Riprendiamo il bel post di Silvia Stucchi dedicato alla matrona di Efeso, per segnalare una poco nota versione musicale di quel testo. Si tratta dell’opera in un atto, su libretto di Isaac Bickerstaff, musicata da Charles Dibdin (1745-1814), prolifico compositore inglese, oggi piuttosto dimenticato anche dalle sue parti, o al più ricordato per la lunga partnership con il celebre attore David Garrick (1717-1779), considerato il sospitator del teatro shakesperiano, dopo il lungo oblio che lo aveva avvolto nel XVIII secolo. Dibdin a sua volta fu musicista, attore, commediografo, impresario teatrale, con quella variabilità di ruoli che è abbastanza tipica di fine Settecento. Il mitico teatro Drury Lane, nel West End londinese, vicino al Covent Garden, fu la sede principale delle sue gesta (il teatro esiste ancora, anche se naturalmente è stato più volte rifatto: dedicato soprattutto al musical, è oggi proprietà di Andrew Lloyd Webber). The Ephesian Matron or The Widow’s Tears, il testo che ci interessa, ebbe però la sua prima rappresentazione, nel 1769, nei vicini Ranelagh Gardens, come parte di una festa teatrale estiva. Dibdin, autore di decine di composizioni, tornerà a un argomento classico solo nel 1781, dodici anni più tardi, riadattando per le scene del Covent Garden l’Amphytrion di Dryden, ovvio derivato di quello di Plauto.
Il testo si può definire un’opera vaudeville, usando il nome di un genere ben attestato in Francia (e in realtà, di pochi anni più tardo). Si tratta di composizioni brevi, che si svolgono tutte nell’arco di un’ora circa ciascuna; a volte interamente cantate (senza, cioè, parti dialogate), a volte con un’alternanza di dialogo e musica; di carattere comico-satirico; che spesso riusano musica già nota, volutamente piegata ad altro scopo (non è questo il caso di Dibdin, però). Nel teatro inglese il massimo capolavoro del genere è, credo, Rosina (1782, ma composta circa dieci anni prima) di William Shield (1748-1829), compositore perfettamente coevo di Dibdin. Di quell’opera, riporto le due arie più celebri (When William, at eve, “Quando Guglielmo alla sera”; Light as thisledown, “Leggero come cardo”). Sono due registrazioni antiche, ma ancora bellissime:
When William, at eve, meets me down at the stile,
how sweet is the nightingale’s song!
Of the day I forget all the labour and toil,
whilst the moon plays you branches among.
By her beams, without blushing, I hear him complain,
and believe every word of his song:
you know not how sweet ’tis to love the dear swain,
whilst the moon plays you branches among.
Light as thistledown moving which floats on the air,
sweet gratitude’s debt to this cottage I bear:
of autumn’s rich store I bring home my part,
the weight on my head, but gay joy in my heart.
Come si sente, brillantezza orchestrale e vocale, uso abbondante degli abbellimenti e degli ornamenti, situazioni comiche ma non mai volgari, trattate con un certo gusto della leggerezza, dove il dramma non sorpassa mai la misura del buon senso, ripetizioni ad libitum delle singole strofe, con continue variazioni, sono le caratteristiche principali di queste composizioni – caratteristiche che ritroviamo tutte anche nella nostra The Ephesian Matron. Si tratta, di fatto, di una composizione fatta di soli undici numeri musicali, così suddivisi: 01 – ouverture; 02 – Trio matrona/padre/ancella; 03 – Aria del padre; 04 – Aria della matrona; 05 – Aria dell’ancella; 06 – Aria del soldato (qui, un centurione); 07 – Duetto centurione-matrona; 08 – Seconda Aria della matrona; 09 – Seconda Aria del soldato; 10 – Seconda Aria dell’ancella; 11 – Vaudeville finale (alla presenza di tutti i personaggi). Rispetto a Petronio, la trama risulta leggermente modificata e semplificata. L’azione si svolge tutta nella tomba del marito della matrona, scena unica e fissa. La giovane vedova dichiara che non può vivere senza il suo sposo, e perciò rimarrà lì, a lasciarsi consumare dal dolore, senza mangiare e senza bere. L’ancella e il padre, nel trio iniziale, reagiscono violentemente a questa sua decisione (nr. 02). Nella propria aria, il padre cerca di calmare la figlia e di persuaderla a desistere, poi ci rinuncia e la lascia con l’ancella (nr. 03); rimasta sola, la giovane donna ribadisce la propria decisione, in un’aria di follia che fa il verso alle tante scene di pazzia che attraversano un po’ tutta la storia del melodramma (nr. 04). L’ancella commenta, celebrando la forza d’Amore (nr. 05). Appare il centurione, di guardia alle forche pubbliche, attirato dalla luce che filtra dalla tomba. Nella sua aria si presenta, e cerca di convincere la donna a lasciar perdere il proprio dolore (nr. 06). La giovane è subito colpita dalle parole (e dall’avvenenza) del giovane – Bickerstaff e Dibdin qui fanno la parodia degli innamoramenti violenti tipici del mondo operistico, scostandosi da Petronio. Comunque, la donna non vuole cedere troppo presto – è questo il succo del passionale duetto nr. 07. Convinto di avere ormai salvato l’amata, il centurione si allontana promettendo di tornare appena possibile; la matrona, rimasta sola, in un’aria delicata e nobile, commenta la gioia del nuovo sentimento che sente nascere in sé (nr. 08). Il centurione torna prima del previsto, e in un’aria di stile agitato annuncia la scomparsa del cadavere cui avrebbe dovuto fare la guardia (nr. 09). La matrona offre al suo posto il marito, mentre l’ancella commenta sottolineando l’abilità e l’ingegno delle donne, che a differenza degli uomini non si perdono mai d’animo (nr. 10). Durante lo spostamento del cadavere, torna il padre della matrona, che sorprende il centurione e l’accusa di saccheggiare la tomba. Il centurione è difeso dalle due donne, e il padre ne approfitta per concordare le nozze fra la figlia e il soldato. Nel vaudeville finale, i quattro personaggi celebrano la propria felicità e l’astuzia femminile, senza del quale nulla accadrebbe al mondo.
L’opera di Dibdin ebbe discreto successo alla fine del Settecento; è stata dimenticata per tutto l’Ottocento; ha avuto una ripresa radiofonica (alla BBC) all’inizio del Novecento; ha conosciuto un’incisione ufficiale nel 1992; e un paio di esecuzioni amatoriali, nelle università anglosassoni. Sul sito della casa discografica Hyperion è disponibile nella sua interezza, a pagamento (https://www.hyperion-records.co.uk/dc.asp?dc=D_CDA66608). Questo mi impedisce di postare, come avrei voluto, tutti gli undici brani, e anche il testo delle parti cantate. Dell’opera riporto quindi solo tre spezzoni, interpretandoli come invito all’ascolto dell’intera composizione, dalle nostre parti sconosciuta perfino di nome. Il primo è, doverosamente, l’ouverture, secondo l’uso del tempo rigorosamente tripartita e fatta in sostanza per mettere in evidenza le parti solistiche dell’orchestra, senza riferimento all’opera che segue.
Faccio seguire l’aria di follia della matrona, nr. 04, che si apre con le parole “And while, grown frantic with my woes” (“E intanto, divenuta pazza con il mio dolore”), con il successivo recitativo matrona/ancella:
Infine, il duetto dei due amanti, che hanno ceduto ben presto entrambi alle lusinghe d’amore (nr. 07 “By Venus, mother of desire” – “In nome di Venere, madre del desiderio amoroso”).