Dalle teche RAI, riversate da generosi privati su youtube, è emerso uno “sceneggiato televisivo” (così viene definito: in realtà è una serata teatrale, ripresa non negli spazi ristretti di un palcoscenico, ma in studi televisivi aperti, a Roma) dedicato a I figli di Medea, come recita il suo titolo. Siamo nel giugno del 1959, giusto sessant’anni fa; la televisione aveva iniziato le sue trasmissioni cinque anni prima.
Lo sceneggiato nasce come una messa in scena abbastanza tradizionale (e volutamente mal realizzata: si vedano i toni pomposi assunti da Alida Valli che interpreta Medea alla maniera di una Francesca Bertini, o l’orrida recitazione della normalmente brava Rita Savagnone come Afrodite, per non dire nulla dell’irritante Eros di Elio Lo Cascio) del mito di Medea come si legge nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, per poi aprirsi a un’improvvisa attualizzazione, che vede Alida Valli e il suo antagonista, Enrico Maria Salerno, immersi non solo nell’oggi (di allora), ma anche impersonare sé stessi – per quanto, naturalmente, tutto ciò che essi dicono su sé stessi, sulla loro relazione, sul figlio comune, sia chiaramente fasullo. Da qui una serie di pungenti attualizzazioni, qua e là forse ingenue, di un pirandellismo di seconda maniera; ma a volte decisamente moderne, e ancora attuali, sullo sfruttamento mediatico dei minori e dei figli; sulle distorsioni portate alla vita civile dai mezzi di comunicazione di massa; sul valore da assegnare ai “reality” e alla “presa in diretta” televisiva; sull’uso dei media e della televisione del dolore, che ha sostituito l’emozione al ragionamento, e la reazione “di pancia” a quella “di testa” – tutti temi di assoluto interesse anche nel nostro oggi quotidiano (e con oggi, intendo proprio dire oggi…). Unica variazione è che nel 1959 i mezzi di comunicazione con cui prendersela sono ancora il teatro, la televisione, i giornali; ora sono mutate le forme, ma non i concetti di base.
Realizzato, come usava al tempo, in diretta (si vedano alcuni errori evidenti, anche se forse voluti in nome della credibilità: il microfono a giraffa che compare all’improvviso dall’alto, l’ombra del cameraman che oscura Enrico Maria Salerno, Nicoletta Orsomando che si impappina e deve controllare sui fogli l’aggettivo giusto, oppure Ferruccio De Ceresa che inverte due complementi e si corregge in corso d’opera…), lo sceneggiato ha ingenuità e punti di forza. E’ però anche l’occasione per ricordare tre mostri sacri del nostro passato televisivo, attualmente un po’ dimenticati e rimossi, come succede a chi, con la sua bravura, costituisce impietoso termine di paragone per il presente: il regista Anton Giulio Majano, responsabile di tanti sceneggiati televisivi; e i già ricordati Alida Valli, bravissima nel fare il verso a se stessa, ed Enrico Maria Salerno, attore di straordinario fascino e modernità interpretativa. Non vanno dimenticati nemmeno i tanti caratteristi di contorno qui utilizzati, come i già ricordati De Ceresa e la Orsomando, o Tino Bianchi, nei panni accorati del Dottor Vinciguerra. Tutti sono stati fra i grandi protagonisti della stagione eroica della TV italiana. Nel 1961 la Valli sarebbe tornata a lavorare con Majano in un altro sceneggiato televisivo, Il caso Mauritius, dal romanzo di Jakob Wassermann; Salerno era già noto al grande pubblico per avere recitato in varie commedie televisive e per avere preso parte, nel ruolo dell’affascinante ma fatuo Wickham, in uno sceneggiato che Daniele D’Anza aveva tratto da Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen (1957).
Il modello vistoso cui guarda la produzione è La guerra dei mondi, lo sceneggiato radiofonico realizzato da Orson Welles nel 1938 mescolando finzione e realtà e coinvolgendo il pubblico in una finzione scambiata per realtà. Alla radio si sostituisce la televisione, a un’improbabile invasione di marziani una vicenda privata, non priva di maggiori risvolti sentimentali: l’epica diviene così elegia. Aldo Grasso nella sua Enciclopedia della televisione testimonia però che il gioco riuscì anche nel 1959. Pare che commissariati di polizia, il numero 696 invocato nello sceneggiato (e corrispondente al centralino di un ospedale torinese) e le sedi RAI fossero stati inondati di telefonate e di segnalazioni di avvistamenti.
Qualche parola va aggiunta ancora a ricordare Vladimiro Cajoli, cui si deve l’idea complessiva. Nato in provincia di Arezzo nel 1911, dopo avere collaborato in modo più o meno saltuario con varie riviste letterarie e teatrali, debuttò in TV proprio con questo sceneggiato. Ne aveva mandato il copione a un concorso indetto dalla RAI (!), vincendolo e ottenendo così, come premio, la messa in onda del testo. Da allora collaborò stabilmente con la televisione italiana (morì nel 1979), realizzando fra altre cose alcuni episodi della bellissima serie dedicata dalla regista Giuliana Berlinguer a Nero Wolfe, il personaggio creato da Rex Stout (un matematico con grande interesse per il latino). Stout riteneva, a quanto si racconta, gli episodi italiani come i meglio riusciti a rendere l’anima e il senso della sua creatura letteraria. Inutile commentare che erano altri tempi e un’altra televisione.
Nell’annunciare il programma, la Orsomando ricorda che, per il suo carattere drammatico, se ne consiglia la visione ai soli spettatori adulti. Oggi l’idea che una situazione drammatica imponga qualche cautela televisiva ci fa ridere. Eppure, sebbene in tutt’altro senso, resta vero che della trasmissione sia giusto consigliare la visione ai soli spettatori adulti, quelli cioè che abbiano ancora voglia di ragionare (per farlo, basta cliccare sull’indirizzo indicato sopra la foto di Maria Callas, Medea per Pier Paolo Pasolini).
https://www.youtube.com/watch?v=YR5m5szbjyM
https://abastor.wordpress.com/2012/11/22/i-figli-di-medea/
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© massimo gioseffi, 2019