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25 GIUGNO 1920 – VIA MANZONI/VIA VERDI

Attentato al Cova

Dove? Caffè Cova, angolo tra via Verdi via Manzoni

Soggetti coinvolti: anarchici? Socialisti?

Arresti: Nessuno

Feriti:

  • Mario Fiumano, 21 anni, soldato del 5 Alpini, ferito da una scheggia alla mano sinistra

Vittime:

  • Federico Secchi, residente in corso di Porta Ticinese, 16, ex capitano degli Alpini, ucciso dalla bomba

È appena passata la mezzanotte. Una Ford rossa sta sfrecciando in via Manzoni verso la Stazione Centrale. Si è lasciata alle spalle un corpo sul selciato, materia cerebrale sparsa ovunque.

Il capomastro Federico Secchi ha congedato gli amici con cui è stato a cena fuori. L’ex tenente degli Alpini ha deciso di tornare a casa in Piazzale Ticinese, nonostante le insistenze dei compagni. Appena imboccata Piazza della Scala, una poderosa detonazione ha dilaniato l’ingresso del Caffè Cova. Secchi non è morto sul colpo: i suoi amici l’hanno subito soccorso e portato alla Guardia Medica di via Cappellari. L’operazione d’urgenza però non è riuscita, e il giovane è spirato dopo poco. 

I testimoni dicono di aver visto una macchina rossa, di quelle usate per il servizio pubblico, giungere a tutta velocità da via Brera e rallentare all’altezza del Cova. Qui uno dei tre individui a bordo ha lanciato un involto contro la saracinesca del caffè, che si sarebbe poi rivelato una bomba SIPI. L’ordigno ha sbattuto contro la saracinesca, ed è esploso uccidendo il malcapitato Secchi, la cui unica colpa è quella di essersi trovato al momento sbagliato, nel posto sbagliato. 

La questura indaga. Immediatamente si inizia a cercare l’auto in tutti i garage della città, senza riuscire a rintracciarla. Il vicecommissario Giovanni Rizzo capirà solo che la macchina proveniva da Porta Ticinese. Si pensa a qualche dipendente scontento o ai camerieri in sciopero. Non si crede possibile che si sia riaperta la stagione delle bombe anarchiche. 

Giuseppe Mariani, nel suo memoir, sostiene che gli autori del colpo non furono anarchici. Anche il gruppo terrorista aveva puntato il Cova, come vendetta nei confronti dell’autorità politica e attacco ai fascisti in seguito ai fatti del 22 giugno, ma la loro azione si esplicherà solo il 7 di agosto.

Francesco Lisati, Storia degli anarchici milanesi (1892-1925), La vita felice, Milano 2016, pp. 241-242

Vincenzo Mantovani, Mazurka blu. La strage del Diana, Rusconi, Milano 1979, pp. 257-259

Una bomba in Piazza della Scala, «Avanti!», 26 giugno 1920

La misteriosa bomba di via Verdi, «Avanti!», 27 giugno 1920

Una bomba contro il “Cova”. Un capitano degli alpini moribondo ed un soldato ferito, «Il Popolo d’Italia», 26 giugno 1920

Una bomba in Piazza della Scala. Verso le 24 e mezza in Piazza della Scala, davanti al Ristorante Cova, è stata vista passare un’automobile rossa, di quelle che fanno servizio pubblico, ad un tratto dalla vettura è stato lanciato un involto che appena ha urtato sul solito è scoppiato con immenso boato. Dopo i primi momenti di sgomento si è potuto assodare che trattavasi di una bomba, la quale, purtroppo, ha colpito in pieno certo Sacchi Federigo, che è moribondo. Anche un soldato ha riportato una leggera ferita ad una mano. Della misteriosa automobile ancora nessuna traccia. («Avanti!», 26 giugno 1920)

La misteriosa bomba di via Verdi. Permane il mistero intorno allo scoppio della bomba di ieri notte in via Verdi, mistero che le indagini finora esperite e le deposizioni di numerosi testimoni oculari o quasi non riescono a svelare. Come diciamo nella prima notizia data nel numero di ieri, l’ex capitano Secchi Federico, figlio del prof. Oreste, proveniva dal ristorante segnato col n. 10 di via Verdi, ove era stato in compagnia del capitano avvocato Mario Rossi, domiciliato in via … 6, e del tenente degli alpini in congedo Franco Mariani. I tre si avvivano verso le loro dimore, quando il Secchi dimostrò premura di affrettarsi a rincasare, abitando lontano dal centro, e precisamente la n. 14 del piazzale Ticinese e, vincendo le premurose proteste degli amici, si avviò con passo affrettato verso piazza della Scala. Era giunto all’altezza della settima vetrina del Cova, quando, scoppiata la bomba, fu investito da una grossa scheggia al capo, che gli produsse la tremenda ferita, dalla quale uscì parte della materia cerebrale. Il Secchi è spirato ieri mattina all’Ospedale Maggiore. È accertata, da parte dei numerosi testimoni che hanno deposto in merito, che quando avvenne lo scoppio l’automobile non era riuscita ancora a raggiungere la svolta di via Manzoni, tanto da trovarsi a pochi passi dall’ordigno esplosivo e a pochi metri dall’infelice Secchi. Per ciò è facile arguire che la parte posteriore della vettura dovrebbe avere evidenti i segni dello scoppio, giacché il raggio dell’esplosione formò una «… di proiettili» che distribuì le schegge tutt’intorno, tanto vero che le saracinesche del Cova sono tutte perforate, tranne le prime due, prossime all’angolo di via Manzoni. È accertato che l’auto era una piccola macchina «Ford» di quelle … che ancora … . In piazza. Ciononostante sebbene fosse stato disposta una vigilanza in tutti i garage e … l’auto non è stata ancora rintracciata. L’altro ferito Mario Rossi del ’98, da Genazzano (Roma), soldato del 5° alpini, proveniva da piazza Manzoni diretto in via Brera, quando scoppiò la bomba, di cui una scheggia gli produsse una ferita alla mano sinistra, giudicata guaribile in 10-15 giorni. Egli non ha saputo aggiungere null’altro d’interessante ai particolari raccolti, sicché sul fattaccio perdura ancora il fitto mistero. («Avanti!», 27 giugno 1920) 

Una bomba contro il “Cova”. Un capitano degli alpini moribondo ed un soldato ferito. Questa notte, verso la mezzanotte e trenta, il capomastro Federico Sacchi, di anni 30, capitano del 7 Alpini in congedo, figlio del professor Oreste, abitante in piazzale Ticinese 14, prendeva commiato, all’altezza della chiesa di San Giuseppe, posta in via Verdi, dall’amico suo capitano avv. Rossi, che abita in via Bossi 6, e con il quale aveva passato la serata. Da qualche minuto il Sacchi si era allontanato che l’avv. Rossi udiva una fragorosa detonazione. Accorse, e vide, dinanzi all’ingresso del «Cova» n. 10 di via Verdi l’amico che poc’anzi aveva salutato, disteso al suolo con la testa intrisa di sangue. Lo sollevò, lo adagiò in una carrozza pubblica che lo condusse alla G. M. di via Cappellari. Le condizioni del ferito erano disperate, per cui fu provveduto per il suo immediato trasporto all’Ospedale Maggiore. Egli aveva riportata una ferita alla regione frontale parietale con fuoriuscita della sostanza cerebrale. Dallo scoppio era rimasto pure ferito il soldato del 5 alpini Mario Fiumano, della classe del ’99, aggregato alla sussistenza da Genazzano (Roma). Il racconto di un testimonio oculare. Il signor Attilio Sillario, abitante in via Bellini 10, che si trovava in quell’ora con la propria signora all’angolo del Teatro della Scala con via Verdi, ha raccontato di aver visto un’automobile pubblica, verniciata tutta di rosso, venire da via Brera e rallentare presso il «Cova». Un individuo è sceso, si è udito un rumore come il sasso lanciato contro la saracinesca, quindi il Sillario ha vista una luce brillare e girare a terra e subito dopo è avvenuta l’esplosione. L’automobile si è allontanata lentamente per via Manzoni, forse colpita da qualche scheggia, ma più avanti la sua velocità è aumentata, così non è stato possibile raggiungerla. Da ciò si arguisce che l’individuo sceso per un istante dalla vettura ha lanciato una bomba – una SIPE – con l’intenzione di farla passare per la lunetta della porta, e quindi farla esplodere nell’interno del locale. Ma il tiro essendo stato corto, l’ordigno ha battuto prima contro la saracinesca ed è ricaduto a terra dove è esploso. In quel momento passava il capitano Sacchi. Dinanzi al n. 10 era una larga pozza di sangue e sparsi qua e là grumi di materia cerebrale: alcune saracinesche erano bucherellate. I vetri all’interno infanti e sul selciato, verso piazza della Scala, graffiature provocate dalla forte esplosione. La polizia giunta subito sul posto ha iniziato immediatamente delle indagini per rintracciare l’automobile. E la ricerca non deve essere difficile. Al ferito è stata operata la trapanazione del cranio, ma le sue condizioni sono gravissime. («Il Popolo d’Italia», 26 giugno 1920)

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