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15 APRILE 1919 – VIA SAN DAMIANO 10

Assalto all’Avanti!

Dove? Via San Damiano, 10

Soggetti coinvolti: fascisti, arditi, futuristi, forze dell’ordine, redattori dell’Avanti!

Arresti:

  • Armando Gaio, nato l’8 febbraio 1881 a Milano, residente a Milano, detenuto, accusato dell’omicidio di Martino Speroni.
  • Giuseppe Ciceri, nato il 4 marzo 1900 a Mulazzano, residente a MilanoinCorso di Porta Romana, 38, accusato dell’omicidio di Martino Speroni.
  • Ferruccio Vecchi, nato il 21 aprile 1894 a S. Alberto di Ravenna, residente a Milanoinvia Archimede 14 o 43, per avere appiccato il fuoco, nei locali della Società Editrice Avanti!, a registri, documenti, carta stampata e da stampare, mobili, ecc. in tempo di commozione pubblica.
  • Federico Pinna, nato il 26 agosto 1898 a Firenze, residente a Milanoincorso Vittoria 51, presso Giovanelli, per avere appiccato il fuoco, nei locali della Società Editrice Avanti!, a registri, documenti, carta stampata e da stampare, mobili, ecc. in tempo di commozione pubblica.
  • Gottardo Tomagnoni, nato il 12 marzo 1890 a Milano e qui residenteincorso Venezia 16, per aver appiccato il fuoco, nei locali della Società Editrice Avanti!, a registri, documenti, carta stampata e da stampare, mobili, ecc. in tempo di commozione pubblica.
  • Oreste Marchesini, nato il 10 maggio 1870 a Budrio, residente a Milano (con. Museo artistico in via Dante o Largo Cairoli), per avere appiccato il fuoco, nei locali della Società Editrice Avanti!, a registri, documenti, carta stampata e da stampare, mobili, ecc. in tempo di commozione pubblica
  • Carlo De Cintio, nato il 18 aprile 1903 a Baronello, residente a Milanoinvia Maighern 14, presso Bonomi, per avere appiccato il fuoco, nei locali della Società Editrice Avanti!, a registri, documenti, carta stampata e da stampare, mobili, ecc. in tempo di commozione pubblica; per aver sparato più colpi di rivoltella contro la folla dei dimostranti, da una finestra della Società indicata, uccidendo con uno di essi il soldato Speroni Martino
  • Romeo Spinaghi, nato il 28 gennaio 1899 a Milano e qui residenteinvia Barbavara, 10, per aver sparato più colpi di rivoltella contro la folla dei dimostranti, da una finestra della Società indicata, uccidendo con uno di essi il soldato Speroni Martino.
  • Agostino Lucini, nato a Milano il 25 luglio 1903, qui residenteinvia Bazzini 23, o presso la ditta Biancardi Gambolotta 28, carrettiere.

Per tutti i reati sarà dichiarato il non luogo a procedere o il rinvio a giudizio.

Feriti: decine di feriti

Vittime:Martino Speroni, 22 anni, soldato di leva zappatore del Genio militare

Le autopompe del genio militare sono ancora in azione in Piazza Mercanti. Lo scontro tra i dimostranti socialisti e anarchici provenienti dal comizio all’Arena e il fronte patriottico-interventista capitanato da Filippo Tommaso Marinetti e Ferruccio Vecchi si è appena concluso. I corpi delle giovani vittime giacciono inermi sul selciato. I socialisti stanno scappando in via Dante, cercando di proteggersi da colpi sparati dai balconi.

Fascisti e arditi non si danno per vinti. Eccitati dal sangue, si inquadrano militarmente e iniziano a marciare imboccando via Santa Margherita verso via Manzoni e via Monte Napoleone. In Largo San Babila, si dirigono in via San Damiano, sventolando ferocemente i gagliardetti degli assalti alle trincee nemiche e le bandiere nere con il teschio.

All’Avanti! All’Avanti!

Sembra che tutto sia permesso in questo lugubre pomeriggio di aprile.

La sede del quotidiano socialistaè circondata da forze dell’ordine e militari già da lunedì sera: un cordone di carabinieri si trova sotto la facciata del giornale, l’altro formato da agenti di polizia di fronte, lungo il parapetto del Naviglio. Un drappello di mitraglieri, invece, è all’angolo di via della Passione, a poche decine di metri. Stanno arrivando le prime notizie da Piazza Mercanti, quando un giovane sopraggiunge gridando: «Salvatevi finché siete in tempo!». La colonna di arditi è già in via San Damiano.

Grida e insulti riempiono l’aria. Si spara. Un colpo di revolver, che nella concitazione si crede provenire dall’alto, centra alla testa Martino Speroni, un soldato di leva zappatore del Genio militare, di guardia alla redazione. Ha 22 anni. Un ufficiale raccoglie l’elmo insanguinato del ragazzo, e alzandolo al cielo incita i presenti. La reazione è immediata: i carabinieri lasciano passare un gruppo di arditi che scala le basse inferriate del pianoterra, raggiungendo in men che non si dica il primo piano, dove si trovano il salone del Consiglio di Amministrazione e la libreria.

In quel momento la redazione è quasi vuota: gli operai non sono ancora a lavoro, e la maggior parte degli impiegati ha partecipato al comizio all’Arena. Per puro caso sono presenti il redattore Lanza, il critico teatrale Aloini, il consigliere comunale socialista Viciani, e pochi altri tra fattorini e segretarie. Terrorizzati, tentano di fuggire mentre gli arditi arrivano anche dalle scale: chi salta nel cortile interno, chi si cala dalle finestre di via Chiossetto.

La libreria è distrutta. Pagine di Lenin, Marx, Engels, Labriola, Trotsky bruciano tra le fiamme alte. Nella Direzione gli arditi utilizzano l’alcool denaturato, agli altri locali appiccano il fuoco con l’acqua ragia e la benzina che sono in tipografia. In Amministrazione, con incredibile precisione, colpiscono solo la scrivania dove è conservato il libro-mastro: gli aggressori sanno quel che fanno, ed è lecito pensare che abbiano avuto istruzioni ben precise su come muoversi nella redazione. Tentano di scassinare anche la cassaforte, ma riescono a romperne solo la maniglia. Negli uffici prendono di mira il registro degli abbonamenti e la raccolta degli indirizzi di spedizione delle copie del giornale. Tavoli e sedie, macchine da scrivere e portapenne: tutto quello che non si riescono a distruggere viene gettato nel Naviglio. Sparano alle tastiere delle linotype, spargendo i caratteri ovunque, e poi come dei professionisti mettono fuori uso le rotative con una sbarra di ferro, grazie alle competenze del tipografo Edmondo Mazzuccato.

Ferruccio Vecchi dirige i lavori. A lui si rivolgono i saccheggiatori per decidere che sorte riservare a ogni pezzo:

– Capitano, i mobili? – Giù i mobili

– Capitano, i libri? – Giù i libri!

– Capitano, le macchine? – Giù le macchine!

– Capitano, l’incendio? – Sì. L’incendio!

La razzia non è un colpo di testa passeggero. È un’azione organizzata, messa a punto con precisione e svolta con metodo militare. Sul finire del pomeriggio, una colonna di fumo si alza dalle finestre dell’Avanti!, senza che nessuno intervenga.

Compiuto l’assalto, arditi e fascisti nuovamente incolonnati marciano verso la Piazza del Duomo. Depongono l’insegna bruciacchiata dell’Avanti! strappata dal portone ai piedi di Vittorio Emanuele II, per poi continuare per via Paolo da Cannobio. Un tenente degli alpini, Vincenzo Costa, consegna nelle mani di Mussolini l’elmetto insanguinato di Martino Speroni. Un particolare inquietante: un corpo del reato, utile per l’inchiesta, diventa un macabro quanto equivoco trofeo di guerra. Mussolini commenta l’accaduto incolpando i socialisti di provocazioni, alle quali lo schietto e autentico popolo– e non arditi, combattenti e fascisti in assetto militare – ha reagito in maniera spontanea: «chi si propone di attaccare, può essere prevenuto nell’attacco. La “sorpresa” è la carta più ricca del gioco».

A tarda ora, il prefetto dirama un manifesto rivolto alla cittadinanza:

«Cittadini! Dolorosi fatti sono avvenuti a Milano. La forza pubblica non ha fatto uso delle armi. I responsabili da qualunque parte saranno sollecitamente e severamente puniti. È dovere di tutti di conservare la calma. […]. Nella città e circondario di Milano sono vietati in luoghi pubblici o aperti al pubblico i cortei, i comizi, gli assembramenti e le riunioni di persone superiori di numero a cinque, anche se non stazionanti»

Nel mentre, una violenta grandinata si abbatte su Milano, lavando via il sangue dalle strade e spegnendo il fumo su via San Damiano. I socialisti sono sconcertati, ma capitolare non è ammissibile. Sull’Avanti! si legge: «Il socialismo è nelle cose. Non si stronca un’idea, come si spezza col martello del pazzo la macchina, che la distribuisce alle centinaia di mille lavoratori nelle officine e nei campi. E poiché è viva l’idea, si ricompone anche la macchina.»

Il giorno dopo, secondo la versione ufficialedell’Agenzia Stefani, si sostiene che il colpo che ha ferito mortalmente Speroni è stato sparato dalla redazione dell’Avanti!. Il racconto inizia a circolare con insistenza, avvalorato dal Corriere e dalla stampa di destra, sebbene una perizia tecnica effettuata al mattino escluda che dalle finestre si sia fatto fuoco verso l’esterno. C’è chi dice di aver visto l’elmetto del soldato perforato «evidentemente dall’alto».

Poco più tardi, un volantino appare in città:

«ITALIANI!

Nella giornata del 15 Aprile avevamo assolutamente deciso, con Mussolini, di non fare alcuna controdimostrazione, poiché prevedevamo il conflitto e abbiamo orrore di versare sangue italiano. La nostra controdimostrazione si formò spontanea per invincibile volontà popolare. Fummo costretti a reagire energicamente contro la provocazione premeditata degli imboscati che si rimpinzano ancora d’oro tedesco, sfruttando l’ingenuità delle masse a solo vantaggio della Germania. Non intendiamo, col nostro intervento né di rinsaldare, né di scusare tutto ciò che è fradicio, corrotto e morituro in Italia. Col nostro intervento, intendiamo di affermare il diritto assoluto di quattro milioni di combattenti vittoriosi, che soli devono dirigere e dirigeranno ad ogni costo la nuova Italia. Non provocheremo, ma se saremo provocati aggiungeremo qualche mese ai nostri quattro anni di guerra, per annientare la baldanzosa delinquenza di quei gloriosi imboscati e prezzolati, che non hanno il diritto di fare la rivoluzione. Risponderemo senza carabinieri, né questurini, né pompieri e senza il concorso delle truppe, le quali assisteranno allo spettacolo persuadendosi sempre di più che gli scioperi dell’«Avanti!» sono la causa dei ritardi della smobilitazione. »

Firmato: Ferruccio Vecchi dell’Associazione degli Arditi e dei Fasci di combattimento e F.T. Marinetti dei Fasci politici futuristi e dei Fasci di combattimento.

Nonostante i responsabili siano noti, non si prende alcun provvedimento. Gli arrestati non sono trattenuti, e in seguito tutti vengono rinviati a giudizio o prosciolti per non luogo a procedere. Quello che è certo, secondo il questore in pectoreGasti, è che le forze dell’ordine non hanno alcuna responsabilità dell’accaduto. E l’atto dei fascisti è stato solo un monito verso i socialisti: non siete i padroni della città.

«Avanti!» del 22 aprile 1919 (Digiteca della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea, Roma)

Vignetta di Scalarini sull’«Avanti!» del 10 giugno 1919 (Digiteca della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea, Roma)

Vignetta di Scalarini sull’«Avanti!» del 29 luglio 1920 in occasione del processo per l’assalto alla redazione del giornale (Digiteca della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea, Roma)

Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920, Einaudi, Torino 1965, pp. 520-522

Mimmo Franzinelli, Fascismo anno zero. 1919: la nascita dei Fasci italiani di combattimento, Mondadori, Milano 2019, pp. 82-83

Francesco Lisati, Storia degli anarchici milanesi (1892-1925), La vita felice, Milano 2016, pp. 206-208

Paolo Mencarelli (a cura di),  Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia, Biblion Edizioni, Milano 2019, pp. 162-169

Pietro Nenni, Storia di quattro anni, 1919-1920. Crisi del dopoguerra e avvento del fascismo al potere, SugarCo Edizioni, Milano 1976, pp. 41-42

Marco Rossi, Morire non si può in aprile, Zero in Condotta, Milano 2019, pp. 43-53

Gaetano Salvemini, Scritti sul fascismo, vol. 1, Feltrinelli, Milano 1961, pp. 439-440

Angelo Tasca, Nascita e avvento del fascismo. L’Italia dal 1918 al 1922, La Nuova Italia, Firenze 1950, pp. 58-59

Paolo Valera, Giacinto Menotti Serrati, direttore dell’Avanti!, La Folla, Milano 1920, pp. 27-32

L’assalto all’Avanti!;La Giunta Socialista al proletariato milanese,  «Avanti!», ed. romana, 16 aprile 1919

Titolo censurato, «Avanti!», ed. torinese, 16 aprile 1919

Il proletariato italiano insorge in difesa del suo vessillo che sventola sempre in alto. Viva l’Avanti!, «Avanti!», ed. torinese, 17 aprile 1919

La calunniosa versione, «Avanti!», ed. torinese, 19 aprile 1919

Il primo arrestato è un ufficiale, «Avanti!», 18 aprile 1919

I colpi all’Avanti!,Le vittime dei conflitti di Milano. I morti, «Avanti!», ed. torinese 22 aprile 1919

Come fu devastato l’Avanti!, «Avanti!», 1° maggio 1919

L’ordinanza del Procuratore Generale sui fatti del 15 aprile, «Avanti!», 27 luglio 1919

Commediola giudiziaria finita!, «Avanti!», 2 settembre 1919

La folla devasta l’“Avanti!”; L’inchiesta governativaNon subiamo violenze!; L’opera… antibolscevica dei pompieri militari; La giornata del 16; La terza giornata. Lo sciopero muore, «Il Popolo d’Italia», 18 aprile 1919

Un’intervista di Mussolini al “Giornale d’Italia”;  «Il Popolo d’Italia», 19 aprile 1919

Titolo «Avanti!» ed. torinese censurato. Lo sciopero continua a svolgersi in modo assolutamente tranquillo. Gli stabilimenti, i negozi, i caffè, molti uffici sono chiusi. Non circolano né trams, né carrozze, né automobili. Sono inattivi anche i trams delle linee interprovinciali. Le Autorità hanno preso misure per il mantenimento dell’ordine, ma la forza non ebbe fino ad ora occasione di intervenire. Nessun incidente è segnalato. […] La mattinata è trascorsa tranquilla e il comizio svolto nel pomeriggio si è svolto all’Arena senza incidenti. Il comizio. L’Arena fu riempita oggi da una folla immensa. […] Il saluto del Gruppo Parlamentare è portato dall’on. Treves, il quale constata che è [CENSURA] […]. Le dimostrazioni avversarie. Frattanto però gran numero di ufficiali, di … di arditi, si ammassarono in piazza Cavour. [CENSURA] Essi occupavano la piazza del Duomo. Quivi parlarono parecchi oratori. Malgrado i cordoni di soldati e di carabinieri, i due cortei si scontrarono. [CENSURA] Intervengono anche i carabinieri i quali tentano di disperdere la folla con potentissimi getti d’acqua. La dimostrazione all’Avanti! Frattanto una colonna di dimostranti [CENSURA] si avvia verso l’«Avanti!» in via San Damiano. La forza pubblica non oppone alcuna resistenza [CENSURA] Alla fine arrivano la forza ed i pompieri, ma l’«Avanti!» è completamente distrutto. [CENSURA] Il manifesto del prefetto. Il prefetto ha rivolto a tarda ora il seguente manifesto alla cittadinanza: Cittadini! Dolorosi fatti sono avvenuti a Milano. La forza pubblica non ha fatto uso delle armi. I responsabili da qualunque parte saranno sollecitamente e severamente puniti. È dovere di tutti di conservare la calma. Da parte mia contribuirò ad essere severo tutore dell’autorità e dell’ordine. [CENSURA] Come avvenne l’assalto all’«Avanti!». Dopo il comizio all’Arena, ed i fatti sanguinosi di via Mercanti in cui molti dimostranti reduci dal comizio furono …, la manifestazione nazionalista-interventista, che in quel momento si svolgeva in piazza del Duomo, si portò rapidamente verso gli uffici dell’«Avanti!» percorrendo il corso e la via Monforte, avanzando poi per via San Damiano, preceduta da gruppi di arditi con bandiera tricolore. Dinanzi all’«Avanti!» si trovavano un centinaio fra soldati e carabinieri disposti in due cordoni: uno sotto la facciata dell’«Avanti!» e l’altro di fronte, lungo la spalletta del ponte sul Naviglio. La folla interventista, arrivata all’angolo di via Passione, cioè ad una cinquantina di passi dall’«Avanti!», fece una vera e fulminea carica contro i carabinieri ed i soldati, [CENSURA]. I dimostranti stessi iniziarono da vari punti, cioè dal portone, dalla porticina di ingresso e dai balconi, la scalata dell’«Avanti!». Entrati, devastarono, sfondarono, demolirono, incendiarono quanto fu loro possibile. [CENSURA] I pochi redattori che si trovavano in quel momento in redazione poterono a stento – mentre le porte dei vari locali al primo piano venivano sfondate dagli invasori – salvarsi: chi calandosi dalle finestre verso la via Chiossetto, chi buttandosi nei cortili interni sottostanti. Uno dei redattori s’è slogato una spalla e ferito il polso destro. Di lì a circa un quarto d’ora, arrivavano due carri di pompieri che iniziavano l’opera di spegnimento dell’incendio che ormai giganteggiava. Vi riuscirono dopo un’ora di ininterrotto e febbrile lavoro. Nella serata. Altri conflitti sono avvenuti nella serata. Le organizzazioni hanno deciso la continuazione dello sciopero. («Avanti!», ed. Torino. 16 aprile 1919.)

 

L’assalto all’Avanti! Intanto [CENSURA] un altro episodio avveniva in via S. Damiano. La stretta via, fiancheggiata dal Naviglio, era chiusa da cordoni di soldati e di mitraglieri [CENSURA] Mentre dunque i lavoratori erano impegnati nei lontani rioni dell’Arena oltre il centro, una colonna di ufficiali e arditi imboccò in fretta il Corso e, piegando per Monforte – dove è la prefettura – sboccarono in San Damiano esprimendo ad alta voce propositi di distruzione. In quell’ora al giornale non c’è alcuno. Gli operai e la Redazione non sono ancora al lavoro. C’erano solo, per puro caso, il compagno redattore Lanza, il critico teatrale compagno Aloini ed il consigliere comunale socialista prof. Viciani. I dimostranti ebbero poca fatica a fare recedere il cordone di truppa che cedette. [CENSURA]. Poi assalirono a viva forza la Sede del giornale. Cosa sia avvenuto in quel momento non si sa ancora con certezza. È certo che ad un momento si vide cadere un soldato mitragliere colpito da arma da fuoco. Donde sia partito il colpo non si sa. La Stefani[prima agenzia di stampa italiana] si affretta a dire che il colpo è partito dalle finestre dell’Avanti!. Alla versione ufficiale bisogna dare il valore che può avere; infatti le ultime notizie dicono che è stato arrestato un giovane ritenuto autore dello sparo e questo giovane non è della redazione del giornale. Ad ogni modo se pure fosse partito dalla redazione, nessuno può negare la legittimità dell’atto di difesa del proprio domicilio e della propria incolumità. Lasciata libera di fare il proprio comodo e visto che tutto era possibile in quel momento, la banda degli assalitori penetrò nella sede del giornale, dove si abbandonò ad un completo saccheggio. Tutti i mobili furono gettati nella strada, furono danneggiate le linotyper e le rotative e fu tentato di dare fuoco all’edificio. («Avanti!», ed. romana, 16 aprile 1919)

 

La Giunta Socialista al proletariato milanese. La Giunta comunale ha diramato ai cittadini il seguente manifesto: «Un gruppo di provocatori di fronte alla calma protesta del proletariato ha suscitato disordini luttuosi che le organizzazioni operaie volevano assolutamente evitare. Lavoratori! La vostra rappresentanza cittadina ha avuto dalle autorità politiche la promessa che i responsabili saranno puniti. Essa vigila perché la promessa non sia frustrata e la punizione venga estesa a chi non volle mai vedere l’evidente pericolo. Perciò vi esortiamo, cittadini e lavoratori, ad attendere calmi e a non accogliere le provocazioni, a schierarvi in torno alle vostre organizzazioni alle quali esprimiamo la nostra vibrante solidarietà». Seguono le firme di tutti i componenti della Giunta Municipale. («Avanti!», ed. romana, 16 aprile 1919)

 

Il proletariato italiano insorge in difesa del suo vessillo che sventola sempre in alto. Viva l’Avanti! Un gruppo di audaci, mettendo in opera ieri tutte le arti che la guerra insegna, ha saccheggiato ed incendiato la sede del nostro Avanti!a Milano. Di quello che era il caro patrimonio dei socialisti di tutta Italia, fatto di tanto affetto e di tanta concorde attività, non restano che pochi carboni e poca cenere. Tutto è stato vandalicamente distrutto. Noi non siamo affatto stupiti dell’accaduto: spesso abbiamo anzi considerato come un prodigio la esistenza, la fioritura continua e crescente del nostro giornale, fra tanto odio, tanta ira, che la situazione di guerra gli ha scagliato contro. Sappiamo che la lotta, che le classi dirigenti di tutti i paesi hanno scatenato nel monto, è lotta senza quartiere: abbiamo la coscienza che in questa lotta noi rappresentiamo, col nostro glorioso Avanti!, la bandiera più fulgida di una delle parti; non possiamo levare alcuna voce di meraviglia se questa bandiera è stata segnale come il bersaglio dei nemici, se è stata colpita, se pare atterrata per un momento. Ma grandemente s’illudono questi nemici s’essi credono di averci sopraffatti. Non è un giorno ch’essi hanno compiuta la valorosa ed impunita impresa e noi siamo ancora saldi al nostro posto, colla nostra fede ardentissima come guida. L’Avanti! è già risorto dalle proprie ceneri. L’Avanti! non può essere spento, perché rappresenta il socialismo stesso – abbiamo l’orgoglio di dirlo oggi, che a noi guardano milioni di proletari aspettanti – e il socialismo è la necessità storica dell’era, dopo che l’individualismo borghese, ci ha dato, colla strage internazionale, la dimostrazione della sua colpa, la sensazione della sua fine. Il socialismo è nelle cose. Non si stronca un’idea, come si spezza col martello del pazzo la macchina, che la distribuisce alle centinaia di mille lavoratori nelle officine e nei campi. E poiché è viva l’idea, si ricompone anche la macchina. Avanti! Non rifacciamo qui la cronaca degli avvenimenti. Ci limitiamo a correggere un dato di fatto che ha per noi valore decisivo. La versione autorizzata ha parlato di folla dimostrante contro l’Avanti!e di revolverate sparate dall’Avanti!contro la folla e contro i soldati, di conseguenza indignazione, degenerata in tumultuoso furore, che ha incenerito la nostra sede. La nostra stessa edizione torinese – senza poter avvertire che questa era la versione Stefani– l’ha pubblicata per intero. Ora ciò non è esatto. Non c’era, per concorde testimonianza di diversi presenti, folla alcuna contro l’Avanti! [CENSURA]. All’Avanti! non v’erano che pochi redattori ed impiegati, uomini e donne, una dozzina in tutto, nessuno sparò, tanto è vero che, per l’uccisione del mitragliere Pietro Bogai, fu arrestato, quale supposto autore, il meccanico Romeo Sal…, che era in istrada e non all’Avanti!. La versione autorizzata tende a stabilire che il giornale del Partito Socialista è stato linciato dalla folla, mentre la folla è oggi, come sempre, con noi, che siamo stati vittime d’una vera imboscata preparata abilmente, con rara audacia, da un gruppo di pochi, sicuri dell’impunità. [CENSURA] Ma l’imboscata, preparata da lunga mano e perfettamente riuscita in tutti i suoi particolari – dall’assalto simultaneo nel momento in cui tutti i compagni nostri erano tranquilli al comizio affollatissimo all’Arena, al getto delle bombe incendiarie, al defenestramento dei mobili, alla distruzione degli archivi della redazione e di amministrazione, allo spezzamento di tutto il macchinario – dimostra quali sono i propositi dei nemici del proletariato. Essi s’accorgono che ogni giorno che passa segna nuovi immancabili progressi per noi e tentano le supreme, disperate difese provocando le masse, mentre tanta parte di cittadini è ancora sotto le armi e sente nell’animo la profonda nostalgia della casa. [CENSURA] La guerra «rivoluzionaria» deve portare alle sue necessarie conseguenze. La pace, invano cercata attraverso le contrattazioni diplomatiche, non può essere data che dal socialismo. noi non abbiamo che continuare sereni e forti per la nostra strada. Ecco perché noi, col Partito Socialista, con la Confederazione del Lavoro, con tutti quanti gli organi autorizzati del nostro movimento, consigliamo, invochiamo, pretendiamo da tutti i compagni lavoratori la calma vigile dei forti. Noi sventeremo il giuoco dei nemici non accettando le loro provocazioni, aspettando la nostra ora. La manifestazione della volontà proletaria è riuscita dovunque solenne. Le disposizioni draconiane prese dalle autorità ne dimostrano internamente l’efficacia dimostrativa. Questo ci basta, per ora, perché questo è pieno di speranza per noi. I lavoratori torneranno al lavoro, non dimenticando le vittime, stringendosi sempre più attorno all’Avanti! che è nostro orgoglio, la loro forza. La bandiera del Partito Socialista Italiano non si piega. Essa sventola in alto, sempre più in altro. Avanti! Avanti! («Avanti!», ed. torinese, 17 aprile 1919)

 

Il primo arrestato è un ufficiale. È stato arrestato dal delegato Pistono tale Comollo Giuseppe, d’anni 31, commerciante, da tre mesi esonerato, abitante in via Foro Bonaparte 54, ex tenente di cavalleria. Costui martedì, quando i dimostranti uscivano dall’Arena, affacciandosi al balcone sparava tre colpi di rivoltella di cui uno per poco non colpiva il tenente dei carabinieri Bonola. («Avanti!», 18 aprile 1919.)

 

I colpi all’Avanti! Il primo giornale del mattino che poté uscire in Milano dopo l’eccidio di via Mercanti e la devastazione dell’Avanti! fu il Corriere della Sera. Uscì il 17 e, prudentemente, si affrettò a non esporre alcuna informazione od opinione propria sulla versione ufficiosa dell’Agenzia Stefani che gli assalitori dell’Avanti! fossero stati accolti da uno o più colpi di rivoltella sparati dalla sede del giornale. Si limitò ad accennarvi cautamente, di volo, con un «altri dice… altri nega». La verità – cioè che nessuna reazione era stata usata, né si sarebbe potuta tentare, in quelle condizioni (e, tanto meno, alcuna «provocazione») da parte di chi si trovava all’Avanti! – il Corriere della Serala conosceva perfettamente, come la conoscevano tutti i giornali di Milano e l’Agenzia ufficiosa. Tutto quello che il Corriere riteneva poter fare meno indegnamente, per la patria borghese, era di non contraddire troppo manifestatamente a quella menzogna, lasciandone ad «altri» tutta la responsabilità e tutto il… merito presso le sacre istituzioni capitalistiche. L’indomani, lo stesso Corriere riferiva del sopraluogo fatto da una Commissione giudiziaria nei locali dell’Avanti! allo scopo di stabilire se vi fossero tracce, nelle griglie delle finestre, di colpi partiti dall’interno verso la folla, e rilevava che erano stati fatti esperimenti per vedere entro quanto raggio un colpo di rivoltella sparato mettendo la canna fra le griglie avesse potuto colpire persone che si fossero trovate nella strada». Le persiane – continuava il Corriere– non recano tracce di colpi di rivoltella e le deduzioni fatte tendono ad escludere che dall’interno si sia sparato verso la strada. Dare questa notizia non era, evidentemente, nulla di eccessivo in fatto di onestà. I risultati degli esperimenti e i verbali giudiziari erano quali erano, anche se il Corrierenon ne dava notizia. Ma il Corriere– forse sotto la pressione della «solidarietà» di classe che la borghesia militarista e succhiona reclama da lui – non ha potuto resistere ventiquattrore alla paura di sembrare, almeno su un punto, approssimativamente onesta. Ed eccolo, il 19, cercare di cancellare quella penosa impressione. In che modo? Oh, semplicissimo! Anche se i risultati della perizia tecnica sono quelli già noti, «c’è chi ha veduto l’elmetto» del mitragliere Speroni; e questo indomito qualcuno «attesta che l’elmetto fu perforato da un colpo proveniente evidentemente dall’alto». Occorre altro? «Evidentemente». No!… Veramente, fra i lettori del Corriere, per quanto poco esigenti in fatto di verità e di onestà politica, ce ne potrebbe essere qualcuno tanto pedante da fare ancora qualche modesta riserva, fra tanto che vengono immediatamente ad ogni cervello che non rinunzi alle proprie funzioni. Di queste tante riserve – che noi qui neppure accenniamo, perché il Corriere«sa» la verità, come la sanno «tutti» i suoi, dal soldato di professione al «gentiluomo» che se ne fa strumento e ne applaude sommessamente le gesta «eroiche» – di queste riserve, il Corrierestesso ne prevede una: «E la ferita?…» La risposta è degna in tutto di quei tali gentiluomini. Eccola qui, testuale, integra: «Vi è contrasto, invece, sulla situazione della ferita, ma questa potrà essere stabilita dalla perizia che l’autorità giudiziaria ha ordinato e che non fu pertanto compiuta. Ad ogni modo che dei colpi di rivoltella siano stati sparati da elementi contrari ai dimostranti è provato dal grave fatto, di cui fu vittima il giovane Nuccio Zambaldi e che già riferimmo, nonché dagli arresti effettuali e di cui demmo ieri notizia». In altre parole: «La prova» che i dimostranti» contro l’Avanti! sono stati ricevuti a revolverate dagli uffici dell’Avanti! stesso e, probabilmente, anche «la prova» che uno dei colpi partiti da questi uffici ha ucciso il povero Speroni, consiste nel fatto Zambaldi (avvenuto, semmai, «dopo» le violenze all’Avanti!, come risulta dallo stesso Corrieredel 18 corrente) e nell’arresto di due persone estranee all’Avanti! per «sospetto» – dice il rapporto della autorità e risulta dal Corrieredel 18 – di aver avuto parte nell’uccisione del soldato Martino Speroni. E questa è la gente che parla, adesso, di pacificazione e di armonia sociale e patriottica! Ah no! Potrete farci accoppare con più o meno spesa – direttamente, non usate esporvi – signori gentiluomini: ma fare che noi – i «delinquenti», gli indiziati di omicidio! – tolleriamo anche solo l’ipotesi di confonderci con voi, no, mai! («Avanti!», ed. torinese, 22 aprile 1919)

 

Come fu devastato l’Avanti! La «generosa», eroica impresa contro l’«Avanti!» di Milano è avvenuta – nessun socialista dimenticherà questa data! – il 15 aprile. [CENSURA] Verso le 17 e mezzo, per la via San Damiano quieta e quasi deserta, un plotone di fanteria, proveniente dalla vicina Piazza del Verziere, al comando di un tenente, si portava sotto gli uffici dell’«Avanti!» in via S. Damiano, insieme a pochi carabinieri e guardie di polizie in divisa. Erano un centinaio di uomini in tutto e dal tenente venivano disposti in due doppie file: l’una lungo la facciata della casa ove ha sede l’«Avanti!», dallo sbocco di via Chiossetto fin presso il portone; l’altra di fronte, lungo il parapetto del Naviglio. Perché erano mandati, quegli uomini? [CENSURA] Da quali spiriti fossero animati quei «dimostranti», le autorità non potevano ignorare! Tuttavia, la «forza» mandata a sbarrar il passo in via San Damiano fu quella che abbiamo detto: un centinaio di uomini, forse meno. Ben altra, volendo, si sarebbe potuto mandare, dalla stessa piazza del Verziere; senza contare che due compagnie di soldati stazionavano alla Prefettura, nella vicina via Monforte… enonebbero ordine di muoversi, né allora né poi. Se ci indugiamo un momento a rilevare questi particolari, non è già perché pensiamo che maggior forze avrebbero impedito l’invasione e la devastazione del nostro giornale… Soltanto, sarebbe stato un po’ più difficile, poi per le autorità e per la stampa borghese, affermare, che i funzionari o i soldati mandati «a presidiare l’“Avanti!”» non avevano potuto resistere alla pressione dei «dimostranti»… [CENSURA] All’altezza di via della Passione (cioè a circa cinquanta passi dall’«Avanti!») il reparto d’assalto «travolse l’ultima resistenza» dei soldati e dei carabinieri, che si erano mossi ad incontrarlo… – dicevano, la sera stessa, le versioni ufficiose. [CENSURA] Giunti così sotto il balcone, chiuso, e sotto le finestre dei locali di redazione – che erano e che rimasero tutte aperte, persiane e vetrate, [CENSURA] tentavano di sfondare la porta e scalavano il balcone, [CENSURA] probabilmente per rendere assolutamente impossibile a chiunque si trovasse dentro, ogni tentativo di difesa. La porta che uno dei fattorini del giornale aveva fatto appena in tempo a chiudere, resistette; il balcone fu scalato in un momento, perché è molto basso dal livello della strada e per di più, una delle finestre del pian terreno, là sotto, con la relativa inferriata, offre come una scala a chi voglia arrampicarvisi. Dal balcone, infrangendo le persiane, gli invasori giunsero nel salone del Consiglio d’Amministrazione e del Riparto Libreria, dove iniziarono la loro opera di devastazione e di distruzione, schiantando, fracassando, saccheggiando, incendiando. Da questi locali, sondando le porte di comunicazione passarono in quelli di redazione lungo la via S. Damiano e lungo la via Chiossetto (lo stabile ove ha sede l’«Avanti!» è situato appunto nell’angolo fra le due vie). Qui, la devastazione fu anche più metodica, integrale. (La stanza della Direzione, ad esempio fu ridotto, dalla distruzione e dall’incendio, alle sole pareti…). Dai locali di redazione, l’opera devastatrice e incendiaria fu estesa agli ambienti interni del primo piano: uffici, contabilità, abbonamenti e cassa, locali di tipografia e stereotipia, custodia delle raccolte d’indirizzi per la spedizione del giornale. Quasi dovunque, dopo aver demolito e saccheggiato quanto più possibile, il compimento dell’opera di distruzione veniva affidato sistematicamente al fuoco. Nella sala di direzione, come poté constatare lo stesso giudice istruttore – fu usato a tale scopo dell’alcool denaturato [CENSURA], in altri locali, servirono alla bisogna la benzina e l’acqua ragia trovate in tipografia e in stamperia. Particolare degno di speciale rilievo: Nella sala degli impiegati di Amministrazione, mentre qualcuno dei «combattenti» cercava inutilmente di scassinare la cassaforte, di cui fu trovata rotta la maniglia, qualche altro, (evidentemente più fedele alla consegna ricevuta) procurava di colpire l’organismo amministrativo-contabile dello «Avanti!» nelle sue parti essenziali, incendiando un’unica grande scrivania; quella che portava o racchiudeva il libro-mastro, il libro-giornale e gli altri registri più importanti. Null’altro, in quel vastissimo salone – pur così ripieno di scaffali, di scrivanie, di tavoli – è stato incendiato. Per tutto il resto, gli invasori si contentarono di infrangere, di rovesciare, di lacerare. Come i lettori veggono, ci eravamo proposti una narrazione serena e serrata degli avvenimenti dei quali il nostro «Avanti!» è stato vittima. Ma al giorno d’oggi le vittime non hanno la parola. Debbono tacere. Troppi interessi urterebbe la nostra narrazione e troppe menzogne sgonfierebbe. Onde la censura interviene e sopprime e castra. Solo i saccheggiatori – proclamandosi salvatori delle sante istituzioni contro il bolscevismo irruente – hanno il diritto di levare alta la loro parola. Essi non solo debbono essere impuniti, ma anche glorificati. Non intendiamo affatto disturbare il censore perché espurga di sapienti parentesi bianche la nostra precisa requisitoria. Preferiamo tacere. […] Il martirio dovrà pure avere termine, un giorno. («Avanti!», 1 maggio 1919.)

 

La folla devasta l’“Avanti!”. Il corteo patriottico – al quale prendono parte parecchie migliaia di persone: ufficiali, soldati, popolani, operai, studenti – si ricompone subito dopo lo scontro e si dirige all’«Avanti!» con l’intenzione di fare una manifestazione di protesta. Giunto all’altezza del ponte di via S. Damiano, si trova sbarrato il passo da un forte nerbo di truppa e di carabinieri, il quale è subito travolto. Ma come la testa della colonna arriva in vicinanza della redazione dell’«Avanti!» è accolto a colpi di rivoltella tirati dalle finestre del giornale bolscevico. Uno dei proiettili colpisce al capo un soldato mitragliere di servizio dinanzi all’«Avanti!», e lo fa stramazzare cadavere. A questo proposito occorre chiarire una versione raccolta dal Corriere e pubblicata nella edizione straordinaria di ieri. Il mitragliere fu colpito proprioDALL’ALTO, tanto è vero che l’elmetto di lui fu perforato nella sua curva, sulla fascia di protezione, e che il proiettile è penetrato nel cranio.Sono pure feriti alcuni carabinieri di un cordone steso nella via. Il fatto tragico inasprisce enormemente la folla che si accinge senz’altro all’assedio dei locali di redazione. I difensori del giornale resistono per qualche tempo a colpi di rivoltella, ma i dimostranti riescono ad abbattere il portone di ferro e ad invadere anch’essi tutte le stanze della redazione, della direzione, dell’amministrazione, della libreria, della tipografia, ecc., accingendosi alla completa distruzione di quanto vi trovano, e gettano così ogni cosa nel Naviglio. Quando la devastazione è finita, qualcuno dei dimostranti appicca il fuoco perché le fiamme compiano l’opera. Tutto ciò si è svolto con una eccezionale rapidità – si slancia al… contrattacco, dell’ex redazione non resta più che il ricordo. Quale presunto autore dell’uccisione del soldato mitragliere è stato tratto in arresto l’elettricista Romeo Sainati, d’anni 23, abitante in via Torbola, 16. Accompagnato alla questura centrale, fu trattenuto in attesa che la sua posizione venga chiarita. È degno di nota il fatto che i dimostranti i quali hanno dato l’assalto al giornale di via S. Damiano, si sono preoccupati di recuperare – a scanso di equivoche interpretazioni – la cassaforte dell’Avanti! e di farla subito depositare… alla questura centrale. Ieri l’altro mattina l’autorità giudiziaria ha fatto un sopraluogo nei locali del giornale per constatare i danni subiti. Il racconto di uno che c’era.Abbiamo avuto occasione di intrattenerci con un cittadino trovatosi presente al conflitto e alla dimostrazione successiva. Egli ci ha detto: «I comizianti bolscevichi per via dei Mercanti con grida di Viva Lenine con bandiere rosse hanno sfondato due o tre cordoni di carabinieri e di truppa con l’intento preciso di assalire la grandiosa dimostrazione patriottica al monumento di V.E. II in piazza Duomo. Si sono fatti precedere da una prima ondata di ragazzetti di 15 o 16 anni. Dalla loro colonna sono partiti i primi colpi. I combattenti, radunati intorno al monumento, hanno risposto con revolverate ed hanno inseguiti i leninisti fino al monumento di Garibaldi, disperdendoli. Le colonne patriottiche hanno accettato la sfida bolscevica; si sono ricomposte e dirette all’Avanti! per una dimostrazione ostile. Giunti sotto le finestre chiuse sono stati accolti da salve di revolverate da socialisti nascosti là dietro, ma hanno risposto con nutritissimo fuoco di rivoltelle mentre gli arditi si sono arrampicati sul balcone abbattendone le imposte e sono entrati seguiti da moltissimi combattenti. Tutto ciò che la redazione conteneva è stato gettato nel Naviglio e sono state anche colpite inesorabilmente le macchine. Compiuta la vendetta popolare furono acciuffati quattro o cinque leninisti e portati già in istrada. Gli arditi, compreso l’inutile sacrificio e per non spargere intenzionalmente altro sangue, li hanno sottratti alla morta certa e rimessi in libertà. Posso aggiungere che alcuni difensori del giornale, fingendosi feriti, si fecero caricare sulle barelle della Croce Verde per sottrarsi all’ira popolare. Un altro – certo professore Viciani – si gettà addirittura dalla finestra per schivare gli assalitori, ma cadde… dalla padella alla bragia! Non ho altro da dire, rilevo solo che conseguenze delle mene leniniste sono questo: rivoluzione degli imboscati, avvento della teppa e il ritardo della smobilitazione». Dimostrazione di simpatia al nostro giornale.Verso le 20, una folta colonna di dimostranti – ufficiali e soldati di tutte le armi, studenti, operai – arriva, preceduta dal vessillo nero degli arditi e da alcune bandiere tricolori, davanti ai nostri uffici. Da ogni parte si acclama all’Italia e si chiama a gran voce Benito Mussolini. La redazione del Popoloè subito investita da un gruppo numeroso di dimostranti ed il nostro direttore è costretto a presentarsi al balcone. Al suo apparire la folla entusiasta prorompe in una delirante acclamazione. Mussolini pronuncia poche parole. … Nervose. Egli constata che l’orda leninista – la quale credeva e crede ancora di poter sabotare e mutilare la vittoria – ha trovato innanzi e sin da principio degli italiani a tutto disposti pur di salvarne i frutti. Esprime la certezza che il popolo lavoratore avrà il buon senso e la forza di non lasciarsi traviare da colore i quali mirano a trascinarlo alla rovina; inneggia ad una patria nuova, forte in pace come fu forte in guerra, e conclude salutando i dimostranti al grido di Viva l’Italia!La folla che si pigia nella via risponde con un possente triplice evviva. I morti. Il mitragliere uccido da uno dei difensori dell’Avanti! era del distretto di Varese e si chiamava Martino Speroni. Durante i conflitti della giornata si ebbero altri tre morti. Teresa Galli, di anni …, abitante alla Bovisa 33, colpita da arma da fuoco alla nuca. Pietro Bogni, operaio, colpo di rivoltella alla regione occipitale. Giuseppe Luccioni, d’anni 16, via Savona 24, morto all’ospedale, pure colpito da arma da fuoco. I feriti.Mentre usciva da un Bar insieme a degli amici, fu colpito da un proiettile di rivoltella alla schiena l’impiegato Giuseppe Borghi, nostro caro amico e collaboratore per la parte sportiva. Egli fu subito raccolto ed accompagnato prima ad un posto di pronto soccorso e poi all’Ospedale Maggiore dove venne ricoverato in condizioni molto gravi. Alle diverse Guardie mediche furono operate le seguenti altre persone, delle quali alcune – le più gravi – vennero inviate agli ospedali. Pannazzi Ottavio (via … 35), ferita arma da fuoco regione …. Rossi Giovanna (via Orti 14), ferita arma da fuoco gamba sinistra. Sottocorno Attilio (via …), ferita arma fuoco coscia sinistra. Di Paolo Altredo (via Pastrengo 19), ferita arma fuoco gamba sinistra. Bonafini Francesco (via Castaldi 3), ferita arma fuoco gamba sinistra. Nobile Franco (via Stella 16), ferita arma fuoco regione deltoidea destra. Rossi – manca il nome – (via Spartaco 2) ferita arma fuoco mano sinistra. Dell’Ola Raffaele (via Alessandro 4), ferita lacero contusa alla testa. De Gaspari Vittorio (via Angelo Nosso 283) ferita lacero contusa alla regione scapolare ed altra alla regione parietale. Consoli Paolo (via Leggo 6) ferita lacero contusa mano destra. Carnevali Cesare (via Vallazze 38) ferita mano destra. Maiorna Lorenzo, sergente 4 alpini, ferite multiple. Non volle essere medicato. Negroni Giovanni ferita lacerto contusa alla testa. Viciani prof. Gaetano, d’anni 39, contusioni varie (riportate precipitandosi da un balcone dell’Avanti!). Vacchini Pietro, d’anni 18, allievo fuochista, ferita da arma da taglio. Ceretti Liberto, d’anni 16, ferita arma da fuoco ad un piede. Arturo Prenassa, d’anni 37, meccaino (via Nino Bixio, 388), ferito al torace. Uberti Raimondo, d’anni 17, panettiere (via Orti 16), coltellata all’avambraccio sinistro. Nicolatti Giovanni, via … 21) contusione al ginocchio. Cremona Alberto, d’anni 37 via Nino Bixio 28), ferita arma da fuoco al torace. Rozzi Giovanni, (via Orti 14) ferita arma da fuoco gamba destra. Fasani Bruno, d’anni 18, meccanico (via Ripamonti 3), ferita arma da fuoco al torace. Premazzi Ottavio (via Canonica) ferita arma da fuoco. Alle varie guardie mediche furono inoltre curati per lievi ferite o per contusioni i seguenti cittadini. […] All’Ospedale militare sono ricoverati nove militari feriti. («Il Popolo d’Italia», 18 aprile 1919)

 

L’inchiesta governativa.In seguito ai dolorosi avvenimenti di Milano sono arrivati da Roma il ministro della guerra generale Caviglia e il ministro Bonomi per compiere un’esauriente inchiesta sui fatti avvenuti. Il questore di Milano comm. Eula è stato esonerato dall’ufficio, la cui direzione è temporaneamente assunta dall’ispettore generale al Ministero dell’interno commendatore Gasti. («Il Popolo d’Italia», 18 aprile 1919)

 

Due manifesti del prefetto.Il prefetto ha fatto affiggere, uno dopo l’altro, i seguenti manifesti: «Cittadini!Dolorosi fatti sono avvenuti a Milano. La forza pubblica non ha fatto uso delle armi. I responsabili, di qualunque parte, saranno sollecitamente e severamente puniti. È dovere di tutti di conservare la calma. Da parte mia contribuirò ad essere severo tutore dell’autorità e dell’ordine»; «Il prefetto della provincia di Milano decreta: nella città e circondario di Milano sono vietata in luoghi pubblici o aperti al pubblico i cortei, i comizi, gli assembramenti e le riunioni di persone superiori di numero a cinque, anche se non stazionanti. I trasgressori saranno passibili di contravvenzione». («Il Popolo d’Italia», 18 aprile 1919)

 

Non subiamo violenze!Giornata tempestosa quella di martedì a Milano: di una tempesta che era venuta accumulandosi in questi ultimi tempi e che un giorno o l’altro doveva precipitare. I lettori leggeranno nel seguito la cronaca che la censura farà bene a rispettare, poiché la verità non fa male, specialmente in questo caso. Cominciamo col dichiarare che se nella condotta delle autorità ci fosse stata una «linea», molto probabilmente il pomeriggio sarebbe trascorso senza straordinari incidenti. Questa linea non c’era o non erano stati predisposti i mezzi per fissarla. Comunque, per testimoniare inconfutabili resti stabilito che i primi colpi di rivoltella partirono dall’avanguardia dei dimostranti sopraggiunti in Piazza del Duomo, malgrado le esortazioni più o meno sincere, degli oratori e che le scariche della folla patriottica raccolta in Piazza del Duomo rappresentano una inevitabile e necessaria risposta. Tutto quel che avvenne di poi fu assolutamente spontaneo; fu un movimento naturale e irrefrenabile della folla, non predisposto, non preparato, non premeditato. L’atteggiamento dei nostri elementi era stato deciso. Tanto il «Fascio Milanese di Combattimento» come l’Associazione dei Volontari di guerra, come la Casa di Mutuo Aiuto dell’Ardito, come l’Unione Italiana del Lavoro e l’Unione Sindacale Milanese e il Circolo col Gruppo Filippo Corridoni avevano stabilito di rimanere spettatori passivi dello sciopero protestatario se fosse stato contenuto nelle ventiquattro ore e di limitarsi in ogni caso alla «difesa» delle nostre posizioni. Questa la verità, la genuina e purissima verità documentata e documentabile. Ma tutto ciò ch’è avvenuto sulle spiagge del Naviglio, anche se non è partito da noi, anche se l’iniziativa non fu nostra, non è da noi rinnegato o rimpianto o deplorato, perché è stato umano, profondamente umano. Non siamo dei coccodrilli democratici e dei vigliacchi. Abbiamo sempre il coraggio delle nostre responsabilità. Siamo ancora quelli di Tregua d’Armi. In fondo, à la guerre comme à la guerre. Se fosse capitata a noi la stessa sorte, non leveremmo lamentazioni melanconiche o proteste inutili. Chi si propone di attaccare, può essere prevenuto nell’attacco. La «sorpresa» è la carta più ricca del gioco. Quel foglio partiva ogni giorno in guerra. La tensione nervosa era divenuta insopportabile in queste ultime settimane. Non si respirava più. Si era diffuso un panico imbecille simile a quello che prendeva certi ambienti all’annuncio delle offensive nemiche. Ogni giorno era una vigilia. Dominava l’incertezza del domani. Data questa situazione psicologica non v’è più da stupirsi su quello che è avvenuto. Ma diciamolo qui chiaro e forte, non erano reazionari, non erano borghesi, non erano capitalisti quelli che mossero in colonna verso via S. Damiano. Era popolo, schietto, autentico popolo! Erano soldati e operai, stanchi di subire il ricatto sabotatore della pace, stanchi di subire le prepotenze, non più semplicemente verbali, dei leninisti. Qui, il nostro giornale è stato presidiato dai soldati e da operai – autentici soldati, autentici operai! – Nessun borghese, dal grosso portafoglio, ha varcato la soglia ben vigilata, della nostra fortezza! È l’interventismo popolare, il vecchio buon interventismo del 1915, che, in tutte le sue gradazioni, si è raccolto attorno a noi. Appunto perché ci sentiamo popolo, appunto perché amiamo e difendiamo il buon popolo lavoratore, noi vogliamo ripetere in quest’occasione, la nostra franca parola: Operai, dissociatevi da coloro che i vostri capi, che per un loro disegno politico, vi hanno spinto e vi vogliono spingere allo sbaraglio sanguinoso e inutile, checché vi si possa dire il contrario, noi non ci opponiamo alle vostre rivendicazioni. Le facciamo semplicemente nostre. Vi aiutiamo, fraternamente e disinteressatamente, per raggiungerle. Siamo i vostri amici, perché non vi chiediamo nulla. Noi non ci opponiamo al movimento ascensionale delle masse lavoratrici, non ci opponiamo a questa magnifica incruenta rivoluzione operaia che è in atto e che ha già, anche in Italia, toccato splendide realizzazioni; noi combattiamo apertamente e fieramente, insieme colla maggioranza dei socialisti di tutto il mondo, quel fenomeno oscuro e criminoso di regressione, di contro-rivoluzione e d’impotenza che si chiama bolscevismo. Noi difendiamo la nostra rivoluzione rinnovatrice e creativa, dagli assalitori proditori della contro-rivoluzione retrograda e distruttiva dei leninisti. Questo sia ben chiaro alle vostre coscienze, o amici operai! E convincetevi ancora, prima di seguire ciecamente gli eccitatori leninisti che poi vi piantano sul più brutto, che noi siamo molti, e soprattutto siamo decisi. Abbiamo del fegato. Abbiamo fatto la guerra. Ci siamo macerati nelle trincee. E per la nostra libertà, siamo disposti a tutti i sacrifici. E contro a tutte le dittature, siano quelle della tiara, dello scettro, della sciabola, del denaro, della tessera, siamo pronti ad insorgere. Vogliamo il progresso indefinito delle folle lavoratrici, ma le dittature dei politicanti, no, mai! Dopo la giornata di martedì, qualcuno che faceva troppo lo spavaldo e che aveva assunto arie da smargiasso rovesciamondo, deve aver imparato, a proprie spese, che l’interventismo popolare milanese è ancora un osso duro da rodere; che noi siamo uomini dalla pellaccia dura, perché non abbiamo nulla da perdere e che non è possibile, né ammissibile, né tollerabile che poche dozzine di leninisti, pretendano di violentare una città grande e possente come Milano, e meno ancora violentare l’anima della nazione, che avendo lottato e sanguinato per la più grande libertà, non intende sacrificarla alle nuove asiatiche tirannie. Mussolini. («Il Popolo d’Italia», 18 aprile 1919)

 

L’opera… antibolscevica dei pompieri militari.Durante i tumulti di via Mercanti e Piazza del Duomo, concorsero a smorzare gli entusiasmi bolscevichi delle cosiddette «Guardie Rosse» quattro potenti autopompe militari. A questo proposito i pompieri comunali ci tennero subito a far sapere che essi non erano stati gli innaffiatori dei dimostranti rossi; ed il loro desiderio è esaudito, tanto più che il capitano del Genio comandante la sezione pompieri militari è lieto di rendere di pubblica ragione, che i suoi soldati mai ebbero a collaboratori i pompieri dipendenti dal comune socialista. [CENSURA] La sezione pompieri del Genio operante contro i dimostranti, comandata da un capitano sardo, tre volte decorato al valore, venne a Milano direttamente dal fronte, dove durante tre anni compì prodigi di valore e di abnegazione in numerosi incendi e bombardamenti. («Il Popolo d’Italia», 18 aprile 1919)

 

La giornata del 16. Gli avvenimenti del giorno 15 hanno indotto i cosiddetti bolscevichi (quanta ironia in questa autodefinizione! Quanta «operetta») a proclamare la continuazione dello sciopero generale… sine die. Ma i propositi di quegli ottimi signori (parliamo dei «dirigenti»; dei quei dirigenti, cioè, che nei momenti epici non si trovano), quei bravi signori debbono essere rimasti assai scornati, ieri l’altro, 16, dall’aspetto che presentava Milano. A parte il fatto che le intimazioni prefettizie hanno avuto sui terribili bolscevichi un effetto meraviglioso – pari, o quasi pari, alla superba reazione popolare del giorno innanzi; la quale non è stata che unpreludio); a parte questo, è ugualmente vero che quasi tutta la città, nelle sue manifestazioni palesi, si è solennemente infischiata della deliberazione in parola. Ed i negozi erano aperti, e i caffè erano frequentatissimi, ed i cinematografi rigurgitavano nel pomeriggio e nella serata; e la vita appariva normalissima, perché la gente di tutto parlava fuorché dello sciopero e pensava solo ad… … la … provata dalla speciale paralisi dell’attività cittadina. Nonostante l’ordine di sciopero molte categorie di lavoratori – ed i «dirigenti» ci … dall’elencarle; essi lo sanno – hanno ripreso tranquillamente il lavoro né intendono lasciarlo. La giornata del 16 trascorse in perfetta tranquillità e vi sarebbe da sudare, non una, ma dieci camicie per trovare in tutta Milano un incidente degno di nota. […] Com’era stato annunziato dalla «Stefani» della mattina, sono arrivati a Milano il ministro della Guerra, generale Caviglia, è quello dei Lavori Pubblici, on. Bonomi. I due Ministri hanno presenziato ad una riunione di senatori e deputati; hanno ricevuto le rappresentanze di molte associazioni patriottiche, politiche, economiche – tra le quali quella del Comitato antibolscevico – ed hanno preso parte nella sera a una riunione in prefettura, cui parteciparono pure il deputato Treves, e la Giunta municipale, oltre agli on. Mattioli e Beltrami, il segretario della Confederazione, D’A…, ed altri. («Il Popolo d’Italia», 18 aprile 1919)

 

Gli arresti.Nelle giornate del 15 e del 16 furono … circa trecento arresti, in grandissima parte di persone trovare in possesso di armi od imputate di resistenza e di oltraggio agli agenti della forza pubblica. («Il Popolo d’Italia», 18 aprile 1919)

 

Un manifesto della Giunta.Cittadini!Un gruppo di provocatori di fronte alla calma protesta del proletariato ha suscitato disordini luttuosi che le organizzazioni operaie volevano assolutamente evitare. Lavoratori!La vostra rappresentanza cittadina ha avuto dalla autorità politica la promessa che i responsabili saranno puniti. Essa vigila perché la promessa venga estesa a chi non volle mai vedere l’evidente pericolo. Perciò vi esortiamo, o cittadini, o lavoratori, ad attendere calmi, a non raccogliere le provocazioni, a serrarvi intorno alle vostre organizzazioni alle quali esprimiamo la nostra vibrante solidarietà. – – – Gruppo di provocatori? Di chi si intende parlare? Di chi ha sparato per primo? La risposta, in tal caso, è nella cronaca. O si allude, per inconsapevole ironia – la stessa ironia che è nella vece delle cose – al gruppo di provocatori, veramente trascurabile, che intende di rimorchiare nella propria china insana la massa dei lavoratori e che già da troppo tempo tiene sospesa quella specie di spada di Damocle che vorrebbe essere il bolscevismo sulla testa di tutti gli italiani?(«Il Popolo d’Italia», 18 aprile 1919)

 

La terza giornata. Lo sciopero muore.Alla mattina del terzo giorno di sciopero l’aspetto che la città va assumendo, di ora in ora, è quello dei giorni normali. Quasi tutti i negozi sono aperti, i caffè, i restaurant, affollati; non più i soliti gruppi di curiosi, ma il movimento consueto dei cittadini intenti ai propri affari; qualche vettura pubblica principia a circolare; solo i trams mancano. V’è il solito apparato d’ordine; ma la calma è completa. V’è impressione che, a poco a poco, lo sciopero vada morendo d’anemia e di stanchezza. Verso le 15 un manifesto della Camera del Lavoro e della Sezione socialista affisso per le vie annuncia la cessazione dello sciopero. Lievi incidenti si ebbero a deplorare a porta Venezia e via Paolo Sarpi. La città è imbandierata. («Il Popolo d’Italia», 18 aprile 1919)

 

Ufficiali e soldati.Lo spirito delle truppe che in questi giorni presidiano Milano è semplicemente meraviglioso. È lo spirito dei soldati dell’Isonzo e del Piave, artefici superbi della vittoria italiana. Con la stessa serenità, con la stessa abnegazione che li inchiodò nelle trincee di fronte al nemico, tengono oggi le posizioni perché la loro vittoria non sia infranta dall’insana voglia distruttiva di coloro che, mentre essi combattevano e …, invocavano la sconfitta, perché la sconfitta, soltanto la sconfitta, poteva essere propizia al trionfo delle loro perverse voglie dissolvitrici. È assai triste che questi nostri cari soldati, dopo mesi ed anni di guerra, debbano sostenere ancora dure fatiche e sacrifici; essi che dovrebbero esser accolti dall’abbraccio franco di tutto il popolo, e circondati dall’amore di coloro che meno soffrirono la guerra, ed aiutati a riprendere il proprio posto nella vita civile. È doloroso ed iniquo che tutto questo avvenga per l’insano fanatismo di una esigua minoranza che tenta di distrarre le masse lavoratrici del lavoro pacifico, per lanciarle in una folle impresa di distruzione, dalla quale avvantaggerebbero forse pochi politicanti, mentre il paese sarebbe gettato nel baratro d’una rovina economica e morale senza pari. È doloroso ed iniquo che i soldati, reduci della fronte, invece degli archi di trionfo trovino un nuovo nemico assediatore della patria da tenere a bada; ma appunto per questo il loro sacrificio è degno di tutta la devozione del popolo, la loro serenità è ammonimento a quanti credono di poter valere delle libertà per uccidere la libertà. […] Noi non sappiamo dove vorranno trascinare il paese i nemici interni, e dobbiamo essere pronti a tutto per salvarlo. I soldati nostri sono l’opera e sono l’esempio. Sappiano e sentano che non sono soli. Che intorno a loro tutta la nazione è in piedi fiera e decisa a proteggere con loro, a continuare con loro l’opera magnifica che essi hanno edificata al cospetto dell’altro nemico coi loro morti, coi loro feriti, col loro sangue. Milano interventista, Milano italiana, la enorme maggioranza di Milano, città superba del lavoro creativo – sì anche la Milano dei lavoratori che abbiamo visto, che vediamo intorno a noi – è in linea, a fianco dei suoi soldati per la nuova battaglia che non ammette esitazioni o tentennamenti, indugi o viltà. Milano è in linea con tutte le sue forze sane, insofferenti dell’oltraggio che si voleva infliggerle. È inutile che i capi del bolscevismo più o meno acceso tentino ora di scatenare di fronte alle responsabilità degli avvenimenti. Non si eccita impunemente la folla per mesi e mesi con una predicazione di odio e di violenza, non si promette invano il paradiso terrestre con relativa dittatura per offrire poi quando il momento pare giunto, il piatto di lenticchie di uno sciopero addomesticato di ventiquattro ore. Dopo avere acceso l’incendio, dopo aver cercato con tutti i mezzi il pretesto del morto, esca macabra per dar fuoco alle micce, non si può andare all’Arena a predicare la calma, l’ordine e la buona educazione. C’era all’Arena tra la folla operaia accorsa al comizio socialista anche qualche migliaio di fanatici armati di rivoltella e di nodosi randelli che non erano andati là per recitare il rosario e cantare litanie. E sono state quelle migliaia di fanatici che dopo il comizio s’avviavano verso la piazza del Duomo, non certo per una passeggiata di piacere che hanno provocato il conflitto. Libertà di manifestare? Sì, ma libera per tutti. Ogni predicazione di violenza, in un paese di vivi, suscita sentimenti di controviolenza, perché la libertà, se diventa monopolio d’un partito si traduce in tirannia per gli altri. Questo è avvenuto martedì a Milano, e senza organizzazioni, per moto spontaneo di popolo, soprattutto per impulso generoso e irrefrenabile di soldati e ufficiali, di gente che ha fatto la guerra e porta sul petto i segni della campagna e delle decorazioni e sul braccio e sul corpo i segni delle ferite e delle mutilazioni. È nata in piazza del Duomo la manifestazione italiana. Diritto per diritto. Libertà per libertà. Ma i bolscevichi avanzanti ad un grido di guerra che significa violenza e distruzione non si è accontentato dei loro comizi e dei loro cortei: ha voluto sparare sui cittadini che hanno il torto di reclamare anche per sé la libertà di opinione e di azienda, ed è scoppiato il conflitto. Ufficiali, soldati e borghesi, gente che ha fatto la guerra in trincea, che ha imparato dalla guerra una nuova disciplina, le nuove audacie, gente che non ammette più le delittuose fazioni demagogiche che spingono innanzi i gregari e nascondono i capi, hanno avuto il sopravvento. Sotto i più forti, sono i più audaci, sentono di lottare per una causa santa e hanno vinto. Cosa vogliono ora i bolscevichi? Trascinare anche l’Italia nel disordine russo e tedesco? Essi dimenticano che l’anima di un esercito vittorioso non è l’anima di un esercito di stato. È l’anima del nostro esercito vittorioso, l’anima della nazione vittoriosa. Essi tentano con le insidie e con la violenza di piegarla, di abbatterla. Il tentativo è audace quando vano. Ma la Nazione vittoriosa contro il nemico esterno saprà superare e vincere anche questa nuova battaglia. («Il Popolo d’Italia», 18 aprile 1919)

 

Un’intervista di Mussolini al “Giornale d’Italia”.Il Giornale d’Italiaha pubblicato ieri questa intervista del suo corrispondente milanese. La riproduciamo: «Abbordo Mussolini: – Come va? – Bene, molto bene; il fantoccio grottesco del leninismo italiano è uno straccio pietoso consegnato nell’immondezzaio della cronaca nera. – Quale è stata la parte vostra e delle organizzazioni che vi seguono? – Attorno al Popolo d’Italiastanno i soci del Fascio di combattimento, un migliaio circa di soldati e di operai, poi l’Associazione dei volontari di guerra che nella sola Milano conta 800 iscritti, e la Casa di mutuo aiuto dell’ardito. Abbiamo preso contatto con altre associazioni che ci seguono. Tutte queste forze avevano deciso di tenersi sulla «difensiva» a proposito dello sciopero protestatario per queste ragioni: 1. Perché lo sciopero aveva un carattere platonico, 2. Perché non doveva durare oltre le ventiquattro ore. Se scaduto questo termine lo sciopero avesse assunto nuove direttive anti-interventiste ed anti-nazionali, allora noi saremmo passati al contrattacco. Nell’attesa noi, seguendo le buone regole di guerra, provvedemmo a munire il nostro giornale e le sedi delle organizzazioni solidati con noi. Conoscete la cronaca della giornata di martedì. Quel che avvenne fu spontaneo e provocato dall’elemento estremista del sovversivismo milanese. Guardate la lista dei morti e dei feriti. Si tratti di ragazzi dai 16 ai 18 anni. Gli operai di una certa età e di una certa esperienza non partecipano a dimostrazioni senza scopo. E questi operai sono la maggioranza enorme anche a Milano. Tutto quello che avvenne all’Avanti!fu spontaneo, assolutamente spontaneo. Movimento di folla, movimento di combattenti e di popolo stufi del ricatto leninista. Si era fatta un’atmosfera irrespirabile. Milano vuole lavorare. Vuole vivere. La ripresa formidabile della sua attività economica era agitata da questo stato d’animo di aspettazione e di paura specialmente visibile in quella parte della borghesia che passa i suoi pomeriggi ai caffè invece che alle officine. Tutto ciò doveva finire. Doveva scoppiare. È stato uno scoppio climaterico, temporalesco. A furia di soffiare e soffiare l’uragano si è scatenato. Il primo episodio della guerra civile c’è stato. Doveva accadere in questa città dalle fiere impetuosissime passioni. Noi dei Fasci non abbiamo preparato l’attacco al giornale socialista, ma accettiamo tutta la responsabilità morale dell’episodio. Se i socialisti se i socialisti avessero un tantino di fegato dovrebbero indicare la loro parte di responsabilità morale e forse materiale in tutto il resto. – Quali conseguenze risulteranno dall’episodio doloroso? – Lo sfregio al magno giornale può raccogliere ancora una volta l’unanimità sentimentale dei socialisti, ma la loro unità politica è finita. Fra Turati e Serrati c’è un abisso e ci sono degli ultra-estremisti per i quali il Serrati è già un codino. La corsa al più rosso è fatale. In questa policromia, le sfumature vanno all’infinito. Giungono alla pura follia. Ma probabilmente estremisti del partito, sindacalisti e anarchici formeranno il «partito comunista» anche in Italia. – E crede a un bis dello sciopero generale? – A breve scadenza no. Il primo maggio sarà festaiolo. I socialisti si saranno a quest’ora convinti che nella nazione italiana saranno fronteggiati da opposizione fortissima. Quelli che non vogliono dittature di partiti sono milioni e sono soprattutto combattenti ed ex combattenti. Noi disponiamo di numerose forze politiche e contiamo di sottrarre tra poco molte masse operaie all’influenza del «pus». Del resto questi signori socialisti cosiddetti ufficiali sono una infima minoranza. […] – E i Fasci di combattimento? – Organizzazione giovane, ma già potente. Siamo nato il 23 marzo. In un mese sono sorti 82 Fasci in tutta Italia e raccolgono oltre 15.000 soci. – Qual è il carattere dell’organizzazione? – È un anti-partito, senza statuto, senza regolamento. Abbiamo appena stabilito una tessera per il riconoscimento personale dei soci e a prezzo libero. – Avete pregiudiziali? – No. Le pregiudiziali sono delle maglie di ferro o di stagnola. Non abbiamo la pregiudiziale repubblicana, non quella monarchica; non abbiamo la pregiudiziale cattolica o anti-cattolica, socialista o anti-socialista. Siamo dei problemisti degli attualisti, dei realizzatori che si raccolgono intorno ai postulati di un programma comune. – E quale è questo programma? – Eccolo: toglietelo dal Popolo. È un programma di audacie e di possibili realizzazioni immediate. Richiamo la vostra attenzione sull’ultima parte del programma: l’imposta straordinaria sulla ricchezza specialmente su quella guadagnata troppo comodamente. Come vedete non neghiamo soltanto, ma affermiamo. Non siamo dei reazionari come dicono dei malinconici imbecilli legati alle ripetizioni me dei rivoluzionari che hanno il senso della responsabilità e sopra tutto quello della possibilità. Noi vogliamo il popolo grande economicamente e moralmente in una grande nazione. Non è con la dittatura di quattro politicanti da bottega che si lavora per le masse operaie. Ecco il programma che noi presenteremo al Governo: 1. Presentare un progetto di legge che sancisca per tutti i lavoratori italiani la giornata di otto ore; 2. Accogliere gli emendamenti operai al progetto Ciuffelli sull’assicurazione globale sopra tutto per i limiti d’età; 3. Sistemare il personale ferroviario. Nell’ordine politico interno: 1. Non opporsi alla riforma elettorale che è già passata in Francia, quindi scrutinio di lista a base proporzionale; elezioni a smobilitazione compiuta. 2. Revisione di quei processi militari che furono condotti senza sufficiente garanzia per gli imputati e il rifacimento di quelli contumaciali. Nell’ordine economico finanziario: imposta progressiva straordinaria sul capitale per fronteggiare i bisogni del dopo guerra, specialmente per ciò che riguarda le provvidenze a favore dei mutilati invalidi combattenti e famiglie dei caduti. – Che cosa vi proponente nell’avvenire immediato? – La realizzazione dei «Sindacalismo nazionale», cioè una organizzazione operaia nella quale autorità e potere risiedono veramente e unicamente nella massa e non in stipendiati professionali. Non deve essere più permesso di menare per il naso le masse e di gettarle allo sbaraglio senza prima averle direttamente consultate col referendum. («Il Popolo d’Italia», 19 aprile 1919)

 

Ciò che dice Caviglia.(Per telefono al Popolo d’Italia) – Roma, 18 notte. Il ministro della guerra on. Caviglia, di ritorno da Milano ha fatto le seguenti dichiarazioni: «Ho l’impressione che il temporale abbia rischiarato l’orizzonte. La nostra preoccupazione sul luogo è stata diretta a far sì che le diverse attività si svolgessero – coi metodi loro consentiti – alla conquista dei rispettivi ideali senza urtarsi ad ogni momento. Io spero che il buon senso dei cittadini li persuaderà a seguire la via che abbiamo tracciata e che permette a tutti una onesta libertà». («Il Popolo d’Italia», 19 aprile 1919)

 

La calunniosa versione.Milano, 18. La parola d’ordine è data, bisogna ad ogni costo far credere al pubblico abituato da quattro anni a bere ogni sorta di menzogne e a convalidare con la sua fiducia ogni sorta di calunnie che la devastazione selvaggia e brigantesca perpetra contro l’Avanti!lunedì sera, è stato l’effetto di una violenta reazione alla provocazione partita con colpi di rivoltella dalle finestre del nostro giornale. La calunniosa leggenda non può stare in piedi. Richiamiamo con tutta calma, e per aiutare il lettore a distinguere il vero dal falso, alcune circostanze di fatto. Sotto i nostri uffici di via S. Damiano stazionavano in permanenza nel pomeriggio di lunedì: uno scaglione di carabinieri, uno scaglione di guardie di P.S. e uno scaglione di militari mitraglieri. Stavano appoggiati al parapetto del Naviglio e a ridosso del muro della casa nella quale siamo appoggiati. Il drappello di mitraglieri stava sull’angolo di via della Passione che dista circa 50 metri dalle finestre del giornale. Tutti quei militari e funzionari erano così abituati a fare la guardia all’Avanti! senza nulla temere da parte di coloro che al giornale sono addetti o amici-visitatori che avevano tutti il consueto atteggiamento di tranquillità e stanca fiducia. Passano così le ore che la massa socialista impiega nel comizio dell’Arena e una parte di questo coi dimostranti interventisti nel tragico conflitto di via Mercanti. Durante questo periodo di tempo nessuna parvenza di attrito tra la forza pubblica e gli uffici del giornale ove si trovavano i pochi impiegati, qualche redattore e i soliti fattorini. Finito il comizio all’Arena e chiusosi il sanguinoso episodio di via Mercanti alcuni compagni raggiungono il giornale per dare le prime notizie dell’accaduto, alcuni giovani per offrire le loro testimonianze e dimostrare che la folla non minacciosa ma, al canto di inni socialisti, venne accolta a revolverate. Sono le 18. Di lì a pochi minuti arriva trafelato un giovane e grida a tutti quelli che si trovavano al giornale: «Salvatevi fin che siete in tempo». I fattorini che sono a pianterreno chiudono la porta, quelli del piano superiore chiudono le finestre e prima ancora che alcuno possa rendersi conto esatto di ciò che sta per accadere, si sentono echeggiare i colpi di rivoltella che gli assalitori sparano contro la truppa, guardie e carabinieri, portandosi immediatamente sotto le finestre del giornale. Qui gli assalitori – essi soli – hanno operato liberamente, tentando di sfondare la porta e raggiungere la finestra che da sul balcone, per la quale poi sono penetrati negli uffici della Direzione amministrativa, nella libreria, nella redazione, nell’amministrazione, in tipografia sempre sparando all’impazzata contro mobili e pareti, visto che non vi erano persone da uccidere. Ora quand’è che gli spari dalle finestre del giornale sarebbero avvenuti? Prima che cominciasse l’assalto? Ma è inverosimile che la forza pubblica che, come abbiamo visto, stazionava sotto le finestre dell’«Avanti!» sia rimasta inerte dinanzi a tale supposto fatto e non abbia essa invaso gli uffici del giornale per rintracciare il colpevole o i colpevoli? E se non è avvenuto prima dell’assalto, lo sparo dalle finestre del giornale come poteva avvenire dopo l’inizio dell’assalto stesso, se, come abbiamo visto, le finestre vennero chiuse prima che gli assalitori si portassero dinanzi ad esse, tanto vero che contro le persiane vennero sparati dal basso ripetuti colpi, come si è potuto chiaramente rilevare? Ma ci sono due altre circostanze di fatto che demoliscono la tesi (chiamiamola così) della pretesa provocazione. I dimostranti interventisti che cominciavano in piazza del Duomo, ed erano guidati dai fasci di combattimento, come ha dichiarato lo stesso Prefetto in una intervista avuta col corrispondente del Giornale d’Italia, volevano recarsi all’Avanti!. Cosa volessero fare naturalmente non l’hanno detto apertamente al Prefetto, ma risulta dalla circostanza seguente che è stata rilevata dal perito … dalla inquirente autorità giudiziaria nel primo sopraluogo: sulle pareti in legno delle stanze di direzione e nei mobili degli altri uffici trovati tutti carbonizzati, è stato constatato che fu cosparso dell’alcool denaturato perché prendessero più rapidamente fuoco. Di che provocazione si va dunque fantasticando? Questi eroi che avevano preparato perfino i particolari della mostruosa impresa credono dunque di potersi sottrarre alle loro responsabilità ricorrendo a questo miserabile espediente della provocazione? No. No. Sia detto chiaro e forte. L’assalto era premeditato, organizzato, voluto in tutti i suoi dettagli e con tutte le terribili conseguenze che ha avuto e che poteva avere. Perché se è vero che non vi furono vittime umane, è anche vero che ciò avvenne solo perché all’improvviso fragore delle revolverate, quanti erano negli uffici del giornale – redattori, impiegati, tra i quali due donne, fattorini ed esterni, si sono messi in salvo calandosi dai cortili interni che conducono nelle abitazioni di via S. Damiano e di via Passione, o dalla finestra che guarda in via Chiossetto. […] Potete distruggere una casa, fare un rogo delle cose nostre e anche delle nostre stesse persone, ma non riuscirete ormai più a disperdere un’identità, una speranza, una volontà indomita di rinnovamento ideali ed umano che è radicata come quercia sfidante le procelle, nel cuore di milioni di uomini solidali nella sventura come nei trionfi. […] I sopraluoghi giudiziari.Milano, 18. Mercoledì [16 aprile] il Procuratore del re ordinò, come abbiamo già accennato, un sopraluogo giudiziario per accertare i danni subiti dell’«Avanti!» durante i fatti di martedì. Alle ore 10, il Sostituto Istruttore e del … giudiziario, si recò negli Uffici dell’«Avanti!». Il sopraluogo durò due ore e mezzo. Si constatò che erano devastati dal fuoco i locali della redazione e del direttore, distrutta la biblioteca contenente molti opuscoli di propaganda. Nell’Amministrazione si trovò bruciato il casellario degli abbonati e dei rivenditori, di cui parte fu gettato nel Naviglio. La cassaforte era stata strappata e portata in Questura. Alle «linotypes» erano state sparate le tastiere, sparpagliati e buttati ovunque i caratteri. Alle macchine rotative i conta-copie e gli ingranaggi e scentrati alcuni cilindri. Queste le constatazioni fatte dalle Autorità recatesi per il primo sopraluogo e consegnate ai due Ministri. Un altro sopraluogo fu fatto dall’Autorità giudiziaria giovedì [17 aprile], per stabilire se vi fossero tracce nelle griglie delle finestre di colpi partiti dall’interno contro la folla. («Avanti!», ed. torinese, 19 aprile 1919)

 

Le vittime dei conflitti di Milano. I morti:Teresa Galli, d’anni 10, abitante alla Bovisa, 83, colpita da arma da fuoco alla anca. Pietro Bogni, operaio, colpito da rivoltella alla regione occipitale. Giuseppe Luccioni, d’anni 16 (via Savona 84), morto all’ospedale, pure colpito da arma da fuoco. Martino Speroni, soldato mitragliere, colpito alla testa da arma da fuoco. I feriti: (rimando a quelli del Popolo) («Avanti!», ed. torinese, 19 aprile 1919)

 

L’ordinanza del Procuratore Generale sui fatti del 15 aprile.Il procuratore generale del re in Milano visti gli atti processuali contro: 1. Gaio Armando di Aristide, nato l’8 febbraio 1881 a Milano, quivi residente, detenuto. 2. Ciceri Giuseppe di Enrico, nato il 4 marzo 1900 a Mulazzano, residente a Milano, bastioni Romana, 38. 3 Vecchi Ferruccio d’Arturo, nato il 21 aprile 1894 a S. Alberto di Ravenna, residente a Milano, via Archimede 14 o 43. 4. Pinna Federico di Edoardo, nato il 26 agosto 1898 a Firenze, residente a Milano, corso Vittoria 51, presso Giovanelli. 5. Tomagnoni Gottardo di Severino, nato il 12 marzo 1890 a Milano e qui residente, corso Venezia 16. 6. Marc… Oreste fu Fortunato, nato il 10 maggio 1870 a Budrio, residente a Milano (con. Museo artistico in via Dante o Largo Cairoli). 7. De Cintio Carlo di Angelo, nato il 18 aprile 1903 a Baronello, residente a Milano, via Maighern 14, presso Bonomi. 8. Spinaghi Romeo di Luigi, nato il 28 gennaio 1899 a Milano e qui residente, via Barbavara, 10. 9. Lucini Agostino di Ernesto, nato a Milano il 25 luglio 1903, qui residente, via Bazzini 23, o presso la ditta Biancardi Gambolotta 28, carrettiere. IMPUTATI: Gaio e Ciceri: di avere in Milano, a fine di uccidere, sparato più colpi di rivoltella contro la folla dei dimostranti, da una finestra della Libreria della Società Editrice Avanti!, uccidendo, con uno di essi, il soldato Speroni Martino, il 15 aprile 1919 (Art. 58-404 C.P.). De Cintio e Spinaghi: di avere in Milano il 15 aprile 1919 sparato più colpi di rivoltella contro la folla dei dimostranti, da una finestra della Società indicata, uccidendo con uno di essi il soldato Speroni Martino (Art. 68 p. p. 804 C.P.). Vecchi, Pinna e Tomagnoni: di avere in Milano, in via Mercanti e in via Dante, il 15 aprile 1919, a fine di uccidere, sparato più colpi di rivoltella, nel conflitto tra i socialisti che ritornavano dal comizio all’Arena, e i loro avversari, cagionando la morte di Galli Teresa, Bogni Pietro e Lucioni Giuseppe (Art. 63 p.p. e 804 C.P.). Vecchi, Pinna, Tomagnoni, Marchesini e Di Cintio: a) di avere in Milano, in via S. Damiano, il 15 aprile 1919, appiccato il fuoco, nei locali della Società Editrice Avanti!, a registri, documenti, carta stampata e da stampare, mobili, ecc. in tempo di commozione pubblica (Art. 68 p.p. 800, p.p. 328 C.P.). b) di avere nelle medesime circostanze, in riunione di più di dieci persone, distrutto, disperso, … e deteriorato gran parte di quanto conteneva nei detti locali e del’annessa tipografia (Art. 63 p.p. 424, n. 2, 423 C.P.). Il Lancini: a) di violenza alle guardie di città con calci e pugni in Milano il 15 aprile 1919 (Art. 190 p.p. C.P.). b) di porto di rivoltella senza licenza nelle stesse circostanze (Art. 4040, n. 1, C.P.). c) di contravvenire alla legge sulle concessioni governative, art 15 tabella annessa al testo unico, approvata con decreto-legge luogotenenziale 6 gennaio 1918, numero …. Visti gli articoli 15-16, n. 3, 17-18-313-216-272-274 C. P. CHIEDE che piaccia all’Ecc. Corte Sezione Accusa di Milano, dichiarare chiusa la istruzione e modificando la rubrica a) dichiarate non doversi procedere contro Di Cintio Carlo e Spinaghi Romeo, quando al delitto di omicidio in persona di Speroni Martino, per non averlo commesso; b) dichiarare non doversi procedere: contro Vecchi Ferruccio, Pinna Federico, Tomagnoni Gottardo, Marchesini Oreste e Di Cintio Carlo quando all’incendio in danno della Società Editrice Avanti!, per insufficienza di prove di reità; c) rinviare davanti il Tribunale di Milano: 1. Gaio Armando e Ciceri Giuseppe, quali imputati del delitto previsto dall’art. 378, n. 1-2 del C.P., per avere in Milano il 15 aprile 1919 in via S. Damiano partecipato alla rissa, nella quale rimase ucciso Speroni Martino, soldato, ed altri riportarono ferite gravi, sparando più colpi di rivoltella dalle finestre della libreria della Società Editrice Avanti!. 2. Vecchi Ferruccio, Pinna Federico e Tomagnoni Gottardo, quali imputati del delitto previsto dall’art. 379 n. 1-2, C.P. per avere in Milano il 15 aprile 1919, in via Mercanti ed in via Dante, partecipato alla rissa nella quale rimasero uccisi Galli Teresa, Bogni Pietro e Lucioni Giuseppe, ed altri molti riportarono gravi lesioni personali, sparando colpi d’arma da fuoco, o altrimenti attivamente cooperando alla lotta con animo ostile. 3. Vecchi Ferriccio, Piana Federico, Tomagnoni Gottardo, Marchesini Oreste e Di Cintio Carlo, quali imputati del delitto di danneggiamento specificato nella premessa rubrica. […] Milano, 19 luglio 1919. Firmato: Luigi De Sanctis, sostituto procuratore generale. Di questo momento di sapienza giuridica applicata alla politica, diremo ampiamente domani, mancandone oggi lo spazio e il tempo. («Avanti!», 27 luglio 1919)

 

Commediola giudiziaria finita!La cosiddetta istruttoria giudiziaria che doveva rintracciare i colpevoli delle uccisioni avvenute il 15 aprile in via Mercanti, dove caddero revolverati da ufficiali di varie armi l’operaia Galli Teresa e l’operaio Boni [sic] Pietro, e in via S. Damiano dove cadde ucciso il soldato Martino Speroni, è stata ufficialmente chiusa. Diciamo ufficialmente, perché essa non fu mai aperta se non per gettare polvere negli occhi del pubblico. Gli sparafacile della borghesia, che si vantarono ripetutamente di aver compiuto le gesta criminose che portarono alla morte di parecchi lavoratori e alla distruzione di ciò che apparteneva al nostro giornale, dinnanzi ai giudici hanno preso un atteggiamento meno spaccone per sottrarsi alle responsabilità penali. D’altra parte la autorità giudiziaria ha fatto del suo meglio per aiutare i figli di papà ad uscire dagli imbarazzi. E dinanzi a tre morti, a parecchi feriti, ad altri minacciati di morte, ad una casa incendiata, ad un’azienda distrutta, i nostri beneamati magistrati pronunciano un’ordinanza che proscioglie dall’imputazione di omicidio i bravi ufficiali che pur si vantarono d’aver sparato in via Mercanti, riduce a danneggiamento l’incendio, la devastazione e il saccheggio perpetrato impunemente all’Avanti!. Se qualcuno di coloro che si trovavano negli uffici del giornale fosse rimasto ucciso dagli assalitori, i signori giudici anche in questo caso avrebbero probabilmente argomentato trattarsi di ferimento in rissa!!! Si rinviano, è vero, a giudizio due che erano negli uffici del giornale – gli operai Gaio e Ciceri – ma, a parte che siamo curiosi di sapere come tenta di costruirsi l’accusa nei loro confronti, si attribuisce anche ad essi il reato di ferimento in rissa!! Ripieghi ed espedienti che tradiscono purtroppo la preoccupazione essenzialmente politica dei magistrati, che vollero salvare i veri colpevoli cercando degli artificiosi termini di compensazione. Ma anche questo episodio giudiziario potrà avere il suo valore… pedagogico. Uccidere, incendiare, devastare… per amor di patria, non è reato, e lo è in misura tale da mandare a spasso i bravi giovanotti un po’ troppo focosi, come disse il ministro Caviglia, con qualche mese di condanna condizionale. Buono a sapersi! I bravi giovani patrioti per chi li avesse dimenticati sono: Vecchi Ferruccio, Tamagnone Gottardo e Piana Federico. («Avanti!», 2 settembre 1919)

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