casa del Manzoni, passati al setaccio dal servizio d’ordine di Arditi, tirati a lucido e inorgogliti dalle medaglie appuntate sul petto. La scelta è ricaduta sull’elegante piazza in quanto aperta solo da un lato e dunque – in tema di strategia bellica – facilmente difendibile. L’obiettivo del comitato d’organizzazione è evitare a ogni costo incidenti o infiltrazioni, e per questo vengono prese misure straordinarie e molto spesso ai limiti della legalità. Quello che conta è il risultato: nessun incidente. Mussolini ne fa un vanto, e anzi celebra la libertà e la cavalleria del movimento, omettendo di soffermarsi sul solito atteggiamento violento degli Arditi. Molti di loro sono giunti la mattina dalla Romagna, a rinforzo dei milanesi.

Le torce conferiscono un’aria quasi infernale alla piazza gremita di gente, e d’altronde sulle pagine del Popolo d’Italia Mussolini è un Mefistofele che può spezzare un mondo colle sue mani. Tutta l’adunata è vissuta come un sabba romantico a cui la cittadinanza è chiamata a partecipare, sebbene i presenti siano in maggioranza fascisti e Arditi delle città vicine, per i quali è stato stanziato uno speciale rimborso di viaggio. La narrazione del Fascio è sin da subito tutta ammantata in una retorica demoniaca e superomistica.

Un camion, usato di solito per il trasporto delle truppe e adornato dalle bandiere degli Arditi e di Fiume – il Carroccio di Legnano nel resoconto mitico del Popolo d’Italia – fa da palco. Pasella, Baseggio – il maggiore della Compagnia della Morte – e Vecchi si susseguono, lanciando parole incendiarie contro gli avversari politici, tratteggiati come nemici malevoli. Mussolini, accolto da un’ovazione, dopo le premesse di libertà e legalità del movimento, procede a illustrare il programma elettorale: l’opposizione al governo Nitti, la riforma tributaria e quella degli ordinamenti militari.

In una città sotto assedio per via dei timori del questore, si conclude il primo comizio pubblico fascista al grido di Eja Eja Alalà. Nello stesso momento, in Piazza Mercanti giunge a termine una riunione socialista. L’imponente mobilitazione delle forze dell’ordine è riuscita a prevenire incidenti: le due folle, per questa volta, non si scontrano. Un corteo procede verso via Paolo da Cannobio al ritmo degli inni patriottici per mostrare il sostegno al Popolo d’Italia e al suo fondatore. Mussolini, giunto in fretta da Piazza Belgioioso, si mostra al balcone della redazione visibilmente commosso.

Mimmo Franzinelli, Fascismo anno zero. 1919: la nascita dei Fasci italiani di combattimento, Mondadori, Milano 2019, pp. 132-134

Stasera in piazza Belgioioso a Milano. Primo travolgente comizio elettorale del blocco fascista; Avvertenze per il Comizio di stasera; Norme per chi vota la lista Fascista «Il Popolo d’Italia», 10 novembre 1919 

Il travolgente comizio fascista in Piazza Belgioioso; La grande adunata; Il corteo, «Il Popolo d’Italia», 11 novembre 1919

Dopo il grande comizio fascista. Impressioni, «Il Popolo d’Italia», 12 novembre 1919

Stasera in piazza Belgioioso a Milano. Primo travolgente comizio elettorale del blocco fascista. Presidente onorario: D’Annunzio – Presidenti effettivi: Baseggio e Vecchi degli Arditi – Oratori: Mussolini, Marinetti, Ferrari. La verità che splende. («Il Popolo d’Italia», 10 novembre 1919)

Avvertenze per il Comizio di stasera. All’ora stabilita i Fascisti, gli Arditi smobilitati, i Volontari di guerra, i Combattenti, i Futuristi e gli studenti futuristi si troveranno alle loro sedi per recarsi al luogo del Comizio. Il Comizio si terrà anche in caso di pioggia. Durante il Comizio gli aderenti al «Blocco fascista» sono impegnati al più profondo silenzio per individuare e isolare immediatamente gli eventuali disturbatori e per udire gli ordini e vedere i segnali. Nel caso di conflitti, il pubblico estraneo deve filare rapidamente per via Morone verso via Manzoni. Il Comizio, al grido di «Eja, Eja Alalà», la massa fascista sfilerà compattamente per Via Morone, Via Manzoni, Piazza della Scala, Via Silvio Pellico e si scioglierà senza dar luogo a incidenti davanti alla sede del Comitato Elettorale Fascista. Altre misure minuziose che non possiamo rendere di pubblica ragione sono state prese, perché il Comizio fascista riesca – come riuscirà – indisturbato e solenne. («Il Popolo d’Italia», 10 novembre 1919)

Il travolgente comizio fascista in Piazza Belgioioso. Una massa imponente di popolo acclama il programma e gli oratori fascisti – Spettacolo meraviglioso di disciplina e di tolleranza – Un contraddittore operaio – Il grande corteo al “Popolo” – Eja, eja, alalà! – Nessun incidente. Una piazza silenziosa, solitaria, con palazzi a lince di un’armonica architettura, nel cuore di questa vecchia, grande Milano: ecco il luogo scelto dai fascisti per il loro primo comizio. Sino alle sette – il comizio era indetto per le nove – la piazza era perlustrata da nostri nuclei di avanscoperta, ma a poco a poco, attraverso ai cordoni, una moltitudine di cittadini filtra e si raccoglie attorno al camion che servirà da tribuna. Silenzio. Uno scoppio. Un comizio di trinceristi si apre in un modo trincerista. Una pistola Very lancia un magnifico razzo bianco che solca il cielo e ricade sulla folla che acclama. Folla che si fa silenziosa, raccolta, quasi meditativa. Passa a ondate vibrante la giovinezza impetuosa degli Arditi che cantano il loro immortale: «Giovinezza! Giovinezza!». Ecco: la folla è immobile. Ascolta. Alla luce scarsa dei fanali e a quella fumosa delle torce a vento, le facce brune, tagliate sul suo modello romano e italiano, spiccano nettamente fra giochi di ombre e luci. Gli oratori parlano uno dopo l’altro e la folla non dà segni di impazienza. Il contraddittore operaio – e ci spiace che ce ne sia stato uno solo, ma dobbiamo rendere omaggio al suo coraggio – inizia e finisce il suo discorso, fra manifestazioni diverse, ma senza gesti o grida di intolleranza. Il Presidente Baseggio è abile e fermo. Nessun incidente. Né prima, né durante, né dopo, quando l’immensa fiumana di popolo attraverso via Manzoni, Largo Margherita, Piazza del Duomo, via Carlo Alberto ha raggiunto la ormai famosa via Paolo da Cannobio. Noi siamo profondamente lieti che il comizio si sia svolto così ordinato e solenne. Perché noi non cerchiamo, non vogliamo violenze. Perché noi che siamo intimamente, quasi innatamente dei libertari, vorremmo che le lotte delle idee – anche quelle che sono fra di loro le più antitetiche – si svolgessero senza urti e senza spargimenti di sangue. Nessuno possiede la verità assoluta e ogni idea ha in sé un germe o un dato di verità. Noi «fascisti» abbiamo mostrato ieri sera che siamo degni della libertà per noi e per gli altri. Siamo così innamorati della nostra libertà che per essa siamo pronti a qualsiasi sacrificio e non distinguiamo, in questo caso, fra noi e gli altri. Noi diciamo che se domani i nostri più feroci avversari fossero vittime in tempi normali di un regime d’eccezione, noi insorgeremmo perché siamo per tutte le libertà contro tutte le tirannie compresa quella sedicente socialista. Il comizio fascista, per il quale la cittadinanza ha trascorso alcune ore di trepidazione, ha dimostrato che il fascismo pur essendo un movimento di minoranza, è così organico, così omogeneo, così giovane che può tenere le piazze senza che gli altri osino fargli offesa e senza che esso si abbandoni ad eccessi. Dicemmo in principio: perfetta cavalleria nella lotta elettorale e la parola l’abbiamo mantenuta e la manterremo. Ai fascisti di tutta Italia la buona novella: a Milano il fascismo è in grado – per la sua e per l’altrui libertà – di tenere la piazza. Non fa violenze e non ne subisce! Viva la triplice fascista: Arditi, Volontari di Guerra, Fascisti! Viva l’impetuosa giovinezza dell’Italia grande, rinnovata e più libera di domani. Mussolini. («Il Popolo d’Italia», 11 novembre 1919)

La grande adunata. Sin dalle prime ore della sera, al centro, si notano già i segni della prossima adunata fascista. È la polizia che prendere misure enormi, ridicole, irritanti per la tema che le due folle avversarie si scontrino. Alle 19 la piazza del Duomo è già bloccata, i trams non circolano, le vie adiacenti sono occupate da truppe di fanteria e cavalleria. Così pure l’apparato di forze attorno a piazza Belgioioso o piazza Mercanti, dove si svolgeranno i due comizi, sono come isolati dalla truppa. Le autopompe vengono portate nei punti strategici. Mano a mano per le vie e le piazze del centro non circolano che cittadini i quali hanno una fede da far rispettare ed una volontà da far valere. La razzamaglia della gente morigerata, pantofolaia, sorniona e vagabonda va frettolosa verso la casa tranquilla. È ridicolo – tutto ciò – ma è anche bello. In piazza Belgioioso. I primi arditi e fascisti colla bandiera nera, la bandiera futurista e quelle di Fiume e della Dalmazia giungono in piazza verso le 19. Sono molte centinaia. Il gruppo compatto degli iscritti al Fascio di Combattimento con il nuovo gagliardetto rosso, arriva in bell’ordine sfilando a passo militare tra gli applausi della folla già raccolta. Un camion – che va a porsi dinanzi alla casa pittoresca e quieta di Alessandro Manzoni – sarà la tribuna per gli oratori. E sopra vi prendono subito posto gli alfieri, mentre numerose fiaccole vengono accese rischiarando l’angolo buio della piazza. Non sono ancora le venti ed attorno alla tribuna si assiepano migliaia di cittadini – veri cittadini. Degni di partecipare alle competizioni e alle battaglie della politica anche quando si annunciano gravide di minaccia e di pericolo. Umberto Pasella. Così, prima delle 20.30, poiché ora la piazza è pressoché gremita, Umberto Pasella a nome dei Fasci di Combattimento prende la parola per spiegare le ragioni del comizio ed il significato che … dalle speciali condizioni a cui è giunta la battaglia elettorale, e per il carattere che i fascisti intendono dare alla lotta. La folla ora è immensa e più che lo spettacolo della sua vastità, è impressionante e solenne l’ordine e il silenzio che essa mantiene. Grappoli umani pendono dalle inferriate dei primi piani dei ricchi palazzi severi e raccolti nella loro mole maestosa. Folla si addensa per il buon tratto della via Morone, sicché si può dire che senza che la passione di parte possa far velo ai nostri occhi, che la piazza raccoglie una folla immensa, enorme, che difficilmente si potrebbe valutare con esattezza. Nota dominante nella grande assise popolare sono gli evviva interessanti a Fiume italiana, a Gabriele d’Annunzio e a Benito Mussolini. Umberto Pasella, proseguendo nel suo esordio, dice che i fascisti che vollero la guerra sono scesi in piazza, al giudizio della folla, per difendere o per valorizzare la guerra. E lo fanno presentando ai suffragi del popolo i nomi più belli e più puri dell’interventismo, i nomi degli uomini che hanno voluto e fatto la guerra. È a capo della lista l’uomo contro il quale si puntano da cinque anni gli odi dei nemici della nazione. (La folla scatta in un grido unanime di: viva Mussolini!, e l’applauso dura alcuni minuti). Ed abbiamo con noi – continua Pasella – il fondatore di quelle Compagnie della Morte che tennero a battesimo l’arditismo e prepararono la riscossa vittoriosa del Piave. Baseggio è l’unico uomo dunque, degno di presiedere questo comizio. (Grandi applausi accolgono il breve discorso di Pasella. Si grida: viva Baseggio! Viva gli Arditi!). Il maggiore Baseggio. Io non sono uomo di parole – egli dice – e molti di voi lo sanno, per cui son deciso a mantenere l’ordine del comizio, a qualunque costo. […] Baseggio accenna al mostruoso spiegamento di forze e alla convocazione della manifestazione socialista in piazza Mercanti. Questa – dice – è la mobilitazione della paura. (Grandi applausi accolgono il conciso e impressionante discorso del maggiore Baseggio. […] Ferruccio Vecchi. Ferruccio Vecchi, in divisa di capitano degli arditi, appare sulla tribuna. Vecchi parla quindi della grande forza morale che rappresentano gli arditi, fiore della gioventù italiana e dell’esercito. Oggi gli arditi si schierano contro le forze oscure e retrograde che avversarono e sabotarono la guerra. Così gli arditi sono logici e continuano la loro missione. Egli passa a dire del fenomeno bolscevico, creato dalla Germania allo scopo di vincere la guerra, provocando la rivoluzione alle spalle degli eserciti nemici. Ora il bolscevismo italiano è il più vile e il più losco. Non ha il coraggio di assumere tutta intera la sua responsabilità e trarre le logiche conseguenze delle premesse rivoluzionarie, fiaccare il 13 aprile. Gli arditi non possono essere clericali, poiché il prete è stato il più accanito e profondo odiatore della vittoria, che nelle chiese, negli ospedali da campo e in linea ha predicato l’«inutile strage», seminando fra le famiglie, fra i feriti e fra i combattenti, ovunque la sfiducia, lo sconforto e talvolta, in nome di dio, il tradimento. […] Ma il vascello ardito passerà e la carcassa colerà a picco, e se oggi non vogliono cedere dieci, domani perderanno cento. Lo garantiscono gli arditi. Gli arditi amano il fatto, il gesto, che sono l’espressione più bella della Poesia. […] Gli arditi hanno forza e ingegno e nessuno lo potrà negare. Vi ricordo Carli e Bolzon. Gli arditi saranno sempre con Mussolini, d’Annunzio e Marinetti, campioni dell’arditismo italiano. Per Fiume e per la Dalmazia. Eja, Eja, Alalà! (Grandi applausi salutano la fine del discorso di Vecchi). Il discorso di Mussolini. Quando il presidente Baseggio annuncia che sta per prendere la parola Benito Mussolini, scoppia un’ovazione grandiosa che continua alcuni minuti, fino a quando Baseggio alzando il bastone non fa cenno ripetuto di cessare. Mussolini incomincia il suo discorso ricordando che fin dall’inizio della lotta elettorale il nostro giornale ed i Fasci di combattimento dichiararono che intendevano condurre la lotta elettorale con cavalleresca lealtà, rispettando la libertà altrui, decisi tuttavia a tutelare ad ogni costo la propria. «Dicemmo anche, continua Mussolini, che non avremmo nemmeno voluto andare negli altrui comizi elettorali a sostenere contradditori poiché siamo molto scettici sull’efficacia di queste tenzoni oratorie fatte dinanzi ad una folla eccitata. Riconfermiamo oggi che nessuna intenzione di violenza è in noi, e se violenza dovessimo usare soltanto per respingere tentativi di sopraffazione alla nostra libertà». Passa quindi ad illustrare il programma dei Fasci […]. «Uomini liberi e spregiudicati, noi non abbiamo pregiudizi e pregiudiziali. Ma pensiamo che o le attuali istituzioni si rinnovano rapidamente e si adattano ai bisogni nuovi o il loro destino è segnato. E saremo noi, che daremo il tracollo al passato, per innalzare, sulle basi della nazione, la società nuova. […] Mussolini, sempre ascoltato religiosamente e interrotto spesso da acclamazioni entusiastiche illustra i postulati del Fascio di Combattimento, toccando e scolpendo con scorci rapidi e vigorosi i veri aspetti del problema politico e sociale. […] E dico di umanità perché noi sentiamo attraverso la nazione la nostra personalià, e vogliamo che la nostra nazione sia grande, o pari alle altre nazioni, in armonia colle quali dove vivere non dominata e non dominatrice. E per questo programma di giustizia umana – dico umana – noi siamo disposti a cimentare ancora la nostra vita, e quando occorre, anche a morire». Un’ovazione imponente, sale dalla folla immensa. Gli arditi lanciano il triplice grido: Eja, Eja, Alalà, e la folla risponde con un grido immenso. La dimostrazione indimenticabile dura alcuni minuti. («Il Popolo d’Italia», 11 novembre 1919)

Il corteo. Chiuso il comizio, arditi, fascisti, volontari di guerra – la avanguardia giovane, entusiasta, esuberanti di ogni manifestazione nostra – si riuniscono in gruppo intorno alle bandiere, alla luce rossastra delle fiaccole. Dietro si incolonna la folla. Parecchi razzi sibilano luminosi nel cielo, mentre gli arditi intonano il loro inno. Il corteo per via Morone sbocca in via Alessandro Manzoni, e per piazza della Scala e via Santa Margherita raggiunge la piazza del Duomo. Molte finestre si aprono, lungo il percorso, e si applaude vivamente. L’avanguardia procede alternando i canti patriottici. L’inno di Mameli risuona travolgente come nelle lontane serate del maggio 1915. Dietro procede la folla compatta, imponente, solenne. Il corteo attraversa la piazza del Duomo rapidamente, ma sempre ordinato e maestoso, per via Carlo Alberto e piazza Missori, raggiunge la sede del nostro giornale. La via Paolo da Cannobio è gremita in modo impressionante da un’estremità all’altra. Ma tuttavia una minima parte dei componenti il corteo vi trova posto. Gli evviva al fascismo salgono al cielo come uno scrosciare impetuoso di temporale. Da ogni parte si inneggia ancora e sempre, a gran voce, al Comandante d’Annunzio, a Fiume italianissima e a Benito Mussolini. […] Chiamato al balcone da applausi insistenti, prende poi la parola Benito Mussolini. Egli parla brevemente alla folla, profondamente commosso per la solenne, grandiosa affermazione fascista, e ne esalta il significato: ringrazia gli arditi, i volontari, tutti gli intervenuti del magnifico esempio di forza, di ardore, ma insieme di ordine e di maturità politica che hanno dato e manda un caldo saluto alle truppe che presidiano Fiume italiana. Lo saluta una ovazione interminabile. Eja, eja, alalà” Il magnifico grido risuona freneticamente. Poi la folla, lentamente, si disperde. («Il Popolo d’Italia», 11 novembre 1919)

Dopo il grande comizio fascista. Impressioni. Quello fascista-futurista si intende, del 10 corrente. La piazzetta più aristocratica e «codina» di Milano scelta per arena. Un «camion» rude ancora di guerra per arengo. La casa di Alessandro Manzoni (rossa assai meno della casa di Marinetti) per sfondo. Torce. Razzi. Occhi scintillanti. E, sovratutto, anime di fiamma. La spiritualità, l’energia d’Italia condensate in quel braciere centrale. E parole d’avvenire. Presiede Baseggio, il Maggiore della «Compagnia della Morte». Ed ecco il «camion» che assume, nel fantastico riverbero delle torce, la linea massiccia, salda nei secoli, del Carroccio di Legnano. I Barbarossa sono in Piazza Mercanti. Fra loro e i grandi Milanesi d’oggi è steso a cordoni l’esercito di Vittorio Veneto. Baseggio domina gli eroi della sua figura dalla faccia d’un maschio jeratico: alla Ariberto d’Intimiano. Il comizio è aperto. Un razzo sale e accende gli astri strepitosamente italiani. Chi scudiscia i cuori? Chi pugnala le arie? Vi è lassù una fronte che sfida i frontoni dei palazzi. Una bella testa di cospiratore mazziniano e di legionario garibaldino insieme. Luciano Manara sulla scala di Villa Consina ebbe quella serenità fosforea di pupille, quell’onore di pizzo nero al mento formidabile. È Ferruccio Vecchi, il Capitano arditissimo che capitana l’Arditismo, questo meraviglioso sciame di farfalle di acciaio che hanno per ali delle fiamme di tutti i colori. All’eco delle sue sferzate anticlericali trema la vicina cupola di San Fedele. Si sente che egli scardina dalle chiuse arrugginite e che il fiume dell’Italia ardita sfocia con quello del Futurismo, dietro a lui. Ma ora un colpo di ferro è dato sull’incudine. Un segmento di fulmine appare fermo sull’arengo. La casa manzoniana rosseggia d’un bagliore di forgia. Tutte le pupille lampeggiano, rosse. Parla Mussolini. Non parla. Scande l’anima. Taglia a colpi d’accetta nell’idea e nell’ideale. Il giuoco delle faville è continuo. La piazza estatica ha degli sprazzi di luce sanguigna che rischiarano i fondali del Sabba Romantico. Quale onore, quale voluttà, Benito, rassomigliare – per pochi attimi – a Mefistofele che può spezzare un mondo colle sue mani! Dove sei tu, con la tua faccia di Cesare Operaio, io non vedo che un pugno titanico armato di mazza che sfonda l’incudine nel fragore della folgore: ma, talvolta, nell’allucinazione visiva, la massa mi s’affila nell’ascia, l’incudine mi si profila nel ceppo. Se tu parli all’Italia, ora e sempre, è anche la mannaia che suona. Tutte le mattine vi son pur teste di vili e d’imbecilli nella spazzatura! E parla Marinetti. Eh, mio caro! Tu canti! Sei l’incantevole Poeta! Non hai la lira fra le mani, perché tutti i tuoi nervi sono un fascio di corde sonore. Toscanini potrebbe metterti sulla cima della sua orchestra mondiale. Tutte le melodie più eteree dei Paradisi, tutte le armonie più catastrofiche degl’inferni, e la tromba marina, e il maelstrom polare e il simoun del tropico e la bora santissima di Trieste vibrano nella tua concione lirica conquistatrice di stelle. Perciò ti odiano, i Milanesi merciaiuoli, perché le tegole della casa dove morì il Poeta dei cattolici, invidiose di ciò che significa oggi in Milano l’esplosione del tuo Genio estetico, fremono d’una loro beghina stizzetta provinciale. Sei il più ostico alle turbe senza gerarchia, perché l’ignoranza è turba, perché la sensibilità è turba, perché il passatismo d’arte e di vita è turba, dal callo al blasone. Sei della razza degli Ecce Homo! Colla tua faccia che biancheggia nelle nostre memorie di pace e di guerra come il centro del bersaglio collettivo, tu formi astro stasera, e la tua parola, per forza, ha il brivido delle distanze e delle vertigini. Verso la fine, un brivido corre l’assemblea. Enzo Ferrari evoca, con immagini ardenti, il martirio dei fratelli dell’Altra Sponda. Paolo Buzzi. («Il Popolo d’Italia», 12 novembre 1919)

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