In questi giorni di sosta obbligata e didattica ‘in remoto’ proviamo ad offrire alcune riflessioni che consentano di affrontare in modo originale un testo molto conosciuto e frequentato nelle scuole come il De coniuratione Catilinae di Sallustio. Di fronte a un’opera di tale fama si può correre a volte il rischio di un approccio pago di una certa fissità; al contrario, il De Coniuratione rappresenta ancora oggi una questione aperta e tutta da discutere, intrigante e irrisolvibile. Proponiamo qui tre differenti spunti di lavoro.
Il primo, come è stato già richiamato in un post precedente di questo stesso sito, riguarda la data di composizione dell’opera. Nei manuali e nelle antologie scolastiche Sallustio è considerato un autore della tarda repubblica, ed è tendenzialmente accostato a Cesare e a Cicerone, non senza ragione. L’età di Cesare e Cicerone fu infatti fondamentale per Sallustio: ad essa risalgono la sua maturità di uomo e di politico e il suo ingresso nella Storia che conta; in quegli anni esercitò il governo sulla provincia dell’Africa Nova, sia pure (pare) cedendo alla tentazione di saccheggi e rapine che gli costarono la definitiva e ingloriosa uscita dal Senato. Fu un periodo decisivo, perciò, per l’uomo Sallustio, che tuttavia non era ancora divenuto scrittore.
Gli stessi manuali che lo inseriscono tra gli autori di età cesariana e tardo repubblicana fanno risalire la data di composizione della sua prima opera, il De coniuratione appunto, a un intervallo tra il 43 e il 41 a.C. Questa datazione ‘avanzata’ nasce in Francia con Gaston Boissier (che nel 1905 propose di far risalire la scrittura al 42-41 a.C.), ed è stata accolta da molti e importanti studiosi (un altro, Gino Funaioli, nel 1921 aveva pensato di allargare l’intervallo temporale, posponendo la conclusione della composizione dell’opera al 40 a.C.). Sebbene sia impossibile accertare la verità, data l’assenza nel De coniuratione di espliciti riferimenti agli eventi politici contemporanei, alcuni elementi corroborano l’ipotesi di Boissier. Innanzitutto, è improbabile che Sallustio abbia intrapreso la scrittura di un’opera sulla congiura di Catilina mentre uno dei principali protagonisti di quegli avvenimenti era ancora in vita (alludo a Cicerone). L’inizio della composizione dell’opera dovrebbe perciò essere successivo al dicembre del 43, data di morte dell’oratore. Ronald Syme, di conseguenza, suggeriva che l’opera, se iniziata dopo il dicembre del 43, difficilmente poteva essere stata conclusa nel 42. Sempre Syme ha osservato che nella seconda monografia di Sallustio, il Bellum Iugurthinum, sembra trasparire un giudizio sul secondo triumvirato e le proscrizioni dei triumviri: l’ondata di vendette e ingiustizie che seguirono i provvedimenti di Antonio, Ottaviano e Lepido, dice Syme, aveva lasciato il segno e modificato la visione politica di Sallustio, il quale, ai tempi della composizione del De coniuratione, probabilmente era stato testimone ‘in presa diretta’ di quegli avvenimenti.
Il De coniuratione dunque (se accettiamo una datazione grossomodo definibile come 42-41 a.C.) sarebbe sì l’opera di un uomo che figura tra gli ultimi senatori della Repubblica; ma il momento storico in cui Sallustio compose la sua monografia è successivo alla morte di tutti i personaggi che vi fanno da protagonisti, e con essi è morto anche l’ordinamento repubblicano. Sallustio, perciò, scrive già immerso in un day-after, e anche molto after, nel bel mezzo di un periodo macchiato di sangue nel quale si sapeva bene che cosa fosse terminato, ma non si poteva ancora intravedere ciò che sarebbe nato (come diceva Gramsci, con riferimento ad altro periodo storico, il vecchio mondo era già morto, ma il nuovo non era ancora nato: e Sallustio non ne vedrà la nascita, essendo morto a sua volta prima dello scontro finale tra Antonio e Ottaviano). Sallustio, dunque, come forma mentis era senz’altro un uomo della tarda repubblica, ed era stato un compagno dell’autore del De bello civili. Ma, come scrittore, appartiene a un momento successivo, un momento di profonda crisi e disorientamento, e di tale collocazione temporale occorre tenere conto nel considerare la sua opera. Si può registrare, ad esempio, che Sallustio compone il De coniuratione Catilinae negli stessi anni in cui Virgilio è al lavoro sulle Bucoliche. L’autore del De coniuratione costituisce dunque l’estrema esperienza di un ‘prima’ ma, allo stesso tempo, è anche la prima voce del ‘dopo’, ossia dell’età del secondo triumvirato.
Il secondo spunto è direttamente collegato al primo. Perché Sallustio scelse di tornare sulla congiura di Catilina nel bel mezzo delle nuove proscrizioni dei triumviri? Perché farlo venti anni dopo gli avvenimenti narrati? Il passato non si riprende mai per pura curiosità. Che cosa dovette vedere Sallustio in quegli avvenimenti di così pertinente al presente suo e dei suoi contemporanei?
La scelta della congiura come soggetto non era scontata. Catilina è una figura protagonistica forte e poteva garantire il pathos che Sallustio desiderava (un pathos ‘ellenistico’, si dice spesso). Ma non mancavano altri candidati autorevoli, ad esempio Silla o Pompeo. Si ricordi che il peso storico della congiura di Catilina, evento epocale a detta di Cicerone e dello stesso Sallustio (facinus memorabile sceleris atque periculi novitate, capitolo IV, 4), è stato messo in discussione da diversi studiosi nel corso del Novecento. Anzi, c’è addirittura chi ha ipotizzato che la congiura sia in realtà una delle più grandi fake news di tutti i tempi, orchestrata da Cicerone con sapiente regia mediatica per eliminare un personaggio scomodo come Catilina e assicurare un successo politico a sé e a chi gli era vicino (Waters, 1970). Senza entrare nel merito, l’esistenza stessa di queste posizioni deve indurci a problematizzare la scelta di Sallustio, che avviene non cento anni dopo i fatti, ma venti, quando molti dei suoi testimoni diretti erano ancora in vita.
Per affrontare la questione (perché Catilina?) occorre un’attenta lettura del testo. Una prima evidenza: all’infuori del protagonista, nell’operetta un ruolo importante è riconosciuto solo a Cesare, Catone e Cicerone. I primi due sono gli attori del dibattito in senato sulla condanna a morte dei Catilinari; il terzo è l’antagonista diretto di Catilina. Da qui si può cominciare a cercare una risposta: Sallustio con la congiura di Catilina ha scelto una vicenda che gli permettesse di citare tre fra i principali protagonisti degli ultimi venti anni della Repubblica, chiamando così a raccolta figure fondamentali anche per il passato più recente. Esse vengono fotografate un attimo prima che tutto precipitasse: Cesare e Catone nel 63, sebbene già autorevoli e influenti, erano ancora all’inizio delle loro rispettive carriere; con la repressione della congiura Cicerone si consacrava come grande leader ottimate; intanto, Pompeo preparava il ritorno trionfale dall’Asia. Mettere in scena Cesare, Catone e Cicerone, e con loro il senato romano, Crasso, e l’ombra di Pompeo sullo sfondo, ha allora il sapore di una resa dei conti con una pagina della Storia di Roma, che si prolunga ben oltre i fatti narrati e che ingombra di sé tutto il ventennio appena trascorso…
Non mi soffermo sul trattamento riservato da Sallustio a Cicerone nell’opera, né sul dilemma dei discorsi di Cesare e Catone (problemi tuttora aperti). Offro alcune riflessioni sulla sola figura di Cesare all’interno del De coniuratione. Per rispondere alla domanda che ci siamo posti sul nesso tra la congiura e la contemporaneità di Sallustio, per lungo tempo ci si è rifatti alla posizione di Eduard Schwartz (1897), per il quale il De coniuratione sarebbe nato come opera di propaganda militante, allo scopo di difendere Cesare e attaccare Cicerone, autore di una sorta di ‘libro nero’ (il misterioso De consiliis suis, mai arrivatoci) nel quale avrebbe accusato apertamente Cesare di aver preso parte alla congiura di Catilina. Questa opinione oggi è stata ricalibrata: nell’opera sallustiana non c’è livore verso Cicerone, il quale riceve un trattamento tutto sommato equilibrato. Resta vero, però, che Cesare, fin dal 63 a.C., venne più volte avvicinato a Catilina, ed è evidente che Sallustio ha operato alcune manipolazioni del materiale a sua disposizione per allontanare il più possibile il nome di Cesare da Catilina e dai suoi piani rivoluzionari (si veda ad esempio l’inizio delle macchinazioni di Catilina, retrodatato al 64 a.C. e associato fin da subito a Crasso, non a Cesare: retrodatare l’effettivo inizio della congiura aggrava le responsabilità di Catilina e indirettamente scagiona Cesare, che non compare in scena prima del capitolo XLIX, vittima delle calunnie di due senatori che, guarda caso, tentano di coinvolgerlo nella congiura a causa di rivalità personali).
Sallustio tuttavia opera una strategia ben più singolare per liberare Cesare da ogni sospetto, e lo fa attraverso la costruzione del personaggio di Catilina. Catilina, infatti, presenta su di sé tutte le caratteristiche che la propaganda avversa aveva addebitato a Cesare: Catilina ha tra i suoi precedenti una condotta sessuale scandalosa; è un corruttore di giovani e, attorno a lui, si addensa la folla di tutti coloro che a Roma hanno bisogno di favori illeciti o si trovano sul lastrico (si confronti, per esempio, quanto si legge nel capitolo XIV con quello che Svetonio dice di Cesare nella di lui biografia, capitolo XXVII); e, ça va san dire, Catilina aspira alla tirannide. Ma non è tutto: Catilina giustifica la sua rivolta con la difesa della propria dignitas ed esorta i suoi a vindicare se in libertatem (cap. XX). Ci ricorda qualcuno? Si guardi al De bello civili,I, 4, 4 e 22, 4. Sallustio sceglie dunque di difendere Cesare addossando su Catilina tutte le accuse che erano state rivolte al dittatore, il quale appare completamente estraneo ai fatti della congiura ed è invece accostato a Catone per virtù e integrità morale. Concludo però questa parte con uno spunto ‘di crisi’: si provi a guardare, in quest’ottica, anche al finale dell’opera. Qui Catilina, non senza scandalo di alcuni lettori, esce di scena in maniera a dir poco straordinaria: il combattimento e la morte eroica a Pistoia sembrano minare l’immagine del crudele e perverso nemico dello Stato fin lì alimentata; egli, come ogni ineccepibile generale, appare un Cesare a tutti gli effetti, e nella morte assomiglia perfino a Decio Mure. Che cosa può significare questa contraddizione, definita da La Penna con la celebre formula della ‘paradossalità’? Catilina è un anti-Cesare, ma è molto di più di questo. È in questo suo essere un concentrato di bene e di male che il Catilina di Sallustio si offre come figura emblematica degli ultimi anni della repubblica. Non è da escludersi che quest’ultima considerazione possa avere delle ripercussioni anche sull’interpretazione del Cesare sallustiano, ma lascio aperta la riflessione.
Terzo e ultimo spunto. A un lettore attento non sfugge la presenza insistita dei giovani all’interno del De coniuratione: Catilina sceglie i filii delle migliori famiglie di Roma, li corrompe, li addestra e se ne serve per le sue trame criminali. Egli, in particolare, attira a sé giovani che desiderano uccidere i propri genitori, per ottenerne il patrimonio al quale non avrebbero potuto avere accesso fino alla morte dei loro padri, come prescriveva l’istituto giuridico della patria potestas (ci si riferisce al temuto crimine di parricidium, vera e propria ossessione sociale di Roma, sul quale si veda il recente libro di Eva Cantarella, Come uccidere il padre, Milano, Feltrinelli, 2017). Tuttavia, se Catilina contribuisce ad alimentare tra i padri-senatori il timore del parricidio, all’interno del De coniuratione, in realtà,assistiamo sempre al fenomeno inverso. Sono sempre i figli a morire per mano dei padri. Muore il figlio di Catilina ucciso da Catilina stesso (cap. XV), muore un giovane di nome Fulvio, ucciso dal padre che non lo vuole unito ai Catilinari (cap. XXXIX), è rievocato il mitico omicidio del console Torquato, che aveva assassinato il figlio vittorioso, ma disubbidiente ai suoi ordini (cap. LII). Che cosa si cela dietro a questa catena di giovani morti nel De coniuratione? Siamo di fronte a un livello profondo del pensiero sallustiano. Nella Roma corrotta del presente si continuano ad assassinare i figli per il bene dello Stato, come avevano fatto Torquato o Bruto nella Roma dei maiores. Sallustio lega così il passato al presente, tramite la ripetizione degli stessi gesti, dentro a un ineludibile contrasto. I gesti, terribili e virtuosi, sono gli stessi degli antenati: ma nella Roma degenerata di Catilina il loro valore non è più lo stesso: perché è il filo della Storia che sembra essersi ormai definitivamente perso.
© Bernardo Cedone, 2020