Il concetto di mitomania nasce ufficialmente nel 1905, quando lo psicologo francese Ernest Dupré (1862-1921) pubblica a Parigi un saggio intitolato La Mythomanie. Étude psychologyque et medico-legale du mensonge et de la fabulation morbides. Tra gli studiosi più attivi sul tema vi è stato lo psichiatra e filosofo tedesco Karl Jaspers, che tra il 1910 e il 1919 ha dedicato vari studi al problema. Oggi il termine è un po’ in disuso, almeno in Italia, dove si preferisce parlare di “sindromi”, e dunque si usa di norma l’espressione “sindrome di Münchhausen”, dal nome del celebre personaggio di Rudolf Erich Raspe, noto per le sue spiritose e immaginifiche invenzioni. Nel titolo di Dupré sottolinerei in particolare i termini che fanno allusione alla menzogna e alla fabulazione morbosa, come quelli che meglio esprimono che cosa lo studioso intendeva per mitomania, da lui considerata una forma di isteria (in seguito si è preferito collegarla al narcisismo psicotico). Mitomane è, per Dupré, una persona che mente senza rendersene bene conto, per una forma di malattia – in effetti, il disturbo si inquadra nella classe dei cosiddetti “disturbi fittizi”; e che mente in continuazione, ma non con continuità, altrimenti si ricadrebbe nei casi di schizofrenia e bipolarismo. Il mitomane sa che le sue sono menzogne, ma non lo ammette; e quando è costretto a farlo, perché viene scoperto o teme di esserlo, semplicemente continua a negare la realtà e aggiunge dettagli al suo racconto, oppure tende a cambiare tema, passando ad altre descrizioni inverosimili (la psichiatria parla di “pseudologia fantastica”). In qualche caso, invece, il brusco smascheramento può portare a reazioni di estrema angoscia, accompagnate da intensa aggressività verso chi lo sta mettendo alle strette o verso le vittime inconsapevoli delle sue bugie. Perché mentire è per lui la condizione necessaria, così da evitare il confronto con una realtà insopportabile; non importa invece più di tanto la singola, specifica menzogna, come avviene, viceversa, allo schizofrenico. Dupré distingueva quattro tipi di mitomania:
- Mitomania vanitosa, ossia il voler essere più belli di quello che si è realmente, per sentirsi migliori e provocare negli altri l’ammirazione;
- Mitomania errante, ossia il voler sfuggire sempre davanti alla realtà delle cose;
- Mitomania maligna, che non è volutamente dannosa verso gli altri, ma è un tentativo di compensare un complesso di inferiorità (spesso la malignità viene usata contro qualcuno che si crede migliore di noi);
- Mitomania perversa, si tratta di mentire sia a scopo pratico che economico per approfittarsi degli altri.
Da tutte queste tipologie è possibile perfezionare ulteriormente la nostra definizione di mitomane: è tale chi sente il bisogno sistematico di distorcere la verità, elaborando scenari fittizi ai quali si abitua a credere, e ai quali cerca di convincere gli altri a credere, in una forma patologica e priva di finalità pratiche concrete, che a un certo punto lo porta, come per un cortocircuito interno, a non riconoscere più i confini del vero e del falso, e a presentare con tratti distorti la realtà che lo circonda. Sul tema della mitomania offro due articoli relativamente recenti della bibliografia medica. Come è tipico di questa letteratura (Dupré incluso), più che definizioni vi si offrono casistiche, dalle quali spetta al lettore trarre, semmai, delle affermazioni generali. Il primo è opera dello psicologo Charles C. Dike, apparso sulla rivista americana “Psychiatric Times” del 2008; il secondo è un capitolo della tesi di dottorato di Mario Touzin, L’art de la bifurcation: dichotomie, mythomanie et uchronie dans l’oeuvre d’Emmanuel Carrère, Université du Québec à Montréal, 2007. Entrambi i testi sono disponibili in open access in rete.
dike – pathological lying 2008
touzin – l’art de la bifurcation
Dalla mitomania consegue l’abitudine a raccontare bugie più o meno elaborate, allo scopo di suscitare ammirazione per la propria persona e proteggersi dal giudizio degli altri, nella propria autostima e nella stima altrui. Nel caso della letteratura (che, se vogliamo, è tutta mitomane), diremo che mitomania è l’inattendibilità totale della narrazione, ma conscia di essere tale, da parte di un personaggio che mente senza un fine immediato e concreto; mente in continuazione; mente spudoratamente; mente perdendo il senso della realtà delle cose; ma se richiamato alla verità, ammette la propria menzogna (perché la sa per tale), salvo rispondere al richiamo alla verità con una nuova menzogna, di tipo diverso, però non di grado diverso. Il mitomane infatti è un bugiardo cronico e compulsivo, che modifica e stravolge i racconti creando una realtà alla quale finisce per credere e per voler far credere gli altri. Mentire diviene per lui un fatto patologico e le cause possono essere diverse: il desiderio di apparire diverso da come è in realtà (sarebbe una forma difensiva contro la società percepita come ostile; ma può anche essere una forma narcisistica); il desiderio di suscitare compassione e simpatia nell’animo delle altre persone; il desiderio di ricevere attenzioni e stima da parte degli altri. Cesare mente, sempre e in ogni pagina: ma non è un mitomane, è un politico. Ovidio negli Amores mente più volte, a Corinna come al lettore, e nell’Ars propugna la menzogna come tecnica di conquista. Ma non è un mitomane: è un seduttore. Un vero mitomane non deve avere interessi precisi; e deve essere convinto, almeno per tutto il tempo della finzione, della verità di quanto sta dicendo, pur sapendo nel fondo della propria coscienza che le cose non sono andate davvero così.
Come si riconosce un mitomane? Evidentemente, appellandosi a una Verità indiscussa. Per questo occorrono, però, tre condizioni inevitabili: 1) credere in una Verità indiscussa; 2) una persona che parli di sé, in prima persona, mentendo; 3) una seconda persona che lo sbugiardi, richiamandosi a quella Verità indiscussa di cui sopra. Ora, è chiaro che per chiamare mitomane la prima persona dobbiamo essere sicuri che la seconda persona sia sincera, e che quello che ci dice essere la verità sia davvero la verità (e che esista, quindi, una Verità, come dicevo al primo punto). Questa seconda “persona”, allora, deve essere una voce esterna ed onnisciente di provata fiducia ed affidabilità, tale da assicurarci che quanto viene detto dal personaggio che parla in prima persona è fasullo. Ora, nel mondo antico (epico e lirico) si dà, nella sostanza, una sola possibilità: e cioè che un personaggio parlante di sé venga a trovarsi a contrasto con un narratore che lo sbugiarda. Il narratore è, specie – ma non solo – nell’epica, evidentemente colui che porta con sé la Verità, o al massimo che è alla ricerca di una Verità che gli venga rivelata da una voce più autorevole della sua (le Muse, di solito); il personaggio, invece, può anche essere una persona che, per effetto di un trauma, abbia perso il senso della realtà, ed esprima questa sua condizione nelle proprie parole e in quanto dice di sé. Da questo contrasto nasce ogni possibile indicazione di mitomania.
(segue)
© Massimo Gioseffi, 2018
Ringrazio per il loro diverso aiuto, ma per me ugualmente prezioso, il Dr. Gianfranco Pittini e Stefano Bellocchi