La chetosi, una patologia ‘impattante’

La chetosi si manifesta, in forma clinica o subclinica, solitamente al termine dell’asciutta e durante la fase di transizione, quando è più frequente che l’animale non abbia una quantità di riserve sufficiente per soddisfare il proprio fabbisogno energetico. Questa patologia è favorita da alcune condizioni che impediscono alla bovina di alimentarsi correttamente, come, ad esempio, malattie infettive, traumatiche o altre patologie metaboliche, come l’acidosi ruminale.

L’animale che presenta chetosi produce, in media, meno latte nella fase del picco produttivo e, di conseguenza, nell’intera lattazione. Nello stesso tempo, peggiorano le performance riproduttive: l’attività ovarica faticherà a riprendere e diminuirà il tasso di concepimento; le bovine con chetosi presentano, inoltre, una maggiore incidenza di cisti ovariche e d’infezioni uterine. Questa patologia interferisce negativamente con la piena funzionalità dell’immunità innata delle bovine, favorendo il manifestarsi di altre patologie come la ritenzione di placenta, la mastite clinica e la metrite puerperale.

La chetosi è quindi una patologia molto “impattante”, sia dal punto di vista economico, sia ambientale.

Uno studio dello scorso anno ha stimato i costi annui di un allevamento relativi all’insorgenza di chetosi. Si stima che i costi medi annui per caso di chetosi clinica e subclinica siano rispettivamente di circa €709 e €150 (Steeneveld et al., 2020). Sono inclusi in questa stima i costi dovuti alla perdita produttiva di latte e ai trattamenti, i costi dei conseguenti casi di dislocazione di abomaso e di mastiti, i costi dei vitelli, della riforma precoce degli animali e dell’alimentazione.

Mostert et al., (2018) hanno invece calcolato, con uno studio Life Cycle Assessment, l’impatto ambientale dell’insorgenza di chetosi subclinica in termini di CO2eq. su latte corretto in grasso e proteine, ottenendo i seguenti risultati: in media, le emissioni di gas climalteranti aumentano di circa 20 kg di CO2eq./t di latte corretto. L’aumento di emissione è dovuto per il 31% all’allungamento del periodo inter-parto, per il 30% al latte scartato, per il 19% alla riduzione della produzione di latte e per il 20% circa alla riforma degli animali malati.

Come prevenire, quindi, l’insorgenza di chetosi nelle stalle da latte?

Abbiamo provato a riassumerlo in 4 punti, che riguardano, in generale, una migliore e più consapevole gestione degli animali:

  • Gestione corretta dei gruppi, per evitare stress negli animali, cali di ingestione e abbassamento delle difese immunitarie;
  • Gestione ottimale del periodo di asciutta, in modo che l’animale non arrivi grasso al parto e che non riduca l’ingestione durante il periodo peri-parto. Nelle ultime due settimane di gravidanza è importante, quindi, non somministrare alimenti ricchi di fibra poco digeribile;
  • Gestione attenta ed equilibrata dell’alimentazione durante la lattazione: nelle prime settimane dopo il parto occorre fornire agli animali una razione che soddisfi l’elevato fabbisogno energetico dell’animale senza, però, ridurne l’ingestione. La qualità e la digeribilità della fibra somministrata sono essenziali;
  • Avere consapevolezza della salute dei propri animali, sapendo quando e in che modo intervenire in caso di necessità.

Per quanto riguarda l’ultimo punto in elenco, la diagnosi delle patologie in stalla risulta fondamentale. Spesso, però, diagnosticare la chetosi di tipo subclinico non è semplice ed è quindi necessario ricorrere a strumenti diagnostici appositi in grado di intercettare anche i segnali di allarme, quando è ancora possibile intervenire in prevenzione. La tecnologia può venirci in aiuto. È possibile, per esempio, ricercare i corpi chetonici, come il beta-idrossibutirrato, nel latte (o anche nel sangue o nelle urine) con appositi sensori in grado di monitorare la salute della bovina ad ogni mungitura. Poiché i valori di rischio di questa molecola possono leggermente differire da animale ad animale, risulta interessante monitorare quotidianamente il latte per singola bovina ed individuare così, con maggiore affidabilità e precisione, un valore di anormalità e rischio specifico per singolo animale.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:

Steeneveld W., Amuta P., van Soest F.J.S., Jorritsma R., Hogeveen H. 2020. Estimating the combined costs of clinical and subclinical ketosis in dairy cows. PLoS ONE 15(4): e0230448. Link all’articolo

Mostert P.F., van Middelaar C.E., Bokkers E.A.M., de Boer I.J.M. 2018. The impact of subclinical ketosis in dairy cows on greenhouse gas emissions of milk production. Journal of Cleaner Production 171 (2018) 773e782. Link all’articolo