La storia delle ricerche al Forcello di Bagnolo San Vito inizia verso la fine dell’Ottocento, quando alcuni studiosi locali, Attilio Portioli ed Enrico Paglia, iniziarono a segnalare la presenza di oggetti antichi che affioravano dai terreni arati della zona.
Nessuno però intuì che quei reperti appartenessero ad un abitato etrusco di grande importanza fino alla seconda metà del XX secolo, quando alcuni appassionati locali, Dino Zanoni di Mantova, Amilcare Riccò di Bagnolo San Vito e Gualberto Storti di Pietole, segnalarono alla Soprintendenza Archeologica della Lombardia i materiali portati in superficie dai lavori agricoli.
Per verificare l’estensione e la consistenza della zona di interesse archeologico, quest’ultima decise allora di affidare una serie di indagini – prospezioni meccaniche e geofisiche – alla Fondazione Lerici, che tra il 1980 e il 1983 effettuò 257 carotaggi su un’area di 19 ettari. Contemporaneamente, tra il 1981 e il 1985, vennero condotti anche i primi sondaggi di scavo nella zona.
Grazie a quei primi sopralluoghi, l’allora funzionario Raffaele Carlo de Marinis riconobbe l’area del Forcello di Bagnolo San Vito come il più importante abitato etrusco a nord del Po e nel 1983 decise di avviare i primi scavi sistematici nella zona, condotti sotto la sua direzione dapprima per conto della Soprintendenza Archeologica della Lombardia e poi come professore dell’Università degli Studi di Milano.
Le campagne di scavo
Dal 1983 ad oggi, l’Università ha condotto in tutto 26 campagne di scavo. L’area indagata, di circa 900 mq, si trova nella porzione centrale dell’insediamento dove la potenza stratigrafica, cioè lo spessore della sequenza degli strati) è maggiore, di quasi due metri.
Come già accennato, il sito è stato frequentato dal 540 a.C. al 380-375 a.C. Il deposito archeologico si è formato attraverso diverse fasi di costruzione, distruzione e ricostruzione. Nell’area di scavo al centro dell’abitato sono state identificate 9 fasi di frequentazione, denominate con lettere dell’alfabeto dalla A (la più recente) alla I (la più antica).
In particolare due fasi, F e C, una di fine VI secolo a.C. e una del secondo quarto del V secolo a.C., sono caratterizzate da strutture d’abitato distrutte da un incendio, e successivamente ricoperte con riporti di limo-argilla “sterili”, ovvero in cui non sono stati trovati altri materiali archeologici. Questi contesti sono particolarmente importanti: da un lato perché rappresentano un chiaro marker stratigrafico, ovvero un “livello guida”, che fornisce agli studiosi numerose informazioni all’interno di un deposito non immediatamente comprensibile; dall’altro perché il materiale archeologico nelle abitazioni è stato trovato in deposizione primaria: significa che tutto è rimasto com’era al momento dell’incendio, restituendoci una sorta di “istantanea” del periodo.
La fase F
Gli scavi della fase di fine VI secolo a.C. hanno messo in luce una grande abitazione aristocratica – oikos – che si articola in due strutture composte da sette ambienti grandi e undici minori per un’estensione complessiva di quasi 300 mq. I dati raccolti raccontano i diversi aspetti dell’economia e delle relazioni culturali di questo periodo: dai traffici con la Grecia attraverso numerose ceramiche attiche a vernice nera e a figure nere, fra cui un cratere a colonnette del gruppo di Leagros, anfore da trasporto prevalentemente da Taso e dalla Grecia dell’est, fra cui almeno una contenente olive: all’agricoltura, testimoniata da cereali e leguminose di diverse specie, piante utili come la vite e il nocciolo, e all’allevamento, con una prevalenza del maiale rispetto a bovini e capro-ovini. Eccezionale è il rinvenimento di resti carbonizzati di favi e di api (Apis mellifera) e degli alveari di abete bianco che erano stati portati all’interno di uno degli ambienti, per recuperare il miele o la cera.
La fase C
Per quanto riguarda la fase C (che si può datare al secondo quarto del V secolo a.C.), si tratta invece di tre diverse strutture. Una è stata parzialmente messa in luce al limite nord-orientale dell’area di scavo e si trova a nord della seconda, che è stata definita la “Casa dei Pesi da telaio”, per via dei materiali trovati qui; la terza è stata denominata “Casa dei Velna” per il rinvenimento di quattro iscrizioni “mi velnaś” che hanno spinto gli archeologi ad attribuire la proprietà della casa a un membro della gens (famiglia) dei Velna.