Un team interdisciplinare, composto da ricercatori e ricercatrici dell’Università degli Studi di Milano, della Sapienza di Roma, dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna e della Soprintendenza archeologia, belle arti paesaggio per le Province di Verona, Rovigo e Vicenza ha sviluppato una nuova metodica analitica che ha lo scopo di identificare e quantificare i composti riconducibili alla presenza di mammiferi in un sito archeologico, anche quando i reperti ossei sono assenti, scarsi oppure non danno informazioni sufficienti. Tutto questo grazie all’analisi di 14 campioni di terreno provenienti dal sito preistorico delle Colombare di Negrar di Valpolicella diretto da Umberto Tecchiati, docente di Preistoria ed Ecologia preistorica UniMi, nonché responsabile del Laboratorio di Preistoria, Protostoria ed Ecologia preistorica della Statale – PrEcLab.
Il ruolo dei biomarcatori fecali
Una buona notizia per chi studia il paleoambiente, come gli archeologi, ma anche per gli scienziati forensi e gli ecologi che hanno bisogno di questo tipo di informazioni per le proprie indagini. Attraverso l’analisi dei campioni mediante tecnica gascromatografica abbinata alla spettrometria di massa (GC-MS), si cercano nel terreno i biomarcatori fecali, ovvero marcatori chimici della presenza di escrementi, che sono diversi per specie. Particolarità assoluta del metodo messo a punto dal gruppo di lavoro non è tanto la strumentazione usata – comunemente presente nei laboratori chimico-analitici – quanto la rapidità della procedura, caratterizzata da un nuovo protocollo di preparazione e processamento dei campioni stessi, facilmente attuabile e riproducibile, che consente l’estrazione simultanea dei diversi biomarcatori.
“Fin dai suoi esordi, la disciplina preistorica si connota per l’attenzione alla relazione uomo-ambiente. Non solo per comprendere l’uso delle risorse, ma anche la relazione psichica profonda che si crea tra le società e il paesaggio da loro costruito e insediato“, afferma Tecchiati. “È necessario quindi ricercare e valorizzare tutti i dati che permettono di conoscere e comprendere questa relazione. Per questo, lo studioso di Preistoria si avvale del contributo di molti specialisti di discipline diverse – proprio come in questo caso – che interagiscono nel tentativo di costruire quadri interpretativi coerenti.”
L’ideazione del nuovo protocollo per riconoscere i mammiferi
L’ideazione del nuovo protocollo, che tra l’altro è stato da poco pubblicato sulla rivista Scientific Reports – Nature, si deve principalmente a Erika Palmisano e Sara Casati, ricercatrici del Laboratorio di Tossicologia Forense presso il Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche ed Odontoiatriche dell’Università degli Studi di Milano. Le due studiose, che hanno lavorato sui campioni provenienti dallo scavo preistorico alle Colombare di Negrar di Valpolicella, sono state coordinate da Marica Orioli, direttrice del Laboratorio di Tossicologia Forense, affiancata da Chiara Reggio, dottoranda del Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università La Sapienza di Roma e collaboratrice del PrEcLab dal 2019.
Nel caso specifico delle Colombare di Negrar, questo nuovo protocollo va a integrare le analisi archeozoologiche e archeobotaniche in corso nell’area e consentirà al gruppo di ricerca guidato da Umberto Tecchiati e Paola Salzani – funzionaria della Soprintendenza archeologia, belle arti paesaggio per le Province di Verona, Rovigo e Vicenza e condirettrice del progetto di ricerca – di chiarire l’interesse per le specie allevate, come ad esempio bovini, caprini, ovini e suini, per comprendere meglio le attività economiche svolte nel sito. Inoltre, l‘analisi consente di individuare anche i biomarcatori degli escrementi umani, e questo permetterà al team della Statale di approfondire le conoscenze sull’abitato.
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“Il livello di complessità raggiunto dalle comunità della preistoria recente e della protostoria ci porta a interrogarci su questioni di ampia portata“, interviene Reggio. “Qual era la rilevanza economica delle specie allevate nel corso della vita del villaggio? Come erano organizzati gli spazi destinati alle diverse attività umane, tra cui quelle inerenti all’allevamento? Che utilizzo si faceva di una materia come lo sterco? Era una risorsa da impiegare nella concimazione dei campi? Era usata come materiale edilizio? Oppure come prodotto di scarto, con tutta l’urgenza di smaltirlo – insieme ad altre categorie di rifiuti – per ragioni igienico-sanitarie? L’indagine sui biomarcatori fecali, animali e umani, aggiunge un importante tassello nella ricostruzione di queste dinamiche, la cui piena comprensione è spesso ostacolata dalla mancanza di indicatori archeologici diretti e permette di compiere un passo avanti nella ricerca delle risposte“.
Gli altri membri del team
A far parte del team interdisciplinare che ha sviluppato il protocollo e pubblicato lo studio si trovano, oltre a Tecchiati e Salzani e alle studiose citate, Cristiano Putzolu, docente di archeologia digitale presso l’Alma Mater Studiorum Università di Bologna e corresponsabile delle ricerche sul campo; e i ricercatori Alessandro Ravelli e Roberta F. Bergamaschi del Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche ed Odontoiatriche del Laboratorio di Tossicologia Forense dell’Università degli Studi di Milano.