CFP SCHERMI #3: Aging, sessualità e cinema nella cultura italiana del secondo dopoguerra

Call for papers (Schermi, Annata V, N. 10, II semestre 2021)

Aging, sessualità e cinema nella cultura italiana del secondo dopoguerra

a cura di Elisa Mandelli e Valentina Re

consegna pezzi: 1-4-2021

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Nel 2017, la serie antologica firmata da Ryan Murphy Feud: Bette and Joan (FX) ha fornito un’occasione importante per riflettere sulle discriminazioni di genere – in particolare quelle legate all’età delle attrici – nell’evoluzione del sistema audiovisivo statunitense.

La serie, interpretata da Jessica Lange (Joan Crawford) e Susan Sarandon (Bette Davis), non si limita a mettere in scena il tormentato rapporto tra le due dive durante e dopo la realizzazione di Che fine ha fatto Baby Jane? (R. Aldrich, 1962), un film che peraltro riflette già sul rapporto tra aging e show business; più ampiamente e più significativamente, mette in scena la lotta dolorosa che le due attrici ingaggiano contro una cultura che desessualizza la donna dopo i quarant’anni e contro un sistema industriale – quello hollywoodiano – che non prevede ruoli (se non secondari e fortemente stereotipati) per le attrici più mature.

A ben guardare, Feud fa ancora di più. Se Joan Crawford e Bette Davis avevano 58 e 54 anni all’epoca di Che fine ha fatto Baby Jane?, Jessica Lange e Susan Sarandon ne interpretano il ruolo rispettivamente all’età di 68 e 71 anni. In questo modo, Feud è in grado sia di mobilitare contemporaneamente due diversi ordini temporali – il cinema degli anni Sessanta e il più ampio contesto mediale contemporaneo – sia di sollecitare un approccio diacronico in grado di rendere conto di come si modificano (o non si modificano) i codici socio-culturali di interpretazione dei processi di invecchiamento, soprattutto in relazione all’identità femminile, e le prassi attive nel settore del cinema e dei media audiovisivi.

Il presente numero di «Schermi», che nasce all’interno del progetto PRIN Comizi d’amore. Il cinema e la questione sessuale in Italia (1948-1978), intende valorizzare in particolare una delle piste interpretative offerte da Feud e rilocarla nel contesto della cultura e dei media italiani. Più in particolare, intende indagare il tema dell’aging, nelle sue relazioni con l’industria cinematografica, le rappresentazioni filmiche e i cambiamenti nell’identità femminile, nel più ampio quadro sociale e culturale dell’Italia del secondo dopoguerra. Del resto, la ricezione italiana del film “rimesso in scena” dalla serie, Che fine ha fatto Baby Jane?, mostra con sufficiente chiarezza la rilevanza e la pertinenza del tema dell’aging, e titoli come Largo ai vecchi! (“Il Giornale dello Spettacolo”) o Vecchie ma brave (“ABC”) sono eloquenti rispetto all’“anomalia” rappresentata dalle due interpreti nel sistema industriale e divistico del cinema dell’epoca.

Due sono gli assunti metodologici che hanno orientato la concezione del numero: l’esigenza di una pluralità metodologica, da un lato, e l’importanza di un focus sulla vecchiaia della donna dall’altro.

Ci proponiamo, in primo luogo, di estendere il dialogo (già proficuo nel contesto anglosassone, basti pensare ai numeri monografici di “Celebrity Studies” e del “Journal of British Cinema and Television” realizzati tra il 2012 e il 2018) tra aging studies, film/media studies, gender studies e celebrity studies anche all’ambito dei production studies o, in altri termini, di articolare lo studio dei processi di invecchiamento nel settore audiovisivo sia su una dimensione “on-screen” (rappresentazioni visive e sviluppo dei personaggi) che su una dimensione “off-screen” (condizioni delle professioniste mature nel settore audiovisivo, in tutti i comparti creativi e manageriali).

Ci proponiamo, inoltre, di impostare una riflessione sul contesto italiano a partire dallo studio dei processi di invecchiamento in relazione alle figure femminili e alle identità femminili. Francesca Rigotti (2018) ha riscontrato con grande lucidità come il fenomeno del “maschile universale”, già ben messo in luce da Bellassai (2014) in relazione al ruolo dei men’s studies nel relativizzare e riconoscere finalmente la parzialità (in quanto genere maschile) di uno sguardo che si pretende neutro o universale, caratterizzi anche gli studi della vecchiaia, da Platone a Cicerone (Minois 1988), da Bobbio (2006) a de Beauvoir (2002), che nelle loro riflessioni sulla vecchiaia “umana” raramente contemplano le specificità del soggetto femminile.

 

Discriminata negli studi, la vecchiaia femminile rivela le sue specifiche criticità se pensiamo, oltre che alle ambivalenze culturali che il periodo della fertilità (relativamente breve per la donna) assume, e alle complesse relazioni della “procreatività fisica” con la “creatività mentale” (Rigotti 2018), ad alcune valorizzazioni che si dispiegano sull’opposizione uomo-donna nella percezione delle società occidentali – non senza aggiustamenti, slittamenti e rinegoziazioni che si sono manifestati nel tempo con diverse intensità. La donna, che tende a distinguersi nella sua interiorità per qualità apparentemente innate e naturali come la sensibilità, l’istinto materno, l’intuito, nella sua esteriorità (nel suo apparire) appare invece sbilanciata verso la cultura, verso il massimo, cioè, della manipolazione: il trucco, l’acconciatura, la depilazione, la moda. Diametralmente opposto il posizionamento dell’uomo, che tende a esprimere nella sua interiorità il massimo della cultura (l’intelletto, la conoscenza, la razionalità), e nella sua esteriorità il massimo della natura – laddove, socialmente, una certa “naturale” trascuratezza (nel senso letterale di un “non prendersi troppa cura”) viene associata alla virilità.

All’interno di questo quadro, il processo di invecchiamento non può che caratterizzarsi (almeno prevalentemente) come deterioramento e sforzo per la donna (perché il passare del tempo non accresce qualità percepite come innate, ma obbliga evidentemente a interventi sempre più manipolativi e forse invasivi sull’aspetto esteriore, affinché la cultura addomestichi la natura) e come accrescimento e distensione per l’uomo (perché si sedimenta la cultura, la conoscenza diventa saggezza, e alla natura si permette semplicemente di fare il suo corso, senza che la cultura debba intervenire ad alterarlo).

Chiaramente questo quadro può ulteriormente articolarsi e complicarsi, come ben mostra Jean Améry (1968) ripreso da Rigotti, quando sottolinea che tutti i vecchi non comprendono più il mondo, ma “le donne il loro mondo di profumi e abitini, gli uomini il loro mondo intellettuale e sociale” (Rigotti 2018, p. 56). Ma è pur sempre questo quadro valoriale che permette di definire e comprendere anche le pratiche di “resistenza” della donna, che forzano le polarità esistenti, per esempio esibendo con orgoglio i segni del passaggio del tempo o rivendicando la propria maturità intellettuale.

All’interno del numero monografico si accettano contributi che, in relazione al contesto e al periodo di riferimento, approfondiscano in particolare:

  • La tematizzazione dei processi di invecchiamento della donna nella critica cinematografica
  • La tematizzazione dei processi di invecchiamento nelle interviste ad autrici e attrici
  • I processi di invecchiamento nelle rappresentazioni visive: il corpo, lo spazio, il tempo
  • I processi di invecchiamento nelle strategie narrative: personaggi, ruoli, archi narrativi
  • I processi di invecchiamento nei discorsi promozionali del film
  • Aging, sistema divistico, sistema produttivo
  • Aging e dimensione identitaria: identità di genere, di classe, di orientamento sessuale, nazionale, politica
  • Aging, fecondità, creatività e ruolo sociale della donna (es. in relazione al matrimonio, alla maternità)
  • Aging e canoni culturali della bellezza
  • Aging, esperienza e concezioni del sapere
  • Aging e professioniste dell’audiovisivo: carriere, condizioni di lavoro, discriminazioni
  • Le soglie dell’aging: a quali età si si collocano, socialmente e culturalmente, le “soglie” della vecchiaia? Come queste soglie vengono diversamente negoziate e rappresentate, nella realtà sociale e culturale dell’epoca, in rapporto alle identità di genere, alle professionalità del cinema, alle narrazioni?

Le proposte (max 300 parole, in italiano o in inglese, corredate da una bibliografia essenziale) dovranno essere inviate entro il 15/01/2021 al seguente indirizzo di posta elettronica:

valentina.re@gmail.com e mandelli.elisa@gmail.com

L’esito della selezione sarà comunicato entro il 31/01/2021, e i saggi completi – compresi tra le 30.000 e le 35.000 battute (spazi e note incluse, bibliografia esclusa), accompagnati da un abstract di 100 parole (in inglese) e da 5 parole chiave (sempre in inglese) – dovranno essere inviati entro il 01/04/2021 e saranno sottoposti a una doppia revisione.