Grazie all’applicazione di strumenti tecnologici negli allevamenti, è oggi possibile monitorare in continuo ambiente, animali e produttività aziendale. Si sviluppa così la zootecnia di precisione, studiata, nel progetto Clevermilk, come possibile supporto nella riduzione delle emissioni di gas climalteranti della produzione di latte.
Lavorare per preservare la salute degli animali è fondamentale per mantenere sostenibile la propria azienda, sia da un punto di vista economico, sia da un punto di vista ambientale. Una patologia molto diffusa nelle aziende da latte è la mastite, che comporta cali produttivi e, nei casi più gravi, la riforma dell’animale, contribuendo ad aumentare l’impatto ambientale della produzione di latte. Sono infatti diversi gli studi sull’incremento di emissioni di gas a effetto serra, per kg di latte, dovuto alle infezioni mammarie (Hospido et Sonesson, 2005; Özkan Gülzari et al., 2018; Mostert et al., 2019).
La zootecnia di precisione può assistere il lavoro dell’allevatore nel monitoraggio dello stato sanitario della mammella delle bovine, consentendo, dove necessario e possibile, la cura tempestiva dell’animale. Già il solo monitoraggio produttivo e qualitativo del latte può facilitare la rilevazione di mastite. Esistono, però, strumenti specifici per individuare con maggior efficienza le infezioni mammarie; i più diffusi sono gli strumenti per la conta delle cellule somatiche (CCS) e per la rilevazione della conducibilità elettrica (CE). Le cellule somatiche, principalmente costituite da cellule del sistema immunitario, sono un importante indicatore di infezioni mammarie, specialmente quando, nelle forme di mastite subclinica, non c’è una manifestazione sintomatica acuta della patologia. Esiste infatti una correlazione diretta tra infezione della mammella e contenuto di CCS nel latte. Anche le variazioni della conducibilità elettrica del latte possono essere un valido strumento di diagnosi di mastite, seppur meno preciso della CCS. In presenza di mastite, infatti, si altera la permeabilità delle membrane cellulari del tessuto secernente della mammella, comportando un rilascio di ioni sodio e cloro e un aumento della CE del latte prodotto. Meno diffusi sono invece gli strumenti per rilevare il colore del latte, che si può alterare per la presenza di sangue o coaguli in caso di infezione acuta della mammella, e gli strumenti per rilevare alcune biomolecole nel latte, come la lattato-deidrogenasi.
Per studiare, però, se, nel concreto, le tecnologie per la rilevazione di mastite possano contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale, sono state prese in esame 2 aziende della Pianura Padana che rilevano da più di 5 anni la conducibilità elettrica e la conta delle cellule somatiche per la diagnosi di mastite.
In queste due aziende, è stato valutato l’impatto ambientale con metodo Life Cycle Assessment (LCA) nell’anno 2020, a partire da dati reali, e in uno scenario con dati ipotetici. In questo scenario si è supposta una capacità di individuare episodi di mastite inferiore del 5% rispetto a quella presente in azienda, ipotizzando che l’allevatore non utilizzasse in modo efficiente gli strumenti a sua disposizione per il monitoraggio della sanità della mammella.
Nel nuovo scenario si è quindi ottenuto:
- Riduzione della produzione di latte degli animali malati, ma non individuati e curati
- Aumento della media delle cellule somatiche del latte: più animali riformati, meno latte prodotto e più latte scartato
- Maggior numero di giovani animali che dovranno sostituire quelli riformati
Questi cambiamenti nei dati aziendali hanno comportato una variazione dell’impatto ambientale. Si è visto infatti che, per ogni aumento del 5% della capacità di individuare mastiti, si prevede una diminuzione dell’impatto ambientale media dello 0,5%,in termini di emissione di gas climalteranti.
Questo risultato dimostra che, l’utilizzo di tecnologia come strumento per monitorare lo stato sanitario della mammella può contribuire ad una riduzione dell’impatto ambientale della produzione di latte.
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