E’ assioma più volte verificato tra le pagine di questo sito che la musica, più di altre arti (letteratura, pittura, cinema), abbia conservato uno stretto legame con la mitologia classica e con il repertorio di sapere che da essa deriva. Le ragioni sono incerte, forse andranno cercate in un bisogno di valorizzazione e di giustificazione culturale: anni fa avevo osservato in un articolo l’impressionante quantità di riferimenti classici presenti nella letteratura poliziesca, specie quella d’annata, quando le detective stories erano ancora considerate un genere minore, di cui un po’ vergognarsi, frequentato più per ragioni economiche che come esibizione di bravura stilistica e compositiva; ed è possibile che qualcosa del genere avvenga anche con la musica cosiddetta colta, oggi un genere indubbiamente minoritario e di nicchia. Può essere, invece, che in musica, più che nelle altre discipline, sia forte il senso della tradizione, e minore quindi le possibilità – o forse anche solo la necessità – di esplorare nuovi campi e territori, maggiormente interessando la possibilità di confrontarsi con nuovi mezzi su temi del passato. E ancora: è possibile che ancorarsi a miti e storie ben conosciute sia una sorta di contrappeso al carattere astratto che, per sua natura, la musica tende ad avere. La discussione è aperta. Ma, per fare un esempio, colpisce osservare come in questa estate, abbastanza scialba di grandi avvenimenti musicali, degli otto spettacoli presentati da un Festival che è certo la quintessenza della conservazione, quello di Salisburgo, a parte tre incentrati sulle presenze di singoli divi, gli altri cinque erano tutti dedicati a un personaggio mitologico classico – in un festival che, per definizione, ha sempre rifuggito dalle scelte tematiche unitarie: Idomeneo (Mozart), Orfeo (Offenbach), Edipo (Enescu), Medea (Cherubini) e Salome (Strauss), che viene dalla classicità biblica per via di Oscar Wilde, ma sempre personaggio classico è.
Questo post lo vorrei però dedicare a un brano eseguito in uno dei concerti “Proms” della BBC. Cosa siano i Proms (abbreviazione di Promenade) ho già avuto occasione di dirlo in un altro post: una serie di concerti promossi dalla rete nazionale inglese con le sue orchestre, ed orchestre ospiti. Occupano tutte le giornate dalla metà di luglio alla metà di settembre; si svolgono perlopiù (ma non solo) alla Royal Albert Hall; hanno una tradizione più che centenaria (dal 1895); vengono trasmessi per radio (tutti), per televisione (molti); alternano brani sinfonici (prevalenti), a opere liriche, musical, incontri di musica pop. Uno dei compiti culturali dei Proms è presentare testi inediti, o inediti quanto meno per la Gran Bretagna. E’ appunto questo il caso del brano che mi ha colpito, e che si intitola Icarus. Autrice è una compositrice russa, divenuta cittadina americana, Valerija L’vovna Auėrbach, detta Lera Auerbach (nessuna parentela, ovviamente, con Erich). La Auerbach è nata nel 1973 in una città nella regione degli Urali, ai confini con la Siberia, da una famiglia di musicisti. Ha studiato in patria, perfezionandosi poi alla Manhattan School of Music e alla Juilliard School di New York, la città dove si è trasferita nel 1991 e dove tuttora vive. Ha debuttato come compositrice con un suo brano eseguito alla Carnegie Hall da Gideon Kremer e dal suo gruppo, la “Kremerata Baltica”, nel 2002. Da allora è autrice di un vasto numero di composizioni, molte a carattere cameristico, ma anche due sinfonie, un balletto (dedicato alla Sirenetta di Andersen: il balletto, nel 2005, inaugurò dopo le ristrutturazioni l’Opera di Copenhagen), due opere liriche, un Requiem ortodosso, un oratorio, vari concerti per strumenti e orchestra.
Icarus è un brano del 2006, che nei concerti Proms è stato eseguito per la prima volta nel Regno Unito. La prima esecuzione del brano risale invece al 2011, al bellissimo festival di Verbier, sulle montagne svizzere del Vallese. Il brano è derivato dall’ultimo movimento della sinfonia nr. 1 della Auerbach, intitolata Chimera, anch’essa datata 2006. Ha avuto varie esecuzioni, negli States (Boston e Chicago), in Canada (Winnipeg), in Ungheria (Budapest) e in Belgio (Bruxelles), forse anche altrove. Nella prima sezione viene descritta, a mio parere, la concitazione e l’eccitazione della fuga; è un brano agitato, che poi d’un tratto si placa, fino a lasciare spazio, in una sorta di seconda sezione, a un bell’assolo del violino primo: un po’ come se si descrivesse, credo, la gioia e la pace di un volo che ormai sembra assicurato e tranquillo. Questa sezione non dura a lungo: un movimento a spirale dell’orchestra dà spazio alla rapida e vorticosa caduta di Icaro. Una quarta sezione, dominata dagli ottoni, illustra il lutto per la morte del giovane; una quinta e ultima, più lenta e solenne, introdotta dal pizzicato dei violini, con ampio spazio concesso di nuovo al violino solista e all’oboe, rappresenta, a mio parere, il cordoglio ufficiale per Icaro, una sorta di funerale sul suo cadavere. I toni sono ancora molto seri, scuri, ma nello stesso tempo è come se il dolore fosse già stato distanziato e, in certa misura, elaborato, e il corteo funebre alla fine si allontanasse poco a poco, lasciando la scena vuota. Si muore sempre da soli…
Va detto che la Auerbach fornisce della musica un’immagine leggermente diversa (il suo intervento, che corrisponde alle note di sala del concerto tenutosi a Boston nel 2016, si legge alla pagina https://blog.bostonphil.org/auerbach-icarus): “The title Icarus was given to this work after it was written. All my music is abstract, but by giving evocative titles I invite the listener to feel free to imagine, to access his own memories, associations. Icarus is what came to my mind, listening to this work at that time. Each time I hear the piece—it is different. What is important to me is that it connects to you, the listener, in the most individual and direct way, that this music disturbs you, moves you, soars with you, stays with you. You don’t need to understand how or why— just allow the music to take you wherever it takes you. It is permissible to daydream while listening or to remember your own past. It is fine not to have any images at all, but simply experience the sound”. E così, dunque, sia!
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© Massimo Gioseffi. La partitura di Icarus è copyright delle edizioni Hans Sikorski (Schirmer per Canada e USA)