Nella serie di post dedicati alla musica contemporanea e alla cultura classica, questa volta vorrei presentare la sonata per pianoforte “Troia”, opera del compositore, pianista, arrangiatore Fazil Say. Nato ad Ankara nel 1970, Say è cresciuto in Germania, dove i suoi genitori erano emigrati. Nella sua cultura unisce perciò tradizione “occidentale” (i suoi studi si sono compiuti fra Düsseldorf e Berlino), e tradizione “orientale”, rappresentata da riprese di temi, stilemi e interessi generali per la terra d’origine. Il catalogo delle composizioni è piuttosto ampio: la sonata di cui parlo, datata 2017, è il numero 78 della lista ufficiale. Say è anche un rinomato concertista e improvvisatore. In questo inizio di 2019, ad esempio, è apparso due volte a Milano, a febbraio alla Scala, nelle vesti di accompagnatore del mezzosoprano francese Marianne Crebassa; all’orchestra Verdi a marzo, come solista al pianoforte (vi si era già esibito nel 2017). La personalità di Say è non solo poliedrica, ma anche sempre singolare. Ne offro come testimonianza due esecuzioni del Rondò finale, terzo movimento della Sonata per pianoforte numero 11 di Mozart, il cosiddetto “Rondò” (o “Marcia”) “alla turca” – un titolo che non poteva mancare nel repertorio del nostro pianista. La prima esecuzione è “regolare”, ancorché velocissima rispetto al tempo di “Allegrino” marcato da Mozart; l’altra è una rielaborazione jazzistica dello stesso Say. Tutti i brani sono derivati dal sito del musicista, dove sono offerti alla libera fruizione.
Come compositore, Say ha al suo attivo tre sinfonie (intitolate significativamente “Istanbul”, “Mesopotamia”, “L’intero universo”); vari pezzi solistici per pianoforte e altri strumenti – inclusa la voce umana; un Requiem; numerosi concerti per solisti e orchestra: tromba, clarinetto, violino (dal titolo di “Le mille e una notte nell’Harem”), e almeno quattro se non più concerti per pianoforte (uno, per due pianoforti). A esemplificazione della sua arte, presento Kara Toprak (“Terra nera”), proposto come bis nel concerto a Milano di quest’anno; e la versione numero 2, per piano solo, e numero 3, per piano e voce solista, che si limita però a un melisma vocalico che ricorda allo stesso tempo un lamento e il canto di un muezzin, di Gezi Park (Gezi Park è la località di Istanbul dove un sit-in di protesta contro la creazione di un centro commerciale ha provocato, nel 2013, una reazione scomposta delle forze dell’ordine turco, con un bilancio complessivo di nove morti e ottomila feriti). Dalla composizione si evince un ulteriore tratto dello scrivere di Say, e cioè l’impegno nella quotidianità e nella cronaca, anche politica, della sua terra. La versione numero 1 della composizione, è un più ambizioso concerto per due pianoforti.
Veniamo alla sonata “Troia” (Troy) che è il titolo che più direttamente ci interessa. E’ in dieci movimenti (il brano si può sentire per intero, assieme ad altre opere di Say, in un recente disco, in commercio anche in Italia). Diciamo subito che la sonata ha avuto recensioni miste, alcune di grande entusiasmo, altre più fredde. Nonostante si apra nel nome di Omero, ricorda forse più il film di Wolfgang Petersen del 2004, di cui rispetta la sceneggiatura, che non davvero l’Iliade, rivelandosi così perfetto emblema di un riuso contemporaneo dei classici, che non passa necessariamente attraverso i classici, ma piuttosto attraverso la “scia” di prodotti e riferimenti che essi hanno lasciato dietro di sé. Significativo mi pare infatti che, contro il precetto oraziano, Say voglia ricostruire praticamente ab ovo la vicenda troiana, dando grande spazio alla figura di Paride e alla seduzione di Elena, così come accadeva nel film, ed esaltando, dei dieci anni di guerra, solo la figura carismatica di Achille. D’altra parte, nell’ottica già erodotea di presentare la guerra di Troia come il primo scontro epocale fra civiltà appartenenti a Storie e continenti diversi, si intuisce come nella carriera di Say non potesse mancare un omaggio a questo tema.
Il primo movimento, grave e pensoso, delinea la figura di Omero, quasi un ripiegarsi del bardo sul passato di cui sta per raccontare le vicende. Il secondo movimento si anima grazie agli arpeggi della mano destra, che creano l’immagine dei venti che sospingono la nave di Paride dall’Asia alla Grecia. La mano sinistra, con i suoi accordi pesanti, getta però un’ombra di inquietudine sul viaggio. Il terzo movimento, rapido ma calcato, marziale, ben scandito, evoca gli eroi achei radunati a Sparta. La città lacedemone è protagonista del quarto movimento, lento e profondo, misterioso, inquietante. Con l’arrivo di Elena, quinto movimento, si apre una sorta di duetto d’amore, in pieno stile melodico.
Con il sesto movimento ci siamo spostati in Asia Minore. Il pianoforte evoca un’alba tranquilla nella città di Priamo, prima che, nel settimo movimento, faccia la sua irruzione Achille, martellante, insistente, quasi orgiastico alla fine del brano, come assorto in una specie di crudele danza della guerra. Il conflitto è al centro dell’ottavo movimento, irruente e baldanzoso. Nel nono appare il cavallo di Troia, una marcia scandita dai grandi gesti del pianista, che lascia poi spazio alla festa della presunta salvezza e al silenzio della notte fatale. Conclude l’opera un rapido epilogo.
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