Luciano Berio - Outis


Carlo Serra
Domande su "Outis"


5. Appunti per una discussione
 


L'ascolto di quest'opera, che nelle intenzioni degli autori vorrebbe rivisitare il binomio musica-testo rovesciandolo, in quanto l'elaborazione del testo verrebbe interamente a modellarsi sulla musica, può suscitare numerose riflessioni riguardo allo statuto dell'opera stessa. Non si tratta di analizzare l'opera come una semplice struttura drammatica, ma di vedere in Outis una rappresentazione della musica, su cui dovrebbe vertere interamente la messa in scena della componente narrativa. Questo aspetto, che è stato autorevolmente sottolineato dallo stesso Berio, tende a generare una serie di notevoli equivoci, in quanto è piuttosto difficile distinguere tra l'esibizione di strutture musicali - esperienza che fa parte di qualunque pratica musicale - e "messa in scena" delle medesime: non si capisce davvero dove cada la distinzione.

 
Il progetto compositivo di Outis si svolge all'interno di una prospettiva di tipo ciclico, caratterizzata dall'uso di un pedale di tonica su cui si avvolge la composizione, da cui si sviluppano, nel testo, distinti cicli narrativi. La coerenza sintattica dovrebbe essere garantita da una serie di relazioni armoniche derivate dagli intervalli di quarta e quarta eccedente: all'interno di questa scelta, Berio esibisce una serie di pezzi caratterizzati da diverse tecniche compositive, alle quali, tuttavia, sembra mancare un momento di unità formale che ci permetta di indicare un'idea musicale che attraversi in modo coerente e riconoscibile i vari quadri dell'opera. L'idea di accostare i vari quadri per il tramite di procedure musicali diversificate, utilizzando l'espediente della tonica come punto di arrivo e di partenza di ogni ciclo, sembra un criterio costruttivo molto tenue, tanto che questa presunta ciclicità non toglie il sospetto che alla fine l'opera risulti più come una sommatoria di momenti musicali accostati tra loro che come un progetto compositivo compiuto. Berio fa coesistere, all'interno delle singole sezioni, procedimenti compositivi diversi, che sembrano accostati fra di loro in una prospettiva che ricorda molto quella della catalogazione: allo stesso tempo, l'intelaiatura armonica e l'uso del pedale determinano una situazione di omogeneità drammatica di tipo statico, su cui si presentano eventi musicali che non riescono a coagularsi tra di loro.

La strada che Berio percorre è quella di ravvivare questa situazione di assorta staticità con dei momenti di straordinario mimetismo stilistico, che disgregano la sintassi musicale in direzione di un'esibizione di casi notevoli che lo stesso tessuto musicale non riesce a riassorbire. Questo errare tra materiali, in una prospettiva che non sa scegliere tra citazionismo e rigore sintatticista, avvicina il progetto di Berio alle peregrinazioni di Outis, ma sarebbe ingenuo giustificare questa costruzione drammatica partendo da considerazioni di questo genere.

Una riflessione analoga potrebbe essere svolta in relazione al problema dell'andamento ritmico, che appare statico e che, quando si accende all'interno delle strutture narrative (II e IV ciclo), viene come inghiottito dalla apparente immobilità che caratterizza gran parte delle sezioni dell'opera. In questo modo, il ritmo non riesce mai ad agganciare le strutture drammatiche in maniera convincente, rimanendo quasi ai margini della partitura. Già da queste prime osservazioni si comprende che Outis sembra un progetto non perfettamente focalizzato; lo stesso Berio, poi, cade in qualche forma di equivocità quando nega la presenza di una componente elettronica nel suo lavoro, trascurando il fatto che l'equalizzazione garantita dal Live electronics vincola già la possibilità di ascolto del suo lavoro in modo significativo: o l'equalizzazione elettronica non svolge alcun ruolo nella ricezione oppure Berio ha una visione moto limitativa della funzione dell'elettronica in musica.

Queste considerazioni, tuttavia, non possono farci perdere di vista il nucleo centrale del problema che Outis solleva: è possibile rappresentare un oggetto come l'opera musicale in una prospettiva metalinguistica, vale a dire una prospettiva in cui l'opera stessa divenga oggetto speculativo di una teoria musicale? Ovvero: è possibile avvicinare un oggetto musicale e drammaturgico come un insieme di strutture che si autoesibiscono, attraverso procedimenti metateorici?

Banalmente, verrebbe da dire che l'oggetto musicale si esibisce nel suo concreto presentarsi sotto forma di procedura musicale legata ad una valorizzazione immaginativa dei materiali sonori. Ma Berio dice qualcosa di più, riferendosi a nessi strutturali che l'opera deve esibire e commentare: questo discorso è molto oscuro, e verrebbe voglia di dire che un oggetto musicale dice già tutto di sé nel momento in cui riconosciamo in esso procedure compositive attraverso cui il materiale musicale prende forma. E' legittimo sostenere che in questo senso un brano musicale è già una struttura esemplare per capire ciò che il musicista ha fatto e pensato. Insomma, la musica va già in scena in modo autoreferenziale, e l'utilizzo di dotte componenti semiologiche da parte del compositore sembra un libretto di istruzioni non richiesto. Ci basta la musica.

Conviene ora inoltrarci in un'analisi molto generale delle tematiche che Outis fa emergere. Potremmo partire ponendoci qualche domanda sul concetto di "materiale musicale": in che relazione questo si può porre con una pratica compositiva, se non all'interno di un progetto espressivo o, meglio, attraverso tecniche che permettano di utilizzare il materiale musicale, valorizzandolo in una prospettiva metaforica? L'uso della citazione ci racconta molto del pensiero musicale di un autore; la partitura di Berio abbonda di riferimenti citazionali, dal music-hall all'opera colta. Se il collage di tecniche compositive all'interno di Outis sembra danneggiare l'unità dell'opera, quello delle citazioni la segmenta. Fa parte del teatro musicale l'utilizzo scoperto, da parte del compositore, di svariate tecniche compositive allo scopo di rafforzare lo sviluppo della drammaturgia, anche in direzione di possibilità parodistiche: spesso, nel teatro d'opera, ad una specifica situazione drammatica corrisponde una altrettanto specifica messa in forma del materiale musicale, attraverso l'esibizione di tecniche diverse.

La citazione, o la parodia di genere, si inserisce così nella struttura drammatica dell'opera in relazione al progetto espressivo. I reperti citazionali in Outis tendono ad assorbire tutto lo statico tessuto musicale che li circonda: si pensi all'episodio dei suonatori di strada che, nel suo polistilismo, sembra irrompere nella scena e immediatamente sparire, lasciando l'ascoltatore in una imbarazzante indeterminatezza rispetto alla staticità del ciclo che lo contiene. Sembra che nessun espediente metalinguistico possa garantire coerenza ad un percorso linguistico equivoco.

E' possibile invece lavorare sugli elementi di confluenza tra linguaggi diversi, come fa ad esempio Alban Berg nel suo Concerto per violino, attraverso l'idea di un "serialismo tonale"; qui siamo di fronte ad una valorizzazione immaginativa che, a livello linguistico, fonde tra di loro tendenze compatibili presenti in diverse forme di organizzazione del materiale musicale. Il materiale musicale (e percettivo) su cui Berg lavora è costituito dalle trazioni interne date dall'uso della terza da una parte, e dalle proprietà della serie dall'altra, nel senso che l'organizzazione della serie si fa carico delle possibilità relazionali offerte dalla terza. Il procedimento di Berg non presuppone genericamente di praticare diversi giochi linguistici in diversi contesti d'uso, ma va a cercare strutture compatibili in diverse procedure compositive, e punta a elementi armonici che la terza può garantire all'interno della configurazione seriale. Questo è un discorso molto diverso dall'utilizzare strategie linguistiche e compositive che varino in un contesto d'uso di tipo convenzionalista, in cui le regole appiattiscono e tendono a rendere omogenei elementi tra di loro eterogenei. Quest'ultima è una prospettiva in cui si confondono diversi giochi linguistici, mentre quella di Berg rispecchia un pensiero riguardo a un gioco possibile che unifica due linguaggi.

Nel suo testo di presentazione, Luciano Berio ci propone una sua ricostruzione del concetto di "variabilità" che, a suo dire, "resta comunque ancorato a condizioni strutturali non prescrittive, ma intese a proteggere una coerenza sintattica e, appunto, espressiva". La variabilità della musica per Berio dovrebbe quindi garantire l'unità e la coerenza dell'opera e la possibilità di disporsi in una dimensione narrativa: in questo senso, la musica di Outis dovrebbe ancorarsi alla dimensione dell'espressività. Questa caratterizzazione del concetto di variabilità è evidentemente molto generica, e Berio cerca di descriverla più approfonditamente appoggiandosi alla nozione di regola: una regola che determini condizioni strutturali non prescrittive. Quando poi cerca di spiegare come funzionino queste regole, mette in relazione gli elementi strutturali della ciclicità musicale con quelli della ciclicità narrativa. Infatti, parlando di quelli che lui chiama gli "elementi strutturalmente protettivi", spiega che alcuni di essi sono facilmente percepibili perchè legati all'uso di una certa "tonica" (si bemolle: episodio dell'uccisione di Outis); oppure individua "una cellula melodica (quarta giusta e quarta aumentata) che diventa generatrice di un gran numero di funzioni armoniche". Più avanti osserva che "Outis è dunque caratterizzato al suo interno e nel suo rapporto col testo da variabili e da costanti".

Viene spontaneo chiedersi se la nozione di regola a cui Berio si riferisce non sia, a questo punto, una nozione assolutamente prescrittiva, vincolante ma generica. In questa prospettiva, viene da chiedersi cosa sia mai una regola se non un criterio per accostare tra loro materiali musicali la cui unione è garantita da funzioni armoniche specifiche(quarta giusta e quarta aumentata). Questo non sembra essere un grande criterio costruttivo, ma è sicuramente un criterio rigido.

Se questo è l'esito delle scelte effettuate da Berio, diventa più comprensibile il motivo per cui gli elementi eterogenei al tessuto armonico così costruito non vengano riassorbiti dalla musica e, per così dire, galleggino sulla sua superficie. In effetti, durante l'opera si presentano numerosi elementi rumoristici, molti abbellimenti fonematici che non emergono dal tessuto armonico in cui vengono inseriti. Si comprende così anche l'iteratività del canto, che alle volte commuove, ma che rimane avviluppato su se stesso.

Il problema del canto in Outis merita una trattazione specifica, perché la vocalità è una delle pagine più complesse della storia dell'opera del nostro secolo. Berio ricorre a varie tecniche vocali, ma tende a muoversi tra gli estremi di un freddo declamato di origine teatrale e di una riproposizione di moduli "belcantistici", rivisitati alla luce della sua sensibilità compositiva. Siamo certo molto lontani dalla richezza inventiva della Sequenza per voce. Ancora, potremmo seguire Berio e dire che la staticità delle linee del canto vuole ricondursi a quella della dimensione teatrale, in una prospettiva antinarrativa; ma il sacrificio delle linee di canto ad un "lirismo povero" ci sembra una soluzione troppo letterale del problema posto dall'esigenza di una staticità drammaturgica. Né ci basta adottare criteri di tipo associativo in base ai quali l'immaginazione dovrebbe bearsi di una staticità vocale per supplire immaginativamente ad una stasi nell'azione.

Il pensiero corre in questo caso verso Igor Stravinskij, che nella sua rivisitazione del teatro greco cerca in effetti di spogliare il canto operistico dal modello ottocentesco, e va in direzione di una vocalità scabra, apparentemente statica ma percorsa al suo interno da ruvidi spunti modali (Oedipus Rex), oppure direttamente verso la serialità (Threni). Le reinvenzioni stravinskiane infondevano nuova vitalità a materiali derivati dalla tradizione attraverso l'uso di tecniche musicali eclettiche solo in apparenza, in quanto la formalizzazione del materiale, seguendo le linee interne delle forme modali, era caratterizzata da una coerenza che spingeva anche ad una rarefazione dell'orchestrazione. Questo era, per Stravinskij, anche un modo per parlare del mito.

Anche in Outis il mito gioca un ruolo importante, e la staticità di gran parte delle linee di canto vorrebbe forse alludere all'idea di una caratterizzazione non psicologica dei personaggi: quasi che un andamento statuario possa diventare il correlato espressivo di una forma mitica. Le pagine corali di Outis, ad esempio, si avvantaggiano notevolmente di questa staticità della linea di canto rispetto al tessuto orchestrale: non a caso, i cori sono spesso le pagine più interessanti dell'opera. In altri momenti, Berio recupera l'antica vocazione ad assimilare le voci alla condotta degli strumenti, in un rapporto di tipo mimetico; l'utilizzo delle armonizzazioni da parte del gruppo dei vocalisti viene immerso da Berio in un contesto timbrico ad esso parzialmente sovrapponibile. Questi sono i momenti in cui gli elementi vocale e strumentale si fondono mimeticamente, e lo stesso accade anche nel trattamento delle voci femminili. Sembra che qui Berio intenda rivisitare un'esperienza elementare come quella dell' unisono, visto come l'incontro, sulla stessa tessitura, di due prospettive timbriche diverse: voce e orchestra. Questi due elementi appaiono isomorfi tra di loro in virtù della tessitura.

Per inciso, va notato che proprio questo modo di guardare al materiale sonoro aveva permesso a Berio di entrare nell'analisi dei fonemi e di trasportare le potenzialità fonematiche legate al rivestimento sonoro della parola verso una pratica di tipo strumentale. Proprio questo aspetto della scrittura di Berio, che problematizza a suo modo la nozione di unisono, è stato fin troppo analizzato all'interno di prospettive linguistiche che concentravano l'attenzione sulla "polverizzazione del significante", cancellando con questa infelice espressione il fatto che quel lavoro aveva alle sue spalle un'analisi delle potenzialità sonore, materiche della voce. L'analisi fonematica non andava quindi in direzione di una frantumazione del segno, ma di un' analisi minuta dei fonemi e delle loro parti, inclusa la dimensione del suono non temperabile. Di questa ricerca, Outis presenta solo delle tracce.

Sarebbe molto riduttivo giudicare un' opera solo in base al tasso di sperimentazione linguistica che la percorre, o in base a criteri di ordine meramente sintatticistico, perché cadremmo all' interno di un atteggiamento ideologico; ma non è comunque possibile non notare incongruenze e equivocità all'interno del progetto sinora discusso.

E' chiaro che la debolezza riscontrabile in Outis non può essere del tutto ascritta ai pressuposti culturali un pò polverosi che un autore dichiara, tanto più se l' autore è un compositore del calibro di Berio, ma sarebbe interessante veder sviluppare una discussione più approfondita su questa rivisitazione del rapporto Mito - Modernità che gioca un ruolo così importante nell'opera.

Vorrei concludere osservando che l'uso che nel libretto viene fatto di materiali di diversa provenienza, dal frammento poetico a quello dialettale, dall'allusione biblica all'utilizzo di fonti classiche, è una operazione dagli esiti piuttosto diseguali: il richiamo alla dispersione dei linguaggi e alla confusione dei registri linguistici non permette di dare una riconoscibilità individuale ai personaggi, se non quella di autentiche rappresentazioni simboliche della nostra formazione culturale. Questo non sembra un esito credibile dal punto di vista drammatico, perchè ci sembra di ricadere all'interno della prospettiva catalogatoria, e genera, alla lunga, la sensazione di assistere ad una rappresentazione per tipi.

 


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