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11 GIUGNO 1921

Sciopero dei ferrovieri in seguito ai fatti di Cremona

I ferrovieri sono militi dell’Internazionale proletaria: essi hanno perciò il dovere di difendere questa che è la loro vera patria, come il borghese crede di avere il diritto di difendere i suoi privilegi.

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L’8 giugno a Cremona alcuni ferrovieri notano che un convoglio in transito nella stazione trasporta otto cannoni e venti casse di munizioni e armi. Le autorità militari sostengono che si tratti di armamentario da fondere destinato alle acciaierie di Terni, ma subito sorge il sospetto che in realtà sia materiale bellico diretto in Russia per reprimere la rivoluzione. In virtù dell’accordo del Sindacato Ferrovieri con la Terza Internazionale per impedire il traffico di armi destinate ai controrivoluzionari, si decide di bloccare i vagoni. 

Esiste un impegno d’onore, che è questione di vita per il proletariato internazionale: quello di aiutare la rivoluzione ad ogni costo. Uno dei più potenti mezzi per aiutare la rivoluzione è quello di impedire che i nemici di essa siano riforniti di armi e munizioni. I ferrovieri tradirebbero la loro classe mondiale, se non arrestassero i treni – anche quelli soltanto sospetti – che potessero essere diretti ai nemici della rivoluzione. 

Il sotto capostazione Luigi Bergonzoni, membro del Sindacato economico ferrovieri che orbita attorno al movimento fascista, delibera invece che il treno può proseguire il viaggio, e arriva a denunciare alcuni sottoposti per l’atto di disobbedienza. I ferrovieri richiedono l’immediata rimozione del dipendente, e proclamano uno sciopero bianco, minacciando di estendere la protesta al compartimento di Milano, di cui fa parte Cremona. 

La situazione diventa rapidamente molto tesa. Il prefetto di Milano, Enrico Flores, propone di trasferire il sotto capostazione, nel tentativo di calmare gli animi, ma l’ingegner Pedrazzi, a capo della divisione, respinge l’ordine di allontanamento. 

L’11 giugno a mezzogiorno un lungo fischio decreta l’inizio dello sciopero anche alla Stazione Centrale di Milano. I convogli si fermano, i treni in arrivo vengono dirottati in altre stazioni e i bigliettai chiudono gli sportelli. Nel pomeriggio, l’edificio è invaso dai soldati del 68° fanteria, inviati a presidiare per garantire che non si verifichino incidenti. 

Nel frattempo, a Cremona è Roberto Farinacci a calcare le scene. Il fondatore del Fascio cittadino controlla anche il Sindacato economico, e sulla vicenda è adamantino: Bergonzoni deve rimanere al suo posto. Il sotto capostazione, dal canto suo, ha già espresso il desiderio di essere trasferito con la famiglia presso la stazione di Stresa, ma per i fascisti ormai è in atto una prova di forza. 

A Milano il 22 giugno al termine di un comizio all’Arena a sostegno dei compagni ferrovieri durante il quale il Sindacato si dimostra favorevole a interrompere la protesta, un duro scontro a fuoco con le forze dell’ordine poste a presidio di via Dante provoca numerose vittime tra i manifestanti. In tutta la città si registrano gravissimi conflitti. Dopo due giorni sanguinosi, che lasciano sul terreno morti e feriti, il Sindacato ferrovieri decreta la ripresa del lavoro a partire dalla mezzanotte del 25. 

Duccio Bigazzi, Il Portello. Operai, tecnici e imprenditori all’Alfa-Romeo 1906-1926, Franco Angeli, Milano 1988, pp. 399-405

Ferdinando Cordova, Le origini dei sindacati fascisti. 1918-1926, La Nuova Italia, Scandicci 1990 (ediz. orig. 1974), pp. 32-34

Ivano Granata, La nascita del sindacato fascista. L’esperienza di Milano, De Donato Editore, Bari 1981, pp. 48-53

Vincenzo Mantovani, Mazurka blu. La strage del Diana, Rusconi, Milano 1979, pp. 223-225

Lo Sciopero ferroviario a Milano, «Avanti!», 12 giugno 1920

Intorno alla ‘visita’ Bergonzoni, «Avanti!», 22 giugno 1920

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