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  • Andromacha (Percontatio impossibilis)

    Andromacha (Percontatio impossibilis)

    PERCONTATRIX: Magno honori mihi est tibi occurrere, Andromacha, Hectoris uxor, mater Astyanactis, Andromacha candidis lacertis.

    ANDROMACHA: Gratias tibi ago, puella. Adhucne nomen meum inter mortales notum est? Et tamen, per circiter triginta saecula hic versor…

    PERCONTATRIX: De te, Andomacha, Homerus, Euripides, Vergilius, et Francogallus Racine ille, et multi alii cecinerunt. Et omnes te maximis virtutibus praeditam fingunt.

    ANDROMACHA: Et tu, nonne me admiraris, puella?

    PERCONTATRIX: Ita, ita, et me tui miseret.  Amisisti enim maritum quem amabas et qui mutuo ardore te amabat, et filium quem ex eo peperisti. Maximas poenas quibus mulieres affici possunt tulisti.

    ANDROMACHA: Gaudeo  quod ad  tantam famam  virtutibus meis  perveni. Tamen talis non sum qualem auctores me finxerunt.

    PERCONTATRIX: Quidnam dicis? Cur?

    ANDROMACHA:  Filia fui regis Thebarum urbis, quae iacet sub monte Placo, et nupsi  filio et heredi  regis Priami, forti Hectori. Iuvenes eramus et pulchri, et mutuo amore ardebamus. Genui filium pulcherrimum, Astyanactem, “pulchrum tamquam stellam”

    PERCONTATRIX:  Nonne beata eras?

    ANDROMACHA: Beatissima fui, sed bellum – bellum illud! – ortum est. In bello viri ante moenia  pugnant et cadunt, feminae domi plorant et timent. Viri vincere volunt, feminae vivere.

    PERCONTATRIX: Memini. Viro tuo suadere conata es ne impetum faceret sed ut praesidium instrueret.

    ANDROMACHA: Ille contra mihi ut domum redirem suadere voluit. Sibi bello providendum dicebat esse. Attamen se ab Achille necatum in singulari certamine moriturum esse sciebat  et, Troia deiecta, me servam in Graecia fore. Num Hector  me amabat?

    PERCONTATRIX: Quam ob causam hoc modo se gessit?

    ANDROMACHA:  Quia vir, vir magni animi, pluris famam et honorem habebat quam vitam, pluris quam uxorem filiumque.

    PERCONTATRIX: Quid fecisti?

    ANDROMACHA: Nihil, puella. Nihil facere potui. Mulier modo eram. Sentiebam, sciebam quid fieret et quid futurum esset. Nam Hector occisus est ab Achille, et Pyrrhus, Achillis filius, Astyanactem meum necavit, et concubina eius facta sum.

    PERCONTATRIX: Quam multa passa es!

    ANDROMACHA: Ita, omnia perdideram, nihil habebam. Mori voluissem, nisi propositum, consilium quoddam concepissem…

    PERCONTATRIX: Quid erat?

    ANDROMACHA: Exspecta! Pergo narrationem meam: mihi filius genitus est a Pyrrho, Molossus, qui mihi solacio fuit. Postea omnia mutata sunt: Pyrrhus (forte fortuna!) interfectus est ab uxore sua, et Peleus senex, cui Molossus unus heres erat, ei regnum tradidit. Ergo, rursus in domo regia vixi, regis mater… Ridiculum est! Molossus est mihi filius et Achillis nepos! Postea Heleno nupsi, cum quo Buthroti vixi, in Epyro, nisi beata, quieta saltem, ut Vergilius dicit.

    PERCONTATRIX: Non dixisti quamobrem in servitute per annos tam luctuosos vivere statuisses.

    ANDROMACHA:  Ob Hectorem. Stupesne? Ob Hectorem. Ille vitam meam delevit et perdidit, ille auctor fuit mortis filii mei. Ille famam et honorem adeptus erat, morte sua inani et horribili. Ego modo femina fui: nihil obtinere poteram nisi famam quae feminam decet. Et tandem me ostendi talem qualem poetae me cecinerunt: uxorem fidelem et inconsolabilem viduam. Nonne ob virtutes meas valde me existimas? Nonne?

    PERCONTATRIX: Recte dicis.

    ANDROMACHA:Triginta secula intercesserunt, puella. tua aetate spero omnes  homines, viri et mulieres, fata sua eligere posse. Nolim mulieres adhuc pareant et serviant maritis. Spero nullam alteram Andomacham fore. Et memento: amo ego Hectorem, et memoriam eius servare volo perpetuam. Attamen amare eum plus quam oculos meos nequeo, qui me viduam pro coniuge fecit  et sibi uni consuluit…

    © Ivana Milani, 2020

  • Una sonata iliadica

    Una sonata iliadica

    Nella serie di post dedicati alla musica contemporanea e alla cultura classica, questa volta vorrei presentare la sonata per pianoforte “Troia”, opera del compositore, pianista, arrangiatore Fazil Say. Nato ad Ankara nel 1970, Say è cresciuto in Germania, dove i suoi genitori erano emigrati. Nella sua cultura unisce perciò tradizione “occidentale” (i suoi studi si sono compiuti fra Düsseldorf e Berlino), e tradizione “orientale”, rappresentata da riprese di temi, stilemi e interessi generali per la terra d’origine. Il catalogo delle composizioni è piuttosto ampio: la sonata di cui parlo, datata 2017, è il numero 78 della lista ufficiale. Say è anche un rinomato concertista e improvvisatore. In questo inizio di 2019, ad esempio, è apparso due volte a Milano, a febbraio alla Scala, nelle vesti di accompagnatore del mezzosoprano francese Marianne Crebassa; all’orchestra Verdi a marzo, come solista al pianoforte (vi si era già esibito nel 2017). La personalità di Say è non solo poliedrica, ma anche sempre singolare. Ne offro come testimonianza due esecuzioni del Rondò finale, terzo movimento della Sonata per pianoforte numero 11 di Mozart, il cosiddetto “Rondò” (o “Marcia”) “alla turca” – un titolo che non poteva mancare nel repertorio del nostro pianista. La prima esecuzione è “regolare”, ancorché velocissima rispetto al tempo di “Allegrino” marcato da Mozart; l’altra è una rielaborazione jazzistica dello stesso Say. Tutti i brani sono derivati dal sito del musicista, dove sono offerti alla libera fruizione.

    Come compositore, Say ha al suo attivo tre sinfonie (intitolate significativamente “Istanbul”, “Mesopotamia”, “L’intero universo”); vari pezzi solistici per pianoforte e altri strumenti – inclusa la voce umana; un Requiem; numerosi concerti per solisti e orchestra: tromba, clarinetto, violino (dal titolo di “Le mille e una notte nell’Harem”), e almeno quattro se non più concerti per pianoforte (uno, per due pianoforti). A esemplificazione della sua arte, presento Kara Toprak (“Terra nera”), proposto come bis nel concerto a Milano di quest’anno; e la versione numero 2, per piano solo, e numero 3, per piano e voce solista, che si limita però a un melisma vocalico che ricorda allo stesso tempo un lamento e il canto di un muezzin, di Gezi Park (Gezi Park è la località di Istanbul dove un sit-in di protesta contro la creazione di un centro commerciale ha provocato, nel 2013, una reazione scomposta delle forze dell’ordine turco, con un bilancio complessivo di nove morti e ottomila feriti). Dalla composizione si evince un ulteriore tratto dello scrivere di Say, e cioè l’impegno nella quotidianità e nella cronaca, anche politica, della sua terra. La versione numero 1 della composizione, è un più ambizioso concerto per due pianoforti.

    (Kara Toprak)
    (Gezi Park 2)
    (Gezi Park 3)

    Veniamo alla sonata “Troia” (Troy) che è il titolo che più direttamente ci interessa. E’ in dieci movimenti (il brano si può sentire per intero, assieme ad altre opere di Say, in un recente disco, in commercio anche in Italia). Diciamo subito che la sonata ha avuto recensioni miste, alcune di grande entusiasmo, altre più fredde. Nonostante si apra nel nome di Omero, ricorda forse più il film di Wolfgang Petersen del 2004, di cui rispetta la sceneggiatura, che non davvero l’Iliade, rivelandosi così perfetto emblema di un riuso contemporaneo dei classici, che non passa necessariamente attraverso i classici, ma piuttosto attraverso la “scia” di prodotti e riferimenti che essi hanno lasciato dietro di sé. Significativo mi pare infatti che, contro il precetto oraziano, Say voglia ricostruire praticamente ab ovo la vicenda troiana, dando grande spazio alla figura di Paride e alla seduzione di Elena, così come accadeva nel film, ed esaltando, dei dieci anni di guerra, solo la figura carismatica di Achille. D’altra parte, nell’ottica già erodotea di presentare la guerra di Troia come il primo scontro epocale fra civiltà appartenenti a Storie e continenti diversi, si intuisce come nella carriera di Say non potesse mancare un omaggio a questo tema.

    Il primo movimento, grave e pensoso, delinea la figura di Omero, quasi un ripiegarsi del bardo sul passato di cui sta per raccontare le vicende. Il secondo movimento si anima grazie agli arpeggi della mano destra, che creano l’immagine dei venti che sospingono la nave di Paride dall’Asia alla Grecia. La mano sinistra, con i suoi accordi pesanti, getta però un’ombra di inquietudine sul viaggio. Il terzo movimento, rapido ma calcato, marziale, ben scandito, evoca gli eroi achei radunati a Sparta. La città lacedemone è protagonista del quarto movimento, lento e profondo, misterioso, inquietante. Con l’arrivo di Elena, quinto movimento, si apre una sorta di duetto d’amore, in pieno stile melodico.

    (Omero)
    (Venti dell’Egeo)
    (Gli eroi della Grecia)
    (Sparta)
    (Elena e Paride)

    Con il sesto movimento ci siamo spostati in Asia Minore. Il pianoforte evoca un’alba tranquilla nella città di Priamo, prima che, nel settimo movimento, faccia la sua irruzione Achille, martellante, insistente, quasi orgiastico alla fine del brano, come assorto in una specie di crudele danza della guerra. Il conflitto è al centro dell’ottavo movimento, irruente e baldanzoso. Nel nono appare il cavallo di Troia, una marcia scandita dai grandi gesti del pianista, che lascia poi spazio alla festa della presunta salvezza e al silenzio della notte fatale. Conclude l’opera un rapido epilogo.

    (Troia)
    (Achille)
    (La guerra)
    (Il cavallo)
    (Epilogo)

    © 2019

  • Percontationes impossibiles II

    Percontationes impossibiles II

    Paris, filius Priami et Hecubae, electus est a diis ut iudicaret quae pulcherrima esset inter Iunonem, Minervam et Venerem. Cum Venus victrix discessisset, Paridis iudicium causa et origo belli Troiani fuit. Quare Paris a multis non amatur: videtur vilis, piger, mulierosus… 

    PERCONTATOR: Salve Paris, qui amore Helenae captus, uxoris Menelai praeclari, causa fuisti maximi belli quod antiquis temporibus genus humanum excruciavit!

    PARIS: Ego non sum belli Troiani auctor, neque fas est me istius pestis reum arcessere. Obnoxius non sum.

    PERCONTATOR: Dic ergo, quaeso: quis, tua sententia, belli causa fuit?

    PARIS: Quisnam, nisi superi?

    PERCONTATOR: Vos, homines prisci, semper culpas in deos vertitis. Deos omnium malorum et scelerum facitis reos, quae ipsi perpetravistis. Numquam culpas vestras confitemini, numquam debitas poenas solvere vultis, sed argumenta dolosa et rhetorica semper invenitis ad superos accusandos.

    PARIS: Nequam hominem me iudicas! Excuso tamen verba tua. Quam multi et quam diu mihi maledixerunt! Iuvat me ipsum tibi narrare quis fuerim. Vix natus, in monte relictus sum propter somnium quod mater mea somniavit. Hecuba enim in somnio se vidit facem parientem, qua ardente tota urbs combureretur. Itaque, antequam natus essem, iam habitus sum auctor ruinae Troianae. Sacerdotibus imperantibus, desertus sum in montibus ut ferae me vorarent. Forte fortuna inventus sum a pastore quodam, Agelao, qui me servavit et aluit. Vixi placide ut humilis pastor ….

    PERCONTATOR: Dic mihi, beatusne eras? Nonne uxor quoque tibi erat?

    PARIS: Beatus eram. Coniunx mea, Oeno, nympha montium erat atque alter alteram amabat, donec Iuppiter me iussit iudicem esse, ut quae esset pulcherrima inter deas statuerem. Pastor et adulescens eram: tua sententia, num regna Asiae aut sapientia me adlectare poterant? Elegi Venerem, quae amorem mulieris pulcherrimae mihi promiserat. At illa, ut pactum servaret, mihi persuasit ut raperem Helenam, quamquam mihi notum erat quid eventurum esset, cum Helena Menelao nupsisset. Praeterea, neglectae deae in odio me habuerunt, et multa mala machinatae sunt in me et in Troianos.

    PERCONTATOR: Certe. Attamen tu eligisti Venerem, tu rapuisti Helenam, tu denique causa belli fuisti…

    PARIS: At si aliter iudicassem de deabus, iudicium meum aeque exitiale fuisset et mihi et Troianis; nam quaecumque inter eas, nisi victrix discessisset, machinata esset adversus me, immo adversus Troiam. Dei autem statuerant Troiam esse delendam. Me agnito a matre mea, pater quoque me servavit a turba irata, quae me interfectura erat, dicens: “Pereat Troia, at non filiolus meus!”

    PERCONTATOR: Fateor te bene dixisse; at, Venere adiuvante vel tua cupidine coactus, rapuisti tamen Helenam, ardens nimio amore feminarum. Qui amor famosum te effecit in toto orbe: nam callidissimus fuisti in animis feminarum illiciendis…

    PARIS: Ne hoc quidem verum est; miserior enim cum feminis fui quam Hector cum Andromacha vel Aeneas cum Creusa vel Ulixes cum Penelope. Illi mutuo se amabant, Helena autem semper me vituperabat et reprehendebat. Ne Oeno quidem me amavit; nam, cum posset me morientem servare, me moriturum reliquit.

    PERCONTATOR: Concedo: in mulieribus eligendis felix non fuisti…. At dic mihi: scisne te non strenuum virum, sed ineptum in pugnando existimari?

    PARIS: Opinio tota vestra est!

    PERCONTATOR: Tu quid censes?

    PARIS: Primum: cum pastor, baculo tantum praeditus, pecudes a praedonibus servavissem eosque fugavissem, mihi a pastoribus datum est cognomen Alexander (id est hominum tutor); deinde Troiae, in ludis dicatis filio Priami, qui relictus erat in montibus, vici omnes fratres meos, inter quos Hectorem ipsum, qui postea in bello me acribus verbis contumeliisque affecit. Postremo, coram te interfector Achillis adstat!

    PERCONTATOR: Certe eum interfecisti arcu, sed eminus, non comminus, ut viri strenui, atque ab Apolline adiutus.

    PARIS: Quam iniustus es! Tethys auxilium tulit filio suo Achilli quoquo modo, Venus Aeneae saepe subvenit et Minerva Ulixi; num illi strenui sunt et ego virtute careo? De arcu nemo vituperat Herculem vel Philoctetam, qui sagittarii fuerunt… Meministine quomodo Ulixes Procos occiderit ?

    PERCONTATOR: Arcune?

    PARIS: Num armati Proci erant? Num se defendere potuerunt?

    PERCONTATOR: Minime. Recte dicis.

    PARIS: At deinde, quisnam es tu, qui me iudicare audes, me, Paridem, filium Priami, me, qui vidi divina corpora dearum maximarum et filiam Iovis uxorem duxi?

    PERCONTATOR: Bene dicis, Paris, et mihi ignosce.

     

    © Ivana Milani, 2018

     

  • Percontationes impossibiles I

    Percontationes impossibiles I

    Le interviste impossibili è il titolo di un programma della seconda rete radiofonica della RAI, andato in onda dal 1973 al 1975, per le cure di Lidia Motta. In esso uomini di cultura contemporanei fingevano di incontrare e intervistare illustri personaggi della Storia e della Letteratura, appartenuti ad un’altra epoca (o, in alcuni casi, nemmeno mai esistiti per davvero), e perciò impossibili da intervistare. Nel 1975 Valentino Bompiani curò una selezione di alcune interviste, oggi recuperabili in rete, nei canali di Youtube (due interviste, in cui a dare voce al personaggio del passato era Paolo Poli, sono reperibili su questo stesso sito, nella sezione intitolata “Testi”). La pagina di wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Le_interviste_impossibili offre elenco e descrizione esauriente di quel lontano programma.

    Sulla base di quel precedente, presso il liceo Beccaria di Milano è stato organizzato, nell’a.s. 2016/2017, un identico esercizio. Le interviste, di cui qui si riporta quella a Penelope, ma a breve seguiranno altre, erano, naturalmente, tutte in latino. Alla loro stesura, sotto la guida dell’insegnante, ha partecipato una classe seconda, cui va il merito della realizzazione dei testi e, in seguito, della loro recitazione. Il modello è, oltre a quello già citato, l’uso dei “laboratori” delle vecchie scuole gesuitiche: dove pure, alla stesura di elaborati copioni teatrali partecipava, sotto la guida del maestro, tutta la scolaresca, che poi quei medesimi copioni metteva in scena nel saggio di fine anno. Una pratica alla quale oggi guardiamo forse con sufficienza, ma dalla quale ci sarebbe invece molto da imparare. E’ infatti, non occorre dirlo, un modo di sollecitare un uso attivo del latino, che applica la grammatica, ma non pone la conoscenza della grammatica come fine; e che, oltre alla conoscenze di lingua e di lessico, stimola la fantasia e il divertimento degli studenti. Un po’ come le didascalie pittoriche, o quanti altri esercizi ricordino che un uso parzialmente attivo di una lingua è sempre indispensabile per l’apprendimento della lingua stessa, anche quando lo scopo non sia parlarla; e che andare incontro al gusto ludico dei giovani è tutt’altro che un male, anzi spesso è fonte di grandi sorprese!

     

    PENELOPE

    PERCONTATRIX: Summo honori est mihi tecum congredi, Penelope: egregia uxor mariti egregii, probissima mater, optima nurus, fida coniunx, quamvis vir tuus viginti per annos te reliquerit, o miserrima!

    PENELOPE: Tibi gratias ago, puella. Nolo me gloriari, sed fateor te verum dicere.

    PERCONTATRIX: Sed dic mihi, regina. Quam vitam egisti et quam multa perpessa es, absente Ulixe?

    PENELOPE: Tristis et taeterrima fuit. Ithacae erant senes tantum, et pueri, et viduae. Nonne scis quot viros Ulixes secum Troiam abduxerit? Tandem solus revenit… Sed primi anni celeriter processerunt: Laertes civitatem regebat, ego Telemachum alebam et bono exemplo feminis Ithacensibus eram. Praeterea, pro certo habebam Graecos bellum celeriter composituros callidumque Ulixem dolum aliquem inventurum esse ad Troiam capiendam – exempli causa: ligneum equum… Et ille invenit equum, sed decem post annos! Interea ego clausa eram in cubiculo meo, et texebam, texebam…

    PERCONTATRIX: Domiseda et lanigera, mulier laudanda fuisti.

    PENELOPE: Certe! Num velles te laudari viginti per annos, domi clausam?

    PERCONTATRIX: Sed filius apud te vivebat, qui magno solacio tibi fuit.

    PENELOPE: Oh, Telemachus! … Meministine quid dixerit cum ausa essem descendere a cubiculo meo?

    PERCONTATRIX: Ita. Imperavit ut tu ascenderes ad cubiculum tuum textum; virisque tantum ius consistendi  in triclinio esse.

    PENELOPE: Ius consistendi et cenandi et epulandi, me texente …

    PERCONTATRIX: Nonne in fide mansisti viro tuo? Nonne callidam fraudem invenisti, telam texendo?

    PENELOPE: Certe! Callida, immo polytropos, ego quoque sum. Tamen anni ruebant, Ithacae certiores factae sumus Troiam captam esse, neque mariti nostri revenerant. Alii viri pervenerunt ab aliis insulis, mulieres Ithacenses denuo nupserunt,  alii infantes nati sunt. Ego autem semper clausa eram in cubiculo meo, et texebam et carminabam, carminabam et texebam …

    PERCONTATRIX: Num prodidisti virum tuum?

    PENELOPE: Minime, in fide mansi. Sed rumores fuerunt… Scisne quid de me Apollodorus mythographus scripserit ?

    PERCONTATRIX: Scripsit te coivisse deo Mercurio, et ab eo Pana genitum esse.

    PENELOPE: Calumniae, turpes calumniae!

    PERCONTATRIX: Quid mihi dicis de Procis ?

    PENELOPE: Advenerunt ad regiam, plures quam centum, principes, duces, ex universa Graecia, ut me uxorem ducerent! Femina fere quadraginta annorum eram, neque tamen foeda…

    PERCONTATRIX: Sed tu in fide mansisti et telam texebas. Postea ancillae perfidae te prodiderunt.

    PENELOPE: Num putas me, mulierem callidam quam quae maxime, non valuisse ancillas regere? Minime!

    PERCONTATRIX: Quis fraudem tuam detexit?

    PENELOPE: Ego scilicet. Fessa eram texendo et carminando, et Antinous pulcher erat.

    PERCONTATRIX: Sed postea Ulixes rediit.

    PENELOPE: Rediit et in fide ei manseram.

    PERCONTATRIX: Tandem una vixistis beati felicesque.

    PENELOPE: Id omnino verum non est… Nam paulo post  iterum abiit.

    PERCONTATRIX: Quo?

    PENELOPE: Nescio. Forsitan ivit quaesitum terras tam procul a mari sitas ut incolae ignorarent quid remus esset; forsitan ad Circem rediit; forsitan ivit visum quid esset ultra Herculis columnas. Multa de eo dicuntur.

    PERCONTATRIX: Et nunc? Nonne in Elysio una vivitis?

    PENELOPE: Plus minusve. Ille abit et redit. Vicesimo quoque anno redit.

    PERCONTATRIX: At tu? Quid agis, Ulixe absente?

    PENELOPE: Hic locus amoenus est nobis, ubi perpetua convivia habentur atque Demodochus nos delectat carminibus suis.

    PERCONTATRIX: Sed toto die, Ulixe absente, ante convivia, quid agis?

    PENELOPE: Texo et carmino, carmino et texo: sed etiam suavem musicam et pulchra carmina audio. In Elysio non tantum Demodochus est: etiam Orpheus, Linus, Archilochus, Alcaeus et multi alii sunt…et pulchri et iuvenes…..

     

    © Ivana Milani, 2018

  • In memoria di una signora amica

    In memoria di una signora amica

    La traduzione in latino di testi greci è una prassi antichissima. Senza contare le traduzioni compiute dagli stessi autori latini, o la diffusione di certe opere poetiche e filosofiche avvenuta, nel corso del Medioevo, solo grazie alla loro traduzione, a partire dal primo Umanesimo si è incominciato a tradurre un po’ di tutto. All’inizio le motivazioni potevano essere svariate: rendere comprensibile e favorire la diffusione dei testi greci anche nell’Occidente latinizzato; dimostrare il proprio bello stile; mettersi a gara con gli originali; un puro esercizio di scuola ecc. Oggi, la pratica ha ancora qualche possibilità di utilizzo e qualche vantaggio: uno per tutti, offrire un più ampio repertorio di testi, non ancora registrati da “Splashlatino” e siti consimili, che però trattano temi e argomenti vicini a quelli presenti nel canone di autori cui siamo più abituati.

    Alcune delle traduzioni più facilmente reperibili sono celebri e di nobile firma, proprio perché già alla fine del Quattrocento la pratica ebbe una certa diffusione; altre sono invece anonime, o si fondano per variazioni progressive su un testo primigenio, dal quale a poco a poco si sono però venute discostando. Nel corso del XIX secolo la benemerita “Bibliothèque des auteurs Grecs” di Ambroise-Firmin Didot (https://en.wikipedia.org/wiki/Didot_family) ha messo in circolazione un gran numero di questi testi, usandoli a fianco degli originali greci. Sono volumi rintracciabili in molte biblioteche, anche non particolarmente specializzate, e spesso disponibili online.

    Proprio da uno di questi libri, l’edizione 1838 delle opere di Omero, traggo il ricordo del cane più famoso dell’antichità, a completamento del post intitolato “Cani di varie razze e lingue” (https://users.unimi.it/latinoamilano/articles/2017/06/16/cani-di-varie-razze-e-lingue/). Rispetto all’originale (che si legge all’indirizzo https://www.gutenberg.org/files/52693/52693-h/52693-h.htm, in un volume a firma di Johann Friederich Dübner, anche se il nucleo della traduzione è più antico), ho introdotto talune variazioni, anche molto personali, con l’intenzione di semplificare il testo e togliergli quella patina da poema orale che mal s’addice all’uso che propongo di farne in classe. Tutte le variazioni sono suscettibili di emendazione e correzione. Attendo i suggerimenti dei lettori. Quanto mi proponevo, infatti, non era di competere con Omero (o con Dübner, o chi per lui). 

    Dum Ulyxes, qui in patriam viginti post annos pervenerat, et Eumaeus subulcus ante fores domus regiae inter se colloquuntur, Argus, Ulyxis canis, quem quondam ipse nutrivit, neque eo tamen fruitus est (prius enim ad Ilium abiit), caput et aures, humi fusus, subito erexit. Hunc autem antea ducere solebant iuvenes regii capras in silvestres et cervos et lepores; tum vero iacebat neglectus, absente domino, in multo stercore mulorum boumque, quod ei abunde circumfusum erat, donec id auferrent servi, praedium magnum stercoraturi. Sic igitur iacebat Argus, ricinorum plenus. At, statim ut agnovit Ulyxem prope stantem, cauda quidem adulatus est, et aures deiecit ambas; ad dominum propius attamen venire non potuit. Et ille, seorsum conspicatus, abstersit lacrimam, facile latens Eumaeum. Quem deinde interrogavit: “Eumaee, hoc certe mirandum est: canis, qui iacet in fimo, pulcher olim videtur fuisse”. Ad quae subulcus respondit: “Si talis ille esset et corpore et operibus, qualem ipsum reliquit Ulyxes, Troiam profectus, statim eum admirareris, conspicatus eius velocitatem et robur. Nequaquam enim effugiebant ferae in profundis silvis, quascumque egisset: vestigia eorum persequens, omnes exploravit latebras. Nunc autem adficitur senectute, summo malo; dominus eius procul hinc alienam agitat vitam, neque eum mulieres negligentes curant. Servi vero, quando non amplius imperant domini, non amplius volunt iusta operari”. Et sic locutus aedes intravit, Ulyxem secum trahens. Argum autem fatum occupavit atrae mortis, statim ut viderat Ulyxem, dominum suum, vigesimo post anno.

     

             

     © 23.04.2018