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15 APRILE 1919 – PIAZZA MERCANTI

Scontri tra socialisti e fascisti

Dove? Piazza Mercanti

Soggetti coinvolti: anarchici e socialisti rivoluzionari, fascisti, arditi, studenti del Politecnico, futuristi

Arresti:

Nell’arco di tre giorni vengono effettuati circa 600 arresti, la maggior parte tra i socialisti e gli anarchici. Nel fronte patriottico:

  • Giuseppe Comollo, 31 anni, ex tenente di fanteria residente in via Foro Buonaparte 54, per aver sparato con una rivoltella contro i socialisti in fuga da Piazza Mercanti
  • Ferruccio Vecchi, nato il 21 aprile 1894 a S. Alberto di Ravenna, residente a Milanoinvia Archimede 14 o 43, per aver sparato più colpi di rivoltella a fine di uccidere, durante il conflitto di Piazza Mercanti, cagionando la morte di Galli Teresa, Bogni Pietro e Lucioni Giuseppe
  • Federico Pinna, nato il 26 agosto 1898 a Firenze, residente a Milanoin corso Vittoria 51, presso Giovanelli, per aver sparato più colpi di rivoltella a fine di uccidere, durante il conflitto di Piazza Mercanti, cagionando la morte di Galli Teresa, Bogni Pietro e Lucioni Giuseppe
  • Gottardo Tomagnoni, nato il 12 marzo 1890 a Milano e qui residenteincorso Venezia 16, per aver sparato più colpi di rivoltella a fine di uccidere, durante il conflitto di Piazza Mercanti, cagionando la morte di Galli Teresa, Bogni Pietro e Lucioni Giuseppe

Feriti:

Più di trenta persone, di cui alcune molto gravi, tra cui:

  • OttavioPannazzi, ferita arma da fuoco regione occipitale
  • GiovannaRossi, residente in via Orti 14, ferita arma da fuoco alla gamba sinistra
  • AttilioSottocorno, ferita arma fuoco alla coscia sinistra
  • AlfredoDi Paolo, residente in via Pastrengo 19, ferita arma fuoco alla gamba sinistra
  • FrancescoBonafini, residente in via Castaldi 3, ferita arma fuoco alla gamba sinistra
  • FrancoNobile, residente in via Stella 16, ferita arma fuoco regione deltoidea destra
  • …Rossi, residente in via Spartaco 2, ferita arma fuoco alla mano sinistra
  • RaffaeleDell’Ola, residente in via Alessandro 4, ferita lacero contusa alla testa
  • VittorioDe Gaspari, residente in via Angelo Nosso 283, ferita lacero contusa alla regione scapolare ed alla regione parietale
  • PaoloConsoli, residente in via Leggo 6, ferita lacero contusa alla mano destra
  • CesareCarnevali, residente in via Vallazze 38, ferita alla mano destra
  • LorenzoMaiorna, sergente 4 alpini, ferite multiple
  • GiovanniNegroni, ferita lacerto contusa alla testa
  • PietroVacchini, 18 anni, allievo fuochista, ferita da arma da taglio
  • LibertoCeretti, 16 anni, ferita arma da fuoco ad un piede
  • PrenassaArturo, 37 anni, meccanico residente in via Nino Bixio, 388, ferito al torace
  • RaimondoUberti, 17 anni, panettiere residente in via Orti 16, ferita da arma da taglio all’avambraccio sinistro
  • GiovanniNicolatti, contusione al ginocchio
  • AlbertoCremona, 37 anni, residente in via Nino Bixio 28, ferita arma da fuoco al torace
  • GiovanniRozzi, residente in via Orti 14, ferita arma da fuoco alla gamba destra
  • BrunoFasani, d’anni 18, meccanico residente in via Ripamonti 3, ferita arma da fuoco al torace
  • OttavioPremazzi, residente in via Canonica, ferita arma da fuoco

Vittime:

  • Teresa Galli, operaia cucitrice di 19 anni, residente alla Bovisa, 33, colpita alla nuca da un colpo di proiettile
  • Pietro Bogni, operaio di 18 anni, colpito alla testa da un colpo di proiettile alla regione occipitale
  • Giuseppe Luccioni, operaio di 16 anni, residente in via Savona, 24, colpito anch’egli alla testa da uno sparo di arma da fuoco

Il comizio all’Arena, culmine della giornata di sciopero indetta in segno di protesta in seguito ai fatti di via Garigliano, è appena finito. Non si è verificato nessun incidente. I convenuti hanno mostrato il proprio sostegno alla lotta proletaria in maniera composta e dignitosa, così come più volte dal palco è stato raccomandato. Non bisogna prestare il fianco alle provocazioni: l’accorato consiglio dei dirigenti è di disperdersi alla spicciolata e tornare subito alle proprie abitazioni, perché la città è sotto assedio e la giornata non è ancora finita.

Un gruppo di refrattari al buonsenso inizia a protestare, a lanciare ingiurie e inneggiare alla rivoluzione. Sono giovani socialisti e soprattutto anarchici, armati di bastone e con un ritratto di Liebknecht – o di Errico Malatesta, a seconda del racconto – a mo’ di gonfalone. Sostengono che quello che è successo è troppo grave, e sia d’obbligo continuare la protesta ad oltranza. Ci sono anche molte donne e in men che non si dica a braccetto tutti avanzano compatti verso il centro, da sempre precluso alle manifestazioni socialiste. Cantano i loro inni, sventolando bandiere rosse con orgoglio.

Nel frattempo, lo scenario in Piazza del Duomo è di tutt’altro colore. Già dal primo pomeriggio cominciano a comparire piccoli gruppi di ex combattenti, arditi e futuristi, armati di revolver e cattive intenzioni. Mentre al Castello è in corso il comizio socialista, Ferruccio Vecchi e Filippo Tommaso Marinetti, fiutata la ghiotta occasione di mettere zizzania e sferrare qualche colpo agli odiati avversari, iniziano ad arringare i presenti. Di Mussolini non c’è traccia. Pare sia asserragliato nella redazione del Popolo d’Italia: per ordine del direttore, l’ingresso di via Paolo da Cannobio, 35 è sbarrato, e l’ardito Filipponi è di guardia sul tetto accanto a una mitragliatrice.

Ben presto, una colonna di studenti del Politecnico va a ingrossare le fila del fronte dei contromanifestanti. I cordoni delle forze dell’ordine cedono pacificamente alle pressioni, e in breve tempo nella piazza si riunisce un folto gruppo ostile e maldisposto. Arrampicati sul leone del monumento del re, sono in attesa di notizie. Alle 17,30, l’ardito Meraviglia giunge trafelato: un corteo di anarchici e socialisti sta arrivando.

Ecco i leninisti! Ecco i bolscevichi! Viva l’Italia!

Per Marinetti «s’avanza con passo ritmato la colonna nemica, preceduta dagli anarchici, fiori rossi all’occhiello, tre donne in camicetta rossa, due ragazzi con nelle mani alzate il ritratto di Lenin». Il contingente patriottico si muove e dà inizio a una vera e propria operazione militare. Un drappello di cavalleria, nascosto in Piazza Mercanti, esce allo scoperto e tenta di separare i contendenti che si guardano minacciosamente, ma i cavalli, impauriti dalle urla, sbandano. Vola un bastone. La battaglia è iniziata.

All’angolo tra il Bar Italia e la Camera del Commercio, i fascisti scagliano petardi Thévenot a pochi passi dagli avversari, come facevano i reparti d’assalto in guerra. Senza riguardo lanciano scariche di rivoltella sui manifestanti che, armati di randelli, hanno rapidamente la peggio: tentano una reazione, ma sono costretti a indietreggiare in via Dante; tornando indietro, si accorgono che gli spari provengono anche da alcuni balconi.

Interviene il genio militare con le auto pompe per disperdere la calca con getti d’acqua. I pompieri comunali hanno rifiutato di prendere parte all’esibizione. Sul selciato rimangono i corpi inerti delle vittime: in Piazza Mercanti hanno perso la vita Teresa Galli, una cucitrice di appena 19 anni, con la testa perforata da un proiettile, e Pietro Bogni, 18 anni, un impiegato disinteressato alla lotta politica. In via Dante è disteso a terra Giuseppe Luccioni, un garzone di 16 anni, figlio di un muratore. Tutti di passaggio, tutti morti per caso mentre assistevano impotenti alla guerriglia urbana. Circa trenta feriti affollano la Guardia Medica di via Cappellari. Il questore Gasti, appena inviato a sostituire il commissario Eula convenientemente mandato a riposo, comunica al vice presidente del Consiglio che appartengono tutti alla Milano popolare: pasticciere, barbiere, ferroviere, fabbro, meccanico, negoziante, vetraio, garzone, falegname, tornitore, impiegato… Il bilancio dei fermati nei tre giorni di battaglia è di circa 600 persone, in larga parte socialisti e anarchici.

È passata poco più di un’ora dall’inizio dello scontro, ma questo sanguinoso martedì non accenna a finire.

Idranti in Piazza San Fedele, in una foto del novembre 1920 (Civico Archivio Fotografico di Milano)

Piazza Mercanti in una fotografia di inizio Novecento (Milano Sparita e da Ricordare)

Teresa Galli, uccisa durante gli scontri di Piazza Mercanti (Marco Rossi)

Mimmo Franzinelli, Fascismo anno zero. 1919: la nascita dei Fasci italiani di combattimento, Mondadori, Milano 2019, p. 81

Francesco Lisati, Storia degli anarchici milanesi (1892-1925), La vita felice, Milano 2016, pp. 205-206

Vincenzo Mantovani, Mazurka blu. La strage del Diana, Rusconi, Milano 1979, pp. 59-63

Paolo Mencarelli (a cura di), Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia, Biblion Edizioni, Milano 2019, pp. 162-169

Marco Rossi, Morire non si può in aprile, Zero in Condotta, Milano 2019, pp. 30-42

Gaetano Salvemini, Scritti sul fascismo, vol. 1, Feltrinelli, Milano 1961, pp. 439-440

E la controdimostrazione ebbe luogo, «Avanti!», ed. romana, 17 aprile 1919,

Commediola giudiziaria finita!, «Avanti!», 2 settembre 1919

Un tumulto, «Il Popolo d’Italia», 18 aprile 1919

E la controdimostrazione ebbe luogo. Il comunicato ufficiale dice che erano in 2000. Erano molto meno, ma ciò non significa niente. Il certo è che i discorsi pronunziati dagli ufficiali in divisa, dall’on. De Capitani e dall’on. Candiani furono di una violenza inaudita. Questa gente che attacca sempre i socialisti come eccitatori della folla gettarono grande combustibile in quelle schiere già pronte all’assalto. Non era più l’eccitamento della difesa della patria così come ci siamo abituati a sentire per quattro anni, ma l’invito a tutelare la borghesia – perciò parlava Candiani [CENSURA] i comizianti si raggrupparono in Piazza attorno al monumento a Vittorio Emanuele. Ad un tratto corse la voce che una colonna di scioperanti, reduci dall’Arena, era in via Mercanti. [CENSURA] La prima a cadere fu una donna nel sottopassaggio al largo dei Mercanti. [CENSURA] («Avanti!», ed. romana, 17 aprile 1919)

 

Un tumulto. Mentre si crede che tutto sia finito accade invece un tumulto. Al banco degli oratori si presenta un giovane biondo, dai capelli lunghi che chiede di parlare. Mariani, Schiavello ed altri vogliono impedirglielo. La folla resta esitante. Infinte, quando sa che chi vuol parlare è un anarchico, chiede ad alta voce che lo si lasci esprimere le sue idee. Ma i dirigenti dello sciopero non ne vogliono sapere e tentano di allontanarlo dal banco degli oratori. Il giovine, che ha un certo seguito, insiste per parlare. Succede un trambusto. Volano pugni e bastonate fra anarchici e socialisti. Lo spettacolo… fraterno è edificante. [CENSURA] Si odono valanghe di ingiurie: socialisti addomesticati, rivoluzionari per ridere, pagati, venduti, comprati!ecc., ecc. La folla si avvia intanto verso le uscite ed abbandona l’Arena commentando ironicamente. Il comizio è finito. Il corteo. Uscendo dall’Arena molti comizianti tra i quali erano anche numerose donne, si dirigono per i fatti loro, ma oltre un migliaio di essi – dei quali qualcuno in divisa militare, tutti armati di poderosi bastoni – formano un corteo che, al canto di Bandiera rossa, imbocca via Legnano. Al principio di Foro Bonaparte metà dei dimostranti prende per via Garibaldi, mentre il resto prosegue per il Foro. Lungo il percorso – così nell’andata all’Arena che sulla via del ritorno – gli scioperanti, (o meglio quella parte di essi che voleva significare un’affermazione leninista) imponevano che dai balconi fossero ritirate le bandiere nazionali. Alla testa dei dimostranti era il gruppo di anarchici che ostentava un immenso ritratto di Errico Malatesta. Arrivati in piazza Castello e vista via Dante deserta; all’improvviso, come se fosse corsa una parola d’ordine, i dimostranti hanno infilato la strada e si sono dati a correre verso piazza Cordusio, ma all’angolo di via Rovello un cordone di cavalieri ha fatto impedire la marcia dei leninisti. Alla metà di via Dante un cordone di cavalleggeri ha tentato di sbarrare il passo alla colonna leninista che si avanzava al canto di inni rivoluzionari e agitando alcune bandiere rosse che spaventarono i cavalli. Si produsse in tal modo un piccolo varco da cui urlando e gridando: avanti…i leninisti passarono dirigendosi verso Piazza del Duomo. La controdimostrazione. Mentre i socialisti erano riuniti a comizio all’Arena, una folla numerosa di cittadini di tutte le classi sociali, ufficiali, soldati e arditi preceduti dalla bandiera degli arditi e da alcuni vessilli dai colori nazionali entrò da Piazza della Scala nella Galleria Vitt. Emanuele al canto dell’inno di Mameli, ma dovette arrestarsi di fronte a un duplice cordone di carabinieri teso nel centro dell’ottagolo. Fu chiesto ai funzionari di passare per tenere un comizio in Piazza del Duomo, ma i funzionari si opposero… inutilmente, perché i dimostranti facendo ressa aprirono una breccia. E la colonna ingrossatasi a vista d’occhio irruppe nella piazza disponendosi intorno al monumento di Vittorio Emanuele II, la cui base scomparve sotto un miscuglio di abiti borghesi e divise grigio verdi. Il comizio patriottico. Il primo a parlare fu il capitano Vecchi degli Arditi il quale disse che la cittadinanza era stanca delle sopraffazioni e del tentato ricatto e voleva in questo libero comizio affermare, senza provocazione e senza violenze, che non era permesso agli imboscati diminuire la vittoria italiana e gettare ogni 48 ore il popolo in convulsione. Terminò inneggiando all’Italia. Dopo di lui prese la parola l’on. Candiani il quale disse poche parole spesso interrotto da grida: – Vogliamo che parlino i combattenti: basta, basta! Il tenente Enzo Ferrari salito sulle spalle di alcuni soldati inizia il suo discorso quando dalla folla si alzano molte voci: «Ecco i leninisti! Ecco i bolscevichi! Viva l’Italia!». Il conflitto. Fu un attimo. A bandiere spiegate ed al grido: Viva l’Italia! i comizianti compatti si slanciano verso la via Mercanti da dove alcune migliaia di socialisti preceduti da due bandiere rosse e da un ritratto di Errico Malatesta tentavano sboccare in piazza del Duomo urlando: Viva la Rivoluzione. L’urto fu violento. Da una parte e dall’altra si alzarono bastoni e la mischia divenne generale. Gli interventisti guadagnavano terreno, quando [NOME CENSURATO] che faceva parte della dimostrazione leninista, ritraendosi sulle gradinate del palazzo che già fu sede dell’ufficio telegrafico estrasse una rivoltella e puntandola contro un gruppo di ufficiali, che in atteggiamento di difesa sostavano all’angolo del Bar Italia, fece fuoco. Subito dopo altri due colpi partivano dalle logge del Palazzo della Regione. Gl’interventisti non si persero d’animo ma estraendo rivoltelle fecero ripetutamente fuoco in aria. E teniamo a dichiarare che fu sparato in aria perché nessuno dei bolscevichi cadde ferito da arma da fuoco. I bolscevichi terrorizzati si danno ad una precipitosa fuga verso via Dante continuando, in qualche breve sosta a sparare ma inseguiti dai cittadini e dagli ufficiali si raggruppano intorno al monumento a Garibaldi ed altri si schierano con le rivoltelle in pugno lungo la cancellata di una casa di fronte al Teatro Olimpia. Appena i controdimostranti cantando l’inno di Garibaldi sboccarono in largo Cairoli, dai leninisti appoggiati intorno al monumento e da altri schierati, come si è detto, lungo la cancellata partirono molti colpi di rivoltella che ferirono un ufficiale e il caporale Beppino Corridoni fratello dell’eroico Filippo caduto nella guerra d’Italia. Gl’interventisti affrontarono risolutamente quest’altra aggressione puntando le rivoltelle fecero un vero fuoco di fila disperdendo letteralmente i terribili rivoluzionari che si dettero a fuggire nelle strade laterali. Alle finestre di tutte le case delle strade percorse dal corteo patriottico ricomparvero – fra deliranti applausi ed acclamazioni all’Italia – le bandiere nazionali. Importante testimonianza. Subito dopo il conflitto la via Dante si è recato nei nostri uffici il signor Michele Pacciarini, abitante in via Volta 21, trovatosi presente all’incontro dei due cortei. Egli veniva per attestare di aver visto sparare il primo colpo da un dimostrante appartenente alla colonna dei cosiddetti bolscevichi. Questa testimonianza è di una importanza decisiva. Il Pacciarini ci ha detto di ritenersi a disposizione dell’autorità inquirente per analoga disposizione. («Il Popolo d’Italia», 18 aprile 1919)

 

Commediola giudiziaria finita! La cosiddetta istruttoria giudiziaria che doveva rintracciare i colpevoli delle uccisioni avvenute il 15 aprile in via Mercanti, dove caddero revolverati da ufficiali di varie armi l’operaia Galli Teresa e l’operaio Boni [sic] Pietro, e in via S. Damiano dove cadde ucciso il soldato Martino Speroni, è stata ufficialmente chiusa. Diciamo ufficialmente, perché essa non fu mai aperta se non per gettare polvere negli occhi del pubblico. Gli sparafacile della borghesia, che si vantarono ripetutamente di aver compiuto le gesta criminose che portarono alla morte di parecchi lavoratori e alla distruzione di ciò che apparteneva al nostro giornale, dinnanzi ai giudici hanno preso un atteggiamento meno spaccone per sottrarsi alle responsabilità penali. D’altra parte la autorità giudiziaria ha fatto del suo meglio per aiutare i figli di papà ad uscire dagli imbarazzi. E dinanzi a tre morti, a parecchi feriti, ad altri minacciati di morte, ad una casa incendiata, ad un’azienda distrutta, i nostri beneamati magistrati pronunciano un’ordinanza che proscioglie dall’imputazione di omicidio i bravi ufficiali che pur si vantarono d’aver sparato in via Mercanti, riduce a danneggiamento l’incendio, la devastazione e il saccheggio perpetrato impunemente all’Avanti!. Se qualcuno di coloro che si trovavano negli uffici del giornale fosse rimasto ucciso dagli assalitori, i signori giudici anche in questo caso avrebbero probabilmente argomentato trattarsi di ferimento in rissa!!! Si rinviano, è vero, a giudizio due che erano negli uffici del giornale – gli operai Gaio e Ciceri – ma, a parte che siamo curiosi di sapere come tenta di costruirsi l’accusa nei loro confronti, si attribuisce anche ad essi il reato di ferimento in rissa!! Ripieghi ed espedienti che tradiscono purtroppo la preoccupazione essenzialmente politica dei magistrati, che vollero salvare i veri colpevoli cercando degli artificiosi termini di compensazione. Ma anche questo episodio giudiziario potrà avere il suo valore… pedagogico. Uccidere, incendiare, devastare… per amor di patria, non è reato, e lo è in misura tale da mandare a spasso i bravi giovanotti un po’ troppo focosi, come disse il ministro Caviglia, con qualche mese di condanna condizionale. Buono a sapersi! I bravi giovani patrioti per chi li avesse dimenticati sono: Vecchi Ferruccio, Tamagnone Gottardo e Piana Federico. («Avanti!», 2 settembre 1919)

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