Luciano Berio - Outis
Livia Sguben
Premessa a "Outis"
1. Appunti per una discussione
L'associazione musicale per la musica contemporana "Milano Musica" ha organizzato, negli scorsi mesi di settembre e ottobre, un Festival dedicato a Luciano Berio. In quest'ambito si sono potute rivedere le trasmissioni realizzate dal compositore per la Rai negli anni '70, intitolate "C'è musica e musica" e riascoltare buona parte della sua produzione strumentale dagli anni '60 ad oggi. Il programma ha essenzialmente privilegiato la serie di Sequenze per singoli strumenti e quella degli Chemins per solista e orchestra. Tuttavia altre composizioni, con organici molto diversi, hanno puntellato il festival: da Coro per 40 coppie vocali e strumentali, al Concerto per due pianoforti, da Thema - Omaggio a Joyce, fino ad alcune trascrizioni ( quelle sui Lieder giovanili di Mahler ) che rappresentano una costante della ricerca musicale di Berio. I1 festival è stato anche valorizzato da alcune prime esecuzioni assolute: Récit per saxofono e orchestra, Kol Od per tromba e orchestra, e Outi s, azione musicale in due parti su testo di Berio e Dario Del Corno.Vogliamo ora fare alcune considerazioni intorno a questa nuova opera. Outis non propone delle caratteristiche di assoluta novità, non sorprende come qualcosa di inaudito, anzitutto perchè è l'ultimo lavoro di una ricerca che Berio ha cominciato con Passaggio nel '61, proseguita con le opere successive, volta a interrogarsi sui possibili modi di raccontare una storia in musica. In secondo luogo, perchè in Outis si raccolgono i risultati di una tedenza sperimentale che ha contraddistinto la ricerca italiana sul teatro musicale negli ultimi 30 anni. Questa ricerca si focalizza su alcuni punti essenziali:
1. Un radicale mutamento a livello scenico che guarda e si appropria della rivoluzione avvenuta nel teatro di prosa (da Mejerchol'd a Grotowsky). Questa contaminazione ha definitivamente sepolto stereotipi visivi relativi alle posizioni dei cantanti sulla scena, per accogliere un movimento che punta alle 'azioni fisiche" coerente ed espressivo.
2. Un teatro antinarrativo' poco propenso all'intreccio e alla disposizione lineare degli eventi, disposto invece a ripensare le funzioni dei suoi elementi (musica, azione, testo) e al loro interagire.
3. Un teatro che, di conseguenza, sollecita lo spettatore ad un ruolo attivo di interpretazione dello spettacolo.
4. I1 suono come elemento privilegiato, sia a livello del testo sia ad un livello più profondo, strutturale, capace, cioè, di conferire unitarietà all'intera opera, nonchè di generare la narrazione stessa.
Tutti questi elementi si ritrovano in Outis, naturalmente in maniera più o meno accentuata e originale, ma comunque costituiscono i parametri della genesi dell'opera e, nel contempo, offrono allo spettatore una delle possibili chiavi di lettura. L'aspetto più ardito è l'assoluta supremazia della musica che "oggi può filtrare un testo in maniera molto più radicale. Può decidere quello che di un testo può 'essere buttato via' e cosa invece deve acquistare un ruolo prioritario: per esempio, cosa può es sere ridotto a materia acustica e cosa può essere messo in luce coi suoi nessi significativi . Lo stesso rapporto la musica può anche instaurarlo con l'azione: può cioè identificarsi in vari modi con quello che si vede e può anche rimanere indifferente. La storia può anche diventare una non-storia o, comunque, un'altra storia che, qualora sia sufficientemente ampia e complessa, può anche permettersi d'assimilare - assieme a molti altri - i modi vocali dell'opera lirica" [1].
Sono accenti, questi, che la musica pone, determinando così la totale autonomia dei tre livelli (musica, scena, parola ) liberi d'interagire di là dagli obblighi di una trama, ma in virtù delle figure portanti dell'analogia e dell'allusione. I1 testo si basa su di un sistema di costruzione indiretta: impiega citazioni letterali, parafrasi, collage fra testi diversi, estratti in lingua originale o tradotta. Tutto ciò per fugare qualsiasi possibilità di genesi narrativa che muova dal testo. Il materiale è tanto vasto quanto poco selettiv o: Shakespeare, Auden, Celan, Hölderlin, Catullo, Joyce ecc... vivono accanto a filastrocche popolari, canzoni anonime, e, naturalmente, interventi originali di Del Corno. Il testo quindi costituisce una grande memoria letteraria da cui dipartono suggestioni, possibili riferimenti ma mai certe identificazioni. Ed è il titolo stesso ad avvertirci: Outis, la risposta di Odisseo al ciclope Polifemo, "il mio nome è Nessuno". Tuttavia si possono ritrovare dei caratteri di alcune figure dell'Odissea. Steve e Isa ac, i figli di Outis ed Emily, richiamano ad una antica tradizione, seppure non odissiaca: quella di Telegono, figlio di Ulisse e Circe, che si pone alla ricerca del padre e quando lo incontra, non riconoscendolo, lo uccide. Questo motivo della ricerca, del non riconoscimento e del parricidio, è uno dei motivi ricorrenti dell'azione: ognuno dei cinque cicli che compongono l'opera si apre con l'uccisione del padre.
Un altro esempio: Marina, colei che conforta Outis nell'ultimo ciclo, cantando il testo de L'Ulisse di Saba mentre lo raccoglie sulle rive di una spiaggia dopo una tempesta, ci riporta a Nausicaa. Ma altre memorie ancora affollano i personaggi (il piccolo Rudy riporta Outis al protagonista dell'Ulisse di Joyce), essi ne sono pregni e le rimandano allo spettatore in un gioco continuo di allusioni, potenzialmente infinito. Questa fitta rete di richiami che il testo propone, i:mpedisce un riferimento certo ad una trama. Piuttosto, lo ripetiamo, è dal fatto iniziale: la morte dell'eroe (che ge neralmente nella narrazione lineare chiude l'azione) da cui sorgono situazioni, flussi immaginativi senza un prima e un dopo, le cui motivazioni non stanno in una logica altra, ma nel loro puntuale accadere o riaccadere. I1 tempo del racconto quindi, sfugge ogni possibilità rettilinea, aprendosi alla dimensione ciclica e integrando anche quelle coppie antinomiche, come la simultaneità e la progressione, la continuità e la discontinuità: la loro polarità tende a vanificarsi, stemperata in un tempo non desti nato a finire, bensì a ritornare. E' questo 1' elemento fondamentale, guello che agisce anche a livello immaginativo. Certo, il mare e il viaggio, Emily, Samantha e Olga ci possono riportare alla storia di Odisseo con le sue numerose donne e la sua solitudine, ma, in realtà, ciò che viene smentito è proprio il fatto della storia. Sullo sfondo non c'è la storia di Odisseo ma il mito di Ulisse, e del mito, Outis ne raccoglie e ne restituisce il carattere temporale.
Ora, è proprio questo l'aspetto più interessante dell'opera, quello che più consente di scorgere un filo rosso coerente nella produzione di Berio, una rosa di problemi costante che implica un modo particolare di rapportarsi con la storia in genere. I quattro lavori che precedono Outis Passaggio, Opera, La vera storia e Un re in ascolto propongono tutti una riflessione sul genere dell'opera. Ciò significa avvertire la consapevolezza dei modi in cui oggi è possibile mettere una storia in musica. Berio non ha mai assunto posizioni negative. Nella puntata di "C'è musica e musica" dedicata all'opera, l'autore avverte "il peggiore insulto all'opera è affermare che non ci sono più compositori capaci di scrivere opere come in passato. Questo significa tradire il senso storico dell'opera trasformandola in feticcio".
L'opera è un genere musicale con una tradizione; una tradizione che, nel giro di quattro secoli, ha decretato mutamenti nel rapporto fra libretto e musica, nelle regole della narrazione, nei ruoli vocali e strumentali, nella sua funzione sociale, nel ruolo dello spettatore, oltreché, naturalmente, nei modi espressivi. Allora il problema si focalizza in una questione di consapevolezza della tradizione, dei problemi che di volta in volta sono emersi, delle soluzioni artistiche trovate, ecc. Con parole di Berio, nell'avvertire "il senso storico" del genere, affinché questo non rinsecchisca in mera ripetizione, non si consolidi in un modello senza vita, non si annulli in gesti che hanno il vuoto alle spalle. Così, le opere precedenti, che già tendono all'azione in musica (cioé individuano nella musica il timone della storia, per cui, ad esempio, in Un re in ascolto quando il re muore, solo una lettura elementare permette una identificazione col personaggio come se fosse reale. In verità è la musica che muore strutturalmente con lui).
Queste opere, dicevamo, si caricano di memoria, si nutrono di reminiscenze. Memorie letterarie: in Passaggio la protagonista femminile ha l'esemplarità della Milena delle lettere di Kafka e nel contempo di Rosa Luxemburg, tuttavia non ne è l'identificazione e neppure il simbolo. Potremmo dire, per spiegarci meglio, che le sei "Stazioni" del percorso della donna, anche se fossero mute, sarebbero già pregne di esperienze già fatte a cui la situazione drammatica allude, e che senz'altro per Berio e Sanguineti, a livello immaginativo, hanno svolto un ruolo di indice. Sanguinet i, come Del Corno, ha costruito un testo per accumulazione e giustapposizione, ricco di implicazioni culturali e rimandi. Questo tipo di operazione connota tutti i lavori di Berio. Ma, attenzione, non è una operazione di incastro, non ha nulla di quell'atteggiamento giocoso e disincantato che spesso il novecento ha assunto nei confronti del passato. È, ancora una volta memoria storica che non solo alita alle nostre spalle, ma ci sopravanza.
Memorie musicali. Nella Prima Parte de La vera storia riecheggia il Trovatore di Verdi, non si tratta di citazioni bensi di reinterpretazioni. Il primo atto dell'opera verdiana è ripercorso in una sorta di schema parallelo, ma smentito a livello di situazione scenica. Tutto il materiale sia musicale sia scenico viene rielaborato nella Seconda Parte: Berio rielabora se stesso; un se stesso che quindi si pone già come storia. Cos'è allora la storia per Berio? È anzitutto consapevolezza dell' esistenza di forme, generi e materiali molto ricchi e diversi, pensiamo all'interesse nei confronti della musica popolare europea ed extraeuropea che ha accompagnato tutta la sua carriera. Questo vasto materiale costituisce una fonte costante di ispirazione. Lo sguardo del compositore non si posa su qualcosa di morto, su qualcosa che una concezione della storia, sottomessa ad una temporalità ad arco, ne decreta l'esaurimento (si pensi a quante volte questa concezione temporale ha condotto a pensare gli acc adimenti culturali come a qualcosa che nasce, ha uno sviluppo, un vertice espressivo e un'inevitabile morte per esaurimento intrinseco, un esempio per tutti: il sistema tonale, almeno nella percezione comune).
L'Opera, il Coro, la Sinfonia, le Sequenze, sono tutti generi musicali del passato che Berio ìndaga, togliendo le diverse sovrapposizioni che l'uso nel tempo ha depositato, e recuperandone il senso originario. Allora la Sinfonia non è più la forma sonata classica per orchestra ma, nel senso etimologico, tanti elementi che risuonano insieme. Questo atteggiamento nei confronti della storia è sorretto davvero da una visione ciclica del tempo. Nulla si esaurisce, tutto ciò che è passato è suscettibile di un ri nnovamento espressivo tramite un attento sguardo interpretativo che mette in luce quello che di potenziale la forma possiede ancora. Un rapporto con la storia, quindi, aperto e propulsivo, che ci fa comprendere anche ciò che lega le Sequenze e gli Chemins, un rapporto che Berio stesso ha definito ermeneutico. Se si capisce questo modo di lavorare, le sue necessarie implicazioni, con la dimensione della storia e del tempo, Outis, allora, non può sorprendere né per l'abbondanza dei rimandi, né per la loro vagheza e neppure per il finale così aperto e onirico. Sono, infatti, tutti elementi costitutivi della poetica del compositore.
Un'ultima considerazione sul finale. La musica si ritira e la scena partecipa a questa progressiva sottrazione fino al silenzio: Outis muove al canto, ma nulla, nessun suono esce dalla sua gola. Quanto avrebbe potuto dire ancora? E che tipo di relazione c'è con Emily? I due personaggi sono soli sulla scena accanto a due pianoforti, come in una sorta di concerto. Cos'e questa nolontà di Outis che gli impedisce di fare, di decidere, quasi la sua presenza fosse inutile? Naturalmente le risposte possono essere molte, sarà lo spettatore a fornirle. Non si sta parlando di "alea", ma di un coinvolgimento in prima persona di chi guarda. E diremo anche che è ovvio: nulla in questa storia ha dato certezze: "Gesti, frasi spezzate, comportamenti allusi, si trovano come in una condizione 'musicale', allo stadio di suggerimenti la cui traduzione in idee è affidata a noi" [2].
Note[1] Eco in ascolto, intervista di Umberto Eco a Luciano Berio, in AA VV, Berio, a cura di E.Restagno, EDT, Torino 1995, p. 55.-
[2] U. Eco, Introduzione a "Passaggio", op.cit., p. 72. -
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