Il 25 agosto 1918 nasceva a Lawrence, Massachussets, Leonard Bernstein. L’anniversario in Italia è stato abbastanza ignorato (niente paura: è successo anche a Debussy e Gounod, per restare nel campo della musica operistica di Otto/Novecento), non così all’estero. Difficile parlare di Bernstein: grande pianista, grandissimo direttore d’orchestra, importante divulgatore musicale, compositore sottovalutato dalla critica, ma amatissimo dal pubblico. Qui ricordo solo alcuni episodi molto personali: ragazzo, negli anni Settanta ascoltai le sinfonie di Beethoven nella loro continuità e completezza grazie alla serie di filmati realizzati da Bernstein con i Wiener Philarmoniker, il regista Humphrey Burton e l’attore Maximilan Schell, che recitava i testi introduttivi – uno spettacolo della Unitel poi commercializzato su DVD. In precedenza Bernstein – all’epoca, direttore principale della New York Philarmonic Orchestra – aveva realizzato già nei primi anni Sessanta una serie di concerti e di filmati televisivi, anch’essi poi fortunatamente raccolti in DVD, nei quali presentava e dirigeva numerosi capolavori del repertorio sinfonico, spiegandone la struttura, il linguaggio, il significato, con parole semplici ed esemplificazioni dal vivo. Una buona parte dei concerti era riservata a un pubblico di ragazzi, cui Bernstein sapeva parlare con semplicità, ma senza semplificazioni. Alla Scala aveva firmato due spettacoli entrati nella leggenda, Medea di Cherubini (1953, regia di Margherita Wallmann) e Sonnambula di Bellini (1955, regia di Luchino Visconti), entrambi con Maria Callas come protagonista: ma, ahimè, prima che io nascessi… (per fortuna di entrambi esiste la registrazione sonora). Nel periodo 1978-1990, l’anno della sua morte, a Milano venne poco: nel 1978, sull’onda del successo viennese del Fidelio da lui diretto a inizio anni Settanta e ripreso e inciso in quell’anno, con la regia di Otto Schenk, la dirigenza scaligera di allora (Paolo Grassi e Claudio Abbado) riuscì a organizzare una mini-tournée di tre serate alla Scala. Tornò per qualche concerto, spesso con orchestre “sue”, tedesche o americane, ma in un caso anche con la Filarmonica scaligera. Altri suoi spettacoli in giro per il mondo sono rimasti leggendari. Fra tutti, il concerto tenuto nel Natale del 1989 a Berlino, a Muro appena abbattuto, con dei complessi provenienti da entrambe le Germanie riunite e quattro solisti di nazionalità diversa, a rappresentare gli Stati che più avevano sofferto durante l’ultima guerra. Forse c’era un po’ di show-business nell’operazione; c’era certamente qualche elemento discutibile (nell’ode di Schiller che chiude la sinfonia, Bernstein faceva cantare a coro e solisti “Freiheit!”, “Libertà”, invece di “Freude!”, “Gioia”). Ma per chi aveva allora vent’anni o poco più, quello è rimasto nella memoria come uno dei momenti magici della propria generazione.
Qui non voglio però rievocare l’interprete, quanto il compositore. Bernstein musicista, con Steven Sondheim paroliere e Jerome Robbins coreografo, rivoluzionò il musical, con West Side Story del 1957 (come ricordava argutamente lui: “Pensa, un musical in cui il sipario a fine atto cala sempre su un morto” [West Side Story è una rivisitazione della vicenda di Romeo e Giulietta, ambientata nella New York delle bande etniche: il primo atto si chiude sulla morte di Bernardo/Tybalt, il secondo su quella di Tony/Romeo; Giulietta sopravvive e lancia il “J’accuse” finale). West Side Story e il di poco precedente Candide (1956, libretto originale di Lillian Hellman da Voltaire; il musical però ha avuto continui rifacimenti vivente l’autore) sono stati oramai adottati anche nei circuiti “colti”: alla Scala si sono visti entrambi, West Side Story a inizio anno è andata in scena anche al Teatro Regio di Torino, Candide qualche anno fa all’Opera di Roma. Non ha scritto solo musical, però, Bernstein: un’opera o forse due (Trouble in Tahiti, atto unico del 1952, poi inglobata in A Quiet Place, 1983, come spettacolo dentro lo spettacolo); tre sinfonie; diversi concerti e suite; una raccolta di Salmi in musica (Chichester Psalms, 1965); varie Messe e cantate (una, divertentissima, derivata da un flop a Broadway del 1976, intitolata originariamente 1600 Pennsylvania Avenue e poi, dopo la morte di Bernstein, circolata anche come A White House Cantata: la Casa Bianca e i suoi primi occupanti ne sono i protagonisti, fino all’impeachment di Andrew Johnson, 1869, anticipo diversissimo di quello, all’epoca appena avvenuto, di Richard Nixon, 1974); musica da camera o per strumenti solistici; musica vocale (fra cui le quattro divertenti ricette di La Bonne Cuisine, 1948); musica da film (On the Waterfront, “Fronte del porto”, 1954, di Elia Kazan, nominato al Premio Oscar del 1955).
Fra le varie composizioni di Bernstein figura Serenade, eseguita per la prima volta alla Fenice di Venezia, diretta dall’autore, violino solista Isaac Stern (1954). Come indica il titolo è una composizione abbastanza fluida, anche se di fatto è un concerto per violino che non mantiene la canonica divisione in tre movimenti. Infatti, è pensato come una messa in musica del Simposio di Platone. Ogni movimento rappresenta perciò uno dei momenti chiave del dialogo, i cui discorsi, com’è noto, celebrano tutti l’amore. Lo stile è assolutamente tonale e si avvertono echi di altre composizioni dell’autore, incluso qualche anticipo di West Side Story. Bernstein era un uomo colto, brillante conversatore, autore di libri e trattati (nell’autunno del 1973 fu anche protagonista delle “Norton Lectures” a Harvard, quelle che da Calvino in poi siamo abituati a chiamare “Lezioni Americane”), ma le sue matrici culturali erano l’America e l’Ebraismo, non il Greco o il Latino. I movimenti sono in tutto cinque: il primo, lento e poi allegro, è dedicato agli interventi di Fedro e Pausania; il secondo, allegretto, segue lo scoppiettante, ma in fondo anche malinconico, discorso di Aristofane; il terzo, di brevissima durata, un presto, riproduce le parole di Erissimaco, il medico; il quarto e più struggente, un adagio, è dedicato ad Agatone; l’ultimo, molto tenuto e allegro molto vivace, introduce prima Socrate e poi Alcibiade, che interviene a interrompere il banchetto con una banda di amici ubriachi, che si esprimono con qualche tocco jazz. Il tono è essenzialmente lirico, come si conviene al soggetto (l’Amore) e alla situazione descritta (i banchettanti di Platone sono amici, e per una volta tanto nel dialogo non si danno gli scontri spesso presenti in altre opere socratiche). Ogni movimento riprende, sviluppa e poi modifica una parte della musica del movimento precedente, esattamente come in Platone ogni personaggio che parla si ricollega alle parole di chi l’ha preceduto. In questo modo, la composizione avanza verso il suo finale, proprio come il testo di Platone avanza verso la verità rivelata da Socrate. Gli interpreti sono Gidon Kremer e Bernstein. La registrazione risale al 1986.
I – Fedro e Pausania
II – Aristofane
III – Erissimaco
IV – Agatone
V – Socrate e Alcibiade
Un’ulteriore descrizione della composizione (che include anche le parole con le quali Bernstein ha illustrato ogni movimento) si può trovare, fino al 25 agosto del 2019, nel sito che il “Leonard Bernstein Office” ha dedicato al centenario del compositore e alle sue musiche. Questo l’indirizzo della pagina che ci riguarda:
https://leonardbernstein.com/works/view/23/serenade-after-platos-symposium
© Massimo Gioseffi, 2018