Il titolo è giusto così. Prendendo spunto da un recente volume a cura di K.F.B. Fletcher e O. Umurhan, Classical Antiquity in Heavy Metal Music, pubblicato nel 2020 dalla casa editrice inglese Bloomsbury Academic, oggi parliamo di musica Heavy Metal. Premetto, doverosamente, che nulla ne conosco, e le informazioni che seguono sono quindi tutte tratte dal volume in questione, qualche volta anche con la difficoltà di ritradurre dall’inglese degli originali spesso italiani.
Il volume è una miscellanea, che raccoglie nove interventi di autori vari, tutti gravitanti in ambito anglosassone, quando non anglosassoni essi stessi. L’assunto di base è spiegato nell’ampia introduzione (pp. 1-21) firmata dai due curatori. Lo riassumo qui: i due studiosi, nel 2014, erano stati invitati a parlare in un convegno del rapporto fra Heavy Metal e antichità classica. Da lì, l’idea di espandere la relazione in un saggio a più voci, dedicato al medesimo tema. Nell’introduzione, molte parole sono spese (a mio parere inutilmente) per difendere il genere musicale in questione; cercare di conferirgli una patente di nobiltà che nessuno che abbia in mano il libro, immagino, penserebbe di contestare; assalire la prassi dominante fra gli antichisti, per cui i Reception Studies musicali dell’Antichità si occupano quasi esclusivamente di opera lirica (pur riflettendo questa concezione, che risponde al gusto del curatore, osservo che anche questo sito ha dato spesso spazio a manifestazioni musicali non operistiche). A questo fa seguito una rapida storia del genere Heavy Metal, che sintetizzerei così: nascita alla fine degli anni Sessanta (i due autori riconoscono una sorta di primato ai gruppi denominati “Led Zeppelin” e “Black Sabbath”); un salto di qualità a partire dagli anni Ottanta, in connessione all’attività degli “Iron Maiden”, che nell’album Piece of Mind, 1983, avrebbero introdotto una poesia di Tennyson (Charge of the Light Brigade, 1854, divenuta The Trooper) e un brano dedicato al mito di Icaro (Flight of Icarus). A partire da allora, i curatori individuano due tipologie di musica: una, nata all’inizio degli anni Novanta, chiamata Viking Metal, che si rifà nella scelta degli argomenti a miti (o a richiami paesaggistici) del profondo Nord europeo, Scandinavia e Islanda in particolare; l’altra che chiamano Mediterranean Metal, più legata alla tradizione classica, e in particolare all’eredità (anche geografica) dell’impero romano.
Nel volume un saggio è dedicato a Virgilio; un altro a Cesare, un terzo all’innografia greca, da Omero a Proclo. I restanti articoli si occupano di specifiche figure dell’immaginario antico (Cassandra, Didone e Caligola, non senza un inevitabile tributo ai Gender Studies), di luoghi dell’immaginario classico (l’antico Egitto, con altrettanto inevitabile omaggio ai Colonial Studies), del gusto per l’orrido e l’occulto che accomuna antichità e musica Metal. Qui mi occupo del primo saggio, in cui K.F.B. Fletcher, uno dei curatori, si interessa a tre gruppi Heavy Metal italiani, ispiratisi tutti e tre a Virgilio. Il primo si chiama “Hesperia”, e all’Eneide ha dedicato quattro album, Aeneidos Metalli Apotheosis, usciti rispettivamente nel 2003, nel 2008, nel 2013 e nel 2015; il secondo gruppo si chiama “Stormlord”, autore di un album uscito nel 2013, dal titolo Hesperia (da non confondere con l’omonimo gruppo di prima). Il terzo, infine, è il gruppo denominato “Heimdall”, autore di un album uscito anch’esso nel 2013, e intitolato Aeneid. Di Hesperia (il gruppo) Fletcher non si occupa, giustificando il fatto con quattro argomentazioni: è poco distribuito internazionalmente; si tratta di una “one-man band” (sembrerebbe un ossimoro); i suoi testi sono tutti in italiano; non si esibisce dal vivo. Degli altri due gruppi, va detto che Stormlord mescola italiano, latino e inglese; Heimdall cita l’Eneide nella classica traduzione inglese di Dryden (1697), una scelta decisamente singolare.
Dedico questo post al gruppo denominato Stormlord, e all’album Hesperia. Il gruppo ha origini lontane (1991). Da allora ha pubblicato sei album, l’ultimo dei quali, Far, è del 2019: il gruppo è ancora in attività, con una formazione che è rimasta sostanzialmente fissa nei quasi trent’anni, ormai, di collaborazione artistica. E’ stato sempre contraddistinto da un certo interesse per il mondo classico. Nell’album del 2001 At the Gates of Utopia il brano iniziale si intitola “Under the Samnites’ Spears”; in quello del 2004, The Gorgon Cult, oltre alla Gorgone che dà titolo all’album figurano citati Ecate, Medusa, i Lemuria, e il brano centrale si intitola “The Oath of the Legion” . Nell’album Mare Nostrum, del 2008 (che precede immediatamente Hesperia), si allude, ovviamente, all’antico Mediterraneo. Nel complesso dei diversi album sono citati, a detta di Fletcher, Dante, Tennyson e Lovecraft. Fletcher si interroga del perché di questi rimandi e ne fornisce tre motivazioni, tutte da verificare: una è il peso che la cultura classica ancora riveste nella cultura italiana (da Dante in poi, nella generica e un po’ frettolosa formulazione del volume); il secondo sono i richiami mitologici tipici del genere musicale in sé, che sono di stampo celtico-vichingo per le formazioni nordiche, ma di stampo classico-romano per le formazioni mediterranee. Infine, Fletcher insiste su un forte nazionalismo reviviscente in Italia, di cui questi gruppi sarebbero la spia, alla pari delle manifestazioni di…Casa Pound. Da parte mia mi limito a riferire, con qualche dubbio. Anche perché Fletcher non si pone la domanda che più volte ci siamo posti in questa sede, ossia come mai proprio la musica, in tutti i suoi generi, Heavy Metal compreso, sia, fra le arti, quella che ha conservato più legami con l’antico. Lo studioso, per accreditare la sua ipotesi, si rifà a due interviste del 2013, con le quali Fabio Calluori (chitarrista degli Heimdall) e Francesco Bucci (basso degli Stormlord) celebrano, rispettivamente, “le origini della nostra cultura latina e romana” e il “nostro passato, di cui siamo orgogliosi” (ritraduco dall’inglese). In ogni caso, Fletcher è disposto a riconoscere, p. 26, che “There is no simplistic whitewashing of the Aeneid or its hero here. Metal’s turn to local topics may be nationalistic in origin, but not all bands approach such material in the same way, or with the same intent”. E possiamo lasciare la questione così.
L’album Hesperia si compone di otto brani, che coprono, per così dire, la prima metà dell’Eneide (gli Heimdall seguono invece più da vicino il poema virgiliano, con dodici tracce che accompagnano passo per passo il testo di base). Eccone titoli e durata: Aeneas, 6:05; Motherland, 4:37; Bearer of Fate, 6:44; Hesperia, 4:19; Onward to Roma, 6:38; Sic Volvere Parcas, 1:05; My Lost Empire, 5:27; Those Among the Pyre, 9:38. La scelta sottolinea subito due cose: il focus è sul viaggio di Enea e sul suo arrivo finale in Italia, come del resto rivela anche il titolo dell’album; ampia parte dell’album è dedicata a momenti di riflessione sulla missione di Enea, a cominciare dalla sosta cartaginese, nella quale si riflettono allo stesso tempo il maggiore atto di eroismo e il maggiore atto di viltà del protagonista, con tutta l’ambiguità che al poema virgiliano riconosciamo in tempi moderni. Quanto ai testi cantati, essi possono essere (a dispetto dei titoli inglesi) in latino, in italiano (una brutta traduzione dell’Eneide), o in inglese. E’ in latino, ad esempio, il primo brano, Aeneas, in cui il cantante (Cristiano Borchi) recita – a dire il vero, in modo incomprensibile: il dato si ricava dal libretto di accompagnamento – i vv. 1-17, 19-20; 22, ancora 5-7, ripetuti come una sorta di ritornello; e 33 del primo libro virgiliano. Significativo mi sembra che, nel momento in cui il testo è rispettato in sommo grado nella sua facies originale, tanto da non mutarne la lingua, in realtà sia alterato dall’omissione dei vv. 18 e 21; mentre la ripetizione dei vv. 5-7 prima del 33, uniti gli uni e l’altro dalla ricorrenza del verbo condere, sottolineano la moles dell’impresa (Tantae molis erat Romanam condere gentem) e la sua finalità (dum conderet urbem). Mi pare anche notevole che il brano sei, l’unico con titolo non inglese, ripeta quel sic volvere Parcas che è la clausola del v. 22 (già presente nel brano 1, isolato e messo in rilievo dalla omissione dei vv, 21 e 23).
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Il latino ritorna nel brano numero 5, Onward to Roma. In questo modo, le due metà del disco, simmetricamente, si aprono entrambe su una citazione latina. Nel titolo del brano Fletcher sottolinea la stranezza di usare Roma, non “Rome”, come inglese vorrebbe, e vi riconosce una presa di posizione del gruppo. I versi citati sono quelli di Aen. 6, 781-784, parte della profezia di Anchise che ripromette al figlio, ritrovato nell’Ade, una discendenza felix prole virum. Il seguito della profezia, con il celebre invito a parcere e debellare, è rievocata in inglese.
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Due cose ancora sottolinerei prima di chiudere. Il racconto non ha andamento cronologico: il brano numero due ha per protagonista Naute, personaggio del quinto libro (vv. 704ss.); My lost Empire, il penultimo brano, è una rievocazione di Troia messa in bocca ad Enea. Hesperia, il brano numero quattro, ripete le parole al primo approssimarsi delle coste italiche, nel terzo libro del poema virgiliano (vv. 521ss.); Those among the pyres, il brano finale, è una rievocazione di tutti i personaggi che hanno dovuto morire perché l’impresa eneadica arrivasse a buon fine.
Seconda cosa: Fletcher, nel finale della sua analisi, mette in relazione l’album con ulteriori manifestazioni di musica mediterranea (non necessariamente italiana) di matrice nazionalista. Io ricorderei che già un gruppo punk rock degli anni Ottanta, i Litfiba, avevano proposto, nel lontano 1983, una Eneide di Krypton, poi riproposta nel 1990 e nel 2015. Mi chiedo quanto il precedente abbia pesato nel passaggio fra le generazioni. E in ogni caso, lo vedo come un più importante riferimento alla presenza perenne del poema virgiliano.
© massimo gioseffi, 2020
Per la verità anch’io conosco poco, anzi pochissimo, l’Heavy Metal perché non incontra i miei gusti – a parte i Led Zeppelin che personalmente non considero appartenere al genere quanto averne fornito alcuni spunti.
Tra questi, sicuramente un profondo interesse per la “mitologia” locale (un po’ alla maniera dei Romantici): Robert Plant, vocalist della band, studiava gaelico e miti celtici, cosa di cui si trova traccia ad esempio nella fin troppo celebre – e ingiustamente esecrata – “Stairway to Heaven”. Insomma, la ricerca di origini mitiche sembra sia un elemento del genere. Ma sicuramente qualcun altro ne sa più di me.
Qui mi interessa sottolineare due aspetti. Il primo: lo studio del latino e la conoscenza della sua letteratura sono ancora abbastanza diffuse, ma in scuole che potremmo definire d’élite. Un po’ come i primi Genesis e i loro riferimenti colti, perché i membri provengono da famiglie ricche e hanno frequentato un ottimo college. Insomma, la musica Heavy non è fatta (solo) da band “brutte, sporche e cattive”, ma da musicisti che possiedono una certa cultura.
Secondo punto: l’intreccio di tre lingue. L’italiano come lingua madre, forse poco adatta a questo tipo di musica, il latino come lingua colta, forse per far vedere che lo si è studiato, e infine l’inglese come lingua necessaria per varcare i confini dell’umile Italia. L’inutile (?) latino e l’inglese indispensabile: lo specchio della scuola italiana.