';
29 LUGLIO 1919 – TRIBUNALE DI MILANO

Bomba anarchica

Dove? Tribunale di Milano, Piazza Cesare Beccaria

Soggetti coinvolti: anarchici

Arresti:

  • Aldo Perego, nato a Milano il 5 febbraio 1900, meccanico, condannato a 12 anni di reclusione e 3 anni di vigilanza speciale per complicità con Bruno Filippi nell’attentato al Tribunale di Milano con danno allo stabile e con pericolo di vita delle persone e al caffè Biffi il 7 settembre 1919.
  • Guido Villa, nato a Milano il 23 maggio 1897, fattorino, condannato a 10 anni di reclusione e 2 anni di vigilanza per complicità con Bruno Filippi nell’attentato al Tribunale di Milano con danno allo stabile e con pericolo di vita delle persone e al caffè Biffi il 7 settembre 1919.
  • Elena Melli, nata a Piaggione (Lucca), nata il 4 luglio 1898; operaia metallurgica accusata di correità con Filippi, Perego e Villa nell’attentato al Tribunale con danno allo stabile e con pericolo di vita delle persone e al caffè Biffi il 7 settembre 1919, assolta.
  • Maria Zibardi, nata a Milano il 19 dicembre 1901, guantaia, accusata di correità con Filippi, Perego e Villa nell’attentato al Tribunale con danno allo stabile e con pericolo di vita delle persone e al caffè Biffi il 7 settembre 1919, assolta

Feriti: Nessuno

Vittime: Nessuna

Chi ha piazzato un tubo di gelatina al terzo piano del Tribunale di Milano?

Difficile a dirsi: la polizia brancola nel buio.

Il Corriere della Sera sostiene che il movente sia politico, e velatamente allude alla pista socialista. Si parla anche di una reazione esagerata a seguito di una lite coniugale portata in Tribunale: pare che un vecchio magistrato francese abbia visto una donna allontanarsi in fretta dal luogo del misfatto. C’è chi ventila invece la possibilità che si tratti di un cimelio bellico, dimenticato da chissà chi in fondo a un armadio e esploso per decomposizione chimica.

Quel che è certo è che il 29 luglio, giorno in cui ricorre l’anniversario dell’assassinio del re Umberto I da parte dell’anarchico Bresci, il Palazzo di Giustizia è scosso da un fragoroso boato poco dopo le 13.45. La detonazione provoca una pioggia di vetri infranti e il crollo di due pareti e pezzi di soffitto, mettendo in allarme tutto l’edificio e le strade circostanti. Per fortuna non ci sono vittime: coloro i quali erano al terzo piano si aggirano in stato di shock ricoperti di polvere «simili a pesci al momento della frittura», ma senza ferite gravi. A saltare è stato un armadio della Cancelleria civile, usato dagli inservienti per conservare scope e divise. Esclusa l’ipotesi della fuga di gas, si comprende ben presto che l’esplosione è stata causata dallo scoppio di un tubo di gelatina, ma nessuno sa o immagina chi sia stato a piazzarlo.

Ignorato da tutti, un giovane di diciannove anni stringe i pugni. Ha partecipato al primo comizio anarchico a giugno nella palestra delle Scuole di Porta Romana, ma la linea tracciata dal professor Napoleone Vanelli non lo convince. Fa parte di un nucleo terroristico con Giuseppe Mariani, Aldo Perego e Guido Villa, e si è convinto che un gesto eclatante possa incitare il proletariato alla rivoluzione in maniera molto più efficace di lunghi discorsi pubblici e propaganda porta a porta. Con l’aiuto di Villa ha messo a punto l’ordigno, e ha deciso di compiere il primo atto di rivolta proprio nel giorno in cui gli anarchici commemorano Bresci, inaugurando la stagione delle bombe con il primo attentato dinamitardo del dopoguerra. Si tratta di Bruno Filippi.

Le ragioni dell’atto eclatante e della scelta del luogo le spiega lui stesso sulle pagine dell’Iconoclasta! di Pistoia, pubblicate postume il 15 settembre:

«Quanta quotidiana disperazione là dentro! Quante vite infrante in un attimo dall’inesorabile vendetta borghese! Possibile che tutto il dolore accumulato in decenni di atroci sofferenze non esplodesse in un attimo travolgendo tutto? E così il 29 luglio di quest’anno nel palazzo di giustizia di Milano urlò tragicamente la dinamite di un ribelle. Il solitario pioniere che lontano dal rumore della vita pensa e sogna alza talvolta il capo e stringe le pugna»

Filippi, che troverà la morte poche settimane più tardi piazzando un altro esplosivo al caffè Biffi nella Galleria Vittorio Emanuele, non sarà mai imputato per i crimini commessi nell’estate del 1919. A un anno di distanza, i suoi complici Aldo Perego e Guido Villa sono condannati a scontare 12 e 10 anni di carcere per aver pianificato e messo in pratica gli attentati che agitarono l’estate milanese del 1919. Perego e Villa, durante le deposizioni, dichiarano di aver voluto ammonire la borghesia e «incutere un po’ di timore». Ma non volevano vittime.

– Quelli che vogliono e fanno vittime in gran numero sono i carabinieri, assetati di sangue!

Ognuno si prende la colpa d’aver aiutato Filippi, davanti a una corte di cui, come anarchici, non riconoscono apertamente l’autorità, in quanto essa non rappresenta la società, ma una reazione contro l’umanità.

Bruno Filippi (Biblioteca Franco Serantini, archivio fotografico dizionario biografico degli anarchici italiani ed. online)

«La Domenica del Corriere», 10 agosto 1919 (Digiteca della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea, Roma)

Il Popolo d’Italia», 30 luglio 1919 (Digiteca della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea, Roma)

«Avanti!», 30 luglio 1919(Digiteca della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea, Roma)

Vincenzo Mantovani, Mazurka blu. La strage del Diana, Rusconi, Milano 1979, pp.95-97

Francesco Lisati, Storia degli anarchici milanesi (1892-1925), La vita felice, Milano 2016, p. 213

Lo scoppio di una cartuccia di gelatina in Tribunale. Molto panico. Nessuna vittima, «Avanti!», 30 luglio 1919

A proposito dello scoppio in Tribunale. La malafede del “Corriere”, «Avanti!», 31 luglio 1919

Corte d’Assise. Il processo per le bombe scoppiate al Tribunale e in Galleria, «Avanti!», 13 luglio 1920

La fine del processo per le bombe. Aldo Perego condannato a 12 anni, Guido Villa a 10 anni, Elena Melli e Maria Zibardi assolte, «Avanti!», 14 luglio 1920

Un tubo di gelatina che esplode nel Palazzo di Giustizia, «Il Popolo d’Italia», 30 luglio 1919

Cronaca giudiziaria. Il processo degli anarchici in Corte d’Assise, «Il Popolo d’Italia», 13 luglio 1920

Cronaca giudiziaria. La fine del processo degli anarchici, «Il Popolo d’Italia», 14 luglio 1920

Lo scoppio di una cartuccia di gelatina in Tribunale. Molto panico. Nessuna vittima. Una grande detonazione ha messo in allarme quanti erano in Tribunale e nelle sue adiacenze verso le ore 13,45 di ieri. Subito dopo si è sentita come una pioggia di pezzi di vetro cadere dall’alto. È stato subito un accorrere di gente verso l’ingresso del Tribunale. In un primo momento quelli che erano negli uffici giudiziari si sono resi conto di quanto era successo. Si era capito che lo scoppio era avvenuto in alto, ma nessuno avrebbe creduto che si fosse trattato di una esplosione. Dopo pochi secondi dallo scoppio si sono udite alte grida invocare soccorso. Ed allora molti, fra cui il nostro redattore giudiziario, si sono precipitati al terzo piano donde partivano le grida. Nel corridoio della Cancelleria civile si sono viste molte persone ancora in preda allo spavento, coperte di terriccio bianco, simili a pesci al momento della frittura, venire fuori dagli uffici terrorizzati. […] La parte di destra della camera adibita alla Cancelleria civile era completamente crollata trascinando tutti gli scaffali carichi di incartamenti, che si erano abbattuti al suolo col terriccio. Gli incarti erano stati lanciati in tutte le direzioni. La parete di fondo della seconda camera, adibita ad ufficio di ruolo era anche crollata ed uguale sorte subirono le centinaia di incartamenti ivi deposti. Tutti i vetri delle finestre degli uffici siti in quel lato del palazzo, anche quelli dei piani inferiori, andarono infranti. Lo scoppio era avvenuto nel corridoio che unisce la Cancelleria agli uffici di Istruzione. Nella prima parte di questo corridoio, a ridosso degli uffici di Cancelleria, vi era un armadio a due compartimenti che serviva agli uscieri per deporvi, in uno le scope e gli altri soggetti di pulizia e nell’altro gli abiti d’ufficio. […] Pare che lo scoppio sia stato causato dall’esplosione di una cartuccia di gelatina esplosiva brillata nel corridoio o dentro uno degli scompartimenti dell’armadio. È da escludersi qualunque altra causa, per il fatto che non esistevano in quel punto e crediamo all’interno del palazzo di Giustizia … di gas. Per fortuna non si ebbero a deplorare vittime. Danni alle persone, dal lato esterno se ve ne furono. La paura forse avrà cagionato dei danni, ma questi sono in misura tale che male non possono fare, specie in estate. Alle cose i danni furono invece notevoli. Chi mise o chi fece scoppiare la gelatina esplosiva in quel punto? Ma! Chi lo sa? («Avanti!», 30 luglio 1919.)

 

A proposito dello scoppio in Tribunale.La malafede del “Corriere”.Ci siamo. L’attentato in Tribunale ha per movente cause politiche, ha detto il Corriere. La cartuccia di gelatina esplosa sull’uscio del sostituto procuratore del re, avv. Guidi, mentre questi esaminava alcuni processi di indole politica. Questa affermazione bugiarda, … da qualche povero diavolo ed accolta con la consueta malafede dal grande giornale, sta a dimostrare la mentalità dei nostri avversari. In Tribunale è esplosa una cartuccia di gelatina? I responsabili sono i socialisti; ed invece di cercare la donna, come voleva quel vecchio magistrato francese, essi cercano il movente politico, e non trovandolo, perché tutto lo lascia escludere, lo inventano con una faccia tosta ed una spudoratezza che fanno solamente schifo. Per questi microcefali non basta che la camera del sostituto Guidi sia separata dal punto ove avvenne l’esplosione da due camere ora vuote. Essi lo affermano lo stesso. Per il Corriere, pur che si tratti di colpire i socialisti, non si va molto per il sottile. […] Sta difatti, per tornare allo scoppio, che esso avvenne nel corridoio che … all’ufficio d’istruzione. Nella prima parte di questo corridoio, appoggiato contro la parete di destra, di chi entra, vi era l’armadio sotto e entro il quale esplose la cartuccia. A sinistra del corridoio vi era l’ufficio di cancelleria civile. A destra, vi è un gabinetto vuoto, il quale confina dall’altra parte con un altro gabinetto anche vuoto, cioè inabitato. Dopo questo secondo gabinetto, terzo, viene il gabinetto del sostituto Guidi. A questi gabinetti si accede da un altro corridoio che forma come un T con quello dove avvenne lo scoppio. Su questo secondo corridoio, vi sono le entrate degli uffici di cancelleria civile, poi sul lato sinistro l’entrata del corridoio ove avvenne lo scoppio, poi la porta del primo gabinetto, poi quella del secondo gabinetto vuoto, come il precedente, ed infine la porta del gabinetto del sostituto avv. Guidi. Dal posto ove avvenne l’esplosione al gabinetto del costituto Guidi, come abbiamo cercato di dimostrare, vi sono parecchi metri di distanza. E per tagliare la testa al roto, diremo che abbiamo voluto interrogare l’avv. Guidi sul fatto. Egli era dolente della panzana del Corriere, avendo la famiglia lontana e potendosi i parenti impressionare. – «E poi – ci ha risposto – non solo non è vero che lo scoppio avvenne sulla mia porta, ma io non ho per le mani processi politici di alcun genere». L’avv. Guidi ci ha confermato quello che noi sosteniamo, che cioè la cartuccia esplose nel corridoio che mena all’Istruzione, dentro o sotto l’armadio descritto. E pare che basti come smentita. In merito al fatto, dicemmo come si seguisse una certa pista, secondo la quale il fatto sarebbe stato l’epilogo di liti coniugali. Dalle indagini fatte dal commissario Pastore e dal delegato Dimizio, questa ipotesi viene ora abbandonata, avendo il sospettato potuto provare lampantemente la propria innocenza. Altro non si sa. L’unica supposizione che trova maggior credito, avendo dovuto scartare tutte le altre, è quella la cartuccia di gelatina avrebbe potuto essere anche riposta nell’armadio come cimelio di guerra, da persona che ora o non ricorda o non parli per paura, e che per decomposizione chimica sia avvenuto lo scoppio. («Avanti!», 31 luglio 1919)

 

Un tubo di gelatina che esplode nel Palazzo di Giustizia.Ieri, poco prima delle 16, un’esplosione formidabile ha messo in soqquadro il palazzo di giustizia e diffuso un gran panico nei dintorni. Passato il primo momento di sorpresa, è stato un accorrere di gente, mentre grida confuse avvertivano che una bomba era scoppiata al secondo piano del palazzo, dove sono gli uffici della cancelleria civile e della procura del re. Infatti, la formidabile detonazione era stata prodotta dallo scoppio d’un tubo di esplosivo, nascosto nell’armadio posto lungo il corridoio che divide gli uffici della procura della cancelleria civile. L’armadio, che per l’esplosione è andato in frantumi, era adibito a i loro abiti e oggetti personali. L’esplosione oltre all’avere sminuzzato l’armadio, ha fatto crollare il muro al quale il mobile era appoggiato, ha scardinato le porte degli altri uffici e rotto i vetri di parecchie imposte. Lesioni gravi si sono prodotte al soffitto ed a varie pareti; fortunatamente non vi sono vittime. Sul posto si sono recati diversi funzionari ed agenti di P.S., il procuratore del re avv. Biastioli e il presidente del Tribunale avv. Curti. Contrariamente a quanto si era ritenuto appena avvenuto lo scoppio, il tuo non apparteneva ai corpi di reato in deposito al tribunale. Il fatto che l’esplosivo era deposto in un armadio ha fatto sorgere il dubbio che il tubo vi sia stato depositato per un fine delittuoso. È stata perciò ordinata una inchiesta, affidata al giudice istruttore avvocato Lamberti. («Il Popolo d’Italia», 30 luglio 1919)

 

Corte d’Assise. Il processo per le bombe scoppiate al Tribunale e in Galleria. Udienza antimeridiana.Ieri, il palazzo del Tribunale presentava un aspetto insolito; anzi, per dir meglio, l’aspetto del quartiere generale delle forze di San Fedele! Lucerne, grigioverdi, guardi in uniforme ed in borghese ovunque, a gruppi, a frotte, a stormi, nell’intorno dell’atrio e della piazza, gli sbocchi delle vie adiacenti, nei più prossimi dintorni, ovunque. […] Dopo le formalità di rito, il presidente comm. Raimondi, inizia l’interrogatorio degli accusati. Si comincia con Villa Guido che, per contare 28 anni, è il più anziano tra gli accusati. Il Villa, fattorino dello studio del comm. Ortali in Milano, di ottimi precedenti penali e morali, mai condannato, esordisce con parola facile e franca, col dichiarare: «Prima di entrare in merito alla esposizione dei fatti dichiaro di essere anarchico e di non riconoscere in questa Corte il diritto di giudicarmi, perché i giurati rappresentano la reazione al progresso delle libere società umane!». E prosegue: «Non mi difendo: la difesa è assurda dal momento che affermo la mia fede anarchica». […] E con Filippi, suo amico intimo e compagno di fede, progettarono di far scoppiare una sommossa, che avesse potuto portare un valido aiuto alla rivoluzione, che marcia inevitabilmente e che, come fenomeno naturale, come fenomeno diremo quasi etico, fatale, non può arrestarsi. E per ciò si prepararono, specie perché correva una buona occasione: lo sciopero – che doveva essere internazionale – del 22-23 luglio. Progettarono di far attentati su alcune linee ferroviarie, cioè quello che potevano portar forza armata in Milano, e precisamente: la Torino-Milano, la Bologna-Genova-Milano, la Venezia-Milano; di far saltare la Centrale elettrica di Paderno d’Adda, e di prendere degli ostaggi come il cav.  Uff. Pignatari, allora capo gabinetto del questore, del maggiore dei carabinieri Tomasi, ecc. Tale piano, spiattellato dal Filippi a Villa – di ritorno da un suo viaggio a Torino – per la vastità dell’impresa non comune, e che richiudeva mezzi superiori alle loro forze, scoraggiò il Villa, impressionato anche dal grande spiegamento di forza che in quei giorni si aveva. Era il 18 luglio. Il Villa dichiarò di non volerne più sapere, e tutto andò a monte. Si rividero, però, e pensarono di attuare un atto di audacia, che fosse stato di ammonimento per la borghesia: una bomba in Tribunale. Capitava l’anniversario dell’attentato di Gaetano Bresci: lo commemorarono. Il Filippi portò a casa del Villa il materiale occorrente e il Villa – ha dichiarato e sostenuto, rivendicandosi tale azione – confezionò la bomba il giorno avanti l’attentato. A mezzogiorno del 27 Filippi andò a prenderla dal Villa, e pare – dice l’interrogato – che con lui fosse anche il Perego. Dopo la prima esplosione, prepararono la bomba per la Galleria – Non abbiamo avuto l’intenzione di far vittime – proclama l’accusato – Non volevamo far vittime! Venuta la sera di domenica, 7, il Perego, in bicicletta, si recò dal Villa per far consegnare la bomba al Filippi; ma il Villa glie la volle portare personalmente in via Settembrini. In tram i due anarchici si recarono in piazza del Duomo. Bruno Filippi s’allontanò col terribile ordigno e il compagno volle seguirlo da lontano. D’un tratto intese lo scoppio e, nel tempo breve che era trascorso, dato che si calcolava lo scoppio dovesse avvenire fra qualche ora, egli presagì la disgrazia. E corse dal Perego a dar notizia. La Corte insiste per sapere da chi provenivano gl’ingredienti per fabbricare la bomba, dato che nella dichiarazione raccolta dal commiss. Dimizio risultava che il Villa avrebbe dichiarato che il Filippi aveva detto di aver ricevuto il tutto dalla Melli. L’accusato insiste che la Melli non c’entra niente e esclude assolutamente che la si possa sospettare. Risulta pure che il 6 settembre il Villa, incontrandosi con tal Virginio Campana, che frequentava la ditta presso la quale il Villa lavorava, gli abbia raccomandato di non frequentare il centro la sera di domenica e quella di lunedì, 7 e 8 settembre. Durante tutto l’interrogatorio il Villa appare calmissimo, preciso, sereno. […]il compagno Costa, della difesa, vuol contestare le dichiarazioni del Villa e gli chiede come mai, lavorando da anni come fattorino, avesse saputo confezionare bombe. L’interrogato che vuole a tutti i costi avere parte partecipe nell’accaduto, dichiara che glie lo insegnò il Filippi e che questo lo fece per le debite precauzioni per celare alla polizia i preparativi. E all’insistenza del Costa, che ritiene come la bomba sia stata invece confezionata dal Perego in casa del Villa, questo insiste, deciso, schietto […] di aver confezionato la bomba con le sue mani stesse. Si passa quindi all’interrogatorio del Perego. Aldo Perego esordisce con dichiarazioni conformi al Villa. È anarchico e approva il metodo rivoluzionario. Conferma il Villa circa quanto costui ha asserito per il movimento rivoluzionario da condurre insieme. […] Conferma il progetto di commemorare Bresci. Dichiara di aver promesso al Filippi di preparare gli ordini esplosivi e li preparò in casa del Villa. È eccezionale, sintomatica, l’ostinazione del Villa e del Perego nell’attribuirsi ognuno il vanto di aver confezionato le bombe. […] Ognuno sostiene, per proprio conto, di essere stato il preparatore degli esplodenti. Villa insiste, il Perego grida di più di lui. La bomba al Tribunale fu portata dal Filippi e l’accompagnò Aldo Perego. Parlando dello scoppio in Galleria, Perego rievoca che in quei tempi c’era lo sciopero dei metallurgici per questioni economiche. I tre anarchici intesero di ammonire la borghesia capitalista, industriale, speculatrice, che si dava bel tempo, che sperperava denaro, mentre negava di migliorare le condizioni degli operai. Essi volevano produrre solo un «effetto morale». Non volevano vittime. – Quelli che vogliono e fanno vittime in gran numero sono i carabinieri, assetati di sangue! – grida il Perego e mostra i … che sono nella gabbia a vigilare gli accusati. Ne nasce un putiferio, e il presidente richiama severamente l’imputato, che protesta contro le sopraffazioni continue, sanguinarie della benemerita. Ristabilitasi la calma, è interrogata Elena Melli, che dichiara di essere venuta a Milano nel gennaio 1919 per trovare lavoro, e di essere votata alla causa della anarchia. – Diventaste anarchica a Milano – chiede il presidente. – Anarchica si nasce, non lo si diventa! – sentenzia la donna, con tono reciso. Dice che a Milano, frequentando alcuni comizi, conobbe numerosi compagni, ma non seppe niente della preparazione delle bombe. Col Bruno andavano dopo d’accordo, specie perché si bisticciavano in seguito a discussioni antifemministe, nelle quali il Filippi rivelava il suo temperamento impulsivo e autoritario. Apprese i fatti dai giornali, e si recò il giorno dopo in via Ugo Foscolo per osservare da vicino il disastro. Vide un brandello di stoffa, che aveva appartenuto al povero Filippi, e volle conservarlo per ricordo. Circa la voluminosa corrispondenza avuta col metallurgico Giuseppe Mariatà di Mantova, ella sostiene che tutti gli inviti a venire a Milano a fare il «suo dovere» esistevano solo perché il Mariani era suo amante, … in Melli da nove anni è divisa dal … marito. La difesa interloquisce per fare rilevare che certe cartoline della donna scritte all’amante riproducono figure di donne nude, ecc., più specialmente adatte a corrispondenza di amore che… politica. Del biglietto inviatale in carcere dalla Zibardi – che fu intercettato e sequestrato – e che diceva: «Carissima Elena, non ti posso dire quello che so perché tu ti metta al corrente. Aldo dice bella una dichiarazione che le munizioni venivano da Bruno che le prendeva da … Nega, nega, come io nego. Ecc.» – La Melli dichiara di non sapere nulla del tutto e di meravigliarsi di apprendere ciò che a lei riesce nuovo o strano. La Zibardi, interrogata, dichiara di avere conosciuto Filippi nel 1917 […] e che non ha saputo né delle bombe né di quanto aveva in mente il suo amante. Dice però che qualche notte, verso la fine d’agosto, avendo dormito in casa del villa (perché i genitori la scacciavano da casa) aveva visto tre latte, due chiuse e una scoperchiata, latte che servirono poi per la bomba di via Ugo Foscolo. Udienza pomeridiana.Si sentono vari testimoni d’accusa. […] Tutti per provare che… lo scoppio ci fu! («Avanti!», 13 luglio 1920)

 

Cronaca giudiziaria. Il processo degli anarchici in Corte d’Assise.È … ieri alla Corte d’Assiste il processo contro alcuni anarchici imputati di complicità nello scoppio della bomba, avvenuto la sera dell’8 settembre scorso in Galleria. Dalla terribile esplosione, come i lettori ben ricorderanno, rimase unica vittima l’autore stesso dell’attentato, il giovane anarchico Bruno Filippi. Alla sbarra sono: Aldo Perego di Luigi e di Silvia Stella, nato a Milano il 5 febbraio 1900, meccanico; Guido Villa fu Felice e di Tancona Maria, nato a Milano il 23 maggio 1897, fattorino; Elena Melli fu Adolfo e fu Anna Cristina, da Piaggione (Lucca), nata il 4 luglio 1898; operaia metallurgica e Maria Zibardi di Francesco nata a Milano il 19 dicembre 1901, guantaia. Essi sono imputati di correità del delitto commesso il 27 luglio 1919 nel palazzo del Tribunale nel fare scoppiare una bomba in tempo e luogo di pubblico concorso con danno allo stabile e con pericolo di vita delle persone; di quello per l’attentato in Galleria e di associazione a delinquere al fine di incutere pubblico timore e di suscitare disordini. Il Villa che è gobbo, ammette esplicitamente di aver preso parte alle macchinazioni terroristiche del Filippi, fu proprio lui che confezionò la bomba esplosa in Galleria e uccise il Filippi. Lo scoppio in Tribunale, secondo gli autori dell’attentato, doveva ricordare l’anniversario dell’uccisione di re Umberto. Il Villa rivendica la sua fede anarchica e sostiene la necessità di trasformare l’organismo sociale con attentati terroristici. Egli è esplicito: con le esplosioni isolate si voleva intanto incutere un po’ di timore. Del resto il Villa non mostrò di preoccuparsi eccessivamente delle conseguenze alle quali va incontro, poiché come ha dichiarato all’inizio del suo interrogatorio, essendo anarchico non riconosce alcun diritto alla Corte che gli sta dinanzi per giudicarlo, poiché essa rappresenta non la società ma la reazione contro tutte le società. Il Villa è orfano di padre da sette anni, la madre è a Mombello da undici anni, affetta da pazzia. La gobbosità dell’accusato non è da attribuirsi alla nascita. Aldo Perego, rigidamente vestito in nero, premette anch’esso di essere anarchico e quindi di approvare i metodi rivoluzionari non avendo fiducia nei metodi evoluzionisti che non permettono, lasciando un regime reazionario di inculcare alle masse quell’educazione che basti perché si governino da sole. Come il Villa, l’accusato ammette di avere partecipato alla preparazione degli attentati e allo studio dei mezzi atti a provocare la sommossa. Alle varie contestazioni il Perego risponde semplicemente: – Siccome sono anarchico non riconosco a questa legge un’autorità e non ho nessuna intenzione di difendermi. La Melli – divisa dal marito da sette anni e amante di tal Variant, anarchico – dice che anarchici si nasce. Conosceva il Filippi  ma afferma di non essere mai stata edotta dei preparativi rivoluzionari. Maria Zibardi, fidanzata del Filippi, piange. Si dichiara di fede socialista e di famiglia cattolica; ma è dissenziente dalle idee del Filippi e dei suoi compagni. L’udienza pomeridiana è stata occupata dalla lettura degli interrogatori e delle perizie delle esplosioni e dalle deposizioni di testimoni senza importanza. Il contegno dei principali accusati semplifica e alleggerisce il lavoro della giustizia. Si suppone che per stasera si possa avere il verdetto dei giurati. Preside il comm. Raimondi. P.M. il cav. De Santis. («Il Popolo d’Italia», 13 luglio 1919)

 

La fine del processo per le bombe. Aldo Perego condannato a 12 anni, Guido Villa a 10 anni, Elena Melli e Maria Zibardi assolte. […] [non si legge quasi nulla] La sentenza. Alle 17, terminate le arringhe … il presidente comm. Raimondi invita il pubblico a sgomberare l’aula, dovendo la giuria esaminare i … e domande e votare quindi …. […] Alle 18.45 il presidente comm. Raimondi […] legge il verdetto della Giuria. Il P. M. chiede per il Perego la condanna di 15 anni di reclusione e per il Villa 11 anni. L’avv. Costa si alza e insiste perché la pena del Villa debba essere diminuita della metà […]. Alle 1905 il presidente si ritira e alle 19.8 rientra per leggere la sentenza, con la quale: Aldo Perego è condannato a 12 anni di reclusione e 3 anni di vigilanza speciale; Guido Villa a 10 anni della stessa pena e 2 anni di vigilanza (tutti e due per complicità e non correità) e Maria Zibardi ed Elena Melli sono assolte e messe subito in libertà. («Avanti!», 14 luglio 1920)

 

 

Cronaca giudiziaria. La fine del processo degli anarchici.Ieri è continuato e terminato il processo contro i complici dell’anarchico Bruno Filippi, organizzatori ed esecutori di attentati dinamitardi. Nell’udienza pomeridiana prese parte il rappresentante di …, sostituto procuratore del cav. De Sanctis. Le argomentazioni del procuratore del re non dispiacquero ai due principali accusati che han tenuto a rivendicare fino all’ultimo la santità del gesto compiuto. Così il P.M. … i giurati che … chiamati a giudicare non delle … qualunque stato, non sono incriminabili … ma dei tristi e … fatti compiuti. Riferendosi all’esame degli elementi probatori raccolti alle deposizioni e alle ammissioni … ed esplicite del Villa e del Perego ne dedusse la necessità per i giudici di riconoscere la loro piena colpabilità ammessa dagli accusati stessi come manifestazione eseguente e volontà della loro fede. Ammette la piena facoltà mentale dei due accusati e ricorda come il Villa, pure fisicamente tarato, abbia mantenuto un contegno fermo e … a nome della purezza della sua fede e per il trionfo di quella idealità che …. Solo si commosse al ricordo dei suoi genitori – sentimenti che vibrano e si espandono negli uomini normali – e questa è una nuova prova della consapevolezza … e sola che ha guidato la sua mente nel concepire e nel cooperare alle criminose operazioni. Poi due … quindi egli … energicamente l’accusa. Per le due donne il cav. De Sanctis disse che sebbene il suo convincimento possa suggerirgli lo sforzo di una qualsiasi dimostrazione, assolve … al suo compito abbandonando alla giustizia dei giurati, i quali esaminano prove ed indizi sapranno dare loro un giusto valore, … il loro verdetto … della coscienza e della giustizia. Terminata la requisitoria del P.M. avrebbe voluto prendere la parola il Villa, ma il presidente lo avvertì che ora toccava ai difensori parlare. Ed infatti principiarono subito le arringhe degli avvocati. […] L’avv. Costa [difensore di Villa] parà lungamente sulla tara ereditaria del Villa. A questo punto il Villa diede segni di commozione e di inquietudine, tanto che il presidente gli permise di allontanarsi dall’aula. La difesa dell’avv. Costa si basò tutta nel sostenere la semi infermità mentale del suo cliente che definisce un disperato, un debole e un vinto suggestionato dalla volontà superiore e più forte del Filippi. Chiese ai giurati una pena tale da non caratterizzare il verdetto di ferocia e di vendetta. Non avendo gli accusati nulla da dire, i giurati si ritiravano in camera di deliberazione e vi passarono oltre due ore. Verso le 19 l’udienza fu ripresa. Il verdetto dei giurati risultò negativo per la Melli e per la Zibardi, mentre per il Villa e per il Perego venne riconosciuta la complicità nella … della bomba in Tribunale e di quella al Biffi, ed … la partecipazione all’associazione a delinquere. La condanna. Ai due imputati furono accettate le attenuanti della minorità e fu tenuto conto del loro anormale stato d’animo e di mente nel momento in cui furono compiuti gli attentati. Perciò il presidente dichiara assolte la Melli e la Zibardi; condanna a 12 anni di reclusione di Perego ed a 10 anni il Villa. Entrambi poi sono condannati a due anni di vigilanza speciale dalla P.S., alla interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e alla rifusione dei danni. La sentenza è accolta con evidente sollievo dagli accusati che si attendevano una pena più forte. Il loro contegno e quello del pubblico e sereno e correttissimo solo la Zibardi, all’a… della sua assoluzione ha una smorfia della bocca come per significare che se ne impipa e che nessuna gioia l’ha presa per il riacquisto della libertà. («Il Popolo d’Italia», 14 luglio 1920)

milano_1920