Il sito di Colombare di Negrar di Valpolicella

Cosa sappiamo del sito di Colombare di Negrar di Valpolicella, prima di iniziare la nostra campagna di scavo e approfondire le ricerche scientifiche degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso?

Il sito archeologico si trova nei monti Lessini veronesi, sul versante orientale della media Valpolicella, in posizione prospiciente alla Valpantena. Ad individuarlo fu, nel 1951, Giovanni Solinas all’interno del podere denominato Le Maronare, in una vallecola chiusa sulle pendici sud-occidentali del Monte delle Faldere.

Francesco Zorzi
Francesco Zorzi ©Museo di Storia Naturale, Verona.

Solinas, collaboratore del Museo di Storia Naturale di Verona, si rivolse per l’avvio delle indagini al paletnologo Francesco Zorzi, all’epoca direttore del museo. Anche se lo Zorzi fu il primo a scavare l’area negli anni 1953 e 1954, non fu comunque il solo: un altro scavo fu poi condotto, qualche anno dopo, nel 1967, dal Museo di Storia Naturale di Verona sotto la direzione scientifica del professor Leone Fasani.

Colombare di Negrar: un abitato collinare

I dati raccolti fino a questo momento ci raccontano di un sito di abitato collinare all’aperto, posto a circa 650 m s.l.m, che rappresentava forse un luogo soggetto a un’occupazione stagionale, utilizzato per lo sfruttamento dei pascoli d’altura.

Non solo. Sembrerebbe che la scelta di rifugiarsi in altura sia stata dettata da una generale instabilità politico-sociale che spingeva ad arroccarsi in luoghi più facilmente difendibili nel corso del IV millennio a.C., periodo al quale si fa risalire il primo impianto del sito, secondo i dati materiali.

Per la stretta vicinanza geografica con i giacimenti di selce dei Lessini, infine, Colombare potrebbe inserirsi anche tra i siti legati alle attività di estrazione e lavorazione dell’importante risorsa in prossimità delle rotte in cui avveniva lo scambio dei manufatti in questo materiale.

La scoperta delle capanne

Durante gli scavi, Zorzi individuò le strutture di nove capanne, tutte con un lato addossato agli spuntoni rocciosi e ai massi erratici che delimitano la vallecola. Con massi erratici si intendono rocce lontane dal loro luogo d’origine, trasportate a fondovalle da ghiacciai che, una volta ritirati, le lasciano appunto “fuori posto”.

Tra tutte le capanne individuate da Zorzi, quelle in condizioni migliori erano soltanto due (note come 1° e 2°); di queste, solo la 1° è stata scavata integralmente.

La capanna 1

L’area di scavo della capanna 1 occupa un’area quadrata di 7,55m x 7,55m, divisa per lo scavo in quadrati più piccoli, di 1mq l’uno. In questa zona, Zorzi individuò un muretto perimetrale eretto a secco, alto 50 cm e largo 55 cm, con un lato lungo di 5,10 m e i due corti di 2,50 m. Il quarto lato – cioè quello addossato alla parete rocciosa – era costituito da una pietra di dimensioni imponenti, alta 6 m e larga 13,70 m.

Capanna 1
Disegno della capanna 1 © Cocchi Genick D. (1996) Manuale di Preistoria III. L’età del Rame, vol. 1, Octavo – Franco Cantini Editore, p. 212

I muretti dovevano rappresentare non ruderi di pareti di pietra, ma piuttosto il basamento interrato di un alzato in materiale deperibile. In poche parole: la capanna non doveva avere pareti di pietra, ad eccezione di quella rappresentata dalla nuda roccia.

Se questa interpretazione è corretta, l’interruzione di 70 cm trovata da Zorzi lungo il lato sud ovest e che è stata documentata nei suoi disegni di scavo non può essere identificata con la soglia d’ingresso dell’abitazione (che ragionevolmente doveva invece trovarsi più in alto), ma piuttosto come l’esito di un successivo crollo in situ (cioè sul luogo stesso) del pietrame del basamento.

Sotto il lato maggiore del muretto furono rinvenuti due focolari e la sepoltura di un infante, nella quale le ossa risultano sconnesse. Nell’opinione dello Zorzi questi ritrovamenti sono da ricondurre ad un rito di fondazione. Uno dei focolari, una pietra con tracce di rubefazione (cioè di scottature rossastre) e concrezioni di carbone e ceneri, si trova incluso nel corso superiore del lato sud ovest del muretto.

L’altro focolare e la sepoltura giacevano invece sulle argille sottostanti al muretto, cosa che fa pensare che la loro datazione dovesse essere precedente alla messa in opera della struttura.

La stratigrafia

La lettura della stratigrafia, cioè della successione degli strati archeologici, è ancora una volta firmata Francesco Zorzi. In corrispondenza delle unità abitative n°1 e n°2, riconobbe infatti una sequenza di tre strati:

  • Il primo, fortemente organico, spesso tra 60 e 80 cm,era ricco di pietrame di frana ma anche di reperti litici e fittili (ossia in pietra e ceramica);
  • il secondo, dallo spessore di oltre 1 m, era anch’esso ricco di manufatti litici e fittili come il precedente, soprattutto al tetto, cioè nella parte superiore. Nello strato era inglobato anche il muro perimetrale della capanna 1;
  • il terzo, composto prevalentemente di argilla e dunque di consistenza compatta, è stato identificato con lo sterile (lo strato cioè che non dovrebbe presentare resti antropici) e come piano d’appoggio delle strutture di fondazione delle unità abitative.

I materiali di interesse archeologico provengono dai primi due strati; per quanto riguarda il terzo, è stato sondato solo per una piccola parte.

A causa del forte rimaneggiamento del deposito e della copresenza di materiali appartenenti a epoche differenti, gli studiosi che hanno sinora lavorato sui reperti del sito hanno messo in dubbio l’attendibilità della lettura stratigrafica di Zorzi. Ecco perché oggi risulta necessario capire come si sono formati gli stessi depositi.

I ritrovamenti

La ceramica

Il sito è stato frequentato per lungo tempo, dal Neolitico fino all’età del Rame e forse fino alle soglie dell’età del Bronzo antico (tra i 5000 e i 2000 anni a.C.) come testimoniano i moltissimi materiali rinvenuti, soprattutto ceramici.

Ceramica stile metopale
Ceramica a stile metopale © Fasani L., Visentini P. (2002) L’insediamento neolitico e dell’età del Rame di Colombare di Negrar sui Monti Lessini (Verona) in Ferrari A., Visentini P. (a cura di) Il declino del mondo neolitico. Ricerche in Italia centro-settentrionale tra aspetti peninsulari, occidentali e nord-alpini. Atti del Convegno (Pordenone 2001), Quaderni del Museo Archeologico del Friuli Occidentale n°4, p. 233

Tipici del Neolitico recente sono i rinvenimenti della “cultura del vaso a bocca quadrata (VBQ)“: il nome deriva dal “fossile guida” – il vaso ad orlo quadrangolare anziché circolare – che si riscontra in tutta l’Italia settentrionale durante il Neolitico medio, e che dimostra la presenza di una stessa compagine culturale in questa fase.

I vasi a bocca quadrata rinvenuti alle Colombare di Negrar sono decorati ad incisioni ed impressioni. A questo stile si associano però elementi tipo Lagozza, ossia elementi di derivazione occidentale, che testimoniano la disgregazione della precedente unitarietà culturale nel Neolitico recente.

Buona parte dei frammenti ceramici collezionati durante i primi scavi proviene da una raccolta selettiva, un processo di raccolta che ha cioè privilegiato, spesso per questioni puramente estetiche, alcuni tipi vascolari rispetto ad altri, creando un problema di rappresentatività dei tipi stessi. Ecco perché la maggior parte dei frammenti che abbiamo appartiene a forme vascolari dell’età del Rame. Si tratta principalmente di recipienti decorati in cosiddetto “stile metopale”, chiamato così perché ricorda le metope dei templi dorici greci.

Questo fatto accosta i rinvenimenti delle Colombare di Negrar a quelli che si trovano in contesto funerario propri della “cultura di Remedello”, dal nome dell’omonima necropoli bresciana, uno dei sito di riferimento per lo studio della cultura materiale dell’età del Rame sin dalla fine del XIX sec. Due frammenti di vaso campaniforme (cioè a forma di campana rovesciata) testimoniano una frequentazione del sito alla fine dell’età del Rame.

A Colombare sono anche documentati frammenti di ceramiche “White Ware”, così chiamate per la colorazione biancastra e la presenza di pietra calcarea nell’impasto, mentre rimandano al Tardoneolitico frammenti di grandi contenitori, sempre ad impasto grossolano, decorati con cordoni impressi.

L’industria litica, ovvero gli oggetti in pietra alle Colombare di Negrar

Durante i primi scavi sono stati rinvenuti anche molti manufatti in pietra. Per essere precisi, nel repertorio dell’industria litica delle Colombare si contano, oltre a numerosi strumenti a ritocco sommario, bulini, grattatoi e foliati, ovvero strumenti ottenuti tramite ritocco piatto.

Il ritocco è quella lavorazione che modella il supporto di selce rendendolo uno strumento vero e proprio e che avviene mediante l’asporto intenzionale di microschegge per percussione o per pressione. Nel caso del ritocco piatto si verifica il distacco di microschegge strette ed allungate, che modificano il margine dello strumento invadendo, talvolta interamente, una o entrambe le facce del manufatto stesso.

Nella famiglia dei foliati sono comprese per esempio punte “a peduncolo” e a spalle, punte peduncolate semplici, punte a base concava e a doppia losanga. Sono definite a losanga quelle punte che hanno l’estremità con la quale vengono fissate ad un’asticella a forma di rombo; sono invece definite peduncolate quelle estremità che terminano con piccolo prolungamento. Il peduncolo delimitato da spalla si ha invece quando il tratto compreso tra il peduncolo e il bordo laterale dello strumento è rettilineo e forma con il peduncolo stesso un angolo retto.

Molti dei reperti sono sprovvisti di indicazioni stratigrafiche, che potrebbero invece aiutarci con la cronologia, ma è comunque possibile delineare delle tendenze. Per esempio, nel passaggio dal Neolitico all’Eneolitico, il numero di bulini e grattatoi diminuisce, mentre aumenta l’importanza dei foliati, in particolare quelli detti “a cran”, punte in selce dotate di un’ampia tacca alla base, pensata per facilitare l’inserimento dell’armatura in un’asta.

Lo studio dei reperti ha permesso di avanzare alcune considerazioni. Per esempio, per via della forma amigdaloide (cioè “a mandorla”) e per le proporzioni, si è notata una certa somiglianza tra i foliati bifacciali (vale a dire scheggiati su due facce) delle Colombare e quelli caratteristici di altri siti della terza fase della cultura del vaso a bocca quadrata, sebbene quelli trovati alle Colombare appaiano lavorati in maniera meno accurata.

Industria campignana
Industria campignana © Peretto C., Ronchitelli A. M. (1973) Il villaggio preistorico delle Colombare di Negrar. L’industria litica della capanna n. 1 in Rivista di Scienze Preistoriche XXVIII, 1, p. 467

Della stessa fase del vaso a bocca quadrata farebbe parte anche un unico foliato geometrico “a tranciante trasversale”, ossia uno strumento di forma trapezoidale che presenta un unico margine non ritoccato, tagliente, che con ogni probabilità costituiva la parte attiva, “utile”, dell’utensile stesso. Non sono attestati i tipi geometrici, che scompaiono all’affermarsi della cultura del vaso a bocca quadrata.

Tra i reperti va segnalato anche un bulino forse riconducibile al tipo detto Ripabianca, un tipo che è raramente presente nei contesti che riguardano la cultura del Vaso a bocca quadrata perché tipico dei gruppi che abitavano la Pianura Padana nel Neolitico antico e, nella fattispecie, del Gruppo di Fiorano. Dato l’isolamento di questo reperto, la sua presenza alle Colombare potrebbe significare che si tratta di tipo “di lunga durata”.

Peculiare della fase eneolitica del sito è invece l’eccezionale quantità di strumenti di tecnica campignana, così chiamata perché affine alla tecnica con la quale sono stati lavorati gli oggetti del sito francese di Campigny. Tali strumenti si trovano alle Colombare perché con ogni probabilità rispondevano a precise esigenze ambientali, come la necessità di diboscare la zona per aprire radure o di dissodare il terreno per prepararlo alle attività agro-pastorali.

A Colombare sono stati infine trovati anche “elementi di falcetto”, strumenti che sembrano preannunciare le forme tipiche dell’antica età del Bronzo, così bene documentate nelle palafitte del Garda.

Gli strumenti in “materia dura animale”

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Straordinaria è anche la collezione di strumenti in materia dura animale rinvenuti nel sito. Troviamo per esempio punteruoli, punte, aghi/spilloni, oggetti a biseau (ovvero i bulini), pendagli e manici. A questi si aggiungono oggetti genericamente classificati come diversi (rispetto alle categorie precedentemente elencate) e frammenti che recano tracce di lavorazione, molto importanti per lo studio delle sequenze di manifattura e dunque per comprendere il processo di fabbricazione.

Tutti i manufatti sono stati realizzati in osso, corno o su dente, e sono stati ricavati dai taxa – ovvero dai generi e dalle specie – riconosciuti nel corso dell’esame archeozoologico. Significa in pratica che sono stati utilizzati come materia prima i resti ossei degli animali allevati o cacciati nei dintorni del sito.

L’89 per cento circa dei resti apparteneva ad animali domestici – soprattutto bovini, caprovini e suini, ma è rilevante anche la presenza di una mandibola di cane – mentre poco più dell’11 per cento ad animali selvatici, come per esempio cervi e cinghiali ma anche orsi bruni e piccoli mammiferi, tra cui volpe, tasso, gatto selvatico, lepre, martora e faina.

Gli strumenti in materia dura animale che si prestano a confronti tipocronologici, cioè che permettono di risalire alla cronologia in base allo studio dei tipi, sono pochi; tra questi ci sono quattro punte di freccia (tre in osso e una in palco). In particolare quella con peduncolo a sezione quadrata è affine ad alcune cuspidi rinvenute in contesti palafitticoli di Bronzo antico e medio.

A questi si aggiungono un dente di orso bruno, sei di maiale o cinghiale e due di cane lavorati a mo’ di pendaglio, presenti in modo diacronico, ma il cui momento di massima diffusione coincide con l’età del Rame.

Punte
Strumenti in pietra © Francesco Zorzi (1960) Capitolo II: le culture oloceniche in Preistoria Veronese. Insediamenti e stirpi, estratto da Verona e il suo territorio, vol. 1, Istituto per gli Studi Storici Veronesi, p. 108

Altri materiali culturali

Tra i materiali rinvenuti nel corso dei primi scavi figurano anche alcuni timbri detti pintaderas – due interi e uno frammentario – utilizzati nell’ambito della pittura corporale, almeno in base a quanto suggerito dai confronti etnografici. Allo stato attuale delle conoscenze le pintaderas sembrano potersi attribuire alla Cultura del vaso a bocca quadrata: vanno infatti scomparendo al suo esaurirsi e non vengono recepite dalle comunità lagozziane.

E poi, è interessante il rinvenimento di un pendente in pietra calcarea della tipologia delle “perles à ailettes. Si tratta di un tipo di amuleto ampiamente documentato nella Liguria occidentale e nella Francia meridionale e ci racconta di sicuri contatti con l’Oltralpe – proprio come avviene con la ceramica “metopale”, che rappresenta un influsso della cultura di Remedello nell’areale di diffusione della Cultura di Fontbouisse (Midi francese).

Infine, è stata rinvenuta un’unica ascia piatta in rame con lama trapezoidale larga, tallone rettilineo, lati dritti e taglio convesso espanso riconducibile al periodo campaniforme.

Questi sono i dati da cui partiamo per approfondire la conoscenza del sito delle Colombare di Negrar. Cosa ci riserverà la prossima campagna di scavo?

(Pubblicato il 22/8/2019)